1°
settembre
Scanditi dall'antica pendola Mudge & Dutton, dodici lenti,
inesorabili rintocchi s’insinuano nel mio torpido rimuginìo con la
loro eco ovattata e distante, simile a quella d’un suggestivo gong
orientale. Su invisibili ali sonore si diffondono dallo studio al salone
e alla terrazza, dalla cui soglia m’affaccio sulla notte; e vanno a
perdersi nella pioggia confondendosi nel suo fruscio di sistri, nel
lamentoso richiamo del vento tra il sartiame delle barche della Cala, e
nel fragore improvviso del tuono, che riecheggia spegnendosi in un
brontolio sempre più remoto tra i monti della Conca.
Dodici battiti delle implacabili ali del tempo che accompagnano la
greve cadenza dei passi con cui questa giornata interminabile esce di
scena trascinando con sé l’ultimo, tempestoso rantolo d’agosto.
E quando l'eco dell'ultimo rintocco si spegne nella notte, è ormai
settembre…
Settembre...
«…settembre poi verrà, ma senza
sole…»
cantava il vecchio ritornello in quella fatale, fresca notte di
giugno...
«…settembre poi verrà,
ma non ti troverà»...
Eccolo ancora qui, inopinatamente destato da un televisore acceso
giusto ad esorcizzare l’angoscia del silenzio; e ora è tenacemente
aggrappato al mio cervello, a ossessionarmi con le sue frasi iettatorie.
Proprio come allora, in quell’altra insonne nottata tra un venerdì e
un sabato, agli albori di quest’estate ormai al declino…
Già, quella notte all’origine della vicenda che oggi s’è
conclusa. O forse dovrei dire ieri, dato che da qualche istante la
mezzanotte è scoccata. Ma poi, è proprio allora che tutto questo ha
avuto inizio? Ed ha davvero avuto fine oggi, o ieri che fosse? Mah. Se
getto uno sguardo alle mie spalle, sulle tante, troppe stagioni che mi
son lasciato dietro, mi viene da dubitarne.
Eppure vorrei tanto capirlo, come e quando è iniziato ‘sto casino. E
per capire, l’unica è tornare indietro e provare a ricostruire il
percorso degli eventi. Ma a partire da dove, da quando? Se frugo nel
passato, a cercare le radici di tutto questo, rischio di non fermarmi più
fino al giorno in cui son venuto al mondo. Ma posso capirci qualcosa,
così?
Il fatto è che, quando cerchi di ricostruire una storia, vorresti che
tutto ti si presentasse semplice e ben ordinato, in modo da venirne
facilmente a capo. Come da bambino,
quando tua madre ti faceva reggere tra le due mani la matassa di
lana per ricavarne un gomitolo per il lavoro a maglia: prendeva uno dei
due capi, iniziava a raggomitolare il filo, e la matassa pian piano si
svolgeva finché, senza groppi, garbugli o parrucche, giungeva
tranquillamente all’altro capo del filo.
Magari, fosse così semplice. Una storia reale invece non è mai una
matassa fatta di un solo filo e ben ordinato per giunta: ha tanti
protagonisti, che storia è, altrimenti? Come una matassa con tanti fili
diversi, e va’ un po’ a scegliere da quale capo iniziare! E ognuno
di quei protagonisti vive la storia stessa dal suo proprio punto di
vista, spesso del tutto diverso rispetto a quello d’ogni altro. E in
modo del tutto diverso, dunque, la racconterebbe. Chissà cose ne
sarebbe della favola di Cappuccetto Rosso, se a raccontarla fosse il
Lupo...
E non sempre è sufficiente accontentarti di ricostruire il tuo, di
punto di vista, rinunciando magari a cogliere il disegno complessivo. Può
bastare, forse, se i protagonisti della storia sono tutti ben
identificabili e riconoscibili, ognuno con la propria personalità e il
proprio bravo ruolo. Ma può accadere che nella vicenda s’inseriscano
imprevedibili e indecifrabili attori occulti, le cui inquietanti
influenze finiscono per sconvolgere, in modo a volte del tutto
incomprensibile e irrimediabilmente intricato, la trama che i
protagonisti palesi credono d’interpretare...
Allora, è come trovarsi tra le mani uno di quegl'inestricabili
garbugli tipo il famigerato nodo di Gordio, con una gran quantità di
capi di fili e cordicelle varie che sbucano fuori di qua e di là, e
chissà quanti ce n’è nascosti all’interno. E quando cerchi di
sbrogliarlo e inizi a tirarne uno qualunque, più tiri e più fittamente
s’ingarbuglia il resto della matassa. Allora molli quel capo, e ci
provi con un altro. E la matassa s’aggroviglia ancor più.
Ma poi, non sono neanche sicuro che si tratti di questo. Se è un
casino, è un casino e basta, e gli esempi lasciano il tempo che
trovano.
Eppure, se voglio venirne a capo alla fin fine in qualche modo dovrò
pure iniziare. Vorrei tanto poter cominciare dall’inizio; ma dovrei
sapere qual’è, e mi pare d’aver chiaramente detto che proprio lo
so. Proverò dunque a prendere le mosse proprio da quella notte di due
mesi e mezzo fa: una fresca, calma notte di metà giugno in cui mi colse
una delle mie rare crisi d’insonnia. Non è che io sia un dormiglione,
tutt’altro: cinque ore possono tranquillamente bastarmi. Di solito,
però, non ho alcuna difficoltà a prender sonno: dormo già nel momento
in cui la mia testa tocca il cuscino.
Quella notte, invece, non provai neanche ad accostarmi al letto.
Insonnia, già: allora come stanotte, ma allora non stavo certo così
male. Non c’era quest’artiglio rovente a straziarmi le viscere, né
questa fame d’aria che fa d’ogni respiro un rantolo, un’agonia.
No: niente più d’una confusa irrequietezza, un’ansia indefinita
alla quale provai sulle prime a porre rimedio con un paio di bicchieri
di scotch da centellinare in poltrona, davanti alla televisione o ad un
libro.
Così anche quella notte, dopo aver provato con scarso successo a
rilassarmi un po’, m’ero poi ritrovato qui, in terrazza e col
bicchiere in mano, nella vana speranza che Morfeo si decidesse ad
appesantirmi almeno un po’ le palpebre.
Lo sguardo indugia distratto sulle barche a vela della Cala, proprio
laggiù, sei piani sotto la mia terrazza. Ma poi, è come le
attraversasse mentre la mente, stranita dalla tristezza e dall’alcool,
tenta con masochistica ostinazione di rivivere gli avvenimenti che hanno
scandito questi ultimi due mesi e mezzo e che ora prendono a scorrerle
davanti come i surreali fotogrammi del film di un regista allucinato o
pazzo.