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Cap. VIIDove l’uomo saggio è d’accordo col giovane dissennato I monologhi di
Estrella erano piacevolissimi, specialmente per lei medesima: è umano che chi
è stato taciturno per mesi e mesi e non ha avuto per interlocutore che uno
specchio (tranne qualche ora ogni tanto di conversazione artistica o letteraria,
filosofica o politica con rispettosi visitatori), goda quando gli è dato alla
fine conversare su ogni sorta d'argomenti, aprire l'animo proprio a un compagno
sia pure poco loquace, ma disposto ad ascoltare. Non è lecito, d'altra parte,
affermare che don Giovanni ci si annoiasse o non ne ricavasse nessun costrutto.
Nuovo affatto a quel genere di conversazione, massimamente alle storie parallele
con dimostrazioni pratiche che Estrella gli impartiva, aveva molto da
apprendere e molto da dilettarsi. Sicché egli fu, quindici o venti o
venticinque giorni - nessuno li contò - il più attento degli ascoltatori e
il più docile degli allievi della vivace ed erudita maestra. Sennonché egli,
così giovane e così inesperto alla vita che si vive fuori dei conventi e dei
collegi, era uno di quei precursori dell'uomo moderno (che col beneplacito dei
novecentisti, rimontano fino alla più remota antichità), pei quali il mondo
non è fatto soltanto di apparenze, né l'esistenza si limita ad alcuni
determinati e comuni fenomeni fisici. Era di coloro che secondo Buffon vanno
classificati in un sottogenere di primati che egli denominò scentificamente homo
duplex, illustrato soltanto nell'epoca moderna da un tardivo zoologo dello
spirito, che si chiamò Carlo Baudelaire, così: «Chi fra noi non è un homo
duplex? Io intendo parlare di coloro che hanno avuto
fin dall' infanzialo spirito touched
with pensiveness; sempre doppi, azione e
intenzione, sogno e realtà; sempre l'uno nocivo all'altro l’uno
usurpatore della
parte dell'altro.
Alcuni fanno lontani viaggi, da un cantuccio di focolare di cui misconoscono la
dolcezza; altri, ingrati verso le avventure di cui la Provvidenza fa loro dono,
carezzano il sogno di una vita casalinga racchiusa in uno spazio di pochi
metri… I1 nostro don
Giovanni, dopo aver gradito molto la nuova musica che Estrella sapeva eseguire
sulla tastiera dei suoi sensi - vogliamo proprio dire dei cinque sensi, e in
tutti i sensi - abituati al parco regime conventuale; dopo essere stato, durante
un numero impreciso di giorni o di settimane, deliziosamente sopraffatto e
stordito, cominciò a poco a poco a riprendere possesso di sé. Sui sensi,
insolitamente curati e vezzeggiati, cominciò a sovrapporsi il sentimento, il
criterio raziocinante, la critica e l’autocritica. Fu, dapprima,
nella sua coscienza dolcemente sdraiata sul benessere fisico e annebbiata
dall'ambrosia dei piaceri, il baluginio di un'immagine soave, il risorgere di
un piccolo sole che era tramontato sì, da giorni, ma per percorrere una parte
della sua orbita durante la notte sensuale che egli aveva vissuto. Ora esso
tornava a gettare una luce sulla sua anima abbrutita. (Questo attributo
dell'anima di don Giovanni non è nostro, teniamo a dichiararlo, ma proprio suo:
se dovessimo, anzi, esprimere un parere, non esiteremmo a definirlo
esagerato). L'astro luminoso
che tornava ad albeggiare nel cielo interiore del nostro eroe altro non era - è
facile intenderlo - che il ricordo della leggiadra fanciulla incontrata in un
albergo sulla strada fra Salamanca e Siviglia, e alla quale egli aveva sacrificato
ogni suo avere per offrirle un messaggio amoroso in versi. Sulle prime la cara immagine fu muta.
Si limitò a mostrarsi per paragonarsi a Estrella e, com'era da aspettarselo,
vinse il confronto. Neanche questo è giudizio nostro, anzi lo riteniamo
eccessivo anch'esso; ma i gusti son gusti: noi stiamo per Estrella, il nostro
don Giovanni diede i suoi suffragi alla sconosciuta per varie ragioni. Agli
occhi suoi, oltre essere più bella, aveva altri pregi incomparabili: era una
fanciulla, era di nobile casato, era un giglio di purezza, un angelo di bontà,
una dea di gentilezza e di grazia ... Peggio avvenne quando l’immagine
diventò parlante. Gli parlò di cose delicate e gravi, con fare cattedratico, né
più né meno che se fosse stata la voce della coscienza; gli toccò certi tasti
che emisero suoni dolorosi nella sua anima, risonante come la volta di una
cattedrale. - Così mi avete
messa da canto, signor cavaliere ? Dove sono andate le vostre proteste amorose,
le frasi ricercate, in versi per giunta, con cui mi volevate dare ad intendere
che io fossi il principio e il fine della vostra vita? Per me le parole e per
le altre i fatti... e che fatti! Convivere maritalmente con una donna che le
mie caste labbra non osano definire. Lasciarsi mantenere da una mantenuta! Un
marchese, un conte e un duca pagano i vostri piaceri e vostri lussi, per
l’interposta persona della loro sultana. Ahimè, a qual grado di abbiezione
avete abbassato il nome dei conti di Marana ! Lo scrupolo che
la vaga immagine ribadiva nell'animo del giovane, pure dopo che Estrella aveva
scritto ai suoi protettori sciogliendoli e sciogliendosi da ogni impegno, ebbe
un'improvvisa ripercussione, nelle risposte che il conte di Peňaflor e il
duca d'Olmedo mandarono quasi contemporaneamente alla loro scaduta pupilla. «Molto onorata
signora, - scriveva il conte - non esistono parole per esprimere l'ammirazione
che io nutrivo per la vostra ornata persona, quando mi era concesso godere della
preziosa sua visita. Ma l'ammirazione di prima non era ancor nulla in confronto
con quella di oggi, dopo il vostro congedo che mi ha profondamente commosso. La
vostra delicatezza, il tatto squisito che avete mantenuto fino
all’ultimo, meritano il mio perenne ricordo e la mia riconoscenza, che
vi prego gradire sotto la forma di sei sacchi da mille dobloni in puro oro della
Bolivia, di cui è caricata la mula bianca che i miei staffieri scortano e vi
consegneranno insieme con la presente. «Ricordate ogni tanto il vostro
devotissimo e sempre memore amico «
Don Blasco Ximenes y Formentera y Nunez y Torre Hermosa, conte di Peňaflor,
barone di Entre Rios Blancos de Estremadura, commendatore della Croce di Malta,
grande di Spagna di prima classe, cameriere segreto di S. Santità, cav. del
Santo Sepolcro ecc. -
P. S. Vi supplico trattenere anche la mula bianca.» -
La lettera dell' altissimo duca d'Olmedo era così concepita : « Nobil signora
donna Estrella di Siviglia., «La mia
grandezza non ha che a lodarsi di Vostra Signoria; durante i sei mesi della
Nostra convenzione e sino alla scadenza siete stata superiore a ogni elogio.
Ve ne dò atto con la mia tenuta di Vaccarilla in provincia di Cordova che io vi
cedo, come ne fa fede il documento notarile che vi sarà consegnato dai messi
che vi portano il mio saluto. " Yo, El Duque „ - Che ne dici,
mio bel don Giovanni ? - esclamò divertitissima Estrella, mostrando al suo
amico le lettere, i dobloni, la mula e l'atto tabellionico - Non suonerà male
chiamarmi donna Estrella di Siviglia y Vaccarilla. - Suona come I'
oro! - affermò il Maggiordomo che era presente, e fissava i sei sacchi con
occhi lustri. Quel giorno
stesso, nel pomeriggio, mentre la padrona di casa faceva la siesta, il
Maggiordomo e don Giovanni ebbero modo di trovarsi insieme soli. Entrambi
avevano qualcosa d'interessante da dirsi. Siamo in grado di riprodurre il loro
dialogo senza ometterne sillaba. Maggiordomo : - Finalmente
i numi benigni che vi hanno preso sotto la loro egida, consentono anche a me il
particolare favore d'intrattenervi un pochino. Non vi è discaro sottrarvi dieci
minuti alla vostra più che illustre amica ? Don Giovanni:
- No, no ... discorriamo pure. M : -- Con
qual tono melanconico lo dite! Mi sembra di riudire la vostra voce di quella
notte, quando ebbi l'onore di fare la vostra conoscenza e mi raccontaste dei
particolari del vostro passato, remoto e prossimo… Strano ! Io vi immaginavo
di ottimo umore. D.
G.: - Mi vorreste incosciente a tal
punto? M.:
Oh incosciente poi!... Che motivi di malumore potreste avere ? Non si sta
bene, anzi arcibene, qui? Vedete come si consolida la mia pinguedine, che la
vitaccia d'albergo di prima aveva seriamente compromessa ?
Non faccio nulla, è vero, e l'ozio mi pesa più di qualsiasi fatica; ma
ricevo un trattamento soddisfacente, e ne ho d'avanzo per le mie modeste
occorrenze. Voi mi sembrate invece un po' più palliduccio... Capisco che la
vicinanza di una bella figliuola sciupa un tantino; ma voi vi alimentate in
modo adeguato... donna Estrella ha per la vostra salute sollecitudini, starei
per dire, materne... O forse cotesto pallore non ha origini vegetative, e deriva
piuttosto da velleità sentimentali ? - Non dire
sciocchezze. I1 disagio morale non è sentimentalismo. - Signore, se mal
non mi appongo, per voi l'agio morale sarebbe il ritrovarvi ad un tratto ricco,
nobile e sposo felice della vostra bella sconosciuta, con una mamma principessa
e un babbo grande almirante di Spagna, il tutto per volontà del buon Dio.
Eppure, quando prendeste quella risoluzione che sappiamo voi ed io, vi
dichiaraste pronto ad ,accettare qualunque rischio, a correre
qualsiasi avventura. L'avventura vi si offrì appena scendeste le scale del
palazzo fatidico; e fu avventura facile e comoda. Adesso mi saltate su a cercare
il pelo del disagio nell'uovo della moralità. Ditemi piuttosto francamente che
già siete stufo della donna più celebre di tutta Siviglia... - Sarebbe
ingiusto da parte mia dir questo. Piuttosto mi sento rinchiuso come a Salamanca,
passato da una segregazione all’altra. Essere il prigioniero amoroso d'una
donna, per quanto attraente e premurosa essa sia, comincia ad avvilirmi. - Ecco, ecco:
l'argomento mi persuade. Non so darvi tutti i torti. Riconosco che non è piacevole
starsene sempre adagiato, anche se il vostro giaciglio, o talamo che dir si
voglia, è di piume e di seta. Anch'io ne godrei limitatamente. Vi dicevo
dianzi che lo starmene senza far niente mi è di peso, al punto che finirò col
rinunziare ai comodi che qui mi vengono largiti nella qualità di vostro
servitore. Quindi, v'intendo e vi
giustifico. Cosa pensereste di fare ? - Andarmene. - Adagio. Non si
può spiattellare una simile idea in faccia a una persona dello stampo di
Estrella. Voi siete, senza dubbio, in pieno diritto di andarvene, o per lo
meno di riprendere la vostra libertà di azione. Voi possedete un palazzo .... - Possiedo?... - Possedete! Diamine! Chi ve lo
contesta? In faccia a tutta Siviglia e al resto del mondo, il palazzo ove
arrivaste e, quel che più importa, da cui mille persone vi videro fare la
vostra uscita trionfale, appartiene a voi per voce di popolo e, dato
l’intervento della provvidenza che ci ispirò e ci condusse, per voce di Dio.
Nessun proprietario più legittimo di voi si è finora presentato... - Che ne sai? - Diamine!
Credete che me ne sia stato tanti giorni con le mani alla cintola? Sono tornato
più di una volta sul luogo, ho rivisitato l'appartamento e i locali annessi, ho
fatto rabberciare il portone compromesso dai vostri calci, vi ho fatto adattare
una toppa nuova e nuovi gangheri. Fingendomi estraneo ho investigato presso i
vicini, ho scartabellato in uffici civici, e mi sono così accertato che da
tempo immemorabile la casa è abbandonata, che non esistono né in Siviglia né
in Andalusia eredi, parenti diretti, collaterali, usufruttuari, che abbiano mai vantato la minima pretesa su di
essa. Quindi è vostra. - E se venissero chieste le prove di questa proprietà... anzi quella
della mia identità? -
Per la terza volta diamine! E qual è il gentiluomo di Spagna e dell'intera
Europa che cammina colle prove della propria identità in tasca? Voi siete stato
sempre fuori, avete passato la vita viaggiando, siete nato, per esempio, a
Smirne e al Cairo, ove non esistono registri parrocchiali per le nascite, i
battesimi e le morti degli stranieri cattolici; il conte vostro padre e la
contessa vostra madre erano troppo superiori alle quisquilie registratorie, e si
limitarono a farvi battezzare in casa e a iscrivere la vostra nascita negli
archivi di famiglia. Gli archivi esistono nel vostro palazzo, sotto una spanna
di polvere e di ragnatele, è vero, ma io li ho già sondati con un dito. Io
sono anche il vostro archivista, io annoterò nascite e morti dell'ultimo quarto
di secolo... - Ho capito. Tu
vuoi che rischiamo la forca. E sia pure. Ho accettato l'avventura, e non me ne
ritrarrò al punto in cui può diventare più bizzarra. Andremo al palazzo. - Questo sì che
si chiama ragionare! Affidatevi a me. Penserò io a presentare la cosa nel modo
più garbato ad Estrella. Pazientate ancora qualche giorno: datemi il tempo di
convincere la poco-amata molto-amante e poi di rendere discretamente abitabile
la vostra magione avita. Cap. VIIIIn cui si dimostra che in amore è più forte chi ama meno. Il sole della
mattina dopo trovò al suo sorgere che il Maggiordomo l'aveva preceduto. Stava costui nel
giardino, seduto presso la balaustra, intento a cercare in sordina un motivetto
sulle corde di una chitarra. Non possiamo garentire se inavvedutamente, s'era
andato a collocare di fronte alla finestra della camera da letto di Estrella,
alla quale quel ronzio giungeva lieve lieve nel sonno, attraverso le stecche
abbassate delle gelosie, disegnandole trame di sogni primaverili, tra dolci e
molesti. Le pareva trovarsi in campagna, a guardare due bellissime farfalle che
volteggiavano insieme in giri leggiadri, seguite insistentemente da un calabrone,
che le veniva ammonendo col suo verso monotono. A un tratto
l'insetto importuno si volse verso di lei e le venne a ronzare proprio vicino
all'orecchio. Essa fece moto per scacciarlo con la mano, e si destò. I1
calabrone non c'era; ma restava nell'aria il suo suono, anzi il suono di una
chitarra. Chi osava suonare nel suo giardino mentre lei dormiva? Scivolò giù
dal letto, indossò una vestaglia di raso cremisino, calzò le babbucce di piume
di àrara e s'affacciò alla finestra. Scorse il Maggiordomo. - Che fai tu li?
- gli chiese, un po' meno crucciata che se avesse trovato un altro. - Buon dì alla
stella che vince il sole! - salutò l’uomo di lettere e filosofia - ripasso da
modesto orecchiante una vecchia aria, una barcarola che vorrei tener pronta per
la festa di domenica. - Che festa ? - La grande festa
floreale sul fiume, per la ricorrenza dell'Assunzione, non lo sapete? Voglio che
vostra barca figuri bene, anche per suoni e canti. - La mia barca ?
e chi ti ha detto che io andrò barca alla festa floreale ? - Vi abbiamo
sentito esprimere 1' intenzione di andare prima o poi in un posto mondano, col
mio signor conte. La festa di domenica avrà un carattere elegante e
aristocratico che si confà a lui, meglio di una corrida o d'un ballo
campestre... Estrella
contrasse le belle arcate di velluto delle sue sopracciglia e aprì la bocca per
esprimere il suo risentimento contro un servo che osava im mischiarsi e dar
giudizi e anticipare le risoluzioni dei padroni ; ma egli non gliene diede il
tempo e concluse col più melato dei sorrisi: - ... e il signor
conte sarà lieto di figurarvi accanto alla più sfolgorante bellezza sivigliana.
- Te 1'à detto
lui? - domandò, placata, Estrella. - Oh, egli non mi
dice nulla. Non occorre che mi dica mai nulla. lo ho l'onore di essere stato il
pedagogo della sua infanzia ed in seguito il suo uomo di fiducia, ho avuto modo
di plasmarlo prima e poi di leggere a menadito nei suoi pensieri e nei suoi
desideri, e prevenirli a tempo. Estrella lo guardò
un momento, con l'aria di chi è poco persuaso. Poi gli chiese : - Dov'è egli? è
già alzato anche lui? o dorme ancora? - Credevo lo
sapeste meglio di me. E' nella sua camera. Ma non dorme; i suoi pari non dormono:
o sognano o riposano. - Vieni su,
pedagogo: facciamo due chiacchiere fra noi. Il Maggiordomo
montò le brevi scale con la lestezza consentitagli dai suoi anni moltiplicati
pel suo peso e divisi per le sue segrete intenzioni. - Eccomi agli
ordini di Vostra Bellezza! - disse con bel garbo, inchinandosi, quando fu
dinanzi a Estrella. - Di un po',
briccone, - lo apostrofò costei senza preamboli - che cos'ha don Giovanni da
star sempre così seccato? L' uomo di
fiducia ringraziò mentalmente Iddio della facilità che gli veniva offerta di
svolgere i suoi argomenti. - Oh, nobile
dama, voi non intendete che la vostra domanda mi obbligherebbe a sollevare un
lembo delle più delicate intimità del mio padrone? - Nientemeno?
Solleva pure ; tanto, io voglio vederci dentro. - So che metterei
i suoi segreti in buone mani... Ma voi mi promettete di non lasciarvi sfuggire
un ette di quanto vi direi? Me lo giurate su nostra Donna del Pilar, di cui
siete tanto devota? - Te lo giuro.
Chiacchiera. - Ebbene,
sappiate che il mio padrone è angustiatissimo di non aver ricevuto finora un
certo messaggio. - Messaggio? Vuoi
dire una lettera da una donna? - Messaggio non
significa letteralmente una lettera, perdonate l'allitterazione. Nel nostro
dovrebbe essere un uomo che porta la notizia, o una lettera o qualche altra
cosa, specialmente qualche altra cosa. - Senti, pedagogo
e uomo di fiducia, io non sono di molta pazienza. Sii esplicito con me, e fa
presto. - Io m'ingegno
sempre a correggere con la forma eletta il contenuto sgradevole e volgare. Così
c'insegnò il Creatore del mondo, che fece tanto bella la vita per nascondervi
sotto malefizi, miserie, dolori e dannazioni. Pazientate, donna Estrella, mi
spiego: malefizi e dolori si annidano sotto l'avvenente apparenza del mio
nobile signore. Prima di giungere a Siviglia egli ebbe la malaugurata ispirazione
di soffermarsi a Granata, in un albergo di lusso, ove s'incontrò con alcuni
stranieri di belle maniere che lo indussero a partecipare seco loro a un gioco
di carte semplice e innocente che si chiama faraone, pur non avendo nulla
in comune con gli antichi sovrani d'Egitto. Il mio signore ci si divertì molto
sulle prime; qualche colpo perduto lo eccitò come l’odor della polvere e il
clamore della battaglia eccitano il generoso destriero; qualche altro gli fe'
perdere il controllo di se stesso: né solo quello perdette, ma anche tutte le
somme che aveva nella sua borsa e
nella sacca a me affidata, più anelli e una collana e quant'altro di oggetti
preziosi portava sulla sua persona. Breve: più di duemila dobloni sono stati
immolati al perfido faraone, e noi restammo privi di risorse
nell'albergo. Per ripartire, la mattina dopo, bisognò che lasciassimo in
pegno all'alberghiero strozzino le nostre valige... Ecco perché arrivammo a
Siviglia coi nostri costumi più frusti. - E voi due - notò
Estrella, piuttosto impressionata, - vi siete lasciati derubare in tal modo da
quegli stranieri? - In condizioni
normali non sarebbe mai avvenuto, mia preziosa signora. Io non sono un asino,
e il mio padrone non à trovato finora chi lo infinocchiasse. Ma essi usarono
mezzi illeciti per conturbare i nostri intelletti: ci propinarono un vino
traditore che bolle appena versato nel bicchiere, anche se gelato, un vino del
loro paese che pizzica deliziosamente il naso, il ventre e il cervello. Forse
era affatturato e impedì al signor conte di accorgersi delle magagne con cui
manipolavano le carte. La mattina dopo egli voleva bensì, con la spada in
pugno, ottenere la restituzione del mal tolto: ma i falsari erano già uccelli
di bosco e non ci diedero adito a rintracciarli. Estrella, smessa
la sua aria aggressiva, rimase un istante pensierosa. - Perché -
domandò infine - tu hai dato ad intendere che egli fosse don Giovanni ? I1 Maggiordomo
cadde dalle nuvole con tanta naturalezza, che perfino il più indurito degli
scettici ne sarebbe rimasto scosso; figuriamoci Estrella che per quanto
intelligente e arguta, era sempre una buona figliola. - Oh bella!...
Scusate, veh, ma dovete sopportare che io dica che la sarebbe da ridere!...
Egli è don Giovanni perché il suo nome di battesimo è Giovanni, e gli spetta
il «don» perché è cavaliere. Ora vi
prego confutarmi, oltre questi due capisaldi del mio buon diritto a chiamarlo
come deve essere chiamato anche la mia asserzione, solida quanto un baluardo,
che egli appartiene alla famiglia Tenorio, conti di Marana. - Beh, senti, -
concluse Estrella - ormai la sua genealogia non m'interessa un gran che. Finisci
di spiegarmi la faccenda di Granata e del suo malumore. - A un animo
sensibile quale il vostro non è difficile intendere la sensibilità altrui.
Rimasto senza il becco d'un quattrino, il mio padrone si affrettò a sollecitare
con una lettera il suo intendente, a Marana, a mandargli per mezzo di persona
fida una congrua somma, onde far fronte alle spese, del suo insediamento a
Siviglia. Quasi un mese è trascorso, e nessun messo, nessuna risposta e, quel
ch'è peggio, nessuna somma, anche men che congrua, è apparsa all'
orizzonte per noi sempre più fosco. Che significa ciò? Significa: o che la
lettera non è giunta a destino, per un deplorevole disguido, cioè per cattivo
funzionamento del servizio postale che non dico finora, ma neppure nel 1950 sarà
migliorato; o che l'uomo recante l'aureo messaggio non era talmente fido da non
lasciarsi indurre in tentazione di esperimentare per sé quanta gioia vitale
può cavarsi da un sacchetto di dobloni; o che infine, nel caso di sua
scrupolosa onestà, altri abbiano voluto fare cotale esperimento e atteso a uno
dei tanti varchi l'uomo integerrimo lo abbiano brutalmente diminuito del dolce
peso, e forse anche del fardello della sua intemerata esistenza. - Dal succo delle
tue ciarle, insomma che don Giovanni è triste perché senza denaro. - Ohibò, vostra
Leggiadria ci diminuisce! Non la vile moneta, concupita dagli spiriti bassi, può
turbare la serenità del mio signore. Ben altro lo affligge in questo momento.
Egli si accora di non aver potuto colmare di doni voi, che state in cima ai suoi
pensieri, ricambiare l'ospitalità che voi ci avete finora offerto,
accogliendovi a sua volta nel nostro palazzo. Parte delle somme che gli sono
state sottratte al giuoco e non pervenute da Marana, erano destinate a rimettere
a nuovo la magione dei suoi padri, a renderla abitabile e restituirla in parte
all'originario splendore. E questi sono i motivi primo e secondo del suo
corruccio. Motivo terzo: egli non tollera più la permanenza in casa vostra,
sentendosi umiliato di fare la parte del pensionante gratuito presso la donna
amata; e ne soffre maggiormente pensando d'altro canto che un suo brusco
allontanamento offenderebbe voi e forse anche vi sarebbe causa di rammarico. Il
mio padrone ha il culto degli eroi, tranne di uno: del cosiddetto «pio» Enea
che dopo essersi satollato insieme coi suoi compagni presso l'ospitale e
innamorata Didone, la pianta senza neppur dir «grazie». Quindi egli è capace
di morire d'ambascia, piuttosto che farvi e farsi torto. - Smettila,
adesso, che mi hai stuccata. Prendi in quello stipo due dei sacchi di pelle che
vi sono conservati. Quelli con lo stemma dei Peňaflor. Ciascuno contiene
mille dobloni d'oro: provvedi a tutto quanto occorre per il tuo padrone. I1 Maggiordomo
restò senza fiato; ma un attimo solo. Trovò la forza di dissimulare l'eccesso
della sua gioia, esclamando con vivacità: - Oh, egli non
sopporterebbe di ricevere anche denaro da voi. Mi ucciderebbe a bastonate. - Gli dirai ch'è
un semplice prestito... che ne accetterò la restituzione... O, se preferisci,
digli che è la sua rendita, giunta col messaggero, che aspettava. -
Ecco una buona idea. Le donne risolvono i problemi morali più intricati meglio
degli uomini. Giuriamo allora assieme, voi ed io, di non dirgli la verità? - Si, sì,
giuro... Prendi quel denaro e vattene. Non fu quello, né
il primo né l’ultimo atto di debolezza di Estrella pel suo don Giovanni. Il Maggiordomo,
da parte sua, seppe mantenersi all'altezza della situazione. In pochi giorni
murifabbri, falegnami, ebanisti, tappezzieri diedero un nuovo assetto al
palazzotto di don Giovanni: non che ne facessero una reggia o una dimora da
fate; ma da topaia qual era lo ridussero ad abitazione abbastanza ben messa
per un giovanotto scapolo. I vicini assistettero al via vai dei diversi
artigiani, videro eseguire i ritocchi esterni che diedero alla casa un aspetto
più lindo, notarono l'arrivo di mobili, tappeti, arredi; e fu un gran
confabulare di uomini e di donne che si sparse per la città dove l'eco dell' improvviso
ritorno di don Giovanni o del suo discendente non si era ancora spenta. Soltanto lui, il
principale interessato, non ne sapeva niente. Continuava ad amare, o meglio a
lasciarsi amare dalla sua ospite, meditando chissà quali propositi avventati,
finché un bel giorno il Maggiordomo gli annunziò solennemente : -
- Il palazzo dell'illustrissimo signor conte è in ordine. Quando vorrà,
potrà venire a vedere se è di suo gradimento. |
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