Mabi Col
 

[scritti]

 

Ma che cos’è poesia?

 

Una volta, con il mio gruppo di sconvolti (quelli del Circolo Culturale Amici di Mario, tanto per intenderci), abbiamo provato a discuterci sopra un pomeriggio e, naturalmente, non siamo arrivati da nessuna parte. Ogni tanto, a scadenze quasi regolari, ci buttiamo a capofitto nella stessa discussione. Il risultato finale è sempre lo stesso, perché secondo me è la poesia ad essere inafferrabile e ognuno di noi acchiappa ciò che può o che vuole prendere.

Mi piacerebbe, però, tentare di spiegare quel che gira nella mia testa. Partiamo dall’archeologia (mi scuserà se sono un po’ monomaniacale…): il linguaggio poetico nasce dalla necessità di ricordare a memorie lunghi brani di storia tribale, di avvenimenti che avevano coinvolto gli avi. Gli aedi andavano raccontando le sequenze di avvenimenti aiutati dal ritmo delle parole e dal giro musicale di accompagnamento. In Africa, lo fanno ancor oggi. La poesia, per questo motivo, non poteva che richiedere una strettissima osservanza metrica. Quest’arte, anche se sostanzialmente finanziata da nobili e sacerdoti, riuscì ad elaborare un linguaggio che rendeva la brutalità della vita meno evidentemente disastrosa e il racconto più appetibile. Era nata la Mitologia. Con il linguaggio mitologico s’è arrivati ad esprimere tutto: dall’esaltazione dinastica alla precessione degli equinozi. E, finché la scrittura è rimasta una scienza d’élite, la gente comune non ha avuto altro modo d’imparare e ricordare se non attraverso codesto strumento d’espressione. Adesso, dal tempo di De Amicis, almeno in Italia a scuola ci si va tutti e tutti si legge e si scrive. O forse dovrei dire quasi tutti, perché molto spesso si scrive e si legge se stessi e, secondo me, non c’è niente di peggio che chiudersi in codesta devastante spirale ch’è rimestare nelle propria anima, cercando consenso e non confronto con gli altri. E’ come essere analfabeti. Ma torniamo all’argomento: nel primo novecento ci si accorse che la metrica non era più necessaria per comporre e ricordare una poesia, tanto ormai c’era la possibilità di leggere tutto quanto s’un libro quando e come si sarebbe desiderato, e ci s’inventò il verso libero. Montale, Cardarelli, Pasolini, Quasimodo cominciarono a scrivere quello che volevano come volevano. La poesia non era più né dinastia né memoria tribale né amore soltanto ma tutto ciò che scatena sentimenti forti e contrastanti oppure soavi e impercettibili che gli argomenti siano i pischelli di Roma, i paesaggi di Liguria, le ansie di Toscana o gli struggimenti di Sicilia. Qualcosa più che andare a capo a casaccio. Qualche volta una speciale musicalità del linguaggio o uno stridere di parole o un’ansia di armonie, assonanze e dissonanze, metafore, immagini.  

Sono certa che altri non saranno d’accordo con me, ma questo è il destino della poesia: allettare, stuzzicare, sconvolgere, far pensare, far discutere. Tutto con un linguaggio a volte simbolico, a volte elegiaco, a volte sconcertante, che non è soltanto andare a capo quando ci pare. Altro poi è decidere quali siano i contenuti che allettano, stuzzicano, sconvolgono, perché tutto cambia al cambiare della persona che legge ed interpreta. La poesia non è solo farsi capire o trasmettere notizie e sentimenti in una determinata lingua. È suono, musicalità, gioco di parole e chissà che altro. Il bello è trovare un modo d’esprimersi tale che al primo sguardo si possa distinguere poeta da poeta, pensatore da pensatore, artista da artista. Non basta prendere in mano un foglio di carta e una penna oppure pigiare sui tasti di un computer, il poeta affascina e travolge con la sua personalità. Forse potrà risultare antipatico, incomprensibile mai sciapo o banale. Quella vera mai lascerà indifferente il lettore. E allora che concludere? La poesia è di tutto, di più. E’ più di tutto quello che d’essa si possa pensare o dire. Soprattutto ora che la nostra civiltà è in una fase di passaggio e sta attuando una svolta evolutiva di dimensioni titaniche, cosicché ci si deve aspettare lo stravolgimento di tutti i canoni esistenti. Insomma, voglio dire che la poesia contemporanea dovrebbe cercare o nuovi contenuti o nuovi linguaggi. Oppure no?

 

Musica

Poesia, Pentole e Spezie

Chiaroscuri

Poesia per gioco

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