Ragazzi che amano ragazzi
Intervista a Piergiorgio PaterliniImmagine dello scrittore Piergiorgio Paterlini
da Babilonia, Novembre 1998

Nei libri di Piergiorgio Paterlini (Lasciate in pace Marcello, Manualetto d'amore e di sesso, Io Tarzan tu Jane) c'è sempre un'attenzione particolare ai giovani e ai giovanissimi di cui egli riesce a cogliere, col cuore prima che con l'intelligenza, la loro ansia di libertà.
Ora, dopo cinque ristampe, la Feltrinelli ripubblica in una edizione ampliata e con una nuova introduzione forse il suo libro di maggior successo Ragazzi che amano ragazzi. E' un'occasione per provare a capire, insieme a lui, il mondo sfuggente e a volte un po' misterioso delle nuove generazioni.


Domanda
: Cosa è cambiato nei ragazzi tra i 15 e i 20 anni di oggi rispetto ai ragazzi della stessa età di sette anni fa?


Risposta: Diciamo di dieci anni fa perché ho cominciato a raccogliere le storie del libro nel 1988. L'esigenza di avvicinarmi ai ragazzi che amano i ragazzi nasceva allora da uno stupore. Quando si parlava di ragazzi e di omosessualità si parlava sempre e solo di prostituzione. Veniva fuori sempre l'aspetto clandestino dell'adolescenza omosessuale, ma non si faceva niente per far uscire dalla clandestinità la sua faccia più quotidiana e normale. Io ho provato a rappresentare una realtà che si voleva "invisibile" e forse ho contribuito un poco a farla venire alla luce. Oggi i ragazzi che vengono fuori sono molti di più: nascono gruppi di gay organizzati nelle scuole superiori, gruppi giovanili all'interno dell'Arci gay, si discute di omosessualità anche tra gli scout, ma due cose rimangono invariate: innanzitutto a venir fuori è ancora solo una minoranza, in secondo luogo quelli che si scoprono omosessuali vivono gli stessi problemi che vivevano i ragazzi di dieci anni fa. E così questa nuova edizione del libro nasce ancora da uno stupore.

Domanda: Questa nuova edizione è arricchita da circa 70 pagine di lettere all'autore. Come hai fatto a stabilire questo filo diretto con i lettori?

Risposta: Sono stati loro a cercarmi, anche con percorsi strani: alcuni indirizzando le loro lettere alla casa editrice, altri ai giornali per i quali lavoravo, qualche lettera è arrivata perfino al mio paese d'origine solo col mio nome e cognome. E sono lettere che parlano dello stesso sgomento e della stessa solitudine di cui parlavano i loro fratelli maggiori di dieci anni fa. Ho deciso di pubblicarle per più di un motivo. Da un lato esse aggiungono altre storie che confermano all'oggi (le ultime sono del 1998) quanto emergeva nel 1991. Dall'altra costituiscono un po' la storia del rapporto tra il libro e i suoi lettori, dicono a cosa è servito questo libro, quanto bene ha fatto non solo agli omosessuali. Le lettere sono tutte come un sospiro di sollievo: finalmente non sono solo, c'è qualcuno come me. Se il problema cruciale è quello di essere "invisibili" trovare uno specchio in cui riconoscersi è di fondamentale importanza, ti accorgi che non sei solo, non sei un mostro. Questo bisogno di uscire fuori io lo vedo anche in altre situazioni. Nelle apposite rubriche dei vari periodici giovanili aumentano le lettere di ragazzi omosessuali. Paola Santagostino che tiene una rubrica di questo tipo su "Tutto", è stata invasa da lettere di ragazzi omosessuali tanto che per due o tre mesi ha pubblicato quasi eslusivamente lettere loro e queste si sono "decuplicate" e tutte parlano ancora di sgomento e di solitudine. I ragazzi si chiedono ancora: dove sono gli altri gay? O dove sono i miei coetanei gay? Sono tanti, ma continuano a sentirsi soli. Le 14 storie del mio libro non le ho toccate perché sono ancora una fotografia dell'esistente, storie in cui i ragazzi di oggi si riconoscono.

Domanda: Allora in dieci anni è cambiato poco o niente?

Risposta:No, se pensiamo al nulla di prima, il cambiamento è enorme. Se invece assumiamo come punto di valutazione quello che servirebbe, il numero elevato di ragazzi gay, il fatto che la stragrande maggioranza di loro non riesce a vivere la propria sessualità, allora è cambiato pochissimo. E' lontana la riva da cui siamo partiti, ma è lontanissima ancora la meta verso cui siamo diretti. Io comunque sono convinto che il cambiamento si vada accelerando. E' un po' una sensazione, un po' una speranza. E' come una valanga che parte piano, ma poi precipita e precipitando distrugge quello che c'è da distruggere, falsi pudori e moralismi di ogni sorta. Io spero molto nell'effetto valanga.

Domanda: Tu insisti nel voler coinvolgere in una generale presa di coscienza gli altri, gli eterosessuali e il tuo discorso è di una chiarezza estrema: se esistono adulti omosessuali, sono esistiti e esistono adolescenti omosessuali: genitori e educatori non possono non tenerne conto. Ma questo non avviene. Perché?

Risposta: Secondo me il nemico maggiore è l'indifferenza, più dannosa dello stesso insulto. Il problema non è tanto delle persone razziste. Con quelle ti confronti, ti scontri e sai difenderti. Il problema grosso sono gli altri, insegnanti, genitori, democratici e aperti, ma "indifferenti". A loro si deve chiedere di tener presente quotidianamente che esistono gli omosessuali, che non sono altrove, ma sono quelli nascosti nelle loro classi, nelle loro famiglie. Sono loro che debbono cambiare il loro atteggiamento. Quando parlano, quando fanno una battuta debbono ricordarsi che tra le persone che hanno davanti (studenti, figli, nipoti, amici) ci sono dei ragazzi omosessuali. E' quella che io chiamo "democrazia del coraggio". Se da sempre l'onere e il coraggio di dichiararsi lo hanno avuto gli omosessuali, sarebbe ora che si dichiarassero gli etrosessuali. Se un insegnante il primo giorno di scuola dicesse: "do per scontato che tra voi ci possono essere delle persone omosessuali, nessun problema, se volete ne parliamo". Questo significherebbe tanto, significherebbe che non si lascia al ragazzo tutto il peso della sua solitudine. Io mi aspetto che le persono civili si prendano questo impegno. E sarebbe una rivoluzione epocale. Vorrebbe dire che tanti ragazzi che soffrono in solitudine verrebbero sollevati dall'eterno dilemma: lo dico, non lo dico e se lo dico cosa mi succederà? Nelle scuole medie inferiori, ma già nelle elementari, l'insulto più diffuso tra ragazzi è "frocio" e gli insegnanti non possono non tenerne conto. Se io fosse il ministro della pubblica istruzione di un governo di centro sinistra sentirei il bisogno di fare una circolare con cui farei obbligo a tutti i docenti di dichiarare il primo giorno di scuola che non ci saranno discriminazioni di nessun genere e più in particolare che non ci saranno discriminazioni nei confronti degli omosessuali perché tra quegli studenti ce n'è qualcuno che è omosessuale.

Domanda: Un ministro di un governo di centro sinistra c'è e quando è costretto, dice anche cose corrette, ma perché poi sollevare tanti ragazzi dalla sofferenza non diventa un progetto reale?


Risposta: Credo che dietro questo silenzio ci siano mille cose, ma soprattutto una mancanza di consapevolezza. Il problema non arriva al cuore. E' come se lo capissero con la testa, ma non col cuore. Non si rendono conto di quanto sia drammatica la sofferenza di tanti giovani né si rendono conto di quanto questo tema potrebbe essere trainante anche su altri aspetti di una crescita civile a cominciare dal rispetto e dalla valorizzazione delle diversità. .
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