|
Al
campo scuola
IN PIANO E DA FERMO
Sollevamento:
il trapezio viene spinto in avanti, facendo perno sulla
barra che è sempre appoggiata al terreno. Soltanto quando è stato
raggiunto un equilibrio longitudinale vengono impugnati i montanti,
con i dorsi delle mani rivolti all'esterno, e con le mani ad uguale
distanza dalla barra. Si solleva poi l'aquilone in quella che diventerà
la posizione standard di decollo. I piedi sono uniti (eventualmente
un piede sarà lievemente avanzato rispetto all'altro per percepire
la pendenza del terreno).
Ricerca di un assetto orizzontale:
restare in equilibrio con il deltaplano sollevato è, all'inizio, un
esercizio difficoltoso; è relativamente facile capire quando lo si
stà eseguendo correttamente, dal momento che non dovrebbe richiedere
uno sforzo fisico notevole, bensì sfruttare il peso stesso ed il buon
bilanciamento dell'apparecchio.
Tuttavia il volo delta può essere ben di più: diviene ben presto evidente
che è possibile migliorare le proprie capacità di sfruttare le correnti
aree e salire a quote superiori rispetto al decollo, di giocare con
il vento anche per ore, di raggiungere mete lontane decine o centinaia
di chilometri.
Verifica
dell'influenza delle braccia (e dell'inclinazione del busto) sull'incidenza:
già in questo momento è utile comprendere gli effetti dell'incidenza
sui momenti successivi (Fig. 5-14: incidenza troppo elevata=freno
alla corsa; incidenza troppo scarsa=sopravanzamento con rovinosa caduta
a pochi metri).
Osservazione del segnavento obbligatorio sul cavo anteriore:
il neopilota deve iniziare ad esprimere giudizi personali sulle condizioni
del vento in relazione ad un possibile decollo.
PRIME CORSE IN PIANO
Corsa progressiva con rilevamento della trazione esercitata dall'aquilone
che inizia a volare:
in questo esercizio dovrebbe essere perfezionato il controllo dell'incidenza
dell'apparecchio durante la corsa. È raro riuscire a tenere l'incidenza
giusta fin dalle prime volte: la più frequente causa di un'incidenza
troppo bassa è l'esagerata inclinazione in avanti di busto e capo; al
contrario, se all'inizio della corsa portiamo in avanti le braccia,
l'incidenza è troppo elevata e non si riuscirà a mettere in volo l'aquilone
(anzi esso agirà da freno aerodinamico restando indietro rispetto al
nostro corpo).
Fin da queste prime fasi è necessario capire che siamo noi, attraverso
il controllo dell'angolo di incidenza, a determinare la velocità di
corsa dell'insieme pilota+delta. La trazione verticale dell'apparecchio
può essere meglio apprezzata mantenendo l'imbrago in tensione (sostenendo,
cioè, l'aquilone in corsa).
Cambio dell'impugnatura (sempre ai montanti):
è raro che questo esercizio venga compiuto senza commettere, almeno
alle prime volte, l'errore di rallentare durante il cambio; l'aquilone
tende allora a sopravanzarci e a cadere. È invece necessario continuare
l'accelerazione anche (e soprattutto) durante il cambio di impugnatura.
Per quanto possa sembrare innaturale (verrebbe infatti voglia di
"frenare"), accelerare la corsa è l'unico modo per evitare una caduta
precoce: spingendo in avanti i montanti aumenteremo l'angolo di incidenza,
e l'ala si fermerà (in effetti dobbiamo, prima di tutto, fermare l'aquilone!).
Stallo di arresto:
la corsa si conclude con uno stallo di arresto, deciso ed anticipato.
La "smania" di volare subito potrebbe essere una cattiva consigliera,
inducendoci a sollevare le gambe proprio nel momento in cui l'apparecchio
smette di volare (anche se sosteneva solo sè stesso, infatti, stava
già volando) con conseguenze comiche e, a volte, rovinose.
PRIMI DISLIVELLI (5-15
MT)
Corsa progressiva fino a raggiungere
la velocità minima di decollo:
la fatica è cattiva consigliera, ci dice che stiamo correndo forte quando
invece non è vero. Se riusciamo a raggiungere e superare la velocità
di volo l'aquilone si stacca dal pendio in modo dolce e lineare; se
invece siamo troppo lenti, dopo un primo attimo l'apparecchio tende
a picchiare, per compensare la lentezza, con pericolosissime "sfiorate"
al terreno. In alternativa può stallare immediatamente ritornando verso
il pendio.
Mantenimento di una traiettoria rettilinea:
una posizione composta favorisce la concentrazione del corpo-peso e
la sua governabilità: dunque sguardo in avanti (e non puntato sulla
verticale sotto di noi), piedi vicini e gambe in lieve flessione; una
lieve trazione sui montanti serve ad evitare velocità prossime a quella
di stallo. Un errore frequente consiste nell'appendersi ai montanti
con le mani; questo è dannoso per diversi motivi:
- toglie potere all'unico sistema
di guida: il nostro peso fissato nel punto di aggancio;
- impedisce od ostacola manovre di
accelerazione o decelerazione;
- aggrava inevitabilmente una eventuale
perdita di assetto;
- mette in oscillazione la parte inferiore
del corpo compromettendo ulteriormente la stabilità.
Una soluzione relativamente semplice consiste
nel tenere i montanti a "mani più aperte", cioè cingendoli senza stringerli;
la tendenza ad appendersi si trasformerà in uno scivolamento delle mani
sui montanti stessi senza alcuna compromissione delle possibilità di
controllo.
Prime correzioni di rotta:
spostare "il peso del corpo" (e non solo una parte di esso) nella direzione
indicata dall'istruttore o nella direzione opposta a quella indotta
da una turbolenza. Dopo qualche attimo, e solo se necessario, compensare
(spostare il peso nella direzione opposta) ricercando l'orizzontalità.
È molto utile provare i primi spostamenti di peso agganciati ad una
struttura fissa con una sbarra davanti. Si imparerà in tal modo a distinguere
tra "spostamento" (testa, busto e gambe, in asse e decentrati) e "torsione-rotazione"
(testa e busto da una parte, sedere e gambe dall'altra); come già esposto
la seconda manovra non ha alcun effetto poichè non modifica la posizione
del baricentro.
Un errore particolarmente pericoloso consiste nell'allontanare
i montanti durante un tentativo di correzione:
è un movimento naturale che insorge quando l'aquilone sembra andare
dove non vorremmo e questo fatto ci spaventa; purtroppo l'allontanamento
dei montanti (che determina un ulteriore rallentamento, se non addirittura
uno stallo) può rendere irrecuperabile una situazione già difficile,
vediamo di capirne bene il perchè.
Come ogni mezzo volante (vedi capitolo di aerodinamica) l'aquilone risponde
prontamente alle correzioni solo se ha una velocità sufficiente; quando
voliamo troppo lentamente (con angoli di incidenza troppo elevati) è
facile raggiungere una condizione definibile come "pre-stallo"; l'apparecchio
diventa, per così dire, pigro e stupido (nel senso che non ci aiuta
a correggere eventuali perdite di assetto ma, anzi, sembra volerle aggravare);
ne consegue che una perdita di orizzontalità che, in queste condizioni,
può essere recuperata solo facendo, come prima cosa, riprendere una
velocità adeguata all'aquilone (tirando a sè i montanti); successivamente
(o, se il terreno è molto vicino, quasi contemporaneamente) si correggerà
la rotta contrastando con il proprio peso. L'errore di allontanare i
montanti, per quanto istintivo, sortisce l'effetto di rallentare ulteriormente
l'apparecchio: la perdita di orizzontalità non sarà recuperabile e l'apparecchio
continuerà la virata non voluta con maggior energia di prima.
Atterraggio:
una volta smaltita la velocità in effetto suolo, "aprire" con decisione,
spingendo con forza sui montanti (che avremo avuto l'accortezza di impugnare
"alti", cioè almeno all'altezza delle orecchie). È proprio in atterraggio
che i neopiloti si sbizzarriscono proponendo e riproponendo alcuni (ormai
prevedibili) errori:
- mancanza di orizzontalità:
durante il volo minime variazioni di assetto sono quasi irrilevanti,
in atterraggio, invece, la mancanza di orizzontalità viene accentuata
dallo stallo finale che trasforma una lieve inclinazione in una
netta virata. È dunque importante giungere al momento dello stallo
con un assetto laterale preciso;
- errata posizione del corpo:
bisogna inoltre evitare di spostare in avanti gambe e piedi, dal
momento che lo stallo deciso si ottiene spostando rapidamente all'indietro
tutto il peso del corpo. L'esperienza insegna che l'atto di portare
in avanti i piedi sposta automaticamente indietro il busto ed il
sedere, facendo, di fatto, retrocedere il baricentro del neopilota.
Il malcapitato non avrà più nulla da "spostare rapidamente all'indietro"
e non riuscirà ad imprimere uno stallo deciso; inoltre atterrare
con in piedi in avanti, può essere pericoloso per caviglie e bacino.
Nel momento dello stallo, invece, il busto dovrà essere eretto,
le gambe lievemente arretrate e pronte ad assorbire l'impatto (saranno
quindi in leggera flessione).
Bisogna, da ultimo, ricordare che lo stallo
è una manovra che consuma un minimo di energia: essa diviene inattuabile
se l'aquilone non ne possiede più. Semplificando possiamo dire che l'energia
dell'aquilone, in atterraggio, è direttamente proporzionale alla sua
velocità (tanta velocità=tanta energia): se aspettiamo troppo prima
di stallare (stallo ritardato) l'apparecchio non disporrà più dell'energia
sufficiente e non ci sarà possibile fermare completamente il delta;
in questo caso si dovrà correre o sfruttare le indispensabili ruote
per mitigare l'impatto in movimento, altrimenti la barra tocca il terreno
arrestando molto bruscamente aquilone e pilota.
D'altro canto se stalliamo troppo presto, prima di aver smaltito l'energia
in eccesso (aquilone ancora troppo veloce), la inopportuna restituzione
di energia tenderà a farci risalire: in questo caso è necessario tenere
aperto con le braccia ben distese. Il delta ci paracaduterà dolcemente
al suolo; se, al contrario ci venisse la tentazione di richiamare (tirare
a noi i montanti), cadremmo con inusitata violenza.
|
|