La fattoria della Fratta, tuttora molto estesa, comprendeva fino alla fine del secolo scorso moltissimi poderi tra Bettolle e i monti di Abbadia Sicille tanto che il complesso degli edifici destinati alla conservazione dei prodotti impressionarono non poco il Gherardini, il quale, nella sua relazione, descrive in modo sommario le bellezze architettoniche della casa padronale, ma puntualizza che la vera meraviglia sono le fabbriche, ad essa attigue, e cioè i grandi fabbricati per l’immagazzinamento.
Per tentare di ricostruire l’aspetto ambientale, strettamente legato alla fattoria della Fratta, vediamo un episodio di vita, come scrive il Del Corto: «[...] non perché racchiude una considerevole importanza istorica, ma perché rivela alcune particolarità di costumi» (G.B. Del Corto, Storia della Val di Chiana, Arezzo 1898). Si tratta di un documento relativo alla visita fatta da Cosimo II nel 1612 in Valdichiana, scritto da mons. Diumurgo Lombardi, al seguito del Granduca. La relazione è molto dettagliata e racconta dei luoghi visitati, delle accoglienze e dei regali ricevuti. Il corteo principesco fu ospite della Fratta dei Gori Pannilini i quali, oltre all’ospitalità offrirono al Granduca i prodotti delle loro terre. E a proposito di regali, lo scrupoloso Lombardi prende nota di tutto, e così veniamo a sapere che nel breve tragitto tra Monte S. Savino e Cortona, passando per la Fratta, Cosimo II ricevette in dono: 3 vitelli, 8 castrati, 8 agnelli, 26 paia di piccioni grossi e 30 paia terragnoli, 54 paia di starne, 276 capponi, 16 polli, 18 oche, 10 lepri, 8 prosciutti, 40 fiaschi di vino, una gabbia di ortolani, due casse di frutta, ecc.. Riportando l’elenco il Del Corto commenta: «Sembra che alla corte di Cosimo II non mancasse l’appetito». E ci sarebbe da aggiungere che questa fu solo una parte della visita in Valdichiana; ma in questa sede non ci interessa analizzare i costi di mantenimento della corte medicea, quanto piuttosto prendere lo spunto per trattare l’aspetto ambientale della zona.
L’elenco dei regali si presta a due considerazioni apparentemente in antitesi: o la storia dell’impaludamento della valle era meno grave di quanto si dicesse, oppure il principe avrebbe fatto meglio a rifiutare tanti regali da chi non aveva molto da regalare. In effetti il discorso è più complesso e sono valide tutte e due le ipotesi. È indubbio che la valle non era più quella degli Etruschi e dei Romani: la palude c’era eccome, ma si trovava in una posizione di equilibrio instabile.
Parlando di una zona compresa tra la confluenza della Foenna nella Chiana e Foiano, Giovan Battista Adriani, nella metà del xvi secolo dice che le acque non scolano bene «… benché continuamente si veggano correre, danno più sembianza di palude che di fiume; onde il terreno ne è pieno e pregno, e la terra sì tenace che con tutto non vi sia molto profonda l’acqua non concede però il passo a cavalli» (G. B. Adriani in G. B. Del Corto, cit.). Lo stesso Adriani descrive però le adiacenti colline senesi come: «... piacevoli e fruttifere». Da ciò quindi, sembrerebbe emergere solo un impaludamento nella zona centrale, se non fosse per il contrasto con tante altre notizie che ci riportano al punto di partenza.
Nel 1297 vengono venduti ad Arezzo 22 mila staia di grano raccolto nei campi che l’Adriani dirà poi impaludati. Fin dal xii secolo in Valdichiana si attua la mezzadria. Nel xiv secolo è documentata una fiorentissima esportazione di prodotti agricoli. Nel xv secolo si usava mandare le mandrie in Maremma… In altre parole, e per tornare ai 276 capponi ecc. donati a Cosimo II, è da ritenere che, malgrado la palude, la valle, o almeno parte di essa, fosse abbastanza interessante sotto il profilo agricolo.
Detta così può sembrare un’analisi molto superficiale, e sotto molti aspetti lo è, ma forse con questa premessa sarà più facile capire l’impegno, spesso al limite della cocciutaggine, con cui la Comunità affrontava il problema degli scoli delle acque: il terreno, nel suo insieme era inteso come un bene collettivo e tutti dovevano concorrere a mantenerlo sano. Inoltre, chi più aveva da guadagnarci, più doveva spendere. Sani principi se fossero stati messi in pratica da tutti ed allo stesso modo. Il fatto è che ognuno aveva un approccio diverso con il problema mentre la delicatezza del sistema avrebbe richiesto un coordinamento perfetto.

LA FRATTA

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Nella zona uno dei punti a maggior rischio era quello dei Prati (oggi Prata); una vasta area pianeggiante sotto Sinalunga, che raccoglieva tutte le acque delle colline circostanti e che scaricava nella Foenna. Ma la pendenza era così minima che era sufficiente una piena (con il relativo trasporto di un po’ di detriti e il conseguente innalzamento del letto del fiume) per rendere impossibile lo scolo e automatico l’impaludamento. Un problema di non poco conto se si pensa che nel xvii secolo il Gherardini, nella sua relazione al Granduca sulla situazione dei territori dello Stato Senese, scriveva a proposito delle Prata: «[...] Stanno per lo più le dette praterie sott’acqua con danno dei Padroni, e della Sanità degli abitatori della Terra e Corte, che hanno fresca la memoria del danno, che gli cagionarono le dd. acque, e praterie nell’anno 1667, come essi dicono, nel quale passarono a miglior vita in detta Terra in una sola Estate sopra 500 persone». Si noterà come il Gherardini citi prima i danni “de’ padroni” e poi i problemi di sanità degli abitanti: buona parte del problema sta in questa citazione.
Con l’andare del tempo il letto della Foenna si alzò di circa mezzo metro rendendo impossibile lo scolo delle Prata; problematico il drenaggio dei campi della Fratta e difficoltoso il lavoro del Molino di Monte Martino. Il rimedio da mettere in atto, anche se apparentemente semplice, di abbassare il letto del fiume, si rivelò molto difficile da realizzare a causa degli interessi privati. Il letto più alto della Foenna, nella zona delle Prata, consentiva infatti un miglior drenaggio nelle tenute di Bettolle della Sacra Religione di S. Stefano (una sorta di Ente Cavalieresco fondato da Cosimo II e quindi molto legato alla Corte fiorentina). Furono chiamati esperti ingegneri a studiare il problema, furono proposti progetti alternativi come quello di un nuovo canale che, partendo dalle Prata, passasse sotto il Galegno e la Doccia, per fare poi un’ampia curva verso la Fratta e, quindi, confluire nella Foenna a poche centinaia di metri dalla Chiana. La faccenda però finì in tribunale con grande dispiegamento di esperti e avvocati già in fase di progettazione.
Possiamo sintetizzare tutta la lunghissima causa con due citazioni tratte dagli atti del processo pubblicati in Decisione degl’Illustrissimi Signori Neri Venturi, Niccolò Incontri, Carlo Niccolò Villani nella causa tra l’Illustrissima e Sacra Religione di S. Stefano e la Comunità ed Uomini di Sinalunga, Siena 1737: «[...] E cominciamo dall’asciugamento del Piano, o vogliamo dire de’ Prati, il fondamento della nostra risoluzione s’è stabilito sopra un principio certo, è indubitato cioè, che allor quando concorre una ragione di pubblica utilità, a fronte di essa non debbano attendersi rigorosamente i diritti del dominio privato» (relazione p.6). E allora viene da domandarsi perché si ricorse ai giudici.
«[...] Cotesto scolo nelle parti vicine allo sbocco, quando succedono i rigurgiti della Chiana, affatto riempiendosi spagliasse sopra i terreni, e ciò per aver letto nella Relazione del P. Ab. Grandi al n. 37., che esso ne’ tempi delle gagliarde piene suol traboccare; anche parevami, che quanto più, l’acqua venisse di sopra, tanto più fosse per versarne di fuori...» (relazione p. 35). Affermazione che non chiarisce certo i motivi dell’opposizione ai lavori di bonifica che, tra un dissidio e l’altro, si protrassero fino agli inizi del nostro secolo.
Il problema, certamente, non era di facile soluzione, se è vero, come risulta dai calcoli dell’ingegner Alessandro Manetti, Soprintendente ai lavori nel 1800, che ogni anno oltre 867 mila metri cubi di terra giungevano in valle trasportati dai corsi d’acqua.
Sotto Leopoldo II il piano di Sinalunga, fino alla Fratta, subì un importante processo di bonifica, ma poi i lavori subirono un’interruzione a seguito dei fatti che portarono all’unità d’Italia.
Nel 1881 il Parlamento italiano varò un grandioso progetto per il completamento della bonifica che prevedeva, tra l’altro, la suddivisione in fasce di priorità per la manutenzione ordinaria dei corsi d’acqua. La Foenna fu inserita nel perimetro delle opere di 2ª categoria, come tutta la valle, mentre i suoi affluenti – inspiegabilmente – non furono inseriti neppure in quello di terza. Il risultato fu la tremenda alluvione del 1897 che vide sommersi i campi di tutto il piano di Sinalunga, dalla stazione di Rigomagno fino al piano tra Torrita e Bettolle.
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