Salvatore Blanco
Psicologo Clinico e Psicoterapeuta
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Sport e Territorio
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PREMESSA

Il presente progetto nasce dalla sintesi delle esperienze maturate nel 1998 dal Servizio Psicosociale e dal Servizio di Medicina dello Sport della ASL7.

Per quanto concerne gli aspetti culturali e procedurali della prevenzione-riabilitazione, i nostri principali riferimenti scientifici e pragmatici riguardo le esperienze compiute, dal 1997 ad oggi, sono indicati nella tabella seguente.

Prevenzione

Ente CONI PROVINCIALE DI LIVORNO
Progetto PROGETTO FAIR PLAY (concluso nel 1997)
Destinatari Ciclo di incontri nelle Scuole Medio Inferiori e Medio Superiori, con genitori, alunni e insegnanti
Target Promozione dei concetti:
  • Sport per tutti come metodo educativo e
  • Fair-Play come asse portante degli altri valori dello Sport
Ente CONI NAZIONALE e FIGC (Settore Giovanile e Scolastico), protocollo d’intesa del CONI e della FEDERCALCIO con il Ministero della Pubblica Istruzione (MPI)
Progetto PROGETTO SPORT PER TUTTI. (ancora in atto)
Destinatari Insegnanti, Direttori Didattici, Tecnici Societari e Dirigenti Sportivi, Operatori del progetto Integrato tra Scuola e Federazioni Sportive
Target Si rifà in larga parte all’ideologia educativa, espressa dall’Iniziativa FAIR PLAY di cui sopra, ma mira principalmente alla formazione
Formazione
Ente Istituto di Psicologia Generale e Clinica della Facoltà di Medicina e Chirurgia, dell’Università degli Studi di Siena
Progetti CORSO DI PERFEZIONAMENTO IN PSICOLOGIA DELLO SPORT
Ente CONI NAZIONALE, presso il Centro dell’Acquacetosa di Roma
Progetti Corsi di Aggiornamento
Ente Scuola Specializzazione di Medicina dello Sport (Univ. Cagliari)
Progetti Collaborazione
Riabilitazione
Ente A.S.L. NA1 di Napoli
Progetto Progetto SPORT-RIABILITAZIONE-REINSERIMENTO (dal 1993)
Destinatari Giovani disadattati

Inizio pagina

La prima esperienza, condotta col PROGETTO FAIR PLAY del CONI PROVINCIALE DI LIVORNO, è consistita in un ciclo di incontri nelle Scuole Medie Inferiori e Superiori, con genitori, alunni e insegnanti. Durante tali incontri è stato promosso il concetto di Sport per tutti come metodo psico-educativo e quello di Fair-Play come asse portante degli altri valori dello Sport.

La seconda esperienza (ancora in atto) si sta concretizzando con il CONI NAZIONALE e con la FIGC (Settore Giovanile e Scolastico), grazie alla stipula del protocollo d’intesa del CONI e della FEDERCALCIO con il Ministero della Pubblica Istruzione (MPI), per il PROGETTO SPORT PER TUTTI. Questo progetto si rifà in larga parte all’ideologia educativa, già espressa dall’Iniziativa FAIR PLAY di cui sopra, ma mira principalmente alla formazione di Insegnati, Direttori Didattici, Tecnici Societari e Dirigenti Sportivi, Operatori del progetto Integrato tra Scuola e Federazioni Sportive

I principali riferimenti nel campo della formazione in oggetto sono indicabili nell’Istituto di Psicologia Generale e Clinica della Facoltà di Medicina e Chirurgia, dell’Università degli Studi di Siena, sede organizzativa del CORSO DI PERFEZIONAMENTO IN PSICOLOGIA DELLO SPORT, ed nei Corsi di Aggiornamento sul tema, organizzati dal CONI NAZIONALE, presso il Centro dell’Acquacetosa di Roma. Gli aspetti concernenti la ricerca sono sviluppati in collaborazione con la Scuola di Specializzazione in Medicina dello Sport dell’Università di Cagliari.

Per quanto riguarda l’aspetto riabilitativo ci siamo invece avvalsi dell’esperienza maturata da alcuni Servizi Sociali dell’A.S.L. NA1 di Napoli, presso i quali è stata già avviata (dal 1993) la sperimentazione del Progetto denominato SPORT-RIABILITAZIONE-REINSERIMENTO. Il Progetto coinvolge con successo vari Servizi della zona Napoletana ed altri della Provincia.

INTRODUZIONE

I nostri ultimi trenta anni sono stati caratterizzati da profonde trasformazioni sociali. Il crollo del "principio di autorità", che aveva permeato la cultura dei nostri padri, il massiccio ingresso della donna nel mondo del lavoro, la progressiva acquisizione di potere da parte dei mass-media nel campo dell’informazione, delle scelte e dei costumi, la crescita dei bisogni da parte dei giovani e della loro condizione di anomia, visto l’aumento della disoccupazione giovanile e l’aumento del periodo scolare, sono tra i fattori che hanno determinato la cosiddetta "crisi di valori istituzionali". I principali problemi nascono forse dal potere che la pubblicità esercita sul giovane: una coercitiva spinta all’acquisto di beni di cui non potrà entrare autonomamente in possesso per anni, vista la dilazione della sua indipendenza.

In questo clima di conflittualità, tra bisogno ed assenza di mezzi, tra dipendenza e mancanza di valori, tra richiesta di guida ed opposizione al sistema, cresce il disagio, la sofferenza psicologica, la frustrazione, l’aggressività, la ribellione, la delinquenza, la ricerca di "facili alternative", la tossicodipendenza, l’abuso di alcool, le folli corse su un auto all’alba, la sfida al destino, la ricerca del rischio ed il desiderio di soddisfare i propri bisogni con ogni mezzo.

Ciò premesso, l’attività sportiva può assumere un ruolo fondamentale ponendosi in un ottica di prevenzione del disagio giovanile. Le Federazioni e le Società Sportive, nell’assumere un ruolo determinante all’interno della nostra Società, passerebbero da mere promotrici dello sport a promotrici dell’educazione dei giovani del 2000. Sarebbe pertanto auspicabile che tali progetti coinvolgessero le famiglie dei giovani, le Società Sportive, il mondo della Scuola, i Servizi di Medicina dello Sport, i Servizi Psicosociali e i Dipartimenti di Salute Mentale. Si verrebbe a creare una rete di servizi interdipendenti che focalizzano l’attenzione sul giovane, secondo diverse prospettive, mantenendo viva l’attenzione sulla famiglia.

MA PERCHE’ UTILIZZARE LO SPORT COME VEICOLO PSICO-EDUCATIVO?

Lungi dal volersi sostituire ad altre fondamentali agenzie educative primarie, l’attività sportiva si propone come funzione complementare a quella che già svolge, principalmente, sul piano affettivo la famiglia e sul piano cognitivo la scuola. L’attività sportiva rappresenta, comunque, un concreto mezzo psico-educativo nel processo di sviluppo della personalità del ragazzo.

I principali vantaggi determinati dall’impiego dell’attività sportiva come metodo psico-educativo sono:

  1. la capacità di colmare i "tempi morti" quotidiani;
  2. la possibilità di svolgersi all’interno di un ambiente sano;
  3. la possibilità di utilizzare, nella pratica, tecnici pedagogicamente formati;
  4. la possibilità di fare leva su due naturali spinte motivazionali: il gioco e l’agonismo.

Il gioco, erroneamente relegato dalla comune convinzione tra le attività infantili, costituisce una delle esigenze fondamentali dell’uomo di qualsiasi età, epoca e cultura.

Secondo Piaget (1955) il gioco svolge un importante funzione sociale fin dai primi anni di vita, favorendo la maturazione cognitiva ed i processi di assimilazione/accomodamento.

L’agonismo, costituendo una delle naturali tendenze dell’uomo, rappresenta l’innato bisogno di emergere e di misurarsi con la natura, con sé stesso e con gli altri: l’affinamento razionale e specifico dell’istinto aggressivo.

L’aggressività é infatti uno degli istinti innati in ogni specie animale, sia che venga utilizzata per la delimitazione del territorio che per la protezione della prole, la predazione o altro. La sua caratterizzazione innata non esclude però la sua educabilità.

Trattandosi, perciò, di un’energia canalizzabile e finalizzabile, lo sport rappresenta uno di quei campi in cui, sotto forma di attività agonistica, può esprimersi in maniera libera e funzionale. La competizione sportiva consente di esprimere l’aggressività umana all’interno delimitate coordinate spaziali, temporali e regolamentari; le coordinate temporali sono definite dal segno convenzionale del giudice di gara che sancisce l’inizio e la fine della competizione; quelle spaziali, dai luoghi all’interno dei quali si svolge l’attività sportiva come, ad esempio, il rettangolo di gioco; le coordinate regolamentari sono quelle che definiscono, proprio nella regola, quali sono i limiti oltre i quali non si può spingere lo spirito agonistico e la volontà di superare l’avversario: una sorta di codice morale codificato e riconosciuto tra i giocatori. Un precoce avviamento allo sport può consentire una preventiva educazione al controllo ed alla finalizzazione dell’istinto aggressivo.

MA PRATICARE SPORT NON SIGNIFICA TOGLIERE TEMPO ALLO STUDIO?

Come sosteneva già Don Milani, negli anni ‘50, l’essere umano necessità sia di attività fisica che intellettiva. L’esercizio mentale aiuta e sviluppa l’impiego del fisico e l’esercizio fisico aiuta a sviluppare il cervello. Inoltre, chi pratica un’attività fisica ha bisogno di momenti di pausa, riflessione ed esercizio per la mente, vuoi che si tratti di una semplice lettura che di un vero e proprio interesse culturale. Allo stesso modo, chi pratica un’intensa attività intellettuale necessità di momenti di scarica e di giocosità.

L’attività sportiva, come evidenziato dai più recenti studi nel campo dello stress, consente un rapido scarico delle tensioni accumulate durante le ore di studio ed il recupero più veloce delle energie mentali. Praticare sport non significa, pertanto, togliere tempo e quindi produttività allo studio ma, al contrario, facilita i tempi di recupero dell’affaticamento mentale e quindi permette di produrre di più in tempi più brevi.

La pratica sportiva insegna inoltre a programmare la giornata, gli obiettivi a breve, medio e lungo termine, dando priorità a concetti quali il sacrificio per il risultato a lunga scadenza, saper sopportare la frustrazione di una sconfitta, programmare l’attività per un risultato migliore, saper collaborare con gli altri per un risultato comune, saper rimanere degni di sé nella vittoria come nella sconfitta, non centrare l’attenzione tanto sul risultato quanto sul miglioramento progressivo delle proprie competenze. L’attenzione va rivolta infine al concetto di creatività. Lo sport stimola la ricerca di soluzioni strategiche attraverso il gioco (come superare l’avversario, partendo dalla conoscenza dei limiti e delle abilità proprie e dell’antagonista).

Chiunque operi nel campo delle devianze può facilmente identificare, nei concetti sopra esposti, sia uno strumento preventivo che riabilitativo. Sappiamo che i principali i tratti di personalità dei soggetti con comportamenti devianti sono:

  • La bassa programmaticità.
  • L’incapacità di definire obiettivi specifici a medio e lungo termine.
  • La necessità di soddisfare immediatamente i propri bisogni.
  • La bassa tolleranza alla frustrazione.
  • La compromissione delle abilità sociali di base.
  • L’instabilità dell’autostima.
  • L’assenza di creatività, nella ricerca di soluzioni alternative ai comportamenti devianti.

A QUALI PRINCIPI DOVREBBE QUINDI ISPIRARSI UN OPERATORE SPORTIVO ADDETTO AI SETTORI GIOVANILI?

In accordo con le direttive dell’ORGANIZZAZIONE MONDIALE DELLA SANITA’ (OMS), che definisce la salute come stato di benessere fisico, psichico e sociale, l’attività sportiva è stata identificata come mezzo fondamentale di prevenzione, oltre che di supporto significativo in ambito psicopedagogico. Il "gruppo dei pari", l’associazionismo sportivo e quello di impegno sociale rappresentano una significativa alternativa di crescita, rispetto ai rischi di passività e staticità; un antidoto contro le cosiddette malattie del benessere che portano ad atteggiamenti e comportamenti poco salutari (alimentazione scorretta, sedentarietà, stress, fumo, abuso di bevande alcoliche e di sostanze stupefacenti).

Nell'ambito dell'adozione di stili di vita sani e il linea con il "Piano Sanitario Nazionale 1998-2000", l'attività fisico-sportiva riveste un ruolo fondamentale e protettivo nei riguardi di alcune gravi patologie (cardio e cerebrovascolari, osteoarticolari, metaboliche). Al fine si auspicano azioni programmatiche più ampie volte a promuovere l'attività fisico-sportiva regolare nella popolazione (con particolare attenzione alle fasce di età 10-19 e oltre i 65 anni).

Il CODICE EUROPEO DI ETICA SPORTIVA si trova, pertanto, in perfetta sintonia con le direttive dell’OMS e con il "Piano Sanitario Nazionale 1998-2000", quando propone di:

  • cambiare in meglio la propria vita facendo più esercizio;
  • conformarsi strettamente alle regole degli sport praticati;
  • giocare nel rispetto delle regole, con calma ed in condizione di parità con i propri avversari;
  • evitare ogni forma di violenza fisica o verbale;
  • insegnare ai bambini a giocare correttamente, rispettando le regole;
  • mostrare un comportamento degno come spettatore;
  • approfittare dello sport per farsi degli amici;
  • non far uso di droghe;
  • anteporre lo sport al denaro;
  • non mischiare lo sport all’alcool.

Su tale codice si fonda la CARTA DEL FAIR-PLAY; una sorta di solenne giuramento a cui qualsiasi vero sportivo dovrebbe far capo, perché lo sport rappresenti un vero strumento psico-educativo:

Qualunque sia il mio ruolo nello sport, anche quello di spettatore, mi impegno a:

  • fare di ogni incontro sportivo, poco importa la posta in palio e la rilevanza dell’avvenimento, un momento privilegiato, una sorta di festa;
  • conformarmi alle regole ed allo spirito dello sport praticato;
  • rispettare i miei avversari come me stesso;
  • accettare le decisioni degli arbitri e dei giudici sportivi, sapendo che, come me, hanno diritto all’errore ma fanno di tutto per non commetterlo;
  • evitare l’aggressione nei miei atti, nelle mie parole e nei miei scritti;
  • aiutare gli altri sportivi, con la mia presenza, la mia esperienza e la mia comprensione;
  • restare degno nella vittoria come nella sconfitta;
  • soccorrere ogni sportivo ferito, la cui vita é in pericolo;
  • essere realmente ambasciatore dello sport, aiutando a far rispettare intorno a me i principi qui affermati.

Operando nell’ambito della prevenzione del disagio giovanile, è soprattutto importante che gli operatori sportivi tengano presente LA CARTA DEI DIRITTI DEL RAGAZZO ALLO SPORT; di seguito sono riportati i dieci diritti fondamentali che fanno dello sport un reale strumento psicopedagogico e preventivo:

  • il diritto di divertirsi e di giocare;
  • il diritto di fare sport;
  • il diritto di beneficiare di un ambiente sano;
  • il diritto di essere circondato ed allenato da persone competenti;
  • il diritto di seguire allenamenti adeguati ai suoi ritmi;
  • il diritto di misurarsi con giovani che abbiano le sue stesse possibilità di successo;
  • il diritto di partecipare a competizioni adeguate alla sua età;
  • il diritto di praticare sport in assoluta sicurezza;
  • il diritto di avere i giusti tempi di riposo;

LA MOTIVAZIONE ALLO SPORT

In psicologia, con il termine motivazione, indichiamo quell’agente dinamico, che può essere di tipo fisiologico, emotivo o cognitivo, che organizza il comportamento di un uomo o di un animale per il raggiungimento di un determinato scopo. L’organismo finalizza il raggiungimento del suo obiettivo in base alla specie a cui appartiene ed alla propria struttura di personalità. L’azione messa in atto, in questa fase, prende il nome di comportamento motivato.

In età evolutiva la motivazione allo sport varia da periodo a periodo ed in base ai bisogni determinati dalle varie fasce di età. Il piacere che il giovane può trarre dall’attività sportiva è da collegarsi a una situazione di gioco nella quale sono soddisfatti i bisogni di movimento (biopsichici) e di relazione (psicosociali). Le motivazioni psicosociali crescono proporzionalmente alle età dei ragazzi, mentre le motivazioni cognitive rimangono relativamente costanti nel tempo. La noia, la monotonia, la frustrazione, la pressione al successo (da parte dell’allenatore come della famiglia) sono invece fattori che possono indurre l’abbandono precoce. Una larga fascia di soggetti in età evolutiva, pur essendo motivati, non giunge mai a fare sport a livello agonistico tendendo ad abbandonare la pratica sportiva dopo un certo periodo.

Gli adolescenti sono estremamente attenti alla loro immagine fisica ed alla valutazione delle loro prestazioni. Il sentimento d’inferiorità può affiorare e manifestarsi attraverso atteggiamenti di fuga, disimpegno, ostilità e negativismo verso la situazione. Altrettanto può verificarsi nei ragazzi precocemente avviati alla competizione. L’insicurezza di fronte alla prova ed il timore dell’eventuale sconfitta può attivare disagio psicologico, soprattutto quando i genitori tendono a stimolare il ragazzo, mettendolo a confronto con i suoi risultati..

La preparazione psicopedagogica degli operatori sportivi assume pertanto carattere di essenzialità, per una buona riuscita del progetto. Sapere gestire le dinamiche di gruppo, rinforzare l’autostima dei più deboli, stimolare la ricerca delle regole, la creatività delle soluzioni, la cooperazione tra i ragazzi, l’impegno per il miglioramento delle proprie competenze, favorire lo sviluppo della morale iniziando dal concetto di Fair-Play.

I tecnici devono pertanto essere formati in maniera specifica, perché possano essere dei reali strumenti di prevenzione. In particolar modo, una buona gestione del gruppo, consente sia uno stimolo ai processi di socializzazione che il possesso di un vettore per lo sviluppo morale dell’individuo; intendendo qui, per sviluppo morale, i concetti cognitivisti espressi dal modello di Kholberg.

Il MODELLO DI KHOLBERG SULLO SVILUPPO MORALE E LA DEVIANZA

Secondo Erikson, nel momento in cui il bambino inizia a camminare, parlare e controllare i propri bisogni evacuativi, comincia a superare quello stato di confusione tra sé ed il resto del mondo, e ad avere la coscienza d’essere qualcosa di unico e distinto.

Il superamento dello stato confusivo può dirsi compiuto verso i 3 anni di vita, quando il bambino comincia a usare il pronome "io" ed a parlare in prima persona. Egli ha compiuto un passo decisivo verso l’autonomia e comincia a fare "capricci" per imporre il proprio punto di vista: questa fase é dominata dall’egocentrismo. Non si tratta di semplice egoismo o di deliberato rifiuto a compiere atti generosi, bensì di un complesso fenomeno intellettuale che induce il bambino a riferire tutto a sé stesso ed a ritenere che le cose e le persone esistano solo in rapporto ai propri bisogni. Perciò, dal punto di vista sociale, il bambino ha capacità piuttosto limitate. Per Kholberg, trovandosi ad un livello di sviluppo morale di tipo PRE-CONVENZIONALE, i suoi unici codici morali sono:

  • è giusto ciò che voglio e che mi piace;
  • l’unica cosa che mi interessa é evitare una punizione.

Questa modalità di pensiero è simile all’egocentrismo che esprime il deviante nel presentare il suo disturbo nel controllo degli impulsi, la sua intolleranza alla frustrazione e nel costruire una serie di menzogne tese a sfuggire dal proprio disagio e dalle proprie responsabilità.

Verso la fine del settimo anno il fanciullo ha una rapida crescita strutturale; dal punto di vista psicologico si realizzano fenomeni evolutivi importantissimi; per prima cosa il passaggio dall’egocentrismo al sociocentrismo. Il fanciullo si avvia ad agire in conformità a regole, prima familiari e poi gruppali. Ciò implica anche il controllo dell’emotività, dell’impulsività ed il progressivo apprezzamento delle norme del vivere sociale.

Secondo Kholberg il fanciullo passa da un grado di sviluppo morale di tipo pre-convenzionale ad un LIVELLO CONVENZIONALE di moralità. Secondo tale grado di sviluppo i criteri base di pensiero sono:

  • esistono delle regole esatte per ogni cosa;
  • le regole e le autorità meritano rispetto;
  • devo avere l’approvazione degli altri.

A questo livello di sviluppo morale, il bambino é convinto che esistano delle regole precostituite per qualsiasi cosa e che l’adulto sia un indiscutibile esperto. Queste regole sono vissute come se fossero sempre esistite e pertanto sono considerate dal fanciullo come immutabili; non esiste cioè il concetto di convenzionalità.

Tale atteggiamento è spesso quello dei soggetti devianti durante la fase riabilitativa. E’ su questi principi di pensiero che fanno spesso leva le Comunità Terapeutiche. Per questo motivo, talvolta, proprio durante la fase di inserimento, il deviante si trova a fallire l’intero programma terapeutico; quando in pratica, fuori da un ambiente protetto, si trova per la prima volta di fronte alle proprie responsabilità. Il programma prevede infatti, spesso, una massiccia interiorizzazione di regole convenzionali ma, raramente, un addestramento alla ricerca di soluzioni concrete, sane e creative, che possono essere alternative a precedenti pattern comportamentali. I programmi terapeutici insegnano spesso regole ma raramente il metodo con il quale queste si creano o si modificano quando mutano gli schemi di riferimento. E’ su questo punto che credo sia doveroso focalizzare l’attenzione: una competenza sul metodo più che sugli schemi convenzionali, anche se il primo livello di competenza rimane una tappa fondamentale del processo riabilitativo.

Lo stesso lavoro degli educatori sportivi dovrebbe centrare l’attenzione proprio sulla maieutica della regola sociale: creare situazioni problematiche nelle quali il ragazzo sia stimolato a cercare soluzioni e regole, per continuare a giocare con gli altri.

L’ingresso in pre-adolescenza é caratterizzato da nuovi sconvolgimenti sul piano fisico, affettivo ed intellettuale. E’ proprio in questa fase che, secondo Kholberg, raggiunge un livello di SVILUPPO MORALE DI TIPO POST-CONVENZIONALE. Il ragazzo in questa fase comincia a pensare che:

  • le regole siano dettate unicamente da convenzioni sociali;
  • ogni persona abbia dei principi morali propri in cui credere;
  • le regole siano discutibili e opinabili.

Il ragazzo a questo livello, non solo concepisce le regole come frutto di convenzioni sociali ma, alla ricerca di una propria moralità e di un proprio stile di vita, diventa facile contestatore anche delle regole di comportamento più elementari.

E’ in tale prospettiva che si pone il deviante nel momento in cui inizia il proprio percorso regressivo verso livelli di sviluppo morale convenzionali e pre-convenzionale; all’epoca, in altre parole, dei primi contatti con attività delinquenziali. Finché il suo atteggiamento deviante non viene identificato e stigmatizzato dal nucleo sociale di appartenenza, egli si considera un semplice contestatore, fuori delle convenzioni sociali ed alla ricerca di un proprio stile di vita. Nel momento in cui si identifica nel ruolo di deviante, inizia invece ad alternare il suo atteggiamento tra posizioni convenzionali e pre-convenzionali, tra la soddisfazione immediata dei propri bisogni e la ricerca di "cappelli" istituzionali da cui dipendere.

In fase riabilitativa avrà invece paura di assumere posizioni di tipo post-convenzionale, perché convinto di non essere all’altezza di gestirsi secondo propri codici di comportamento, come gli è accaduto nel recente passato. E’ ipotizzabile che il deviante, in fase di riabilitazione, conservi ancora modalità di pensiero proprio della fase adolescenziale, senza aver mai sperimentato la responsabilità di un individuo adulto. Una sorta di arresto alla fase evolutiva in cui, iniziato un percorso deviante, non gli sia stato possibile il naturale passaggio alla fase reintegrativa che adatta l’adulto alla vita societaria.

Un operatore sportivo, psicopedagogicamente preparato, può favorire lo sviluppo sociale del giovane, focalizzando l’attenzione più sul concetto di Fair-Play che sui risultati sportivi (per altro irrilevanti, a livello giovanile).

Alcuni studi di Bredemeier and Shields (1984) indicano che un alto livello di aggressività da parte dell’allenatore dei settori giovanili, correla spesso con un livello di ragionamento morale di tipo pre-convenzionale da parte dei giovani atleti, mentre, a bassi livelli di aggressività da parte del coach, corrisponde un ragionamento morale di tipo post-convenzionale da parte dei ragazzi. Higgins, Power & Kolberg (1984), suggeriscono che le azioni morali dipendono in gran parte dalla definizione di moralità che dà il gruppo, come se l’atteggiamento normativo dipendesse più dal collettivo che dall’individuo.

Secondo questo schema, possiamo parlare di atteggiamento morale di tipo pre-convenzionale in campo, quando domina la propensione al vantaggio personale. I giocatori che credono che sia sbagliato infrangere una regola solo perché sarebbero sanzionati, dimostrano questo livello di ragionamento morale. Generalmente non hanno alcun problema a mettere in atto comportamenti antisportivi e lesivi verso l’avversario, pur di raggiungere il proprio obiettivo.

Al secondo livello (il livello convenzionale, per seguire Kholberg) diventa fondamentale mantenere e rispettare le norme del gruppo sociale di appartenenza (squadra, famiglia ecc.). I giocatori che evitano comportamenti lesivi, solo perché la squadra ne sarebbe penalizzata, senza una loro riflessione critica, dimostrano questo livello di ragionamento morale.

In fine, a un livello più maturo di ragionamento (post-convenzionale nella terminologia di Kholberg), l’atteggiamento morale è guidato da principi più generali. Un esempio di questo tipo di ragionamento morale potrebbe essere quello di un giocatore che rifiuta di danneggiare fisicamente il miglior marcatore dell’altra squadra, ritenendo che il benessere della persona debba essere messo sopra a qualsiasi risultato sportivo.

E’ soprattutto in fase adolescenziale, sotto la supervisione di un educatore psicologicamente preparato, che il ragazzo deve essere guidato verso i livelli di ragionamento morale più evoluti e maturi. La fiducia, la coerenza, l’accettazione, lo stimolo alla riflessione, sono le principali chiavi per il superamento dell’inevitabile conflitto tra adolescenza e mondo adulto.

SPORT, RIABILITAZIONE, INSERIMENTO E DEVIANZA

ASPETTI TEORICI

Le maggiori difficoltà che si incontrano nella terapia dei soggetti devianti, sono da mettere in rapporto con l’esasperante incostanza e demotivazione con la quale questi pazienti si sottopongono ai programmi di trattamento. Essi mostrano particolari difficoltà’ ad affidarsi alle cure, fin dalla prima strutturazione del rapporto col Servizio. I motivi di tale comportamento sono sia da ricercarsi nella particolare modalità relazionale del paziente deviante, sia negli atteggiamenti sfiduciati di alcuni operatori dei Servizi.

Prendere in carico un utente, da parte di un Servizio Sociale, significa avere cura di osservare e di trattare tutte le complesse dimensioni che attraversano il suo disagio. Per fare ciò, sono necessari sia la volontà del paziente-utente di essere presente al Servizio, sia un arco di tempo sufficientemente lungo per potere svolgere il programma di trattamento individualizzato. Proprio questa è la scommessa quotidiana dell’operatore sociale che, attraverso un continuo sforzo creativo, deve "inventare" condizioni che gli permettano di "incontrare" il deviante. Creare strategie di "aggancio" che permettano una continuità di adesione ai programmi di trattamento ed il "mantenimento in carico".

Per esempio nel campo delle tossicodipendenze, la falsa credenza che il farmaco sostitutivo (il Metadone) possa costituire l’unica modalità di aggancio e la comorbilità correlata alla tossicodipendenza fanno sì che, nella maggior parte dei Ser.T, l’approccio iniziale all’utente sia principalmente quello di tipo sanitario e che esso appaia, talvolta, l’unico disponibile durante tutto l’arco del trattamento. Una tale settorializzazione dell’intervento collude con l’interpretazione errata da parte del paziente tossicodipendente, nel definire il proprio disagio come sofferenza del corpo, fondamentalmente in rapporto alla crisi di astinenza. Il risultato di questa modalità di intervento, quando attuata in modo esclusivo, perpetua la tendenza del tossicodipendente a disertare il servizio, perché carente nel fornire delle risposte adeguate alla sua sofferenza. L’operatore del Ser.T., specialmente se non medico, per dotare di significato terapeutico il suo agire quotidiano deve inventarsi perciò’ qualcosa di nuovo.

L’intervento psicologico coincide, talvolta, con la tendenza a riportare tout court le esperienze di formazione ed i setting privati nell’ambiente dei Servizi Territoriali Pubblici. Nell’ambito delle devianze ciò rappresenta il pericolo maggiore, rispetto ad altri contesti: la tendenza dell’utente deviante a "frammentare" la relazione, le difficoltà che quasi sempre egli incontra nel sottoporsi ad una Psicoterapia, unite ad un’organizzazione medicalizzata dei Servizi ed a risapute carenze strutturali, rendono impossibile l’utilizzazione assoluta dei classici strumenti diagnostici e terapeutici a disposizione dello psicologo.

Un’analisi dei carichi di lavoro calcolati su un campione di venti giorni lavorativi di psicologi di un Servizio Sociale. della città di Napoli, ha mostrato come solo circa il 30% delle attività fossero immediatamente riferibili alla prassi psicologica in senso stretto (Colloqui diagnostici, Colloqui di Sostegno, Psicoterapia). Ciò equivale ad affermare che, quantomeno nel Servizio in esame, gli psicologi avessero ridefinito il proprio agire quotidiano nella individuazione di categorie prassiche non convenzionali.

Queste brevi considerazioni in proposito sembrano suggerire che solo utilizzando proposte che possono "catturare" l’utente, entrando in competizione con la devianza stessa, perché egualmente affascinanti, possono permettere al deviante di reggere la continuità dei programmi di trattamento. Le proposte utilizzabili, per una buona qualità dell’aggancio, che consentono l’osservazione ed il trattamento del paziente deviante nel lungo periodo, possono essere ricercate dunque nell’utilizzo di metodologie non convenzionali.

MA PERCHÉ UTILIZZARE LO SPORT NEL TRATTAMENTO DELLE DEVIANZE?

In primo luogo è necessario rilevare che, nella nostra realtà socioculturale lo sport rappresenta un importante momento d’aggregazione spontanea giovanile; esso è perciò facilmente fruibile ed utilizzabile anche in contesti complessi e degradati. C’è inoltre da considerare che lo sport rappresenta una metafora del sociale, con le sue regole e le sue dinamiche psicologiche e, in quanto tale, può essere un utile strumento d’intervento. Per il deviante, la partecipazione al gruppo sportivo è un evento ludico, lontano dalla monotonia e dalla solitudine della condotta delinquenziale. L’adesione alle regole del gioco e della squadra hanno funzione pedagogica e rappresentano momenti alternativi alle regole spietate della "strada" e del gruppo dei devianti. Se è pur vero che la pratica sportiva garantisce nel bambino e nell’adolescente un armonioso sviluppo psicofisico, essa è maggiormente utilizzabile nel trattamento della devianza, utilizzando il gioco sportivo come strumento pedagogico.

Un discorso a parte meriterebbe quello inerente alla possibilità che lo sport offre, riguardo al controllo e alla sublimazione della pulsione aggressiva. Gli operatori sociali sostengono che, nel corso di questi anni di esperienza, non avrebbero potuto osservare ed affrontare con tanta chiarezza le difficoltà che questi giovani incontrano nel riconoscere, e quindi nel gestire, le loro potenti spinte distruttive. Le maggiori difficoltà riscontrate dagli operatori, sono state proprio quelle relative alla gestione del gruppo squadra. In special modo, durante le competizioni, gli operatori napoletani hanno dovuto affrontare imbarazzanti difficoltà di contenimento dell’aggressività degli utenti-atleti. Il maggior impegno degli operatori è stato rivolto quindi all’elaborazione dei numerosi episodi di rabbia esplosiva verificatisi, tentando di canalizzare le potenti spinte distruttive sui binari dell’agonismo sportivo; la situazione sportiva, infatti, generalmente amplifica l’emergere dell’aggressività eterodiretta. Nel caso dell’utente-atleta, l’"esplosione" di questa pulsione è una rappresentazione speculare della tendenza del deviante far "implodere" la rabbia, mortificando la propria esistenza fino ad annientarla. Il significato catartico di questi "agiti", se non compresi ed elaborati, fanno sperimentare all’operatore lo stesso senso d’impotenza terapeutica che egli può vivere nella quotidianità del lavoro al Servizio; l’operatore ha invece la possibilità, con l’utilizzazione del gioco agonistico, di condurre le spinte distruttive verso dimensioni che costruiscano l’incontro con la vita, piuttosto che lo scontro con la morte.

La fase più importante è costituita dalla discussione all’interno dei gruppi terapeutici, i quali garantiscono un momento di riflessione sulla tendenza all’acting-out del deviante. L’intervento prevede pertanto due fasi: da una parte la canalizzazione dell’aggressività all’interno di coordinate agonistiche predefinite, dall’altra, una rielaborazione dei vissuti e delle dinamiche di gruppo, prendendo spunto dall’esperienza agonistica.

L’ESPERIENZA NAPOLETANA

La sperimentazione napoletana dell’impiego dello Sport come strumento riabilitativo, nasce dall’esperienza nell’ambito dell’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Aversa agli inizi degli anni ’90. Questo studio pilota aveva reso possibile, nel 1993, un’analoga sperimentazione all’interno di alcuni Servizi Sociali della città di Napoli ed in alcuni Servizi della stessa provincia. Pur con le differenze relative alla peculiarità dei contesti e delle patologie, l’esperimento, fin dal primo anno di strutturazione, fece rilevare la stessa entusiastica partecipazione di operatori ed utenti..

L’ANALISI DEI RISULTATI DELL’ESPERIMENTO NAPOLETANO

La peculiarità del progetto ha reso necessaria la costituzione di un vero e proprio gruppo di "operatori sportivi", che ha condotto ad interessanti riflessioni sulle modalità generali d’intervento nell’area delle devianze della città di Napoli e della provincia.

METODOLOGIA

Proponendosi il presente Progetto obiettivi di tipo preventivo, terapeutico e riabilitativo, ipotizza l’impiego di una rete di risorse sul territorio della ASL 7.

Per quanto riguarda il territorio del Sulcis dovrebbero essere coinvolti Enti quali il CONI, la FIGC (Settore Giovanile e Scolastico), le Società Sportive, la Scuola, i Comuni, la Provincia, la Regione e per le relative competenze i Servizi della ASL 7 (Servizio di Medicina Sportiva, Servizio Psicosociale, ecc.).

L’aspetto formativo e di ricerca potrebbe essere coadiuvato dall’Istituto di Psicologia Generale e Clinica dell’Università degli Studi di Siena e della Scuola di Specializzazione in Medicina dello Sport dell’Università di Cagliari.

Il principale obiettivo dovrebbe essere quello di costituire delle équipe di studio e formazione, che permettano uno scambio di competenze tra Maestri dello Sport del CONI (aspetti tecnici delle discipline sportive), Insegnati di Educazione Fisica, Psicologi Clinici, Psicologi Sportivi (esperti nel campo della Psicologia applicata allo Sport), Medici dello Sport (per l’aspetto sanitario).

Il progetto verrà strutturato in sei punti, che vanno dalla prevenzione primaria all’inserimento dell’ex-deviante.

  • Prevenzione primaria. Il progetto potrebbe essere attivato dalla Scuola Materna fino alla Scuola Media Inferiore, attraverso i Maestri elementari e gli Insegnati di Educazione Fisica. In questo caso l’intervento sarebbe centrato sulla formazione dei principali vettori educativi quali Insegnanti, Direttori Didattici, Dirigenti di Società Sportive e Tecnici societari. E’ possibile inoltre attivare ulteriori iniziative FAIR PALY che, coinvolgendo direttamente i ragazzi sul tema, permettano una loro migliore sensibilizzazione. Nell’esperienza toscana (1997) furono premiati i migliori disegni delle Scuole Elementari ed i migliori temi degli alunni delle Scuole medie.
  • Prevenzione secondaria. Attuabile nelle Scuole Medio Superiori, con modalità analoghe, ma con l’interessamento attivo da parte degli studenti, che dovrebbero avere il compito di organizzare i propri tornei, coinvolgendo il più alto numero di studenti per classe (possibilmente tutti), secondo il modello del Centro Sportivo Scolastico di Prato.
  • Prevenzione terziaria. Quando ci occupiamo di riduzione del danno fisico (controlli e certificazioni mediche per l’attività sportiva) e relazionale (inserimento all’interno di un tessuto sociale più sano, in un’attività in gran incompatibile con i comportamenti devianti).
  • Accoglienza nel programma. In fase anamnestica, sarebbe utile prendere nota degli eventuali trascorsi e/o interessi sportivi. Successivamente, sarebbe possibile parlare all’utente del progetto come di un’iniziativa sociale, senza focalizzare l’attenzione sui suoi aspetti terapeutici. Proporre i controlli medici di routine, presentandoli come certificati sportivi a tutti gli effetti per valutare a che livello del programma l’utente potrebbe essere inserito. L’ideale sarebbe anche quello di effettuare un profilo psicofisiologico; strumento che consente sia una valutazione della reattività allo stress del soggetto, che un’idea sull’organizzazione della struttura di personalità del medesimo (andrebbero escluse le strutture psicotiche, per il loro rischio di scompenso quando vengono impiegate delle tecniche di trance); il modello, secondo quanto proposto dall’Istituto di Psicologia Generale e Clinica di Siena, consentirebbe un orientamento clinico sul soggetto, senza dargli troppo l’impressione di un approccio psicologico. Al primo livello di apprendimento, il deviante dovrebbe avere subito l’impressione di essere allenato da personale qualificato, supportato da uno staff psicologico e medico. La classica reticenza nei confronti dello psicologo, potrebbe essere by-passata, proponendo lo stesso programma di allenamento mentale che verrebbe offerto ad un atleta di alto livello (tecniche di rilassamento, goal-setting, ecc.). E’ ipotizzabile che tale proposta possa essere più accettabile, perché meno individuabile come psicoterapia, e più gratificante, perché tesa a ristrutturare l’idea di sé come futuro sportivo. All’apprendimento della tecnica base, possono seguire le prime competizioni a ranghi ridotti, prima dell’inserimento nel sistema squadra.
  • Riabilitazione. Una volta raggiunto un sufficiente livello di integrazione, l’utente-atleta sarebbe inserito in attività competitive. Il programma potrebbe essere integrato da tecniche avanzate di Mental Training, unite agli interventi di gruppo. In questa fase sarebbe utile anche l’inserimento delle famiglie nel programma, che potrebbero essere stimolate a seguire anche le competizioni in trasferta, per la ricostruzione di ciò che resta dei rapporti familiari, e la secondaria finalità di promuovere eventuali gruppi di autoaiuto per famiglie di devianti inserite nel programma. A questo livello sarebbe possibile inserire il controllo anti-doping, al posto del controllo urine (messaggio Io come atleta); la positività o la negatività al controllo, sia alle sostanze illegali che al metadone (nel caso di soggetti tossicodipendenti), potrebbero fornire punteggi aggiuntivi o penalità nella classifica generale dei tornei.
  • Inserimento. Dal nostro punto di vista, l’ingresso in un’eventuale rappresentativa dei Servizi Sociali, dovrebbe avere finalità di rinforzo, ed essere permesso solo agli utenti-atleti che, ad esempio, presentano un periodo abbastanza lungo di negatività alle sostanze (magari una stagione agonistica). La fase di inserimento si dovrebbe concludere con l’integrazione dell’utente-atleta all’interno di Tornei Federali. Gli eventuali recuperati potrebbero invece fungere da raccordo tra il Servizio ed i vari livelli del programma, promuovendo l’inserimento di altri devianti in accoglienza, organizzando Tornei. in fase di riabilitazione e fungendo da "apripista" nei programmi di inserimento.

Operatori

Attività

 

Coordinamento delle fasi operative delle unità lavorative interessate al progetto

 

Analisi, studio e messa a punto dei Questionari

 

Attività di monitoraggio degli adempimenti delle Aziende e di organizzazione delle riunioni periodiche con i Direttori Generali e Referenti Aziendali

 

Acquisizione e archiviazione dei dati , elaborazione statistica dei Questionari e Report finale

INDICE
  • PREMESSA*
  • INTRODUZIONE*
  • MA PERCHE’ UTILIZZARE LO SPORT COME VEICOLO PSICO-EDUCATIVO *
  • MA PRATICARE SPORT NON SIGNIFICA TOGLIERE TEMPO ALLO STUDIO*
  • A QUALI PRINCIPI DOVREBBE QUINDI ISPIRARSI UN OPERATORE SPORTIVO ADDETTO AI SETTORI GIOVANILI*
  • LA MOTIVAZIONE ALLO SPORT*
  • MODELLO DI KHOLBERG E DEVIANZA*
  • SPORT, RIABILITAZIONE, INSERIMENTO E DEVIANZA*
  • ASPETTI TEORICI*
  • MA PERCHÉ UTILIZZARE LO SPORT NEL TRATTAMENTO DELLE DEVIANZE*
  • L’ESPERIENZA NAPOLETANA*
  • L’ANALISI DEI RISULTATI DELL’ESPERIMENTO NAPOLETANO*
  • METODOLOGIA*
  • FASI PROCEDURALI *
  • OPERATORI

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