TORINO FILM FESTIVAL - 32ª EDIZIONE
(21 - 29 novembre 2014)

"GEMMA BOVERY" È IL FILM DI APERTURA DEL TFF 2014

Gemma Bovery di Anne Fontaine (Francia, 2014) è il film di apertura del 32° Torino Film Festival. Commedia eccentrica e amara, racconta le disavventure sentimentali di una giovane donna, Gemma (Gemma Arterton), gli equivoci e gli inganni dell'amore ma, soprattutto, la potenza della creazione artistica, dell'immaginazione e la loro influenza sulla vita vera. Martin (Fabrice Luchini), panettiere in un villaggio della Normandia, ha un'immaginazione sfrenata e una grande passione: la letteratura romantica ottocentesca. Quando arrivano i nuovi vicini, una coppia di inglesi che si chiamano Gemma e Charles Bovery, Martin viene subito colpito dall'assonanza dei loro nomi con quelli dei protagonisti di Madame Bovary. Comincia così a fantasticare sulla bella Gemma, su suo marito e sul rampollo di una famiglia altolocata che si è ritirato in campagna per scrivere la tesi. Secondo Martin stanno ripercorrendo la storia del capolavoro di Flaubert. Interpretato da Fabrice Luchini e da Gemma Arterton, Gemma Bovery è ispirato all’omonima graphic novel del 1999 di Posy Simmonds, autrice di Tamara Drewe, da cui Stephen Frears ha tratto il film Tamara Drewe - Tradimenti all'inglese nel 2010. Gemma Bovery è stato adattato per lo schermo dal critico e sceneggiatore Pascal Bonitzer e dalla regista Anne Fontaine, autrice di commedie insolite e spesso venate di sfumature noir o drammatiche come Dry Cleaning, La fille de Monaco, Il mio migliore incubo!, Two Mothers e il biopic Coco Avant Chanel - L’amore prima del mito, con la regista Anne Fontaine presente alla cerimonia di apertura del Festival, il 21 novembre al Lingotto. Il film è distribuito in Italia da Officine UBU nei primi mesi del 2015.

"WILD" È IL FILM DI CHIUSURA DEL TFF 2014

Wild di Jean-Marc Vallée è il film di chiusura, proiettato in anteprima italiana sabato 29 novembre 2014. Prodotto e interpretato da Reese Witherspoon e sceneggiato da Nick Hornby, Wild racconta la storia vera di Cheryl Strayed, una vita passata tra droghe e amori sbagliati, che un giorno decise di buttarsi tutto alle spalle e di avventurarsi lungo il Pacific Crest Trail, il sentiero che va dal confine con il Messico a quello con il Canada. Più di 1.600 chilometri fatti di contatto con la natura, sconfinata solitudine, rari incontri: un flusso ininterrotto di ricordi si mescola alle difficoltà della wilderness, nel montaggio allucinatorio orchestrato dal regista Jean-Marc Vallée (C.R.A.Z.Y. e Dallas Buyers Club, tre Oscar) e sottolineato da brani dei R.E.M., Simon & Garfunkel, Bruce Springsteen, Leonard Cohen, Portished e Pat Metheny. Insieme a Reese Witherspoon, Laura Dern, nella parte della mamma molto amata. Il film è programmato nelle sale italiane il 19 febbraio 2015, distribuito da 20th Century Fox.

L’immagine simbolo del 32° Torino Film Festival è un prezioso regalo ricevuto da un grande fotografo e cineasta: Jerry Schatzberg, che è stato presidente della giuria a Torino nel 2011. Schatzberg è uno dei protagonisti della New Hollywood, celebrata dal festival nella retrospettiva iniziata nel 2013 e che si concluderà in questa 32ª edizione. La fotografia è un autoscatto del 1975, nel quale l’autore fissa la propria immagine in uno specchio frantumato. Jerry Schatzberg diventa famoso negli anni ’60 con foto di moda e di celebrità pubblicate su Vogue, Esquire, Cosmpolitan e Time, ma è nel 1966 che la sua fama si impone a tutti i livelli, con la storica copertina dell’album "Blonde on Blonde" di Bob Dylan. Nel ’75 ha già diretto tre film: Mannequin – Frammenti di una donna, con Faye Dunaway, Panico a Needle Park, che lancia l'allora sconosciuto Al Pacino, e Lo spaventapasseri, Palma d’oro a Cannes nel 1973. È affermato e indomito. Con questa foto firma una dichiarazione d’autore e un manifesto: rompere gli schemi, le regole, spezzare i limiti dell’immagine riprodotta, mettersi in gioco e in discussione personalmente, andare oltre, sempre. È un richiamo alla retrospettiva New Hollywood, certamente, ma anche un augurio alla costante ricerca del nuovo del Torino Film Festival.

GRAN PREMIO TORINO: JULIEN TEMPLE

Maestro del video musicale (Kinks, Depeche Mode, David Bowie, Culture Club, Sex Pistols, Rolling Stones e tanti altri), Julien Temple riassume bene le due anime, spesso contrastanti, del cinema britannico: da un lato l’eccentricità al limite del kitsch divertito di film quali Absolute Beginners (sfacciato, lucido musical sugli arrivisti "beginners" di fine anni ‘50 descritti nel romanzo di Colin MacInnes), Le ragazze della Terra sono facili, Pandaemonium, e dall’altro l’umanità e la forza con cui nei suoi documentari descrive pezzi, in continua evoluzione, della società britannica (per esempio, la scena e la controcultura punk nei tre film dedicati ai Sex Pistols, La grande truffa del rock’n’roll, 1979, Sex Pistols – Oscenità e furore, 2000, The Sex Pistols: There’ll Always Be an England, 2008, e in quello dedicato ai Clash, Joe Strummer: The Future Is Unwritten, 2007, o rock, come in Oil City Confidential, 2009, ricostruzione della carriera dei Dr. Feelgood). Fino all’autentica poesia di London: The Modern Babylon, il magnifico documentario del 2012 nel quale Temple racconta la vitalità inesauribile della sua città, attraverso un montaggio di materiali la cui intensità rimanda direttamente al cinema di Humphrey Jennings e Lindsay Anderson. Il Gran Premio Torino verrà consegnato a Julien Temple sabato 22 novembre, alle 19.45. Dopo la Consegna del premio, verrà proiettato Sex Pistols - Oscenità e furore.

Gran Premio Torino THE FILTH AND THE FURY di Julien Temple (Sex Pistols -Oscenità e furore, UK/USA, 2000, 35mm, 108’) Da Shepherd's Bush, modesto quartiere di West London, all'ultimo concerto del 1978 alla Winterland Ballroom di San Francisco: la scandalosa ascesa e la brusca dissoluzione dei Sex Pistols, raccontate da Temple nel secondo dei tre film dedicati alla band, 19 anni dopo La grande truffa del rock'n'roll e 9 anni prima di There'll Always Be an England. Parlano i protagonisti, ma parla soprattutto il materiale d'archivio che l'autore introduce per inquadrare la loro musica e le loro provocazioni nel contesto della Gran Bretagna anni '70.

32° TORINO FILM FESTIVAL
Sono 197 i titoli di Torino Film Festival 2014 di cui 65 lungometraggi opere prime e seconde, 45 anteprime mondiali, 23 anteprime internazionali, 3 anteprime europee, 70 anteprime italiane, selezionati su circa 4000 film visionati (tra corti, medi e lungometraggi).
Presenze finora confermate:
Alessandro Abba Legnazzi, Gianluca Abbate, Mania Akbari, Dario Argento, Lorenzo Balducci, Angelo Barbagallo, Ila Bêka, Andrew Betzer, Susanne Bier, Bruno Bozzetto, Álvaro Brechner, Brandy Burre, Carlo Cagnasso, Rocío Caliri, Mimmo Calopresti, Simone Cangelosi, Alessandro Cattelan, Giacomo Ciarrapico, Jemaine Clement, Chiara D'Anna, Yoshida Daihachi, Eleonora Danco, Emiliano Dante, Tonino De Bernardi, Josephine Decker, Antonietta De Lillo, Yann Demange, Bas Devos, Gabriele Di Munzio, Stefano Di Polito, Benjamin Domenech, Tommaso Donati, Tamara Drakuli!, Eric Fellner, Davide Ferrario, Luca Ferri, Anne Fontaine, Stefano Fresi, René Frölke, Luis Fulvio, Francesco Gabrielli, Daniele Gaglianone, Alberto Gemmi, Marco Giallini, Giuliano Girelli, Maxime Giroux, Mario Gomes, Debra Granik, Eugène Green, Emiliano Grieco, Sverrir Gudnason, Corrado Guzzanti, Jean-Charles Hue, Daniel Hui, Liao Jieikai, Ziad Kalthoum, Ivan Kavanagh, Harutyun Khachatryan, Wilma Labate, Guillaume Lafond, Joe Lansdale, John Magary, Davide Maldi, Mikael Marcimain, Melina Marcow, Franco Maresco, Enrico Masi, Valerio Mastandrea, Alessandra Mastronardi, Gianluca Matarrese, Abhijit Mazumdar, Jim Mickle, Marzia Migliora, Teodora Ana Mihai, Luis Miñarro, Orso Miyakawa, Ossama Mohammed, Danilo Monte, Linda Moran, Marilena Moretti, Susanna Nicchiarelli, Gian Piero Palombini, Francesco Pannofino, Michele Placido, Jacopo Quadri, Costanza Quatriglio, Giulio Questi, Alexander Rastorguev, Anna Recalde Miranda, Eddie Redmayne, Bryan Reisberg, Gábor Reisz, Luca Ronconi, Erika Rossi, Oscar Ruiz Navia, Ivan Salati!, Giuseppe Sansonna, Andrea Sartoretti, Federico Schiavi, Carlo Michele Schirinzi, Volker Schlöndorff, Daniele Segre, Mario Sesti, Davide Sibaldi, Lucia Small, J.P. Sniadecki, Giancarlo Soldi, Peter Strickland, Giuseppe Tedeschi, Julien Temple, Mattia Torre, Marco Travaglio, Akseli Tuomivaara, Marco Ugolini, Marco van Geffen, Luca Vendruscolo, Emilie Verhamme, Virgil Vernier, Lucia Veronesi, Gustavo Vinagre, Mathieu Volpe, Kurt Walker, Amanda Rose Wilder, Philipp Worm e Guido Nicolás Zingari.

 

UNA MONETA DA SEI PENNY NELLA SCARPA
Negli ultimi undici mesi mi hanno rivolto spesso una domanda: "Che cosa rimarrà nel festival dei tre precedenti direttori, con i quali ha collaborato?". Il rigore di Nanni Moretti. La passione di Gianni Amelio. Lo spirito pop di Paolo Virzì. E naturalmente l’intelligenza con la quale tutti e tre si sono avvicinati al Torino Film Festival, riconoscendone e apprezzandone l’identità e impegnandosi a preservarla, nel momento stesso in cui lo modellavano sui loro gusti e le loro idee di cinema. E ora Emanuela Martini cosa aggiunge? Soprattutto la curiosità. E la voglia di scoprire delle cose (stili o abbozzi di stile, invenzioni, ritorni al passato, commistioni con altre forme espressive, sperimentazioni eccentriche) e la presunzione di aver conservato un occhio abbastanza attento per scoprirle, nonostante svariati decenni di esercizio critico e di conseguenti interminabili visioni. Graham Greene, che ha fatto a lungo il critico cinematografico, raccolse recensioni e articoli in un librone cui diede un titolo bellissimo: "Mornings in the Dark", mattinate al buio, rievocando le salette sotterranee intorno a Wardour Street nelle quali si seppelliva per le anteprime mattutine. E un grande critico italiano, Morando Morandini, ha più volte sottolineato che la peggior disgrazia che può capitare a un critico è cominciare a stancarsi di vedere film. Annoiarsi, guardare troppo spesso l’orologio, non reggere più il ritmo di tre, quattro, cinque e più film al giorno che talvolta ti impongono il fitto calendario delle uscite cinematografiche e soprattutto i festival. Conservare la curiosità è vitale, per fare il critico e per fare un festival. E, con la curiosità, l’istinto, il cuore e il cervello che, durante l’immersione onirica in un film, continuano a lavorare in sordina, sotterraneamente, e a farti sobbalzare davanti a certe immagini e a certe emozioni. Fare un festival come quello di Torino, giocato principalmente sulla scoperta del nuovo e dell’insolito, significa anche riuscire ad avere questi sobbalzi, a contare su queste emozioni, ad avere il coraggio di rinunciare a qualcosa e di scommettere su qualcos’altro. E poi, parafrasando il detto su quello che deve indossare una sposa il giorno del matrimonio: "Qualcosa di vecchio, qualcosa di nuovo, qualcosa di prestato, qualcosa di blu". Che significa fare un "editing", tra il nuovo e il vecchio troppo spesso dimenticato (le retrospettive e gli omaggi dei quali da sempre il Festival di Torino va giustamente fiero), tra i primi passi del cinema che verrà e il buon cinema più tradizionale. Perché, ammettiamolo, tutti abbiamo i nostri "guilty pleasures", i generi molto amati grazie ai quali abbandonarci al gusto più istintivo della visione, un piacere che spetta di diritto sia a critici e addetti ai lavori che agli spettatori. Questo "editing" passa sempre comunque attraverso il filtro della consapevolezza e della conoscenza. L’ho già sottolineato, in occasione di altre presentazioni del Torino Film Festival: tutti i film che proponiamo hanno un loro perché, ognuno di loro è stato apprezzato e fortemente voluto delle persone (alcune, o molte, o tutte) che scelgono i film per il TFF. Il detto sulle spose ha un’ultima voce: "And a silver sixpence in your shoe" (e una moneta da sei penny nella scarpa), un auspicio che anche il pubblico ami questi film, come li abbiamo amati noi.

Emanuela Martini

TORINO 32

Riservata ad autori alla prima, seconda o terza opera, la principale sezione competitiva del festival presenta quindici film realizzati fra il 2013 e il 2014, inediti in Italia; i paesi rappresentati sono Argentina, Australia, Belgio, Canada, Francia, Germania, Gran Bretagna, Italia, Nuova Zelanda, Olanda, Singapore, Stati Uniti, Svezia, Ungheria. Come sempre incentrato sul cinema "giovane", il concorso si rivolge principalmente alla ricerca e alla scoperta di talenti innovativi, che esprimano le migliori tendenze del cinema indipendente internazionale. Nel corso degli anni sono stati premiati ai loro inizi autori come Tsai Ming-liang, David Gordon Green, Chen Kaige, Lisandro Alonso, Pietro Marcello, Debra Granik. Un cinema "del futuro", rappresentativo di generi, linguaggi e tendenze.

ANUNCIAN SISMOS di Rocío Caliri e Melina Marcow (Argentina, 2014, Blu-Ray, 68’)
Un ragazzino guarda da lontano con un binocolo un piccolo cimitero: in una provincia sperduta dell’Argentina c’è stata un’ondata di suicidi tra gli adolescenti. I fratelli, gli amici, i parenti cercano di andare avanti e affrontare il quotidiano. Ma continua a incombere su di loro il peso del doloroso contagio. Inquietante opera prima argentina, fatta di gesti e sguardi, del peso dell’assenza di chi se n’è andato, che affronta il dolore con tono antiretorico.

AS YOU WERE di Jiekai Liao (Singapore, 2014, DCP, 92’) Un ragazzo e una ragazza, amici dall’infanzia, cercano di costruire e mantenere integra una storia d’amore. Ma il tempo non è clemente. Dal regista del misconosciuto Red Dragonflies, un’opera misteriosa ed ellittica, inafferrabile come gli anni che passano, e dove anche i sentimenti subiscono i contraccolpi della Storia. Stile rigoroso capace di aprirsi al paesaggio, sguardo indagatore eppure pudico: un film commovente, nel quale lo spettatore è chiamato a perdersi.

THE BABADOOK di Jennifer Kent (Australia, 2014, DCP, 92’) Poco prima che Amelia partorisca, suo marito muore in un incidente. Quando il bambino ha sei anni, un giorno trova un libro misterioso nella sua libreria: "Mr. Babadook", la storia di uomo nero che batte tre volte alla porta. Horror anticonvenzionale, stilizzato e d’atmosfera, memore di Méliès, di Hugo e delle fiabe classiche, analizza la fatica e le insidie della solitudine, la paura di riconoscere il male, i nostri "babadook", e il bisogno di metabolizzarli.

BIG SIGNIFICANT THINGS di Bryan Reisberg (USA, 2014, DCP, 86’) Craig (Harry Lloyd de Il trono di spade) sta per andare a vivere con la fidanzata, ma poco prima del trasloco racconta che ha un viaggio di lavoro e invece parte da solo in auto, verso il sud degli States. Meta: la più grande sedia a dondolo del mondo, la più grande padella, la più grande stella al neon. Tra bugie telefoniche e incontri laconici, Craig s’immerge senza bussola nel ventre molle dell’America. Opera prima sui tentennamenti della crescita, descritti senza enfasi, con humor e disincanto.

THE DUKE OF BURGUNDY di Peter Strickland (UK, 2014, DCP, 101’) La Duke of Burgundy è una delle farfalle che la ricca Cynthia colleziona nella sua villa in mezzo al verde. Oltre ai lepidotteri, colleziona anche giovani cameriere/amanti, come Evelyn, con la quale intrattiene un rapporto serva/padrona dai continui ribaltamenti. Dopo il "giallo" di Berberian Sound Studio, Strickland affronta con ironia un altro genere "basso": il mélo erotico al femminile. Nel film appaiono solo donne, in un crescendo di erotismo sado-maso, di lingerie estrosa, di ambiguità buñueliane.

FELIX & MEIRA di Maxime Giroux (Canada, 2014, DCP, 105’) Meira vive in una comunità chassidica a Montréal con il marito e la figlioletta. Si ribella alle rigide regole ascoltando musica soul e prendendo la pillola. Poi incontra Félix, che ha appena perso il padre con cui i rapporti erano inesistenti. I due si avvicinano, si studiano, si scelgono. Ma è difficile chiudere con il passato. Un dramma implacabile e struggente per il ritorno di Maxime Giroux al TFF dove nel 2008 ha presentato il suo film d’esordio Demain.

FOR SOME INEXPLICABLE REASON di Gábor Reisz (Ungheria, 2014, DCP, 96’) Aaron è stato lasciato dalla fidanzata e deve trovare un lavoro. Stretto tra una madre ingombrante e la sua agonia sentimentale, fuori di testa, va in giro tra i bar e le strade di Budapest. E nel giorno del suo trentesimo compleanno molla tutto e parte per Lisbona. Tocchi di Allen e Gondry in una commedia esistenzial-surreale, sul tema del giovane romantico, buffo e inadeguato, e della metropoli in cui si rispecchia; intelligente e sfrangiata quanto il suo protagonista.

FRASTUONO di Davide Maldi (Italia, 2014, DCP, 86’) Iaui, un adolescente cresciuto in una comunità delle montagne pistoiesi, affronta il senso di estraneità e la difficoltà di trovare un proprio spazio con la composizione di una musica techno lisergica. Angelica, una coetanea borghese soffocata dalla normalità, insegue l’indipendenza in una creatività punk che la fa sentire libera. Stonati o fuori sinc, cercano un posto nel mondo, s’incrociano ma non s’incontrano, aspettano, si dibattono, scappano: una riflessione appassionata sul potere della musica.

GENTLEMEN di Mikael Marcimain (Svezia, 2014, DCP, 141’) Stoccolma, 1979: uno scrittore, nascosto in un appartamento, batte a macchina la storia del suo rapporto col padrone di casa, un viveur che l’ha introdotto a un mondo segreto pieno di fascino e pericoli. Mikael Marcimain torna in concorso dopo Call Girl con un nuovo, lussureggiante affresco storico: tra fumosi locali jazz, rivoluzioni fallite, amori clandestini, tunnel sotterranei, tesori nascosti, concerti rock, poeti maledetti, spionaggio e cospirazioni capitaliste.

MANGE TES MORTS di Jean-Charles Hue (Francia, 2014, DCP, 94’) Quando il fratello maggiore esce di galera dopo quindici anni, per gli altri due fratelli e la loro famiglia di Rom è una festa. Ma la notte non porterà consiglio. Un road movie che è anche un noir, atipico, sporco e ispido, con una seconda parte travolgente tutta su quattro ruote, nera come la pece e irrefrenabile come il destino dei protagonisti. Straordinari gli interpreti, fra non professionismo e improvvisazione. Inaspettato il finale.

MERCURIALES di Virgil Vernier (Francia, 2014, DCP, 108’) L’amicizia tra due ragazze, Lisa e Joane, che a Parigi gravitano intorno al centro economico La Défense e alle torri gemelle del gruppo Les Mercuriales. Entrambe modelle per un giorno, per il resto baby sitter, nullafacenti, amanti del ballo e delle notti selvagge, si muovono in un Paesaggio di rovine. Una storia senza tempo potente e affascinante, ossessionata dai giganti di Cemento. Primo lungometraggio di Virgil Vernier, girato in 16mm e supportato dal Torino FilmLab.

N-CAPACE di Eleonora Danco (Italia, 2014, DCP, 80’) Una donna, Anima in pena, viaggia tra Terracina e Roma. Cammina, spesso è in pigiama, a volte sta seduta su un letto in mezzo alla strada. Parla con anziani e adolescenti: fa domande sulla morte e sulla scuola, sul sesso e sulla religione, vuole capire, tirare fuori dalle loro facce e dai loro corpi quello che sentono. E gli altri rispondono, naïf o arrabbiati, disarticolati o ironici. Istintivo e lucido, il primo film di un’autrice teatrale che lavora da sempre sugli intrecci di materia ed emozioni.

VIOLET di Bas Devos (Belgio/Olanda, 2013, DCP, 82’) Un adolescente appassionato di BMX (Bicycle Motocross) è testimone dell’omicidio di un coetaneo. L’impossibile elaborazione del lutto raccontata per immagini stilizzate e ipnotiche, fra Van Sant e il primo Egoyan. Un film sui corpi senza peso, sui volti lastra, sul video come forma dell’esperienza, sui suoni come tracce di un altrove. Esordio fiammingo fra cinema e videoarte; e alla radice di entrambi.

WHAT WE DO IN THE SHADOWS di Jemaine Clement e Taika Waititi (Nuova Zelanda, 2014, DCP, 86’) Vita quotidiana di quattro coinquilini di Wellington fuori dal comune: sono vampiri. Turni per le pulizie, rapporti con il vicinato e con la colf, uscite serali, scelta degli abiti, pasti, vecchie delusioni amorose e nuovi bisticci. Esilarante mockumentary in stile reality-tv con battute perfette e contagiosa simpatia di tutti i personaggi. Il confronto con gli umani e con gli avversari lupi mannari è l’occasione per una riflessione sarcastica sui ritmi del mondo moderno.

WIR WAREN KÖNIGE / THE KINGS SURRENDER di Philipp Leinemann (Germania, 2014, DCP, 107’) Un team delle forze speciali della polizia, una gang giovanile: due mondi paralleli, attraversati da tensioni elettriche e legami magnetici. Il caso e un timido tredicenne prima li avvicinano e poi li fanno scontrare per la sopravvivenza. Un noir metropolitano cupo e teso, sospeso tra suggestioni scorsesiane e richiami alla via scandinava al genere, che non fa sconti a nessuno e parla in maniera ruvida di verità e giustizia, amicizia e lealtà.

FESTA MOBILE

Si apre con una commedia sui generis, raffinata e spiazzante: Gemma Bovery di Anne Fontaine, tratta dal critico e sceneggiatore Pascal Bonitzer dalla graphic novel di Posy Simmonds (autrice anche di Tamara Drewe), nella quale il panettiere Fabrice Luchini e la bella inglese Gemma Arterton intrecciano vita e immaginazione prendendo spunto dal capolavoro di Flaubert. Si chiude invece con il viaggio negli spazi fisici e psichici sconfinati di Wild, nel quale il regista Jean-Marc Vallée (Dallas Buyers Club), lo sceneggiatore Nick Hornby e la protagonista (e produttrice) Reese Witherspoon ripercorrono l’avventura di Cheryl Strayed, la scrittrice americana che, nel pieno di una crisi esistenziale, si buttò tutto alle spalle e si avviò a piedilungo i 1.600 chilometri del Pacific Crest Trail. Tra questi due momenti, Festa mobile 2014 presenta come sempre (fuori concorso) il "bottino" di film che ci sono piaciuti, raccolti in giro per il mondo e ancora inediti in Italia. Dalla Gran Bretagna The Theory of Everything, il nuovo film di James Marsh (Man on Wire e Shadow Dancer) sulla storia dell’astrofisico Stephen Hawking (interpretato dal giovane, bravissimo Eddie Redmayne), del suo genio, del suo matrimonio, della sua malattia, della sua ostinata voglia di vivere e di ideare. Dall’Australia, il duro noir post-apocalittico The Rover di David Michôd (Animal Kingdom), con Guy Pearce e Robert Pattinson. Dall’Irlanda, il tesissimo ’71 di Yann Demange, lunga notte di una recluta inglese separata dalla sua unità e braccata da tutti nella zona calda di Belfast. Dalla Francia, La chambre bleu, il sensuale, perfetto esercizio di Mathieu Amalric su un testo claustrofobico di Simenon, e P’tit Quinquin, l’esilarante, surreale miniserie tv diretta da Bruno Dumont (in vena anche di prendersi in giro). Due diversi thriller a sfondo familiare dai paesi scandinavi: dalla Danimarca, En Chance Til, il nuovo, inquietante scavo nei dubbi e nelle tensioni morali di Susanne Bier, e dalla Svezia, Turist di Ruben Östlund, disastro naturale e coniugale sulle Alpi. Dalla Polonia, Jack Strong di Władysław Pasikowski, stringata spy story ispirata alla storia vera del colonnello Ryszard Kukliński; dal Giappone, Pale Moon di Daihachi Yoshida, storia della passione sbagliata di una riservata funzionaria di banca per il nipote di una cliente; dall’Argentina, il viaggio nel deserto della Patagonia narrato in Jauja da Lisandro Alonso; dal Belgio, un piccolo film prezioso, Eau Zoo di Emilie Vernamme, storia d’amore tra due adolescenti che crescono in una comunità ossessionata e isolata Molti gli americani: da Magic in the Moonlight, la nuova commedia di Woody Allen, tra fantasmi, maghi e imbroglioni, ambientata sulla Costa Azzurra e interpretata da Colin Firth ed Emma Stone, a Infinitely Polar Bear, opera prima autobiografica di Maya Forbes, che racconta con humour del periodo che trascorse insieme alla sorella, negli anni ’70, affidata al tenero ma imprevedibile padre affetto da disturbi bipolari (Mark Ruffalo); dal travolgente-jazzato-metropolitano Whiplash di Damien Chazelle (a Torino nel 2009 con Guy and Madeleine on a Park Bench) al riflessivo-dolente-campestre The Better Angels di A. J. Edwards (collaboratore di Terrence Malick), che racconta l’infanzia di Abraham Lincoln. E generi: dal noir The Drop di Michael Roskam, storia di un barman solitario (Tom Hardy) e di suo cugino Marv (James Gandolfini), all’anomalo western The Homesman di e con Tommy Lee Jones, all’acidissima commedia familiare The Mend di John Magary, nella quale due fratelli diversissimi sono costretti a una convivenza forzata e difficile, al torrenziale mélo The Disappearance of Eleanor Rigby di Ned Benson, nella versione integrale: in due film, Him e Her, la storia di una coppia che s’incontra, s’innamora, si sposa e si spezza bruscamente, raccontata dalla parte di lei (Jessica Chastain) e di lui (James McAvoy). Infine, omaggio alla giurata Debra Granik (vincitrice del TFF 2010 con Un gelido inverno), Stray Dog, la storia di "Cane Randagio", un maturo biker reduce dal Vietnam, tra viaggi con i compagni sulla sua Harley e vita nella sua famiglia eterogenea, che collega non solo idealmente gli indipendenti Usa contemporanei con la New Hollywood anni ’70. Last but not least, quattro film italiani: la banda di Boris approda al Tff con Ogni maledetto Natale di Giacomo Ciarrapico, Mattia Torre, Luca Vendruscolo, ironica ricognizione della festa per eccellenza casalinga, vissuta in due famiglie agli opposti: i rozzissimi parenti di lei (Alessandra Mastronardi) e quelli, ultrasnob, di lui (Alessandro Cattelan). Nel cast, Valerio Mastandrea, Marco Giallini, Laura Morante, Francesco Pannofino, Corrado Guzzanti; il documentario Togliatti(grad), di Gian Piero Palombini e Federico Schiavi, che attraverso materiali di repertorio e interviste narra la nascita della città nella quale crebbe, con il sostegno della Fiat, l’industria automobilistica sovietica; ancora ricordi della Fiat in Mirafiori Luna Park di Stefano Di Polito, surreale avventura di tre operai in pensione (Alessandro Haber, Antonio Catania e Giorgio Colangeli) che vogliono dare nuova vita alla Mirafiori; e Prima di andar via, nel quale Michele Placido riprende e amplia lo spettacolo teatrale di Filippo Gili sul tema spinoso del suicidio. Infine due restauri: in collaborazione con la Cineteca Nazionale di Roma e Medusa, quello di Profondo rosso di Dario Argento, in occasione del quarantesimo anniversario dell’uscita del film; e, per il settantacinquesimo anniversario, quello di Via col vento, in collaborazione con Warner.

Ritratti d’artista

Sei artisti (un maestro della scena, due musicisti, un attore, un filmmaker, uno scrittore), fissati nel loro lavoro e nelle loro passioni, nel loro entusiamo e nelle loro contraddizioni, nella loro vitalità e nella loro disillusione, da alcuni cineasti che li amano e che hanno condiviso con loro pezzi di lavoro e di vita. Luca Ronconi, gigante della scena teatrale contemporanea, al lavoro con un gruppo di giovani attori. Nick Cave, ripreso in una 24 ore immaginaria della sua vita e della sua elaborazione creativa. Lucio Dalla, raccontato da amici, artisti, intellettuali, persone che gli erano vicine alle Tremiti, in Sicilia, a Bologna. Carlo Colnaghi, promessa della scena anni ’60, tornato alla recitazione nel cinema indipendente anni ’80, ricordato a quindici anni dalla sua morte attraverso un montaggio di interpretazioni e interviste. Il "Rinoceronte Rosso" Alberto Signetto, scomparso quest’anno, rivendica la sua indipenza, la sua cocciutaggine, la sua ironia. E infine, un autore visionario che ha influenzato l’immaginario dei lettori: Tiziano Sclavi, misterioso, stufo, isolato da anni, che in due interviste racconta il proprio mondo interiore. Sei storie intessute di passione, intuizioni e tormenti, nelle quali tocchiamo con mano il processo della creazione artistica e che ci dimostrano come tutto, nell’arte e nella cultura, si mescoli e si influenzi a vicenda. Raccontate, rispettivamente, da Jacopo Quadri, Iain Forsyth e Jane Pollard, Mario Sesti, Daniele Segre, Marilena Moretti e Giancarlo Soldi.

Torino incontra Berlino

BAAL di Volker Schlöndorff (Germania, 1969, DCP, 85’) Dalla pièce di Bertolt Brecht, un viaggio nell’isolamento e nell’autodistruzione per un poeta (il regista Rainer Werner Fassbinder) che non riesce a scegliere fra l’amour fou e l’egoismo. Diretto da Schlöndorff per la televisione tedesca, interpretato fra gli altri da Margarethe von Trotta, fu all’epoca fermamente ostacolato dalla vedova del commediografo, che ne proibì la programmazione. Soltanto di recente è stato restaurato e recuperato dall’oblio.

DAS CABINET DES DR. CALIGARI di Robert Wiene (Germania, 1920, DCP, 75’) In una cittadina montana, uno stregonesco imbonitore di fiera induce un sonnambulo a compiere alcuni omicidi; sulle sue tracce due giovani, uno dei quali narra la storia da un manicomio… Il capolavoro del cinema espressionista tedesco, più fantastico che allegorico, più visionario che politico; abbaglianti, nella versione restaurata, le scenografie deformi dei pittori Warm, Reimann e Röhrig, mentre ancora sorprende per modernità l’enigma narrativo.

DIPLOMATIE / DIPLOMACY - UNA NOTTE PER SALVARE PARIGI di Volker Schlöndorff (Francia/Germania, 2014, DCP, 85’) 24 agosto 1944, Parigi. Mentre gli alleati avanzano, il console svedese Raoul Nordling (André Dussolier) riesce a entrare nottetempo nell’hotel in cui i nazisti hanno stabilito il loro quartier generale. Vuole dissuadere il generale Dietrich von Choltitz (Niels Arestrup) dall’eseguire gli ordini di Hitler: distruggere la città. Da un veterano della new wave cinematografica tedesca (Il tamburo di latta), un appassionante duello di parole, di dignità e di orgoglio, contro tutte le guerre. Con due interpreti nientemeno che giganteschi.

Premio Maria Adriana Prolo 2014

ALLEGRO NON TROPPO di Bruno Bozzetto (Italia, 1976, Blu-Ray, 81’) Il Fantasia di Bozzetto è anche il suo anti-Fantasia: ecologismo, erotismo e anti-totalitarismo vanno a braccetto con Debussy, Dvórak, Sibelius, Ravel, Vivaldi e Stravinskij. Un capolavoro assoluto dell’animazione (e non solo), dove gli intermezzi live (con Maurizio Micheli e Maurizio Nichetti), che omaggiano fra gli altri le comiche di Stanlio e Ollio, non sono meno inventivi e travolgenti dei cartoon. Indimenticabili l’orchestra di sole "brutte vecchiacce", il cameo del signor Rossi e la ricerca del finale. Assieme ad Allegro non troppo, si proietteranno i cortometraggi: Una vita in scatola, Mister Tao, Europa&Italia e Rapsodeus.

TFF e Intesa Sanpaolo per EXPO!Milano 2015

SO LONG AT THE FAIR di Antony Darnborough e Terence Fisher (UK, 1950, 35mm, 86’) Durante l’Expo del 1889, Johnny, un posato inglese, porta la sorella Vicky (Jean Simmons) a Parigi. La sera cenano al Moulin Rouge, e Johnny presta 50 franchi a un giovane pittore loro connazionale (Dirk Bogarde). La mattina dopo, quando Vicky chiede del fratello, all’hotel le dicono che è arrivata sola. La stanza di Johnny non esiste più. In preda al panico, Vicky va al consolato, alla polizia, ma nessuno le crede. Il pittore l’aiuta a risolvere il mistero. Un thriller gotico, dagli avidi risvolti inquietanti diretto da Terence Fisher.

DIRITTI & ROVESCI

PAOLO VIRZI’ PRESENTA: DIRITTI & ROVESCI . L’incendio della fabbrica newyorkese Triangle, nel 1911, dove morirono 146 lavoratori, in maggioranza giovani donne, illustrato da potenti, preziose immagini di repertorio e rievocato dall’emozionante sonoro delle testimonianze originali, messo in consonanza con le immagini vivide ed in presa diretta dei protagonisti - di nuovo donne - di una sciagura di un secolo dopo, tre anni fa: il crollo di una palazzina di Barletta che ospitava un maglificio, altre 5 operaie morte, una delle quali quattordicenne. Poi, un viaggio tra parole e immagini, alcune struggenti e intimissime dai superotto familiari, altre dalla televisione dell’epoca, disturbanti nella loro drammatica forma propagandistica, sull’amore e sul matrimonio, sulla coppia come fatto naturale e allo stesso tempo sociale, quarant’anni dopo il referendum sul divorzio. E ancora un viaggio, questa volta concreto e lungo più di quattromila chilometri, sebbene il protagonista sia un cavallo azzurro di cartapesta, creato alla vigilia della promulgazione di una legge rivoluzionaria, la 180, che avrebbe dovuto chiudere per sempre l’obbrobrio civile, scientifico e giudiziario dei manicomi, che oggi si rimette in marcia attraverso gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari d’Italia, per ricordare alla società che il folle che ha commesso un crimine è anche una persona, bisognosa di ascolto e di cure. Quindi la storia di qualcuno che sui giornali del nostro tempo verrebbe definito un "esodato", ma che è anche lui un essere umano vivo, con un volto, una voce, un nome e un cognome, che generosamente si mette a nudo nella sua verità di affetti, di fragilità e di ottimismo, nonostante l’incertezza del proprio destino. E infine l’incontro con Janet, prostituta, tatuata, intelligente e spudorata, che diventa a sua volta un viaggio di parole e di pensieri in allegra, vitale, ironica libertà dentro il cuore di una questione spesso trattata con moralismo, con malizia, con imbarazzo: il Corpo, il sesso, nella sua espressione mercenaria e in quella quotidiana fatta di desideri, asprezze, precarietà. Cinque storie, cinque ritratti, cinque avventure - operaie, mogli, puttane, matti, esodati - che mescolate l’una all’altra tracciano un affresco di persone, dei loro diritti, difficili da maneggiare, dei loro rovesci, umani e civili, del loro cadere e del loro rialzarsi, dei loro sogni commoventi di riscossa. Questa piccola e intensa sezione si compone di cinque bei film italiani che definire documentari è limitante, perché si tratta di cronache dove la verità degli eventi incontra la poesia e la personalità dello sguardo che li cattura e li trasforma in narrazione, con candore, curiosità, tenerezza, a volte anche con rabbia, ma senza piagnistei, e che hanno in comune, oltre il dato biografico e biologico dei loro autori, donne perlopiù, un modo di usare il cinema che abbatte gli steccati tra verità e finzione, e che sembra sancire un nuovo passo avanti nell’interrogarsi sulle vicende umane e nell’arte del condividere il piacere e l’emozione del racconto delle cose penose e a volte buffe della vita.

Paolo Virzì

AFTER HOURS

Film da drive in o da mezzanotte, cult per cinefili o bizzarrie per spettatori spericolati. After Hours continua nella vocazione suggerita dal suo stesso titolo e anche quest’anno presenta un panorama di film "notturni", privilegiando generi come l’horror, il thriller, il noir, ma anche esemplari eccentrici e surreali. Ecco dunque un horror britannico nel quale un archivista cinematografico si trova a ripercorrere le maledizioni suggeritegli da "fantasmi" di un vecchio film (The Canal di Ivan Kavanagh) e un delirante, irresistibile omaggio al giallo all’italiana (The Editor) costruito dai canadesi Matthew Kennedy e Adam Brooks intorno al mondo delle produzioni di serie Z; un angosciante viaggio negli incubi che perseguitano gli adolescenti americani (It Follows), firmato da David Robert Mitchell (che aveva diretto nel 2010 The Myth of the American Sleepover), e una minacciosa storia di invasione e seduzione, The Guest, con la quale Adam Wingard si cimenta in suggestioni orrifiche sotterranee e inquietanti; un thriller "proletario" lettone nel quale un operaio assassino viene sedotto dalle comodità quotidiane della casa del padrone (The Man in the Orange Jacket di Aik Karapetian), e una sentimental comedy con zombie (Life After Beth di Jeff Baena) che ricorda Joe Dante. Tra le eccentricità che si distaccano dai generi, L’enlèvement de Michel Houellebecq, esilarante docu-fiction nel quale Guillame Nicloux ricostruisce il presunto rapimento di cui fu vittima Houellebecq nel 2011; Stella cadente, bizzarra messa in scena in chiave surreal-kitsch dell’avventura di Amedeo di Savoia, che nel 1870 divenne re di Spagna, firmata da Luis Miñarro; e Tokyo Tribe, la nuova travolgente epopea di Sion Sono, tra musical, yakuza e hip-hop, tratta dal celebre manga omonimo, dove a Tokyo si scatena una devastante guerra tra bande. Infine, In guerra di Davide Sibaldi, un piccolo thriller metropolitano dove un ragazzo e una ragazza s’incontrano in una Milano periferica e oscura e sono costretti a sfuggire a insidie della notte che rimandano alle atmosfere di Walter Hill e Martin Scorsese. After Hours 2014 presenta anche due omaggi a due autori, tra loro distanti e diversi. Il primo è Giulio Questi, fresco vincitore del Premio Chiara con il suo libro Uomini e comandanti, uno dei cineasti più eccentrici e inventivi degli anni ’60 e ’70, autore non solo del western di culto Se sei vivo spara (1967), con Tomas Milian, citatissimo da Joe Dante e Quentin Tarantino, ma anche di alcuni esemplari di cinema fantastico sui generis: La morte ha fatto l’uovo (1968), noir spiazzante con Jean-Luis Trintignant e Gina Lollobrigida, e Arcana (1972), film di fantasmi e di "Edipi", con Lucia Bosé e Tina Aumont. In collaborazione con la Cineteca Nazionale di Roma, a Torino saranno presentati i tre lungometraggi, Il passo, l’episodio di Questi del film collettivo Amori pericolosi (1964), e una selezione dei corto e mediometraggi raggruppati con il titolo By Giulio Questi, la raccolta di film girati dall’autore con la camera digitale tra il 2002 e il 2007, per lo più a casa sua, dove interpreta tutti i personaggi delle sue storie ironiche e paradossali. Giulio Questi sarà presente a Torino dal 25 al 28 novembre.


Il secondo omaggio è dedicato al giovane regista statunitense Jim Mickle, che ha presentato quest’anno con grande successo alla Quinzaine di Cannes il thriller Cold in July, tratto dal romanzo di Joe R. Lansdale e interpretato da Michael C. Hall (Dexter) e da un inquietante Sam Shepard e uno scatenato Don Johnson. Prima di questi, Mickle (classe 1979) ha diretto Mulberry Street (2006), sviluppato da un film di zombie elaborato come tesi studentesca, Stake Land (2010), storia di vampiri post-apocalittici, e We Are What We Are (2013), moderno gotico antropofago, remake del film messicano Somos lo que hay di Jorge Michel Grau. Il TFF presenterà tutti i film di Jim Micke, che sarà presente al festival insieme allo scrittore Joe Lansdale.

TFFdoc

Il documentario è sempre più contagioso. Come un virus, infatti, s’inocula implacabile nel cinema contemporaneo e ne mette in questione ragioni e generi. Ma non è un virus che trasmette malattie, bensì nuove opportunità espressive. Il documentario è il cinema ai tempi della crisi più vivace e attento. Troverete documentari seminati in ogni sezione di TFF32, pronti a germogliare rigogliosi, e in TFFdoc troverete una sorta di avanguardia pronta a spingere i confini sempre più avanti: a cominciare dal passato con il doveroso omaggio tributato a Ed Pincus, figura imponente del documentario americano – suoi allievi, tra gli altri, Ross McElwee, Robb Moss, Miriam Weinstein, Nina Davenport, Jonathan Caouette - scomparso alla fine del 2013. Pincus seppe, alla fine degli anni ’60 girare verso di sé il direct cinema e raccontare, mettendo in pratica cinematografica il privato che si fa politico, la sua esperienza personale, la sua magnifica storia d'amore con la compagna Jane, e un mondo che stava cambiando radicalmente. Tutto questo in Diaries: 1971-1976, film che mostreremo insieme al suo ultimo lavoro One Cut, One Life, realizzato con Lucia Small in un sodalizio artistico che già aveva prodotto The Axe in the Attic, viaggio nell'America di Bush devastata dall'uragano Katrina (TFF26). Sulle fondamenta gettate da Pincus, due pietre angolari sorreggono l'architettura di TFFdoc. La prima è rappresentata da Eau Argentée, Syrie Autoportrait di Ossama Mohammed e Wiam Simav Bedirxan. Il film è uno scambio epistolare tra un regista siriano esule a Parigi e una giovane donna siriana di origine curda prigioniera nella città assediata di Homs; è una riflessione sulla rappresentazione della guerra nell'epoca di YouTube e sul ruolo che il cinema e l'arte devono avere per riappropriarsi della loro funzione estetica e etica; è un canto d'amore per un paese devastato e una speranza che solo degli sguardi innocenti possono raccontare. La seconda è Storm Children, Book 1, il nuovissimo film di Lav Diaz, fresco Pardo d'oro. Il regista filippino, a cui il TFF è molto affezionato avendo propiziato la scoperta del suo cinema in Italia, torna finalmente a Torino con un documentario girato tra le sue terre devastate dagli uragani. Storm Children, Book 1 è un film ipnotico e tenero che segue le azioni semplici dei bambini e delle bambine che cercano di riappropriarsi dei loro spazi, lasciando entrare lo spettatore in un mondo che difficilmente riuscirà ad abbandonare. A completare e a dare sostanza e varietà all'edificio TFFdoc ci sono tutti i titoli che compongono le due competizioni internazionale.doc e italiana.doc. Le direzioni che ciascun film traccia sono molteplici, così come le relazioni che si possono ritrovare tra un film e l'altro: relazioni geografiche ma anche spaziotemporali, quasi fantascientifiche; relazioni emotive e intellettuali, che diventano anche intense relazioni amorose. E sovente l'amore che muove ciascuno di questi film è un grande amore per il cinema e la vita.

Internazionale.doc

ACTRESS di Robert Greene (USA, 2014, HDCam, 87’) Brandy Burre è stata a un passo dal diventare famosa, grazie a un ruolo importante interpretato nella serie HBO di culto The Wire. Brandy oggi è madre di due figli, moglie e casalinga. Brandy è una donna che ha perso se stessa ed è in cerca di riscatto. Un fiammeggiante melodramma nonfiction in cui Cassavetes viene riletto da uno dei più talentuosi fra i giovani documentaristi americani contemporanei.

AL-RAKIB AL-KHALED / THE IMMORTAL SERGEANT di Ziad Kalthoum (Siria, 2013, DCP, 75’) A Damasco la guerra sembra ancora un’eco lontana, il grande regista siriano Mohammad Malas gira il suo film, Ziad Kalthoum è un soldato al mattino, il suo assistente al pomeriggio. Con la sua camera, Ziad sfida le regole del regime, in divisa filma l'esercito regolare, la propaganda, sul set fa domande, raccoglie storie, e la guerra irrompe nel cinema, che si fa ragion di vita.

LE BEAU DANGER di René Frölke (Germania, 2014, file, 100’) Norman Manea è uno dei più grandi scrittori rumeni viventi. Sopravvissuto ai campi di sterminio fu costretto a lasciare la Romania a metà degli anni ‘80 e da sempre la sua vita è la fonte principale d’ispirazione delle sue opere. René Frölke compone l'osservazione del quotidiano di Manea con brani tratti dalle sue opere dando forma a un vero e proprio cine-libro che esplora quella terra misteriosa che sta al confine fra la vita e la letteratura.

BRANCO SAI PRETO FICA di Adirley Queirós (Brasile, 2014, DCP, 93’) Nella periferia di Brasilia, la polizia irrompe in un locale da ballo frequentato per lo più da donne e uomini neri con la scusa di sventare un traffico di droga, dando libero sfogo a un violento razzismo. Da allora un uomo vive sulla sedia a rotelle, un altro ha perso una gamba. Una proposta di legge cerca di costringere lo Stato brasiliano a pagare per i crimini discriminatori commessi contro i neri: un film di fantascienza alla ricerca di giustizia.

ENDLESS ESCAPE, ETERNAL RETURN di Harutyun Khachatryan (Armenia/Olanda/Svizzera, 2014, DCP, 90’) Fra l'88 e l'inizio degli anni ‘90, tre eventi scossero l'Armenia: un terribile terremoto, la guerra del Nagorno-Karabakh e il crollo dell'URSS. Per alcuni la scelta di fronte a questi drammatici eventi fu l'esilio. Khachatryan, maestro del cinema armeno, segue il rocambolesco destino di uno di quegli uomini che decisero di lasciare il proprio paese, dando vita al ritratto epico ed emozionante di un instancabile narratore.

HIT 2 PASS di Kurt Walker (Canada, 2014, file, 72’) Hit 2 Pass è una corsa di automobili nella quale per sorpassare devi colpire l’auto dell’avversario, anelito di contatto, bisogno di fermare il moto altrimenti perpetuo e circolare dell’eterno ritorno. L’incontro e l’ascolto irrompono nel circuito del tempo come il colpo del sorpasso, e la parola, lucida e pacata, corpo libero nella sospensione inerziale, indica una nuova traiettoria della Storia.

THE IRON MINISTRY di J.P. Sniadecki (Cina/USA, 2014, DCP, 83’) Filmato per oltre tre anni sui vagoni di quella che sarà presto la più grande rete ferroviaria del mondo, The Iron Ministry ci proietta nel cuore dell'immensa trasformazione culturale, sociale e tecnologica che sta investendo la Cina. Percorsi e treni differenti si uniscono in un unico grande viaggio fatto di suoni, volti, incontri, mentre fuori dal finestrino scorre un mondo in cambiamento.

LIFE MAY BE di Mania Akbari e Mark Cousins (UK/Iran, 2014, HDCam, 80’) Il regista e storico del cinema inglese (The Story of Film: an Odissey), Mark Cousins, e la regista, attrice (in 10 di Abbas Kiarostami, tra gli altri), artista iraniana Mania Akbari si scambiano delle videolettere in un vertiginoso confronto tra Oriente e Occidente, tra maschile e femminile: in comune un amore senza fine per il cinema.

SNAKESKIN di Daniel Hui (Singapore/Portogallo, 2014, DCP, 105’) Sulla pelle cangiante di un serpente sfuggente, la Singapore proiezione permanente di un immaginario a venire, si ricamano storie di colonialismo e di liberazione, di disobbedienza e di militanza politica, di cinema e di viaggi nel tempo. Storie che bruciano come un falò, che si spandono in fumo e scintille, per spargersi in tutte le possibile narrazioni dell’inconscio sommerso di un’intera nazione.

WAITING FOR AUGUST di Teodora Ana Mihai (Belgio/Romania, 2014, DCP, 88’) Georgina quest'inverno compirà 15 anni. Vive con i suoi 6 fratelli in un complesso di case popolari di Bacau, Romania. La mamma è a Torino per un lavoro da badante e non tornerà prima della prossima estate. Nell'anno in cui per lei cambierà tutto Georgina si farà carico di accudire i suoi fratelli. Un'opera prima sorprendente, un inno all'infanzia carico di amore e immaginazione.

Italiana.doc

24 HEURES SUR PLACE di Ila Bêka e Louise Lemoine (Italia/Francia, 2014, file, 90’) Girato in un solo giorno, nel giugno del 2014, sulla Place de la République di Parigi, dopo il completamento del suo riassetto architettonico. Un omaggio ai 40 anni del film di Louis Malle, un film "performativo" generoso, che si abbandona all’incontro, aprendosi a tutto il possibile di una Parigi piena di umanità e poesia che resiste gioiosa alle amarezze della vita e alle difficoltà del presente.

LA CREAZIONE DI SIGNIFICATO di Simone Rapisarda Casanova (Canada/Italia, 2014, HDCam, 90’) Siamo sulle Alpi toscane, nei luoghi dove le forze di occupazione tedesca massacrarono centinaia di civili durante la Seconda guerra mondiale e seguiamo la vita quotidiana di Pacifico, un pastore nato in quegli anni. Il film mescola finzione, documentario, antropologia per esplorare un territorio in cui passato, presente e futuro s’intrecciano e sovrappongono.

HABITAT - NOTE PERSONALI di Emiliano Dante (Italia, 2014, file, 55’) A 5 anni da Into the Blue (TFF25) Emiliano Dante racconta cosa significa oggi abitare a L’Aquila dopo il terremoto. Lontano dai clamori dei media, le giornate passano sospese nel vuoto di spazi e tempi senza quotidianità, dove gli inutili progetti della politica hanno dissolto ogni senso di comunità e appartenenza. Un doloroso caleidoscopio cinematografico in bianco e nero per tentare di elaborare un trauma individuale e collettivo.

LUOGHI COMUNI di Mário Gomes e Marco Ugolini (Italia/Germania, 2014, HDCam, 98’) Un intenso ritratto di uno dei più influenti filosofi italiani, Paolo Virno, il cui pensiero emerge con lucida chiarezza sullo sfondo della società dei consumi, della precarietà post-fordista, della diaspora e della contaminazione culturale. Primo di una trilogia (seguiranno Bifo e Agamben) sull' "Italian Theory" che, dai margini dell'accademia, sta rivoluzionando il pensiero politico mondiale.

MEMORIE - IN VIAGGIO VERSO AUSCHWITZ di Danilo Monte (Italia, 2014, DCP, 76’) "Mio fratello è un grande appassionato di Storia, in particolare di Seconda guerra mondiale. Da qualche anno parliamo poco, mai in profondità. La sua vita? Droga, comunità, carcere, film e libri. Un giorno non resisto più e gli dico: Per il tuo trentesimo compleanno ti porto ad Auschwitz. Sarà un viaggio lento, in treno, per ricominciare a parlare… e filmo tutto." (Danilo Monte)

UNA NOBILE RIVOLUZIONE di Simone Cangelosi (Italia, 2014, file, 83’) Cangelosi ricostruisce, disponendo una grande ricchezza di materiali sulla tela della loro relazione intima, la straordinaria vita di Marcella di Folco, presidente del MIT (Movimento Italiano Transessuali), scomparsa nel 2010. Dai film con Fellini alle serate del Piper Club di Roma, all’attività politica a Bologna, un ritratto emozionante di una figura storica del movimento per i diritti civili italiano.

PODER E IMPOTENCIA, UN DRAMA EN 3 ACTOS di Anna Recalde Miranda (Paraguay/Francia/Italia, 2014, file, 100’) La parabola di Fernando Lugo, ex-vescovo della Teologia della Liberazione, primo presidente di sinistra del Paraguay dopo la dittatura, salito al potere nel 2008 e caduto nel 2012 con un "golpe parlamentare" che ha azzerato il suo programma di riforme. Un thriller politico incalzante, dietro le quinte del potere, e un'amara lezione sui limiti della democrazia e del riformismo.

RADA di Alessandro Abba Legnazzi (Italia, 2014, Blu-Ray, 70’) Nella casa di riposo per gente di mare a Camogli, una ciurma di marinai in pensione aspetta l’ora dell’ultimo sbarco: un quasi centenario sommergibilista gioca al superenalotto, un vecchio palombaro si aggira nei corridoi recitando le sue poesie, un macchinista combatte contro il gelo dell’aria condizionata, un comandante di navi mercantili ricerca nelle stelle la rotta e un nostromo nostalgico bestemmia rincorrendo con il suo binocolo le navi all’orizzonte.

TFFdoc/democrazia

Neue Welt? (Danièle Huillet in Peccato Nero) A partire dall'anno passato abbiamo deciso di creare, all'interno di TFFdoc, uno spazio di riflessione che si articolasse attorno a un tema centrale. Per questa edizione, sollecitati sia dalla cronaca di un mondo sempre più in difficoltà, sia da alcuni film che ci hanno stimolato, abbiamo deciso di provare a ragionare di "democrazia". Lo faremo, come d'abitudine, "usando" i film e il loro linguaggio sperando che dalle immagini sorgano discussioni e questioni che aiutino a pensare e immaginare un mondo nuovo, di cui, forse, c'è necessità, come suggerisce la citazione dal film di Jean-Marie Straub e Danièle Huillet. Ogni film che proporremo toccherà alcuni temi imprescindibili rispetto a un'idea di democrazia in continuo divenire. Se il film di Romuald Karmakar, Angriff auf die Demokratie–Eine Intervention, ci porta direttamente nel cuore di un'Europa in cui la democrazia sembra aver lasciato il posto al Mercato come unico regolatore di una crisi infinita, Iranien, di Mehran Tamadon, porta in Iran il problema di come si possa/debba costruire lo spazio pubblico e di chi abbia il diritto di stabilire le regole dell'agire comune, lasciando sullo sfondo la stessa Europa che ha dimenticato proprio i suoi concetti fondanti. La discussione, forse infruttuosa, tra i mullah e il regista di Iranien, la troviamo messa in pratica in uno scuola libera del New Jersey, dove ogni giorno i maestri si confrontano alla pari con i bambini e le bambine alla ricerca di un concreto spazio di condivisione delle regole, come racconta Approaching the Elefant. E mentre Qui - nella Val di Susa del film di Daniele Gaglianone - un gruppo di cittadini scopre che la democrazia non è mai scontata e bisogna ogni giorno cercare nuove strategie per difenderla e ritrovarla, nella Russia di Putin, quattro suoi oppositori cercano di costruirsi come alternativa al suo potere, mettendo in campo strategie di comunicazione e rappresentazione molto vicine a quanto succede più a ovest di Mosca, come ci racconta The Term. Ogni film apre una finestra su qualcosa che ci concerne tutti e tutte e per ciascun film saremo aiutati da intellettuali, pensatori, registi a disegnare i paesaggi su cui quelle finestre ci lasciano guardare.

ONDE

La selezione di Onde 2014 è una sorta di mappa tracciata dal cinema su orizzonti geografici e strategie cinematografiche che forzano il dispositivo del filmare in direzione della vita. Un cinema di mappature per viaggi alla scoperta di topografie esistenziali, planimetrie labirintiche, biografie oceaniche e traversate della coscienza. In un susseguirsi di opere che reinventano le grandi narrazioni classiche (l'avventura, il periplo, l'on the road, il nostos, il ritorno...) e la meticolosità degli appunti di viaggio. L'imprinting ideale lo offre il viaggio in Italia di Eugène Green, che torna al festival con un'opera come La sapienza, che va incontro al Borromini per ritrovare le altezze del vivere. Altri viaggi quelli americani, che percorrono la frontiera tra la profondità della coscienza e la forza delle pulsioni: i fratelli di Young Bodies Heal Quickly di Andrew T. Betzer portano la loro adolescenza nelle "bad lands" della civiltà americana, mentre Jacqueline Goss e Jenny Perlin eseguono in The Measures la ricognizione di un territorio dove storia, innocenza e libertà imparano a misurarsi reciprocamente. E se Deborah Stratman, in Hacked Circuit, misura le distanze spaziali e concettuali tra il suono e la visione sul corpo de La conversazione, Jennifer Reeder in A Million Miles Away traccia nelle dinamiche di una classe femminile i linguaggi generazionali. Prendono invece le misure del loro quartiere i protagonisti di Nova Dubai del brasiliano Gustavo Vinagre, "porno-terrorista" che coniuga sesso ed edilizia in chiave politica, mentre in Yeti l'indiano Abhijit Mazumdar incarna nella topografia della periferia metropolitana il corpo del cinema che si fa set e vita. Così come in Adventure il kazako Nariman Turebayev veste di languori esistenziali le notti bianche (Dostoevskij) di una guardia giurata. L'argentino Emiliano Grieco in La huella en la niebla intinge di vaghi umori conradiani il ritorno a casa del suo antieroe, mentre sfogliano le pagine di un diario di viaggio al termine della vita sia la serba Tamara Drakuli!, che in Okean radica il suo tempo interiore in una traversata oceanica, sia la portoghese Maureen Fazendeiro, che in Motu maeva attraversa una biografia di viaggi in Super8. Una (auto)biografia da smartphone è invece quella di una diciottenne olandese raccontata in This Is The Way da Giacomo Abbruzzese, italiano in Onde assieme al labirinto ludico-filosofico tracciato da Luca Ferri in Abacuc e all'appassionato deambulare esistenziale di Tonino De Bernardi in Jour et nuit. La greca Konstantina Kotzamani ci offre la folgorante visione di una Atene tropicale in Washingtonia, mentre il Vietnam si apre allo sguardo sorprendentemente speculare di Truong Que Chi in Black Sun e di Eduardo Williams in I Forgot! E se il montenegrino Ivan Salatić sospende il tempo di un estivo coming of age in Shelter, il francese Clemente Cogitore coniuga un arcaico passato e un futuro presente nel messianesimo immanente di Sans titre.

Omaggio a Josephine Decker

Da tenere di sicuro tra le personalità emergenti del cinema indipendente americano, Josephine Decker è una filmmaker che declina una femminilità giocata sino in fondo come questione di corpo fisico e sociale, nei termini di un confronto a tutto campo con le dinamiche più profonde e immediate del filmare. Artista, performer, musicista, attrice (dai mumblecore di Joe Swanberg in poi), fermamente impegnata nel sociale (in particolare sui temi dell'ambiente e del capitalismo finanziario), a soli 33 anni questa ragazza – londinese di nascita, texana di crescita e newyorchese d'elezione – è attraversata da una carica creativa che sembra scuotere dalle fondamenta il suo rapporto con la realtà, il suo stare nel mondo. Autrice di una serie di cortometraggi altamente creativi, in bilico tra la fiaba d'infanzia (Me the Terrible), il videoclip (Where Are You Going, Elena?, Going Wild), il documentario (Balkan Camp, Walter and Kayla) e il mumblecore estremizzato (Madonna Mia Violenta, codiretto con l'artista newyorchese Zefrey Throwell), Josephine Decker riassume nei due lungometraggi che ha girato nel 2013 il suo approccio al cinema, a un tempo colto e immediato. Butter on the Latch e il successivo Thou Wast Mild and Lovely sono due film "di genere" (quasi due twin films) non solo perché fanno riferimento a tracce cinematografiche ben precise (tra la femminilità di Polanski e quella del Romero delle streghe...), ma anche perché sul genere (sessuale) riflettono, collocandosi sul crinale tra maschio e femmina, laddove il desiderio diviene relazione e dunque funzione sociale, più o meno accettata. L'omaggio a Josephine Decker, proposto dal Torino Film Festival assieme alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, sarà introdotto da una serata di preapertura, giovedì 20 novembre, presso la sede della Fondazione. Durante la serata, Josephine Decker proporrà una performance, verrà proiettata una selezione dei suoi cortometraggi e l’artista incontrerà il pubblico e i giornalisti nel corso di una conversazione.

SPAZIO TORINO

Il concorso presenta i migliori cortometraggi realizzati da cineasti nati o residenti in Piemonte, un’area geografica da sempre caratterizzata da un’intensa attività cinematografica. I quattro titoli in concorso rappresentano un esempio di cinema indipendente estremamente raffinato. A testimonianza ulteriore del fervore cinematografico e artistico piemontese, la proiezione dei film in concorso sarà preceduta da Un milione di alberi e nessun dio. Frutto della collaborazione tra l'artista Marzia Migliora, il danzatore Francesco Gabrielli e il regista Giuliano Girelli, il film testimonia l'omonima performance messa in scena nel Parco di Stupinigi, grazie al prezioso lavoro del progetto Eco e Narciso della Provincia di Torino.

SUICIDE IS PAINLESS: IL NUOVO CINEMA AMERICANO 1967-1976

Seconda parte. Si conclude la retrospettiva che il Torino Film Festival ha dedicato per due anni alla New Hollywood, cioè al grande ribaltamento che investì il cinema americano nel suo complesso dalla seconda metà degli anni Sessanta all’inizio degli anni Ottanta, prolungando i propri influssi sullo stile, i temi, lo star system, le innovazioni della produzione hollywoodiana successiva. Conseguenza della profonda crisi che aveva investito dalla metà degli anni Cinquanta l’industria cinematografica americana, generata dalla concorrenza della televisione e dall’incapacità degli studios di tenere il passo con il terremoto culturale che stava scuotendo gli Stati Uniti, quella che fu poi definita "New Hollywood" fu la risposta spontanea di una generazione di nuovi cineasti alle richieste, le tensioni, le sollecitazioni di un pubblico che era radicalmente cambiato. Dalla fine degli anni Quaranta, la scolarizzazione di massa e l’innalzarsi dell’età scolare creano una vasta fascia di "consumatori" (e perciò di pubblico cinematografico) con gusti, stili di vita e desideri diversi da quelli dei loro genitori. In pratica, inventano i "giovani", una vera e propria "classe intermedia", fatta di persone in età compresa tra i 15 e i 25 anni, che studiano, vivono nei campus universitari, hanno la loro musica, i loro libri, il loro slang, il loro abbigliamento, le loro idee sul mondo e sulla politica. Un fenomeno che si manifesta prima negli Stati Uniti (con fenomeni musicali come il rock’n’roll, o letterari come i romanzi di Salinger e di Kerouac) e poi dilaga in tutto il mondo occidentale, e che assume una precisa valenza filosofica e politica all’inizio degli anni Sessanta, con il movimento hippie, le manifestazioni degli studenti all’Università di Berkeley, la partecipazione dei giovani bianchi alle dimostrazioni per i diritti civili dei neri negli stati del Sud. Assassinii politici come quelli dei Kennedy, di Malcolm X e di Martin Luther King e la guerra del Vietnam fanno il resto: l’American Dream e la proverbiale American Way of Life (ho messo tutte iniziali maiuscole), l’idea del paese che concede a tutti le medesime opportunità sono messe in discussione fin dalle radici. I vecchi miti hollywoodiani non hanno più alcun fascino; e la Mecca del cinema scopre gli antidoti alla crisi tra le frange del cinema marginale indipendente. Fin dall’inizio del decennio emergono nuovi modelli narrativi espressi da compagnie indipendenti come la Corman Factory, nuove interpretazioni della realtà e della Storia, nuovi volti e comportamenti che parlano al pubblico giovane. Nel 1967, due film di studio, Bonnie & Clyde di Arthur Penn e The Graduate di Mike Nichols, ribaltano rispettivamente il gangster film e la commedia romantica. Nel 1969, esce Easy Rider, realizzato a basso costo da Dennis Hopper e Peter Fonda, che fa esplodere sullo schermo nuovi ritmi, temi, antieroi e, con il suo enorme successo (nel 1972 aveva incassato più di 60 milioni di dollari), indica la nuova strada che Hollywood percorrerà, dando lavoro ai giovani registi, sceneggiatori, attori, produttori, e ad autori più maturi, come Altman e Peckinpah, che fino a quel momento erano stati tenuti ai margini perché troppo anticonvenzionali. Storia, stile, facce, tutto cambia nella narrazione di sé che l’America traccia attraverso il cinema; scompaiono ottimismo, perfezione, eroismo, sostituiti da dubbio, voglia di fuga, disadattamento e, con il procedere degli anni Settanta, angoscia, paura, sconfitta. In questa edizione, oltre alcuni esemplari di revisione dei generi, come The Graduate (1967) di Mike Nichols, i western The Ballad of Cable Hogue (1070) di Sam Peckinpah,Tell Them Willie Boy Is Here (1969) di Abraham Polonsky, Little Big Man (1970) di Arthur Penn, The Culpepper Cattle Co. (1972) di Dick Richards, i noir del misconosciuto John Flynn, The Outfit (1973) e Rolling Thunder (1977), il war movie a basso costo Go Tell the Spartans (1978) di Ted Post, il musical horror Phantom of the Paradise (1974) di Brian De Palma o il fantascientifico Phase IV (1974) di Saul Bass, l’accento è puntato soprattutto sugli anni Settanta, quando l’interminabile prolungarsi della guerra del Vietnam e lo scandalo Watergate gettano il paese e il suo cinema in un clima di paranoia e insicurezza crescenti: tutti spiano tutti, come in Klute (1971) di Alan J. Pakula, Who Is Harry Kellerman and Why Is He Saying Those Terrible Things About Me (1971) di Ulu Grosbard, The Conversation (1974) di Francis Ford Coppola, Three Days of the Condor di Sydney Pollack (1975); i giovani sono inariditi, come in Carnal Knowledge (1971) di Mike Nichols, disastrati, come in The Panic in Needle Park (1971) di Jerry Schatzberg, sradicati, come in Welcome to L. A. (1976) di Alan Rudolph, arrabbiati, come in The Jericho Mile (1979) di Michael Mann; i loro genitori fuori di testa, come nella commedia Taking Off (1971) di Milos Forman; gli anziani a pezzi, come Jack Lemmon in Save the Tiger (1973) di John G. Avildsen, o imprevedibili come Art Carney in Harry and Tonto (1974) di Paul Mazursky e in The Late Show (1977) di Robert Benton, o pazzi eccentrici, come Jason Robards in Melvin and Howard (1980) di Jonathan Demme. Tra reduci di Berkeley (Richard Dreyfuss in The Big Fix, 1978, di Jeremy Paul Kagan) o di altre università (come i sette amici di Return of the Secaucus Seven, 1979, di John Sayles, o di The Big Chill, 1983, di Lawrence Kasdan) e reduci della "sporca guerra" (come Nick Nolte in Who’ll Stop the Rain, 1980, di Karel Reisz, e David Carradine nel suo film Americana, 1981), l’incubo cresce e matura nei primi film di Steven Spielberg (Duel, 1971, The Sugarland Express, 1974, Jaws, 1975). E Martin Scorsese sigla malinconicamente la fine di un’era con The Last Waltz (1978), l’ultimo concerto di The Band, cui parteciparono tutte le rock star dell’epoca.

Emanuela Martini

La retrospettiva è stata curata da Emanuela Martini, come il volume New Hollywood, edito dal Castoro. Giovedì 27 novembre, alle 10.30, presso l’Auditorium Guido Quazza dell’Università degli Studi di Torino, si terrà una tavola rotonda sulla New Hollywood.


Completano il festival le tradizionali sezioni Italiana Corti, concorso è riservato a cortometraggi italiani inediti, caratterizzati dall’autonomia e originalità di linguaggio, e i film del TorinoFilmLab, un laboratorio dedicato a talenti emergenti, una vera e propria comunità creativa che sostiene giovani filmmaker di tutto il mondo con un’attenzione particolare a opere prime e seconde.

PREMI
GRAN PREMIO TORINO
TORINO 32
Concorso internazionale lungometraggi
Miglior film: euro 15.000
Premio speciale della giuria – Fondazione Sandretto Re Rebaudengo: euro 7.000
Premio per la miglior attrice
Premio per il miglior attore
Premio per la miglior sceneggiatura
Premio del pubblico
TFFdoc
Miglior film internazionale.doc: euro 5.000
Premio speciale della giuria internazionale.doc
Miglior film italiana.doc in collaborazione con Persol: euro 5.000
Premio speciale della giuria italiana.doc
ITALIANA.CORTI
Concorso cortometraggi italiani
Premio Chicca Richelmy per il Miglior film: euro 2.000 (offerti dall’Associazione Chicca Richelmy)
Premio speciale della giuria
SPAZIO TORINO - Concorso cortometraggi realizzati da registi nati o residenti in Piemonte
Miglior Film (in collaborazione con La Stampa-Torino Sette-Premio Achille Valdata)
PREMIO FIPRESCI
Miglior film Torino 32
PREMIO CIPPUTI
Miglior film sul mondo dal lavoro

Le sedi.
Le proiezioni si svolgono presso la Multisala Cinema Massimo (Via G.Verdi, 18), la Multisala Reposi (Via XX settembre, 15) e il Cinema Classico (Piazza Vittorio Veneto, 5). Quest’ultima sede è riservata esclusivamente alle proiezioni stampa.
Gli eventi.
L’accesso alla cerimonia inaugurale del 21 novembre, con proiezione all’Auditorium Giovanni Agnelli, è consentito ai possessori di biglietto. I posti disponibili sono messi in vendita online dall’11 novembre. È sufficiente presentarsi con il modulo stampato e il QR code ricevuti all’atto dell’acquisto.
La cerimonia di chiusura del 29 novembre al cinema Reposi, invece, è esclusivamente a inviti.
I film vincitori vengono replicati il 30 novembre presso il cinema Massimo a partire dalle ore 14.30 circa. Il programma della giornata viene pubblicato sul sito del festival il 29 novembre dalle 15.00.
Nel caso di presenza degli autori, gli incontri con il pubblico si tengono alla fine della proiezione.
L’accettazione dell’invito implica l’assenso all’essere fotografati o filmati.
Modalità di ingresso.
L’accesso alle proiezioni è consentito con biglietto, accredito o abbonamento, accedendo alla sala 5 minuti prima dell’inizio dello spettacolo. Non è consentito l’ingresso a proiezioni iniziate. L’accesso alle proiezioni senza visto di censura non è consentito ai minori di 18 anni.
I biglietti e gli abbonamenti a tariffa intera possono essere acquistati sul sito del festival www.torinofilmfest.org e attraverso l’app 32TFF dall’11 novembre, fino a 24 ore prima dell’inizio di ogni proiezione e devono poi essere ritirati presso i cinema. Sono in vendita direttamente alle casse, invece, dal 21 novembre.
Tariffe biglietti e abbonamenti.
Biglietto serata di apertura: EURO 15,00
Abbonamento intero (*): EURO 80,00
Abbonamento ridotto (*): EURO 60,00
(Aiace, Abbonamento Musei Torino Piemonte, Torino+Piemonte card, Carta Freccia, Carta Stabile, Universitari, Over 65)
Strettamente personale e non cedibile, consente l’accesso a tutti gli spettatori ad esclusione della serata inaugurale e cerimonia di premiazione.
Abbonamento 9-19 (*): EURO 40,00
Strettamente personale e non cedibile, consente l’accesso a tutti gli spettacoli che iniziano prima delle 19.00.
Pass giornaliero 9-19 (*): EURO 12,00
Valido per una specifica giornata. Consente l’accesso agli spettacoli che iniziano prima delle ore 19.00.
Biglietto intero: EURO 7,00
Biglietto ridotto: EURO 5,00
(Aiace, Abbonamento Musei Torino Piemonte, Torino+Piemonte card, Carta Freccia, Carta Stabile, Universitari, Over 65)
(*) gli abbonamenti e i pass giornalieri non consentono l’ingresso alle proiezioni blu senza il titolo d’ingresso da ritirarsi gratuitamente presso le biglietterie dedicate.
Per tutti gli abbonati, ingresso a tariffa ridotta al Museo Nazionale del Cinema.
Conferenze stampa.
Il programma ufficiale del 32° Torino Film Festival viene presentato martedì 11 novembre 2014, alle ore 10.30 a Roma, presso la Casa del Cinema (largo Marcello Mastroianni, 1), e alle 18.45 a Torino, presso la Sala 2 del Cinema Massimo (via Verdi, 18).

TORINO FILM FESTIVAL
Via Montebello, 15 - 10124 Torino
Tel.: +39 011 8138811
Fax: +39 011 8138890
UFFICI TEMPORANEI NEL PERIODO DEL FESTIVAL (dal 21 al 29 novembre 2014)
Centralino: +39 011 19887500
RAI – Museo della Radio e della Televisione - Via G. Verdi, 16 – Torino
RAI – Palazzo della Radio - Via G. Verdi, 31 – Torino
Link: http://www.torinofilmfest.org info@torinofilmfest.org http://www.facebook.com/torinofilmfestival Twitter: @torinofilmfest https://twitter.com/torinofilmfest
Ufficio Stampa
Studio Sottocorno
via Plinio, 33
20129 Milano
tel. (+39) 02. 29.41.92.83
studio@sottocorno.it press@torinofilmfest.org

 

home mail