Autobiografie dell'inconscio.
Numero 11, anno VI, gennaio 2009
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"ALICE
NEL PAESE DEGLI PSICANALISTI" |
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di Rauda Jamis |
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Questo testo è tratto dal capitolo ottavo del libro "Alice nel paese
degli psicanalisti", traduzione italiana di Anna Benocci e Francesca
Milaneschi, La Lepre edizioni, Roma, 2008, pagg. 280, ISBN
978-88-96052-01-3, € 18,00. Si ringrazia la casa editrice per aver
autorizzato la pubblicazione di questo testo su Frenis Zero.
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Foto:
un ritratto dell'autrice.
Rauda
Jamis, nata nel 1955, di origini messicano-cubane, è cresciuta in
Francia dove ha studiato arte, archeologia e psicologia. Ha pubblicato
una decina di opere, romanzi e biografie, ed è stata la prima a far
conoscere il personaggio di Frida Kahlo in Francia, dove attualmente
vive e svolge l'attività di psicoterapeuta.
A.S.S.E.Psi.
web site (History of Psychiatry and Psychoanalytic Psychotherapy )
Ce.Psi.Di.
(Centro di Psicoterapia Dinamica)
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"Vite soffiate. I vinti della
psicoanalisi" di Giuseppe Leo
Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero
ISBN: 978-88-903710-0-4
Anno/Year: 2008
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"La Psicoanalisi. Intrecci Paesaggi
Confini"
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Writings by: Salomon Resnik, Mauro Mancia, Andreas Giannakoulas,
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ISBN 88-8229-567-2
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Nella stanza-box
che ci era stata assegnata in Istituto, che non era sempre la stessa,
ma era identica a quella della volta prima e a quella in cui saremmo
andati la volta successiva, dopo aver posato il cappotto sulla
poltrona nella quale mi ero seduta la prima volta, mi toglievo le
scarpe prima di stendermi sul lettino (e non per muovere le dita sotto
le calze). Con la posizione distesa che assumevo avevo constatato che
le trecce erano ovviamente molto più comode dello chignon e delle
forcine di metallo appuntate sulla nuca, mentre le mani erano
appoggiate una sopra l'altra sul petto o tra il seno e la pancia...
Una persona
distesa! Non è già morta?
Drop Psic parlava
poco, così poco che una parola detta da lei acquisiva un'importanza
indicibile... anche se riconsiderando la cosa con attenzione non era
veramente così. In quel primo periodo dell'analisi non avevo ancora
una buona capacità di discernimento e c'era in me un rilassamento, una
perdita stupefacente, agghiacciante, delle mie capacità, del mio acume
intellettuale. Poche lettere attaccate l'una all'altra potevano
dilatarsi, occupare tutto lo spazio, diventare "la" parola.
Fin dall'inizio
il vocabolario usato da Drop Psic per domande, risposte, osservazioni,
chiarimenti, si era limitato essenzialmente a un raschiare della gola,
a un enigmatico <<sì?>> e a un non meno enigmatico <<mmm>>. Il
popolare detto "chi tace acconsente" fra quelle mura non era, nella
maniera più assoluta, un proverbio pertinente. Per quanto riguardava
la parola <<bene>> non aveva niente a che vedere con il bene o con il
male, o con l'esprimere approvazione, era unicamente riferito alla
fine della seduta.
Quel "no man's
word" era a tal punto onnipresente che rimasi molto stupita il giorno
in cui, mentre sprofondavo nella sua poltrona e lei si sistemava
dietro di me, mi disse sospirando con un tono aggressivo, stanca o
esasperata prima del tempo, quando io mi ero già tolta le scarpe:
<<Non è
necessario che si tolga le scarpe, non ha visto che sopra il lettino
c'è un apposito pezzo di stoffa?>>.
<<Mi scusi, non
lo sapevo>>.
Sospirò una
seconda volta, mentre la sua poltrona scricchiolava impercettibilmente
e io avvertivo uno sfregamento di stoffe.
Fui io che, per
la sorpresa, rimasi per quasi tutta la seduta in silenzio. Disturbata
dal suo tono, non fui capace di ammettere con me stessa (e di dirlo
anche a lei), che avrebbe potuto esprimersi con un tono diverso, con
gentilezza e questo fin dal primo giorno. Le parole disertavano la mia
mente così come le immagini.
L'aggressività mi
ha sempre destabilizzato, così come i toni di voce duri o
inflessibili; è il mio punto debole. E quando capita a me di
arrabbiarmi, è un supplizio dal quale esco invariabilmente esangue,
una via crucis che non riesco a evitare nonostante la psicanalisi,
l'età e l'esperienza.
Drp Psic mi
salutava tenendo la testa bassa, senza guardarmi, con la mano sempre
flaccida.
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Foto: Françoise Dolto |
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Françoise Dolto pensava che
la fine di una seduta facesse parte del metodo adottato
dall'analista per non lasciare il proprio paziente
<<...silenziosamente (stringendosi la mano o meno), come dei cani
che si lasciano. [...] Bisogna dire qualcosa per ritornare
nell'ambito sociale, come tutti gli altri uomini, e perché la
persona non rimanga vittima, anche se per un attimo, di un senso
di inibizione e di inferiorità: "Ho detto questo, mi è sembrato
che lo psicanalista facesse hum! hum!, poi quando sono andato via
non ha detto più niente">>1 .
Non tornai più su quell'episodio.
Fin dall'inizio ero entrata in
quella stanza e con quella persona con la sensazione di essere
dentro a una sfera, nella quale non osavo contestare niente, le
cose che Drop Psic diceva, quelle che di lei non mi piacevano,
cosa provavo nei suoi confronti. Sentivo di non averne il diritto.
Lei era nella posizione della maestra, che io stessa le avevo
attribuito, io in quella dell'allieva.
Ero partita dall'idea ingenua ma
determinata che nella psicanalisi tutto era positivo, che essa
rappresentasse la strada migliore per conoscere se stessi e gli
altr, un'esperienza assolutamente privilegiata, e dal momento che
l'avevo iniziata non potevo far altro che assoggettarmi
incondizionatamente alle regole che imponeva, alle sue modalità,
ai suoi rituali, ai suoi volti, alle stoffe, alle tovaglie da
tavola in carta, al linguaggio del silenzio, alle cose non dette.
Vedevo la psicanalisi come un
faro e non guardavo all'analista, sua messaggera, come a un essere
umano cui potevo essere simile, almeno umanamente. Che strana
situazione. Che strano coinvolgimento. Era come se fossimo su una
nave in cui a bordo c'era il capitano, orse scorbutico e
brontolone come tanti capitani delle storie cattive, e il mozzo
Alice.
Drop Psic cercava di mettere in
evidenza il dolore che provavo, i miei punti dolenti. Capivo che
era quello che stimolava il suo interesse. Da buona allieva, ero
affascinata dall'idea di collezionare i buoni punteggi che mi
sarebbero stati accordati per ogni buona nota ottenuta negli
esercizi di intensa sofferenza. Implicitamente avevo creduto che
sarebbero stati quei punti eccezionali a condurmi verso la suprema
ricompensa di diventare a mia volta psicanalista. Venuto il
momento, con molta probabilità sarebbero state valutate le
mie resistenze nei confronti della cura analitica così come i
comportamenti sbagliati che avrei potuto assumere. Non dovevo far
altro, quindi, che comportarmi bene. Sindrome per estensione della
buona allieva, volevo anche far piacere a Drop Psic, affidandomi a
colei che deteneva, come le imponeva la professione, la scienza
infusa. Lei era la guida, non ne dubitavo, non dovevo far altro
che seguirla e fornirle il materiale...
E' sempre possibile trovare
zone, parti di noi che hanno causato e causano dolore (possiamo
anche inventarcele), ma in quel confessionale che era l'analisi
anche i mali ai quali avevo trovato una soluzione, anche i
problemi superati (ad esempio, per citare solo quelli più
evidenti, i miei vari periodi di esilio oltre Atlantico e gli
strazi affettivi che avevano potuto provocare), diventavano
improvvisamente così attraenti da non poter essere assolutamente
trascurati.
Ogni certezza che credevo di
avere, ogni vittoria sulla quale pensavo di potermi appoggiare si
trasformava nella bocca di Drop Psic in una frase spezzata, che si
limitava a una sola parola il cui spelling non poteva essere
dimenticato:
<<Lei crede...>>.
Come un lampo, la sua
osservazione annullava la mia sicurezza. In effetti, si poteva mai
essere sicuri di niente?
Avevo scoperto che meno mi
sentivo sicura, più il mondo acquistava limiti sconfinati,
diventando un vasto e insospettato campo di esplorazione denso di
interrogativi. Tutto ciò che si frammentava di riflesso si
moltiplicava all'infinito, sotto la superficie ribolliva qualcosa
ma non capivo con precisione di cosa si trattasse, consapevole
che, all'interno di quella molteplicità di pensieri, potevo anche
perdermi.
Quel ribollire interno aveva
qualcosa di esaltante... la sensazione nuova di perdermi mi faceva
sbandare come un battello ebbro. Oh, non il <<Battello2
ebbro dei fiumi impassibili, con il cotone inglese, col grano
fiammingo, le azzurrità delle Floride incredibili, soli d'argento,
flutti madreperlacei, cieli ardenti, ghiacciai, nebbie viola,
l'ora del crepuscolo>>.
Un battello ebbro ridotto male,
dal carico disfatto.
Era come una droga e io non
sapevo dove stavo andando. Drop Psic diventava sempre più un punto
di riferimento, silenzioso, inafferrabile, ma che tipo di
riferimento fosse esattamente non lo sapevo. Un punto di
riferimento o una calamita, tre ore alla settimana, impossibili da
spostare, lo stesso rituale e gli stessi gesti dalla sala
d'aspetto alla stanza-box, gli stessi passi felpati sulla moquette
o sul linoleum, le parole che si sentivano appena. Un abbonamento
sottoscritto per le vaghe malinconie dell'anima, tacitamente
rinnovabile.
Stavo meglio? Mi ponevo questa
domanda? Me la ponevo sempre di meno visto che quando avevo
iniziato quell'avventura non stavo poi così male, ovvero avevo la
testa sulle spalle, i piedi per terra, una situazione affettiva
non troppo disastrata, stavo percorrendo, insomma, la strada della
vita. Se ora stavo peggio di prima, dov'era l'etica professionale?
<<Domanda spesso elusa dagli psicanalisti, tra i quali sono stati
e sono ancora in molti a non voler prendere posizione nei
confronti della guarigione. Probabilmente l'annullamento del
sintomo non può essere lo scopo diretto e immediato dell'analisi.
Il metodo va in senso opposto. Ciò non toglie tuttavia che la
psicanalisi non possa preoccuparsi del bene del paziente, cioè di
come possa vivere meglio, come la pensa o la penserà dopo una
simile esperienza. C'è da temere di essere attratti
segretamente dal godimento e dall'orrore a tal punto da
accontentarci di vederli riprodotti all'infinito>>3.
Avendo letto nei libri di Freud
quanto i traumi infantili fossero importanti, esibivo i miei un
giorno dopo l'altro e quasi nulla sfuggiva all'analisi in quel
luogo che fungeva da specchio deformante, per poco che ci
prendessimo la pena di soffermarci sul "trauma" con la necessaria
enfasi e consequenzialità. Il ruolo di Drop Psic si limitava, con
i suoi <<mmm>> i vari <<sì?>> e alcune parole buttate lì
come ami (o al contrario come pastura) a sottolineare o
sopralineare le cose negative con voce cupa. Quando non capivo una
delle rare parole che diceva, lei non si degnava di ripetere.
Peggio per me che non ero stata abbastanza attenta o forse, peggio
ancora, che non avevo voluto sentire.
Più tardi, molto più tardi vissi
nuovamente una situazione simile con un uomo il quale, quando gli
chiedevo di ripetermi o spiegarmi qualcosa che non avevo capito,
mi rispondeva: <<Non ho l'anima del missionario, quindi non
ripeto>>. La cosa mi amareggiava profondamente. Si potrebbe forse
dire più prosaicamente che in entrambi i casi mi scontravo col
rifiuto di ascoltare. La rarità delle sue osservazioni le rendeva
evidentemente molto preziose e io me la prendevo con me stessa per
essermi lasciata sfuggire qualche elemento, forse essenziale, per
la comprensione della mia umana persona. |
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Foto:
un ritratto di Anais Nin eseguito da Giuseppe Leo |
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Mi ritornava in mente Anais
Nin, messa alle strette dalle domande di René Allendy. Otto Rank,
del quale faceva il ritratto: <<[...] Una impressione di acutezza,
prontezza, curiosità. Tutto l'opposto della schedatura automatica,
delle formule bell'e fatte. Il fuoco che porta all'analisi, come
se fosse esilarato da queste avventure esplorative! Ne trae gioia
[...]>>4.
Dio, come era
lontana Drop Psic da quel modo di essere brillante, da quell'acutezza,
che io avevo sperato di trovare in un analista, da quella
curiosità vitale, ammaliante, da quella incredibile perspicacia!
Perché?5 Facevo fatica a lasciar perder tutto, ad
accettare semplicemente il fatto che non andasse bene, che mi ero
sbagliata sulla psicanalisi - o che ero stata ingannata! C'era
qualcosa di alienante. Quando abbiamo le labbra secche e
screpolate siamo pronti a bere di tutto, anche l'acqua rugginosa.
Quando si
possiede una buona memoria come me, l'infanzia diventa un
continente molto vasto. Cercavo di ricordarmi ogni viaggio, ogni
percorso, rifacevo tutti i tragitti. Passo a passo. Pensavo che
fosse assolutamente necessario. Un "male" necessario. Se si fissa
permanentemente l'attenzione sul retro dello scenario si perde sia
l'incantesimo che ha avuto luogo nella parte visibile della scena,
sia ciò che si è verificato sullo sfondo e nell'anima.
Per Drop Psic,
intenta a sospirare sprofondata nella sua poltrona, se c'era mai
stato un paradiso, doveva trattarsi per forza di un paradiso
perduto. Anche gli entusiasmi e i momenti felici che mi
ritornavano in mente nascondevano, obbligatoriamente, una parte
nascosta. La parte nascosta era la materia nella quale lei era
specialista. I conflitti che pensavo di aver superato erano solo
fantasmi, puri prodotti dell'immaginazione, visto che Drop Psic
non ci credeva e tantomeno se ne rallegrava. Tutto questo mi
amareggiava... Transfert e contro-transfert?
In poche
parole, l'infanzia diventava un tale disastro, che arrivai a
chiedermi se ce l'avrei fatta un giorno a rialzarmi. La posizione
distesa che assumevo in analisi, a livello simbolico, mi faceva
sperare solo questo. Non potevo tuttavia dimenticare che in questo
posto ero arrivata stando in piedi.
Ma in campo
analitico, lo stare in piedi... non aveva lo stesso significato!
Era sul negativo che si "lavorava", interessava solo la parte
negativa, era quella la cosa più importante. Inquadrare gli
avvenimenti all'interno di un contesto negativo significava
metterli in evidenza attribuendo loro importanza, se non
addirittura valore. La forza, la volontà, l'ostinazione, lo humour
non avevano voce in capitolo. Lo capii a mie spese perché tra la
presenza di zone oscure, o oscurate da fantasmi sullo sfondo, mi
sembrava di camminare sulle sabbie mobili.
Consenziente,
continuavo a seguire quell'unico percorso di sofferenza che Drop
Psic, la maestra, implicitamente e qualche volta, in maniera
laconica, esplicitamente, mi chiedeva di seguire rispettando il
posto che mi aveva assegnato6. Non facevo domande, non
contestavo. I piccoli dubbi che avrebbero potuto emergere non
erano niente in confronto all'idea altissima che avevo della
psicanalisi, e la terapia di Drop Psic - la mia prima esperienza
in materia - era sicuramente conforme con quanto doveva essere
fatto. Lei era specialista, non io.
Secondo il
detto popolare, per essere belle bisogna soffrire, e io,
parallelamente, ero arrivata alla conclusione che per fare
un'analisi si dovesse ugualmente soffrire.
In buona
sostanza mi sentivo davvero fortunata a trovarmi là, e ricordavo
con un certo scoramento permeato di tristezza quella frase
imparata a memoria di Oscar Wild: <<La saggezza più grande sta
nell'avere sogni abbastanza importanti da non essere persi di
vista mentre li perseguiamo>>.
Stavo
perseguendo un sogno io, quella Alice dal nome predestinato;
purtroppo non ero capace di portarlo molto bene il mio nome.
L'Alice che
ero io somigliava comunque all'altra. Cadute entrambe in fondo a
un pozzo, vivevano strane avventure, incontravano strani
personaggi.
Tutto questo
durò un tempo immemorabile. Le pozioni o sono veleno o sono
magiche. Qualche volta sono magia nera, altre volte sono un veleno
mortale. Si diventa più piccoli o più grandi. Rimpicciolire a
volte fa rima con regredire.
Diventare
grandi non significa sempre divenire persone nobili d'animo. E' il
mondo alla rovescia. E' il rovescio di alcuni mondi. Mondi che si
scontrano e sprofondano. I punti di riferimento si trasformano in
vipere. Non sempre si lascia lungo la strada ciò che si sarebbe
dovuto lasciare, e accade anche, evidentemente, il contrario.
L'altro lato
dello specchio è l'altro lato della nostra pelle. Carnale, può
darsi, così astratto per chi non è un medico. Possiamo diventare
un uccello, un gallo da combattimento; si perdono parecchie penne.
Possiamo diventare anche uccelli notturni; ciechi di giorno. Il
pozzo nel quale siamo caduti è, come dev'essere, verticale. Siamo
sott'acqua, in apnea. Spesso ci accorgiamo che il pozzo è anche
orizzontale, siamo entrati in un tunnel da dove partono gallerie
sotterranee. Un tunnel che potrebbe essere una trappola, un
labirinto. Ecco che cominciate a scavare, rovistare, sotterrare,
demolire. Riesumate i morti, esumate le cose morte, violate,
profanate. Mettete delle bombe e al tempo stesso le disinnescate.
Siamo soli
anche se siamo accompagnati, ci sdoppiamo e anche di più, una
Alice ne diventa presto dieci, in un battito di ciglia, o di
cuore, cento. Quando siamo più di uno, come tutti sanno,
conflitti iniziano, la battaglia comincia e si amplia, i soldati
sono ovunque, la battaglia causa rabbia. Non si perde a questo
punto solo qualche piuma ma intere manciate di piume, non si
tratta più di brandelli di pelle ammuffiti ma di veri morti,
insanguinati, secchi come dei vecchi pezzi di legno.
La magia è
sempre presente, in un momento i deserti possono spazzar via i
campi di battaglia, si intravedono allora distese a perdita
d'occhio, avendo la consapevolezza che esiste deserto e deserto,
che la Patagonia non è il Sahara, proviamo, alternativamente, ora
caldo ora freddo, le stagioni si confondono, le sensazioni si
mescolano, un bagliore, una nuvola, una scintilla, un oscuramento.
L'orrore può scaldare il cuore, la bellezza può diventare qualcosa
da temere. Nel gioco delle carte la regina è regina delle
metamorfosi.
Crediamo di
camminare sulla terra ferma mentre questa si sgretola sotto i
nostri passi, l'ombra della nostra persona sul marciapiede, un
giorno, si riduce solo alla testa, non crediamo ai nostri occhi,
forse possiamo camminare unicamente con la testa, il resto del
corpo perde i propri contorni, si tratta a questo punto di
incollare di nuovo il collo al busto, il busto al bacino, il
bacino alle gambe.
E si ritorna
al punto di partenza.
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Alice non sa
più quale danza sta facendo. La cosa certa è che non gira più su
se stessa, le pozioni magiche producono tutti i loro effetti. I
maghi osservano, qualche volta se ne occupano i grandi stregoni
elargendo il loro parere, sempre con le parole contate,
ovviamente! Perché nel viaggio di Alice le parole contano molto ma
il loro numero è ridotto. Questo fa parte delle regole del gioco.
Delle regole dell'io, dicono alcuni, ridendo di nascosto del buon
gioco di parole che hanno inventato7. L'"io" di Alice è
diventato "me", il me ha perso i mesi dell'anno8 -
logico dato che le stagioni erano già smarrite - ha perso il conto
degli anni. Alice si mette a testa all'ingiù diventando Ecila, ha
perduto il discernimento a profitto della conoscenza profonda di
pozzi nei quali tutto può accadere ma dove niente esiste veramente
a parte la sensazione di essere una trottola smarrita. Che
avvilimento. Che folle ubriacatura.
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Note dell'autrice:
(1) Françoise Dolto, Autoportrait d'une
psychanalyste, Le Seuil, Paris, 1989.
(2) Poema di Arthur Rimbaud ispirato, sembra, dai
suoi sogni del luglio-agosto 1817 e dalla sua situazione.
(3) François Roustang, Comment faire rire un
paranoique, Odile Jacob, Paris, 1996.
(4) Anais Nin, Diario (1931-1934), Bompiani,
Milano, 2001.
(5) <<Poiché la dottrina si è imposta come verità ha
invaso tutto l'orizzonte degli interessi, uccidendo ogni
inventiva>>: questo è quanto propone François Roustang, Comment
faire rire un paranoique, cit.
(6) <<Rimettere il proprio destino nelle mani di un
altro, è la tentazione di molti. La domanda non si poneva al tempo
di Freud quando le analisi erano, il più delle volte, abbastanza
brevi, si pone oggi, secondo me, abbastanza urgentemente>>. François
Roustang, Comment faire rire un paranoique, cit.
(7) In francese il gioco di parole è tra jeu,
gioco, e je, io.
(8) Altro gioco di parole tra moi, me, e
mois, mesi.
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