|
|
laboratori
del "fare"
|
lA
SCRITTURA NARRATIVA
|
|
STORIE DEI LONGOBARDI |
|
Al seguito di re Alboino |
|
Correva l'anno 568 dopo Cristo. Il 2 aprile, guidati dal nostro re Alboino,
partimmo all'alba dalla Pannonia avvolti nei nostri pesanti mantelli; per
proteggerci piedi e cosce avevamo dei sandali con delle stringhe di cuoio
che avvolgevano la nostra gamba e tenevano ferme delle calde pellicce.
Avevamo un migliaio di carovane fornite di cibo, legna, rotoli di pelli,
armi. Dentro le carovane c'erano le mogli con i loro figli e gli anziani.
Saremo stati più di 20.000. Dietro alle carovane c'erano mandrie di cavalli
e greggi di pecore e capre. Se qualcuno ci minacciava, mettevamo l'elmo con
delle chiazze di metallo dipinto in oro, imbracciavamo uno scudo con una
sporgenza in ferro che proteggeva l'impugnatura della mano e partivamo
all'attacco urlando come belve. |
|
|
|
Ogni guerriero aveva una lancia a forma di foglia di salice e una spada a un taglio. Dopo aver superato diversi ostacoli trovati lungo il nostro cammino, assalimmo un villaggio perché le scorte erano quasi finite: incendiammo le capanne, rubammo il bestiame e tutto ciò che poteva essere commestibile.
Arrivati ai piedi delle Alpi orientali, Alboino, visto che era molto furbo, decise di attraversare le Alpi in quel punto perchè il valico era molto agevole. Nonostante questo perdemmo una trentina di carri e si azzopparono una trentina di cavalli. Finalmente passammo il valico e da lontano vedemmo l'immensa distesa verde della pianura.
Ci accampammo in una radura per tutta la notte ed il giorno seguente noi guerrieri proseguimmo. Incontrammo un esercito sgangherato di "Bizantini" di cui avemmo facilmente la meglio. Il giorno successivo proseguimmo. In lontananza si vedevano già le torri di Forum Julii e le mura fortificate di spessa pietra.
|
|
|
|
Ci accampammo lì vicino per trascorrere la notte; la mattina seguente ci
preparammo per attaccare l'esercito "Bizantino". Nell'assalto molti
guerrieri morirono e anche diversi capi Fara trafitti dalla spade nemiche.
Ma finalmente, dopo ripetuti attacchi, espugnammo la città.
Dopo aver festeggiato ed esserci ubriacati, rincorremmo i pochi cittadini
romani rimasti che fuggivano con i loro fagotti verso il mare. Giunti
all'acqua però li lasciammo stare perchè... non ci interessava dove
andavano!
L'acqua era il nostro peggior nemico, ma non l'avremo mai confessato a
nessuno! |
|
Storia di congiure e di
vita quotidiana |
|
Correva l' anno 584 d. C.
Quando Alboino morì, incominciarono le guerre tra i duchi con le alabarde e
mi ricordo che anche mio padre, che era un importante duca e aveva un
ducato esteso, partì per la guerra alla conquista del trono. Molti soldati
morirono e rimasero sul campo di battaglia.
Dopo qualche settimana, alla fine di una feroce battaglia, tornò mio padre
con il mantello tutto sporco di sangue e strappato, pieno di tagli e sangue
sulla pelle; lo scudo non era più rotondo ma si era deformato: era pieno di
ammaccature e buchi, le sue decorazioni d' oro erano quasi tutte scomparse.
L' alabarda si era rotta in due ed era diventata più corta . |
|
|
|
Mentre mio padre era in battaglia, io tessevo al mio telaio intrecciando i
fili in orizzontale con quelli in verticale, usando una spada per snodare i
piccoli nodi che si formavano.
Avevo intessuto un bellissimo mantello nuovo per mio padre in occasione
della cerimonia per la vittoria del nostro ducato. Vennero invitati tutti i
capi fara.
Mia mamma si era vestita quasi come una regina, aveva gli orecchini a forma
di cestello e un abito di lino.
Poi arrivarono dei ballerini e il cibo. C'era un po' di tutto: carne,
frutta, uova, vino a volontà, birra, acqua …
|
|
|
|
Poi una domenica di aprile, mio fratello partì con mio padre su un cavallo
per andare dal duca di Pavia per la cerimonia di iniziazione: il taglio dei
capelli dietro la nuca che lo faceva diventare adulto. Era molto
emozionato. Dopo quel taglio, il duca diventò il secondo padre del ragazzo
e lo rimandò a casa pieno di doni. Quando ritornò era felicissimo. |
|
Alla corte di re
Agilulfo e Teodolinda |
|
Correva l'anno 600 e la nostra regina, figlia del duca di Baviera rimase
vedova, perché suo marito Autari era morto. Teodolinda decise così di
sposare Agilulfo, duca di Torino.
Si incontrarono a cavallo, alle porte della città.
Teodolinda indossava uno sfarzoso mantello che si chiudeva al collo con una
fibula d'oro, sul capo portava una corona incastonata di pietre preziose.
Il re Agilulfo indossava una tunica e sopra di essa un mantello fermato
sulle spalle da due fibule d'oro, al collo portava una croce d'oro
incastonata di pietre preziosissime. |
|
|
|
Poco più tardi il nostro popolo assistette alle nozze del nostro re e della
nostra regina.
Teodolinda scriveva tante lettere al papa Gregorio Magno, perché lei
credeva molto nella religione cristiana, e così convinse anche Agilulfo a
convertirsi al Cristianesimo, questo ci avrebbe procurato un alleanza con
il papa e la Chiesa.
Il re rimise al loro posto i vescovi, nelle loro sedi, e alle chiese
ritornò i loro beni confiscati.
La regina Teodolinda fece costruire la chiesa di San Giovanni Battista a
Municia (Monza).
Noi, figli del duca della città, eravamo orgogliosi di entrare in questa
chiesa a pregare: era una costruzione fatta di pietra nuda, con colonne,
capitelli dal quale partivano archi che univano le colonne tra di loro.
All'uscita dalla chiesa, dopo le celebrazioni, spesso andavamo a fare una
passeggiata nel borgo. Una volta entrammo in una bottega: vedemmo l'orafo
che fondeva l'oro e cesellava degli orecchini a forma di rombo con
incastonate delle pietre preziose; fece anche una collana preziosa che mia
madre acquistò per venti monete d'oro. |
|
|
|
Acquistò anche una fibula d'oro con incastonate delle pietre blu con
qualche sfumatura viola. Sarebbe stato il dono di benvenuto per la moglie
del duca di Treviso che sarebbe venuto in visita la settimana successiva.
|
Alla corte di re
Rotari |
|
|
Correva l'anno 646 d. C. e noi, figli del consigliere di re Rotari,
vivevamo alla sua corte.
In quei tempi c'era la faida, cioè l'usanza di farsi giustizia da soli: ad
esempio se uno rubava un cavallo, il derubato gli tagliava la mano. Meno
male che in quel periodo il nostro re Rotari sostituì la faida con il
guidrigildo, cioè una riparazione in denaro.
Un giorno venne un contadino senza un dente davanti, che si vedeva quando
rideva, per chiedere giustizia; era vestito di stracci e faceva pena.
Quando si stabilì chi aveva fatto li danno, questi dovette pagare sedici
soldi. |
|
|
|
Una sera re Rotari dette una cena in suo onore per una battaglia vinta
contro i Bizantini. Fu fatto un banchetto, durante il quale gustammo
frutta, uova, pane, verdura, pesce e tante altre cose. Scorrevano fiumi di
birra e vino che era bevuto dentro il corno di un bue..
La regina vestiva con sete molto pregiate, il lungo mantello era fermato
sul petto da due grandi fibule lavorate da un abile orafo.
Uno schiavo portava da mangiare e da bere e il menestrello suonava canzoni
di battaglie vinte per l'eroismo dei nostri valorosi condottieri. |
|
|
|
La mattina dopo andammo tutti in chiesa per confessarci e professare la
nostra fede.
La chiesa aveva degli affreschi con disegni religiosi, raffiguranti gli
evangelisti, ed alcuni mosaici. La cupola era di stile orientale.
Questa chiesa nacque per volontà degli abitanti delle fare, i quali
donarono molte monete d'oro per poter espiare i loro peccati. |
|
|
|
|
|
Un grande avvenimento per questa chiesa fu
il matrimonio del nostro re, giorno in cui Rotari sposò Gundeberga,
figlia di Teodolinda e, successivamente, la cerimonia di
ringraziamento, quando nel 643 d.C. Rotari conquistò Oderzo. |
|
|
Alla corte
del Duca di Treviso |
|
Era l'anno 770 d.C. ed io e mio padre, il duca di Treviso, abitavamo in una
piccola città della pianura, in uno dei 35 ducati governati dal re
Desiderio che forse sarebbe stato l'ultimo re dei Longobardi, perché girava
voce che aldilà delle Alpi sarebbe giunto l'esercito, guidato da Carlo
Magno, re dei Franchi, che diventava sempre più minaccioso.
Mio padre, la sera, mi raccontava le gesta del nostro grande popolo, che
aveva lasciato la vita nomade, dandosi a quella stanziale; di quando erano
arrivati in Italia, si erano divisi le terre facendo uccidere o riducendo
in schiavitù i pochi contadini rimasti. Alla base della nostra
organizzazione sociale c'era la Fara, un gruppo formato da circa 100
persone, unite da vincoli di parentela, che era comandata da un duca, come
mio padre che era il capo di questa tribù. Più tardi le Fare diventarono
dei villaggi o parti di città.
Treviso per la sua posizione geografica ebbe la sola zecca della regione,
dove coniavano i Tremissi aurei, la moneta longobarda, ed io ne ho visto
coniare alcune da un fabbro abile e molto esperto. |
|
|
|
Un giorno mio padre mi portò alla zecca per controllare come andavano i
lavori. Entrati nell' edificio sentii molto caldo: i fuochi erano tutti
accesi e molti fabbri e orafi lavoravano le monete usando il prezioso
metallo.
Anche se faceva molto caldo, mi avvicinai lo stesso e vidi un fabbro che
fondeva l'oro e poi lo rovesciava nello stampo in legno circolare. Dopo che
si era raffreddato con l'acqua, l'artigiano lucidava il prezioso oggetto e
così emergevano le decorazioni pregiate. |
|
|
|
Una sera d'inverno, mio padre ritornò a casa ferito gravemente ed io gli
chiesi cosa fosse successo. Lui mi raccontò che era stato vittima di una
congiura di altri duchi. Era caduto in un'imboscata lungo la strada nei
pressi di Forum Julii: l'esercito di un duca rivale lo aveva assalito,
sbaragliando i suoi uomini. Mio padre non se l'aspettava e così fu preso
alla sprovvista e ferito. Ora rischia di morire, anche se io spero che
guarisca, altrimenti il nostro ducato potrebbe essere facile preda di altri
duchi speranzosi di allargare i propri domini. |
|
|
|
|
Torna
su |
|
Torna a "La
scrittura narrativa" |
|
Torna
a "Laboratori del fare" |
|
|
|