Georg Wilhelm Friedrich Hegel

Filosofo tedesco (Stoccarda 1770 - Berlino 1831), figlio di un impiegato dell'amministrazione ducale, dopo aver compiuto studi umanistico-religiosi al Gymnasium di Stoccarda, nel 1788 si iscrisse allo "Stift", seminario teologico protestante di Tubinga, qui divenne amico di F. Hölderlin e F.W.J. Schelling. Erano anni di ideali illuministici, di interessi politici e di entusiasmo per la rivoluzione francese.Di questi anni sono alcuni scritti teologici che vedono contrapporre religione nazionale al cristianesimo e manifestano nostalgia per la polis greca. Terminati gli studi fece il precettore privato a Berna e Francoforte dal 1793 al 1800. Nel 1795 -La vita di Gesù, in cui è presente una impostazione razionalistica di stampo illumistico, che si accompagna ad una interpretazione immanentistica (dottrina che rifiuta l'esistenza di una realtà trascendente, cioè al di là del mondo dell'esperienza e della storia) dei principi del cristianesimo nel 1796 - Lo spirito del cristianesimo. Contemporanei sono Frammento di sistema e gli scritti politici Costituzione di Württemberg e Costituzione della Germania, dove individua il carattere fondamentale della realtà nel concetto di vita, intesa come unità dell'ideale che si realizza nel molteplice della realtà. Nel 1799 ereditò, per la morte del padre, un piccolo patrimonio che gli permise di dedicarsi alla carriera accademica, a Jena nel 1801. Nel 1801 - Differenza dei sistemi filosofici di Fichte e di Schelling. Insieme a Schelling fonda e dirige "Giornale critico della filosofia" dove pubblica diversi articoli, tra cui il più importante Fede e sapere, dove critica  le filosofie di I. Kant, F.H. Jacobi e J.G. Fichte. Tra il 1806-07 - Fenomenologia dello spirito, che segna la rottura con Schelling e l'inizio della sua fama.

La Fenomenologia è una sorta di storia romanzata della coscienza che esce dall'individualità, raggiunge l'universalità e si riconosce come ragione identica con la realtà. Nel 1808 si trasferì da Bamberga a Norimberga dove restò fino al 1816 come rettore del locale ginnasio e pubblicò Scienza della logica. Nel 1816 fu chiamato alla cattedra di filosofia dell'università di Heidelberg, ove cominciò a formare una sua scuola di pensiero. Nel 1817 - Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio, tradotta nel 1907 in italiano da B. Croce. Nel 1818, per interessamento del ministro di Prussia K. von Altenstein, fu chiamato all'università di Berlino, da dove diffuse la sua dottrina in tutta la Germania. Nel 1821 - Lineamenti di filosofia del diritto, che influenzarono K. Marx. Postume le Lezioni sulla Storia della filosofia, sulla Filosofia della religione e sulla Filosofia della storia. Nozione fondamentale per intendere la filosofia hegeliana è il concetto di dialettica che Hegel intende non come un metodo, cioè un procedimento di pensiero esterno alla realtà, ma come una legge interna e necessaria tanto del pensiero quanto della realtà. Essa costituisce la legge stessa dello sviluppo della realtà, scandito secondo i tre momenti della tesi, dell'antitesi e della sintesi; il momento intellettuale o astratto, in cui il pensiero si ferma alla determinazione rigida e alla differenza di questa verso le altre; il momento dialettico o negativo-razionale, in cui le determinazioni finite vengono colte nella loro unilateralità e messe in relazione con le determinazioni opposte; e il momento speculativo o positivo-razionale, che mostrando in questa opposizione l'unità delle determinazioni diverse, toglie la contraddizione conservandone contemporaneamente gli aspetti positivi in un grado più alto. La dialettica non ha quindi soltanto un risultato negativo: la negazione dialettica è sempre in funzione di una più alta affermazione. Per questo la filosofia hegeliana è una filosofia della mediazione o della conciliazione. Questa ha il suo organo proprio nella ragione, che ingloba in sé l'intelletto superando l'opposizione che l'intelletto considerava ineliminabile. Una celebre formula hegeliana enunciata nella prefazione dei Lineamenti di filosofia del diritto, "ciò che è razionale è reale; e ciò che è reale è razionale". Questa formula non significa che tutto l'esistente sia giustificato e glorificato: Hegel considera erroneo attribuire il nome di reale a ogni esistenza soltanto accidentale, che non ha maggior valore di un possibile. Essa vuole significare che l'idea non è un semplice ideale, nello stesso tempo troppo elevato per avere realtà e troppo impotente per procurarsela. La filosofia hegeliana è una filosofia immanentistica, in cui l'assoluto, l'Idea, si realizza attraverso la natura e la storia pervenendo all'autocoscienza nella filosofia.

Le tre tappe di realizzazione dell'Idea: logica, filosofia della natura e filosofia dello spirito. Ciascuno di questi tre momenti è articolato secondo lo schema della dialettica. La logica considera l'Idea in sé e il suo graduale esplicarsi dal concetto più vuoto e astratto, quello dell'essere, all'ultima categoria, l'Idea assoluta intesa come totalità e unità delle determinazioni della logica. La filosofia della natura ha per oggetto l'Idea nel suo essere altro, cioè il processo di estraniazione dell'Idea che esce fuori di sé oggettivandosi nel mondo naturale, e la segue in questo processo di progressivo arricchimento dalla forma più astratta dell'esteriorità (lo spazio e il tempo) fino all'organismo animale. La filosofia dello spirito è la scienza dell'Idea che, dopo essersi alienata nel mondo naturale, ritorna a se stessa e perviene all'autocoscienza, mediante un processo che passa attraverso tre tappe fondamentali: lo spirito soggettivo, oggettivo e assoluto. Nel primo momento lo spirito vive la propria soggettività dalle forme più elementari della vita psichica alla forma più alta dello spirito libero che sa di essere tale e aspira a realizzare la libertà. Ciò può avvenire soltanto nello spirito oggettivo, cioè nel mondo delle istituzioni giuridiche e politiche e della storia. Hegel pone come momento culminante dello spirito oggettivo l'eticità, in cui il bene si realizza concretamente. All'interno di esso lo Stato è la "realtà della libertà concreta", esprime lo spirito di un popolo: ma, come tale, esso è un particolare nei rapporti con gli altri Stati ed entra in conflitto con essi nella storia che costituisce quindi il solo "tribunale supremo", decretando la vittoria del popolo che ha realizzato il più alto concetto dello spirito. Rispetto a questo disegno provvidenziale, gli individui e i popoli sono uno strumento di cui l'astuzia della Ragione si serve per attuare i suoi fini. La storia del mondo ha quindi un contenuto e un piano razionale: la realizzazione della libertà dello spirito del mondo. Ma solo nello spirito assoluto lo spirito di un popolo comprende pienamente la propria spiritualità e il proprio sviluppo. Questo sapere è attinto in tre forme, Arte, Religione e Filosofia, identiche per il loro contenuto, l'Assoluto, ma diverse per il modo in cui lo conoscono e lo esprimono. L'Arte coglie l'Assoluto nella forma della intuizione sensibile e si articola, secondo l'equilibrio tra la forma sensibile e il contenuto spirituale, in arte simbolica, classica e romantica. La Religione lo coglie nella forma della rappresentazione: Hegel delinea lo sviluppo dell'idea di Dio nella coscienza umana della religione naturale o immediata alla religione rivelata cristiana. Ma la forma speculativa autentica in cui l'Assoluto è colto nella forma del puro concetto è la Filosofia. In essa l'Idea giunge all'autocoscienza assoluta concludendo il ciclo del suo divenire.

In Hegel giunge a compimento il processo di sviluppo del pensiero postkantiano del romanticismo tedesco, caratterizzato dalla costruzione di una filosofia dell'infinito contro il criticismo di Kant. Ma, a differenza di Fichte e di Schelling, Hegel non concepisce l'infinito come qualcosa che si oppone o è al di là del finito, ma come una realtà che supera e annulla in sé il finito. Questa unità di finito e infinito, che negli scritti giovanili è riconosciuta nella religione e in quelli della maturità nella filosofia, ha come proprio organo la ragione, intesa come identità di pensiero e realtà, ovvero come autocoscienza dell'identità tra le determinazioni del pensiero (concetti) e quelle della realtà (cose, eventi). L'assoluto non è un principio da cui vada dedotta la realtà, ma il risultato di un processo dialettico attraverso cui la ragione diviene autocosciente.