Aligi Sassu
Ci piace
considerare ancora Aligi Sassu uno di noi: un sardo. E questo un
po’ per via delle sue origini: il padre era sassarese, uno dei
fondatori del partito socialista, e un po’ perché questo maestro
dell’Arte contemporanea per molti anni trascorse la sua fanciullezza nell’isola.
Alla Sardegna fu
legato oltremodo e lo testimoniano le numerose opere presenti in
vari edifici pubblici come il municipio di Ghilarza, le scuole
di Ozieri, il palazzo della Provincia di Sassari e in alcuni
luoghi sacri fra cui la Chiesa del Carmine a Cagliari.
A Iglesias ci
arrivò nel 1950 quando aveva trentotto anni e già da tempo
famoso. Lo fece in occasione della celebrazione del centenario
della fondazione della “Società di Monteponi Regia Miniera”. In
quel periodo viveva a Milano con passione e impegno politico,
reduce dalla sua esperienza futurista e dalla lotta partigiana.
Nel soggiorno
iglesiente dimostrò un grande affetto verso gli abitanti
lasciando in eredità due capolavori che simboleggiano la fatica,
l’ansia e la gioia di una società fatta di contadini e di
minatori. La “Festa sarda a Monteponi” è un dipinto a olio su
masonite lunga tre metri e alta due e quaranta e rappresenta un
momento di festa sui campi e all’ingresso di una miniera; uomini
e donne festeggiano in un aspro contrasto di colori rossi,
gialli e azzurri che delineano una concretezza che non lascia
spazio ai sogni.
Aligi Sassu, con
altrettanto realismo interpreta i sentimenti della gente
iglesiente di quegli anni nell’altro dipinto “La miniera”. Un
affresco eseguito su una parete del salone della foresteria,
alla maniera dei maestri del primo Rinascimento e dove
ripercorre le fatiche degli uomini impegnati nel lavoro dei
campi e nella galleria di una miniera.
Una delle opere
più importanti nella vita dell’artista e le cui scene si
susseguono su una superficie grande trenta metriquadrati. Anche
in quest’opera le tonalità sono forti e i tratti del disegno
decisi. L’agave, il cavallo stilizzato, la nodosa quercia, gli
uomini stretti nel buio del montacarichi e ancora, sullo sfondo,
un mare agitato e un cielo di un azzurro cupo, fanno presagire
che il destino di quegli uomini sarà ancora foriero di fatica e
di tormento.
Ora la speranza
è che il prezioso affresco, dopo il restauro avvenuto tra il ’96
e il ‘97 a cura del pittore sassarese Stefano Pani, abbia in
futuro l’attenzione e la tutela che merita e che è mancata nel
passato. È il minimo che si possa fare per rendere omaggio alla
memoria di questo grande artista figlio della Sardegna scomparso
nel luglio del duemila, ma ancora presente fra noi con le sue
opere.
Martino Piras
|