Non solo Cortina

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NON... SOLO... CORTINA

 

Capita spesso a qualcuno di noi del Club Alpino che un amico, scoprendoci, d’inverno, una qualche abbronzatura sul viso ci chieda: “Sei stato a fare la settimana bianca?”  “No!“ è la risposta. “Allora sei stato a Roccaraso?”  “Nemmeno!”  A questo punto per evitare ulteriori sforzi di fantasia al nostro interlocutore ci affanniamo a spiegargli il mistero. Il mistero, poi, non è tanto quello del sole, che potrebbe derivare anche da una lampada, quanto quello della neve e dello sci che (talvolta) ci procurano l’intrigante abbronzatura. Si tratta di una neve e di uno sci affatto casalinghi ed insospettati, molto più casalinghi della stessa Roccaraso. Si tratta della neve delle nostre montagne, dei Monti Picentini (tra le province di Salerno ed Avellino),  del Marzano-Eremita (Colliano-Laviano), degli Alburni e del Cervati  (Parco del Cilento).

Il difficile dialogo a questo punto continua, stentando l’interlocutore medio, di solito ignorante in geografia locale e mentalmente collocato sul Lungomare, ad immaginare la neve al di sotto degli Abruzzi ed opponendo, anzi, che dalle nostre parti non ci sono piste ed impianti, salvo, forse, qualcosa a Lago Laceno.

E’ a questo punto inevitabile passare al tono scolastico, con l’ausilio, si sa, della cultura classica: “Totum sci divisum est in partes tres”  Ovvero, esistono tre fondamentali tipi di sci,  anzi quattro...così come avviene per i tre moschettieri. 1) Il più noto e praticato sci da discesa (o sci alpino) che si pratica con gli appositi e più pesanti sci i quali prevedono la immobilizzazione fissa dello scarpone all’attacco e prevede che la salita in alto venga effettuata con impianto meccanico (ski-lift, seggiovia, ovovia ecc.) 2) Lo sci-alpinismo, da non confondere col primo, che si pratica con sci simili, ma più corti e dotati di attacco mobile. Infatti si sale senza ausilio di impianto e con il tallone libero, mentre si scende dopo aver riattaccato la talloniera con apposito congegno. 3) Lo sci di fondo, noto ai più per le imprese della Di Centa, di Fauner ed altri simili grilli o scoiattoli. Si pratica su piste pianeggianti od ondulate, con sci lunghi e sottili e scarpette leggere collegate alla punta e libere nel tallone. 4) Lo sci da fondo-escursionistico che si pratica con sci simili, ma più corti e più larghi, dotati di scaglie nella parte inferiore, atte a far presa sulla neve e con scarpe un po’ meno leggere, preferibilmente accompagnate da una talloniera mobile da usarsi in discesa. Questo sci, come lo sci alpinismo (n.2) si pratica fuori pista, ma su percorsi e pendenze più agevoli.  Il lettore che avrà avuto la pazienza di seguirci avrà a questo punto capito che il nostro “D’Artagnan” è proprio lo sci da fondo-escursionistico o sci-trekking che dir si voglia.  Ciò per la sua adattabilità al nostro territorio, privo di impianti di risalta, privo di piste da fondo e privo anche  (e meno male, viste le valanghe di questa stagione !) di grandi altezze.  “Ma insomma volete farmi capire dove andate?” sbotterà a questo punto l’impaziente interlocutore. E’ semplice: tutte le nostre montagne sono dotate, nel bene e nel male, di strade sterrate, finalizzate al disbosco o comunque alla comunicazione forestale. Si tratta di tracciati, di solito chiusi da una sbarra, snodantisi per decine di chilometri,  giammai sgomberati dalla neve. Questo reticolato costituisce l’ossatura del nostro trekking. Su di esso si procede sia in salita che in discesa e da esso, si raggiungono pianori ameni e cime panoramiche, boschi trapunti dal ghiaccio o infiocchettati dalla neve, rifugi abbandonati. Si procede in assoluta libertà, senza affollamento e frastuono di impianti allietati da musica rock ed avvisi vari, ma nel silenzio ininterrotto, seguendo le tracce del cinghiale, del lupo, della lepre, della volpe. Con un po’ di fortuna, se si è in pochi e non si fa chiasso, è anche possibile l’incontro, giammai ravvicinato, poichè il selvatico giustamente ci  teme. Più frequente è l’avvistamento di un rapace, quando il cielo è azzurro. Certo, tutto questo richiede fatica e sudore, specie quando manca la neve a bassa quota e bisogna elevarsi con gli sci  (peraltro leggieri) in ispalla. Certo, la strada non è trattata: non solo è priva di binari, ma  può riservarti la sorpresa della neve fresca in cui si affonda o della neve ghiacciata su cui si scivola, per non parlare del ramo o della pietra più o meno occulti. Certo, la discesa è problematica (più della salita) esssendo questi sci poco rispondenti allo spazzaneve o ad altre tecniche di frenata. Certo, non si corre, nè come Tomba nè come Di Centa. Si cammina, si arranca, si ciabatta, si cade, si lotta, ma...ne vale la pena. Vale la pena di immergersi  in un mondo veramente magico e diverso che mai sospetteresti esistente a così breve distanza dallo stressante habitat urbano. Vale la pena  di perdersi nella nebbia o nelle nuvole che ti avvolgono e sembrano sbarrarti il cammino, salvo ad aprirsi dolcemente davanti alla punta dei tuoi sci. Vale la pena di scrutrare l’azzurro per farsi abbagliare ed abbronzare (!) dal sole, a fatica fissando il volo di due poiane. Vale la pena di risalire a denti stretti e fuori strada pendii al limite della percorribilità, per precipitare poi in conche bianchissime e senza fine con una ebrezza personalmente guadagnata e non regalata da corde metalliche e puzzolenti motori. Vale la pena di meravigliarsi dei colori dell’ambiente invernale mediterraneo: non solo il bianco della neve, ma l’azzurro intenso del cielo, il verde dell’agrifoglio, il rosaceo delle punte dei faggi (che anche in inverno e tanto più in primavera sono turgide di gemme in attesa di aprirsi)., l’oro del tramonto.

Si l’oro del tramonto poichè,  a dispetto di chi pensa che lo sci di fondo consista nell’andare avanti ed indietro per qualche oretta in un pianoro, le nostre escusrioni durano un’intera giornata ed è capitato, talvolta, che si siano concluse sotto le stelle.

Il nostro territorio, infatti (e specialmente i monti Picentini, vale a dire zone del Terminio, di Acerno e Bagnoli Irpino ecc.) offre una gamma di percorsi più o meno lunghi, variabili attraverso collegamento fra loro e capaci di realizzare veramente una “full immersion” nel più genuino mondo della neve.

Ciò vale, naturalmente, anche per il resto dell’Appennino: dall’Abruzzo, al Matese, al Pollino,  sempre per rimanere in ambiti territoriali a portata di week-end.

Esageriamo? Provare per credere. Bastano un minimo di condizione atletica, poche nozioni tecniche che si apprendono subito, capacità di arrangiarsi ed anche di “soffrire” L’attrezzatura, reperibile anche in loco è molto meno costosa di quella dello sci da discesa.

Il Club alpino salernitano, pur esssendo privo di istruttori nella materia, sarà lieto di accompagnarvi nei primi passi e nelle prime cadute, avvertendovi peraltro che tutto è affidato alla vostra iniziativa ed alla vostra responsabilità.

E d’altronde il Club Alpino nulla domanda. E’ la montagna che richiede capacità di adattamento e lungimiranza, l’abbandono di ogni prospettiva di facile consumo, in definitiva: disponibilità ed amore. Ma solo la montagna, come poche amate, sa ripagare in sovrabbondante misura.

  FpFerrara

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