In un estimo del 1320 è attestato la presenza di un «hospitalis S. Iohannis» unitamente al «castellare di Sancto Iohanni» (Alfredo Maroni, Prime comunità cristiane e strade romane nei territori di Arezzo - Siena - Chiusi, Siena 1973).
La chiesa di S. Giovanni, ubicata tra i torrenti Doccia e Galegno, e più volte menzionata nei documenti, era probabilmente la cappella della comunità della Fratta, anche se, nello stesso periodo, è documentata un’altra chiesa con il nome di S. Lorentino de Fratta (vedi P. Guidi, Rationes Decimarum, Tuscia I, in ‘Studi e Testi’ n. 58, Roma 1932, e A. Maroni cit.), della quale non si conosce l’ubicazione esatta e neppure la consistenza. La sua presenza è attestata unicamente dal pagamento di decime. Si può, quindi, solo supporre una piccola chiesa all’interno del borgo che, al pari di questo, fu interessata dalle grandi opere dei primi del Cinquecento che modificarono radicalmente la struttura della Fratta. La nuova chiesa prese le caratteristiche di cappella gentilizia e fu dedicata a S. Michele. Un cappellano pagato dal proprietario della fattoria vi celebrava la messa tutti i giorni festivi, ma la gente dovette continuare a servirsi anche della chiesa di S. Giovanni, se fatti di vita come quello di Brandano, descritto più avanti, si verificarono nella chiesa di campagna piuttosto che in quella della fattoria, e se è giunta fino a noi ancora consacrata.
La comunità della Fratta appartenne alla curia di S. Pietro ad Mensulas fino al 1649 quando, per venire incontro alle esigenze della popolazione, che nei mesi invernali trovava difficoltà ad attraversare due fossi per recarsi alla chiesa plebana, fu affidata alla curia di Torrita (Libro di memorie, fine Seicento - inizi Settecento, Archivio Collegiata di Sinalunga), mentre, la cappella di S. Giovanni restò a quella della pieve di S. Pietro ad Mensulas che l’amministra tuttora. Recentemente la Fratta è stata tolta alla curia di Torrita ed affidata a quella di Guazzino.
Legato alla cappella di S. Giovanni, come abbiamo accennato, è un episodio che accadde nella prima metà del ’500 e che, malgrado il tempo passato, se ne conserva ancora memoria. Il fatto è relativo alla vita di Bartolomeo Carosi detto Brandano e noto come “il pazzo di Cristo”, una sorta di santone che andava predicando la fede tra Siena e Roma ed a cui venivano attribuite profezie di vario genere.
«[Brandano] giunse verso la Fratta, e trovò il Signor Emilo Pannilini molto suo amico, e gli disse: Emilio datemi uno scudo ed egli rispose, che cosa vuoi tu fare di uno scudo; e detto Signore dette ordine al suo Servitore, che desse uno scudo a Brandano: e la mattina veniente Brandano fece fare un chiodo, e lo portò a casa del suddetto Signor Emilio, e gli disse: tenete Sig. Emilio conficcate la ruota della vostra fortuna, dicendogli che la casa Pannilini doveva cascare a basso, ma che poi sarebbe risalita, e poi si mise a predicare nel medesimo luogo, e disse: o Fratta, o Fratta quando questa Croce sarà coperta dalla terra, sarà finito il mondo da tanti guai, e con la sua Croce ne fece una nella pietra ed in fino al dì d’oggi si chiama la Croce di Brandano». (Anon., Vita di Bartolomeo Garosi detto comunemente Brandano, contenente la sua nascita azioni profezie e morte, cavata da un Autore de’ suoi tempi, Siena 1801).
Il fatto ebbe un seguito che vale la pena ricordare, anche se si conosce solo l’effetto finale e non la causa che lo provocò. Erano passati circa 150 anni, la Croce di Brandano era ancora lì sul muro della chiesa (non si sa esattamente dove) a ricordare la sua profezia apocalittica. Il nuovo proprietario della fattoria era Augusto Gori Pannilini che, a quanto si dice, non era tipo da dare ascolto a certe cose (oppure non ci credeva perché, come si sa, “porta male”); quando, forse a causa di lavori presso la chiesa, o forse perché qualcuno aveva previsto un’alluvione (la chiesetta sorge in una piccola valle tra due torrenti dagli argini molto alti), sorsero delle perplessità in merito alla sicurezza della croce. Così, giusto per dare una mano alla provvidenza, il Signor Augusto la fece togliere dal luogo originale per murarla più in alto, ponendo a ricordo anche una lapide che riporta la profezia e l’anno dello spostamento: il 1699. L’episodio è ricordato dal Pecci (che conosceva il Pannilini) solo pochi decenni più tardi ed è quindi sicuramente vero, ma è singolare che la croce e la lapide commemorativa, messa da Augusto Gori Pannilini, non si trovi all’interno nella parete destra, tra la porta e una finestrella, come ci racconta il Pecci, ma all’esterno.

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