Storia

L'estate del 52 d.C. rimarrà pietra miliare  per la storia dei Marsi un popolo di origine sabella fiero come pochi in Italia ma povero per l'asprezza dei luoghi da esso abitati.
Guardando la  " vitrea distesa del lago Fucino", i Marsi sognavano il prosciugamento del piccolo mare in mezzo ai monti. Il suo bacino idrico aveva un'altitudine variabile, tra i 650/670 m., ma nei giorni del disgelo primaverile i Marsi guardavano con terrore al gonfiarsi del lago nel timore che le acque, straripando, invadessero i campi e i paesi vicini dando origine ad un lago più vasto e una più grande miseria. Ma chi avrebbe potuto compiere il miracolo del prosciugamento se non Roma, regina dell'oro e di milioni di braccia?
Il primo che si propose di risolvere il problema del Fucino fu Giulio Cesare. Egli aveva concepito un vasto programma di lavori pubblici tra cui la costruzione di un emissario per il Fucino; ma il pugnale dei congiurati gli impedì di dar seguito a piani tanto ambiziosi. Il successore, Augusto, pur continuando per certi aspetti la politica di Cesare, non vedeva di buon occhio le grandi imprese che avrebbero impegnato a fondo le casse dello Stato come appunto era il progetto per l'emissario del Fucino.
Perciò ai Marsi, che insistentemente lo supplicarono perché attuasse il progetto di Cesare, Augusto oppose sempre un netto rifiuto.
Molto tempo e alcuni imperatori dopo, il 24 gennaio del 41 d.C., venne nominato imperatore il nipote di Augusto, Claudio, che volendo presentarsi come il continuatore della politica di Cesare, ne riesumò subito i vecchi progetti e ne promise la rapida attuazione. Tra essi l'emissario del Fucino. Mentre ai Marsi interessava essere liberati dall'incubo e dai danni delle escrescenze del Fucino l'imperatore, con visione più ampia, era interessato a ricavare dall'onerosa impresa un utile e un beneficio più generale con il reperimento di nuove terre da coltivare. Il progetto approvato da Claudio conciliava queste esigenze senza eliminare del tutto il lago (si prevedeva solo il suo parziale prosciugamento), soluzione equilibrata ed originale che  eliminava i danni delle escrescenze, offriva nuove terre da coltivare ed in più si salvava anche l'ambiente naturale con la conservazione di un ampio bacino lacustre, non trascurando le credenze religiose dei Marsi per i quali il Fucino era il "dio Fucino".
Così l'imperatore Claudio alla fine dell'anno 41 d.C. ordinò l'avvio dei lavori per la costruzione dell'emissario. Occorsero 11anni e la fatica di 30.000 schiavi per la realizzazione della galleria sotterranea lunga oltre cinque chilometri e mezzo e scavata tra il lago Fucino e il fiume Liri nelle viscere della terra, attraverso il massiccio calcareo del monte Salviano e i terreni più vari e insidiosi dei Campi Palentini ad un centinaio di metri sotto terra. La direzione dei lavori fu affidata a Narciso, il potente e fidato liberto di Claudio.
Le acque , provenienti dal lago e convogliate all'Incile, dal canale collettore, incontravano prima di tutto un
avambacino  a imbuto, costituito da due muraglioni laterali rettilinei e convergenti, che servivano semplicemente a trattenere il terreno circostante, che era a livello più elevato. Al punto più stretto dell'avambacino c'era una prima saracinesca per regolare o bloccare il flusso delle acque in arrivo dal lago.
Seguiva, quindi, un breve e secondo passaggio, chiamato
gola , era stretta 3 metri, lunga 8 e profonda 10 e mezzo, essa tratteneva, con delle griglie i detriti più grossi trascinati dalla corrente dell'acqua. Tale gola comunicava poi con un'ampia vasca esagonale , necessaria per rallentare la corrente delle acque in modo da favorire la deposizione, raccolta e rimozione dei vari detriti; il suo fondo era accessibile mediante gradinate poste lungo i muri laterali vicino all'ingresso della vasca ed era facilmente svuotabile dell'acqua mediante la chiusura della prima saracinesca. La vasca esagonale terminava con un muraglione ed aveva al centro un'apertura con una seconda saracinesca. L'acqua proveniente dal lago cadeva in un'altra vasca, più piccola ma più profonda, detta vasca trapezoidale la cui parete costituiva una massiccia costruzione a tre piani: in quello inferiore si apriva l'imbocco della galleria servito da una terza saracinesca. Nel piano intermedio si trovava la camera da cui si poteva manovrare quest'ultima saracinesca; da qui  un'apposita discesa di servizio permetteva l'accesso all'interno della galleria per eventuali ispezioni e operazioni di manutenzione. Un posto di guardia, con loggia a tre arcate, per osservare il funzionamento di tutto l'impianto da cui si poteva vedere il salto dell'acqua  dalla vasca esagonale a quella trapezoidale costituiva il piano alto.
Queste erano la disposizione e le funzioni delle varie parti dell'incile romano nel 52 d.C. Tutto ciò era concepito non solo con una grande abilità e con una grande esperienza, ma anche con grande perspicacia date le difficoltà che si sarebbero dovute  affrontare durante l'esecuzione dello scolo delle acque.
Terminate le opere venne finalmente il momento dell'inaugurazione solenne. Vi assistettero di persona l'imperatore Claudio, L'imperatrice Agrippina e il futuro successore al trono, Nerone, allora ragazzotto di una quindicina di anni. Com'era consuetudine dell'epoca, le grandi opere venivano di solito inaugurate con grandi feste e spettacoli. E per il Fucino le cose furono organizzate in forma eccezionalmente grandiosa con il più grande spettacolo del mondo antico: una grande battaglia navale con l'impiego di cento navi e 19.000 combattenti nelle acque dello stesso lago. All'eccezionale spettacolo assistè una moltitudine immensa accorsa da tutte le parti d'Italia. Tacito afferma che dopo la carneficina e il banchetto, allietato dal suono di arpe e di magici flauti, si aprì il passaggio alle acque. Presto venne in evidenza un malfunzionamento dell'opera dovuto a imperfezioni tecniche che costrinse le maestranze a rimandare di alcuni giorni la solenne cerimonia. Andò male pure questo secondo tentativo che per poco non costò la vita alla famiglia imperiale e ai dignitari di corte a seguito della rovina del palco eretto in mezzo alle acque defluenti. Agrippina aggredì a male parole Narciso e questi le rispose per le rime. Il giovanissimo Nerone dovette prendersi quel giorno un tale spavento da fargli ricordare per sempre il Fucino come un incubo, e Claudio, che aveva sognato da tempo quel giorno, dovette tornarsene a Roma deluso. L'emissario cominciò comunque di lì a poco a svolgere il proprio compito e i lavori di completamento della rete di canali accessori proseguì almeno finchè visse Claudio, per essere poi abbandonati sotto il regno di Nerone. I lavori per la costruzione dell'Emissario Claudiano avevano suscitato nel territorio dei Marsi tutto un fermento di nuove attività e di traffici di ogni genere, apportando alla modesta economia locale benessere e lavoro tanto che nel 113 d.C., circa 60 anni dopo Claudio, Traiano mise mano alle opere incompiute consentendo il recupero di campi di nuovo inondati dalle acque a causa dell'incuria neroniana. Dei lavori ripresi fa fede un'iscrizione rinvenuta in Avezzano in cui si ringraziava lo stesso Traiano per aver recuperato campi che la violenza del lago Fucino aveva inondato.
Nel 117 d.C. Traiano moriva, ma questa volta i lavori non furono interrotti dal successore, come era accaduto con Claudio, anzi il nuovo imperatore Adriano sicuramente continuò i lavori di Traiano e li portò a compimento. Costruì un canale indirizzandolo verso il centro dell'alveo del Fucino con l'obiettivo di prosciugare quanto più lago fosse possibile in relazione alla quota di base della galleria avendo Adriano eliminato il salto dalla vasca esagonale a quella trapezoidale dell'incile mediante lo scavo di una galleria al di sotto della prima, direttamente collegato al canale collettore.     

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