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Pirandello,
Luigi (Girgenti,
oggi Agrigento 1867 - Roma 1936), scrittore italiano, uno dei massimi
drammaturghi del Novecento. Anche se la sua fortuna critica è sempre
stata molto controversa (soprattutto in Italia), è uno dei pochi
scrittori italiani contemporanei che abbia saputo conquistarsi una fama
internazionale: non tanto per il lontano premio Nobel (1934), quanto
grazie allo straordinario numero di compagnie che ne mettono in scena i
drammi in molti paesi del mondo.
Dopo aver esordito come poeta con Mal giocondo (1889), Pirandello
conseguì la laurea in filologia romanza all'università di Bonn. In
seguito si dedicò all'insegnamento della letteratura italiana,
pubblicando nel 1894 le prime novelle, Amori senza amore. Nello
stesso anno sposò Antonietta Portulano, che gli avrebbe dato tre figli.
Nel 1901 pubblicò il suo primo romanzo, L'esclusa, che segna il
passaggio dal modello narrativo verista allo stile
"umoristico", cioè a una caratteristica mescolanza di tragico
e comico, che da quel momento avrebbe caratterizzato la produzione
pirandelliana. Nel 1903 lo scrittore si trovò improvvisamente in rovina
e con la moglie in preda alla pazzia: ne derivò la spinta a scrivere la
sua migliore opera narrativa, il romanzo Il fu Mattia Pascal
(1904). A questo seguirono altri romanzi, tra i quali spiccano I
vecchi e i giovani (1913) e Uno, nessuno e centomila (1926),
che rappresenta per molti aspetti una specie di consuntivo ideologico
finale.
Soltanto intorno al 1910 Pirandello si decise ad affrontare anche le
scene, pur avendo scritto fin dall'adolescenza testi teatrali. Dopo aver
ottenuto un buon successo con Pensaci, Giacomino! e Liolà
(entrambi del 1916), egli precisò i nuclei fondamentali della propria
ispirazione con Così è, se vi pare (1917) e Il giuoco delle
parti (1918). Ma l'anno decisivo per la notorietà pirandelliana fu
il 1921, quando, per la sua audacia sperimentale, il dramma Sei
personaggi in cerca d'autore prima venne fischiato a Roma e poco
dopo ottenne a Milano un clamoroso successo, che proseguì subito dopo
in America e continua tuttora. A questo seguì il successo della
tragedia Enrico IV (1922), che consacrò definitivamente
Pirandello fra i massimi drammaturghi mondiali. Fra le numerosissime
opere teatrali dello scrittore agrigentino, è necessario ricordare la
trilogia del "teatro nel teatro", composta, oltre che dai Sei
personaggi in cerca d'autore, da Ciascuno a suo modo (1924) e
Questa sera si recita a soggetto (1930). La produzione
novellistica pirandelliana è raccolta nelle Novelle per un anno
(1922).
Pirandello è probabilmente l'autore che meglio rappresenta il periodo
che va dalla crisi successiva all'unità d'Italia all'avvento del
fascismo. Pochi come lui ebbero coscienza dello scacco subito dagli
ideali del Risorgimento e dei complessi cambiamenti in atto nella
società italiana. Sul piano letterario il suo punto di partenza fu,
come per gran parte degli autori nati nella seconda metà
dell'Ottocento, il naturalismo. Fin dal primo momento però l'oggetto
privilegiato, o pressoché esclusivo, delle rappresentazioni
pirandelliane non furono le classi popolari bensì la condizione della
piccola borghesia. Da questa prospettiva lo scrittore seppe sviluppare
una corrosiva critica di costume, cogliendo in profondità la crisi
delle strutture tradizionali della famiglia patriarcale. Poiché però
anch'egli apparteneva alla piccola borghesia, finì per assolutizzarne i
dubbi e le sofferenze, che rappresentò come il segno di una condizione
eterna di tutti gli esseri umani. D'altro canto fu proprio la direzione
esistenziale e metafisica assunta dalla sua ricerca a portarlo molto
vicino alle posizioni di alcuni dei più grandi scrittori europei di
questo secolo. Paragonato, volta a volta, a Kafka o a Camus, a Sartre o
ai drammaturghi del teatro dell'assurdo (vedi Beckett; Ionesco),
non a caso Pirandello è stato uno dei pochissimi scrittori italiani del
Novecento capaci di raggiungere una fama mondiale: ancora oggi i suoi
drammi sono, dopo quelli di Shakespeare, i più rappresentati in tutto
il mondo.
Al centro della concezione pirandelliana sta il contrasto tra ciò che
gli uomini credono di vedere, anche in buona fede, e la sostanza delle
cose. La critica delle illusioni va di pari passo con una drastica
sfiducia nella possibilità di conoscere la realtà. Per poter vivere,
tutti dobbiamo formarci delle rappresentazioni compiute del mondo e
degli altri; queste rappresentazioni, tuttavia, saranno sempre del tutto
inadeguate all'inattingibile verità della vita, percepita come un
flusso continuo e inarrestabile. La vita procede senza soste e senza una
direzione: per Pirandello, il mondo è dominato dal caso e privo di
senso. Se le parole non possono mai stare alla pari con la complessità
del reale, sarà compito della letteratura mostrare quest'inadeguatezza,
usando paradossalmente proprio quelle parole di cui essa denuncia la
fragilità. L'arte diventa così coscienza critica, contro le
mistificazioni e i falsi miti costruiti dagli scrittori del
decadentismo, a cominciare da D'Annunzio. Lo scrittore sarà condannato
al dubbio sistematico, ma questa condanna, oltre che un preciso dovere
morale, è anche la sua forza.
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