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ORDINE MANIERA ecc.

 

Vitruvio aveva usato per indicare gli ordini due termini, genus e mos.

Serlio adopera vari vocaboli come " generatione ".

" maniera "(" cinque maniere de gli edifici ") 

e " opera " (" quest'opera Ionica") 

Nel IV libro (primo in ordine di pubblicazione) del suo trattato Regole genevnli di avchitetttlra sopra le cinque manieve degli edifici, Venezia 1537.;

Daniele Barbaro, nella sua traduzione di Vitruvio, non si attiene a una terminologia univoca, e parla ad esempio (nel commento al cap. 2 del primo libro) di "tre maniere d'opere".

Parallelamente a questi termini appare fin dall'inizio quello di "ordine", che verrà poi largamente usato da tutti i teorici dell>architettura, ma la cui origine non è facile da chiarire.

L'ordinatio vitruviana non ha niente a che vedere con gli ordini: con quel vocabolo il trattatista latino indica il proporzionamento dell'edificio e delle sue parti in base a un modulo unitario, come presupposto della symmetvia.

Gli ordini sono trattati nel cap. 2 del primo libro, in relazione al concetto di decoro nella traduzione di Barbaro 1 dieci libri dell'architetttrva di M. Vitruvio, tvadntti et commentati da Monsignor Barbaro, Venezia 1556. questo passo fondamentale suona così:

Decoro è I'aspetto polito di tutta I'opera composta con autorità di approvate cose. Questo è consumato, e perfetto, o per stanza, o per consuetudine, o per natura; per stanza, quando a Giove folgoratore, al Cielo, al Sole, e alla Luna si fanno gli edifici scoperti...; a Minerva, a Marte, a Hercole i tempi dorici son convenienti, perché a questi dèi per la virtu loro le fabriche (come sta bene) si fanno senza delicatezze, o tenerezze: ma a Venere, a Flora, a Proserpina, e alle Nynfe delle fonti son I'opere corinthie mirabilmente convenevoli, perché a questi dèi per la loro tenerezza I'opere sottili, e floride, ornate di foglie, e di volute, pare, che accreschino il dovuto ornamento; ma a Giunone, a Diana, al padre Baccho, e a gli altri dèi, quali sono della stessa simiglianza facendosi i lavori ionici, egli si riguarderà alla via di mezzo, perciò che e dalla severità della maniera dorica, e dalla delicatezza della corinthia sarà la loro propietà moderata.

Nel cap. 1 del quarto libro Vitruvio traccia un quadro storico dei tre ordini e ne stabilisce al tempo stesso le proporzioni. 

I dori diedero al fusto un'altezza pari a sei o sette diametri misurati alla base, perché I'altezza di un uomo ben proporzionato è uguale a sette volte la lunghezza del suo piede; 

gli ioni s'ispirarono per la loro colonna alle proporzioni un po' piu slanciate del corpo femminile e le assegnarono quindi un'altezza uguale a otto o nove diametri; 

i corinzi infine vollero richiamare I'impressione di snellezza suscitata da un corpo di fanciulla, e allungarono ancora la colonna, sovrapponendo al fusto ionico un capitello piu alto, quello a foglie di acanto.

A dimostrazione della natura "verginale" di quest'ordine, Vitruvio riporta nello stesso passo il seguente aneddoto sull'origine del capitello corinzio: "Una vergine cittadina di Corintho già da marito essendo inferma venne a morte, la notrice di quella havendo raccolto insieme que vasi, dei quali la vergine vivendo si dilettava, e postoli in un cesto, dapoi che fu sepelita, quelli al monumento fece portare e porli da capo, e accioché piu longamente restassero v'impose una tegola, il cesto per sorte fu posto sopra una radice d'Achanto... in quel mezzo la radice dal peso oppressa mandò fuori da primavera i rittorti cauli, questi crescendo longo lati del cesto, e da gli anguli della tegola, per la necessità del peso spinti in fuori constretti furono nelle ultime parti delle volute piegarsi. Allhora Calimacho,... passando appresso a quel monumento, avvertendo vide quel cesto, e d'intorno la tenerezza nascente delle foglie, e dilettatosi della maniera, e della novità della forma fece a quella simiglianza appresso i corinthi le colonne, e pose le convenienti misure di quelle, e dapoi nelle perfettioni delle opere fece la distributione della maniera corinthia."

I1 francese Daviler A. C. Daviler, CaMrs d'architecture, Paris 1691, proemio. vede ad esempio negli ordini "i caratteri espressivi della buona architettura"; la natura propria di ciascun ordine può e deve trovare espressione anche Ià dove non vengono usate le colonne:

 

Anche i teorici tedeschi dell'età barocca si preoccuparono di definire che cosa dovesse intendersi per "ordine " in senso lato. "Ordine è una certa maniera di ornamenti che tra loro si accordano", afferma sinteticamente il Goldmann'O;un suo seguace, Leonhard Christoph Sturm, svilupperà ulteriormente il tema "quale sia propriamente il fine principale degli ordini", giungendo alla conclusione che per trattare correttamente la questione occorre conoscere "quali elementi si convengano I'uno all'altro, quali valgano a rendere un'opera rustica e solida, o invece fine e delicata; tutto ciò lo apprenderemo dagli ordini, e molt'altro ancora, e potremo così disporre di infinite novità e invenzioni""

 

dopo Vitruvio, il primo teorico che si occupi nuovamente degli ordini è 1'Alberti, 

Nel De re aedificatoria egli chiama le colonne "il principale ornamento di tutta I'architettura", ma le esamina in astratto, senza riferimento al loro genere e carattere. 

Calcola le proporzioni dei vari ordini in base alle dimensioni del corpo umano e giunge, per successive interpolazioni, ad assegnare al dorico, allo ionico e al corinzio una lunghezza del fusto pari rispettivamente a 7, 8 e 9 diametri alla base', ma non si serve degli ordini per caratterizzare le sue architetture religiose o profane. 

La bellezza e il carattere di un edificio non dipendono per I'Alberti dalla decorazione (nella quale egli include anche le colonne): la bellezza è, secondo la nota definizione, "I'armonia tra tutte le membra, nell'unità di cui fan parte, fondata sopra una legge precisa, per modo che non si possa aggiungere o togliere o cambiare nulla se non in peggio".

 

 

Bramante era stato, secondo le parole dello stesso Palladio, "il primo a metter in luce la buona, e bella Architettura",  

Serlio cosi la enuncia:

Gli antichi dedicarono gli edifici a i dèi; accommodandosi a quelli secondo la lor natura robusta, o dilicata: come I'opera dorica a Giove, a Marte e ad Hercole... Ma in questi moderni tempi a me par di proceder per altro modo: non deviando però da gli antichi, voglio dir: che seguitando i costumi nostri christiani; dedicarò, in quanto per me si potrà, gli edifici sacri, secondo le specie loro a Dio, e ai santi suoi. Et gli edifici profani, sì publici come privati, darò a gli huomini, secondo lo stato e le profession loro.

Per quanto riguarda in particolare il dorico, Serlio precisa: Gli antiqui dedicarono questa opera dorica a Giove, a Marte, ad Hercole, e ad alcuni altri dèi robusti. Ma dopo la incarnation de la salute humana dovemo noi christiani procedere con altro ordine, percio che havendosi ad edificare un tempio consacrato a Giesu Christo Redentor nostro, o San Paolo, o San Pietro, a San Georgio, o ad altri simili santi, che non pur la profession loro sia stata di soldato, ma che habbiano havuto del virile et del forte ad esponere la vita per la fede di Christo, a tutti questi tali si convien questa generation dorica... S. Serlio, Regole cit., lib. IV, Venezia 1537, proemio e cap. 6.

 

 il corinzio, a proposito del quale Serlio afferma che "havendosi da far un tempio sacro di questo ordine, ei si debbia dedicar alla vergine Maria madre di Giesu Christo redentor nostro; la qual non pur fu vergine innanzi, ma fu vergine nel parto, e doppo '1 parto anchora; e così a tutti quei santi e a quelle sante che hanno tenuto vita verginale, questo tal ordine si conviene ancho"

Quest'aspetto sociale assume maggior evidenza nel sesto libro del trattato serliano, Delle habitationi di tutti li gvddi degli huomini26, nel quale le abitazioni rurali e urbane sono classificate secondo una. serie ascendente che va dalla "casa del povero contadino" a quella del "gentilhuomo" e del "principe illustre": ad esempio, una casa con loggia colonnata si addice solo a chi abbia almeno la qualifica di "piu ricco citadino, o vero mercante". 

 

 

 

Nel cap. 5 del nono libro, dedicato agli ornamenti degli edifici privati, 1'Alberti spiega che gli antichi "giustamente stabilirono che dovesse esser loro di modello la natura, creatrice delle forme migliori". Come vi sono corpi umani variamente proporzionati che possono apparire, ognuno nel suo genere, ugualmente belli, cosi anche nell'architettura è possibile creare con differenti proporzioni una varietà sentita come bellezza:

Seguendo dunque la natura, scoprirono tre stili atti ad ornare la casa, e diedero loro dei nomi, derivanti dai popoli che preferivano I'uno o I'altro di essi... Uno era piu robusto, piu adatto agli sforzi e più durevole; e fu chiamato dorico. Un altro, sottile e quanto mai leggiadro; e fu detto corinzio. Quello intermedio poi, che riuniva quasi i due suddetti, ebbe nome ionico. Furono questi i loro ritrovati in merito all'organismo nel suo complesso. Inoltre, essendosi accorti dell'importanza che avevano, al fine di raggiungere la bellezza, i tre elementi sopra citati - voglio dire numero, delimitazione e collocazione, - dopo avere studiato le opere della natura resero noto in che modo tali elementi dovessero applicarsin

Ancora per lo Scamozzi I'architettura è "imitatrice della Natura, e giudicatrice e norma delle belle arti"; anch>egli, invece di fondarsi sulla sola autorità di Vitruvio, fa derivare gli ordini da una legge naturale:

Perciò nel disporre i precetti de gli ordini, osservaremo così nel tutto de' loro corpi, come anco nelle loro parti e membra, che dalI'uno all'altro vadino di grado in grado incominciando dalla sodezza dell'ordine toscano e passando ne gli altri, fino che si pervenghi alla delicatezza e leggiadria del corinto, imitando in questo la Natura, la quale, tanto ne' corpi animati, quanto anco nelle piante, mantiene sempre di grado in grado la propria specie...28

 Fréart de Chambray non era disposto a riconoscere altri stili se non "quelli che abbiamo ereditati dai greci, il dorico, lo ionico e il corinzio; che a ragione possono essere chiamati il fiore e la perfezione degli ordini, giacché contengono in sé non solo ogni bellezza, ma anche tutto il necessario dell'architettura, non essendovi che tre maniere di edificare, una robusta, una mediana e una delicata, compiutamente espresse da questi tre ordini... "~9.

 Un secolo piu tardi, quando gla la posizione del vitruvianismo in Francia era compromessa, I'abate Laugier giungeva sostanzialmente alle stesse conclusioni:

I1 numero degli ordini architettonici non è fissato in modo assoluto: i greci ne conobbero solo tre, i romani ne ebbero cinque, e i francesi avrebbero voluto aggiungervene un sesto. Trattandosi di una questione di gusto e d'ispirazione, sembra naturale lasciare agli artisti piena libertà a tale riguardo. Considerate le cose allo stato attuale, direi che non vi siano propriamente se non tre ordini architettonici, il dorico, lo ionico e ilcorinzio: solo in essi si nota un'invenzione, un carattere specifico... Tre soli ordini formano il nostro vero patrimonio... Si direbbe che questi tre ordini, così intesi, coprano I'intero campo dell'Arte e bastino a soddisfare tutti i nostri bisogni e i nostri gusti M

 "L'origine degli ordini è quasi altrettanto antica quanto I'umana società" 31: 

1 prologo in versi dedicato a Jean Martin, iI traduttore francese dell'Alberti, esprime bene quest'autosufficienza, associata già a un significativo nazionalismo architettonico:

I grandi palazzi che un tempo si ergevano tieri e le dimore ardite e superbe

che levavano la fronte fino al cielo

sono in rovina ormai e diroccati:

ma non è morta I'arte del costruire,

che i buoni autori hanno voluto tramandarci.

Come in eterno sarà ricordato il loro nome, così nei secoli sarà glorioso in Francia

il nome tuo, o Jean Martin...

Non piu la Grecia porterà vanto

d'essere piu di noi dotta in quest'arte,

né piu cercheremo in paesi stranierj

gli architetti geniali e le loro invenzioni: basta Martin a colmarne la Francia33

 

 I primi a preoccuparsi di questo rapporto furono i teorici francesi, e già Félibien des Avaux afferma:

Non basta dunque che un edificio sia solidamente costruito, ma tale solidità deve manifestarsi in un aspetto esteriore conforme alla natura dell'opera. Né basta che un edificio sia adorno di decorazioni raffinate, ma occorre che gli ornamenti vi siano usati come per necessità e nel modo che sembrano richiedere il carattere, la destinazione e la dignità dell'edificio stesso36

Anche lo Sturm, I'ultimo grande teorico del vitruvianismo, si pone il problema di "far parlare" I'architettura allegorica allorché insiste sulla necessità di conservare puri i caratteri o "contrassegni" dei vari ordini:

Gli elementi degli ordini sono per così dire I'alfabeto dell'architettura, giacché come con ventiquattro lettere si possono comporre innumerevoli parole e discorsi differenti, così con varie combinazioni di quegli elementi, non molto piu numerosi delle lettere dell'alfabeto, è possibile comporre ornati architettonici diversissimi, secondo cinque specie di ordini... Coloto che vogliono introdurre altri otdini generano invece disordine, in quanto è impossibile trovare un numero maggiore di contrassegni che rendano gli ordini effettivamente diversi tra loro. E se qualcuno ci chiedesse quali siano fra gli ordini:i pm necessari, risponderemmo francamente, il dorico e il corinzio: il primo nelle costruzioni semplici e modeste, I'altro negli edifici nobili e splendidi. Tuttavia, essendo stati inventati cinque ordini, possiamo benissimo servircene e utilizzarli tutti con giudiziosa discrezione, a patto di distinguerli rettamente con i rispettivi contrassegnin

Ogni ordine deve dunque presentarsi in modo chiaramente intelligibile: da qui I'idea, pm volte ribadita fin dagli inizi, che non sia lecito mescolare tra loro gli elementi dei vari ordini

 

 

 

 Gli intercolunni dei portici misurano circa due moduli e un quarto: "...questa è la pm bella,

e commoda maniera d'intercolunni: e da Vitruvio è detta Eustilos", afferma lo stesso Palladio nel primo libro, riferendosi appunto all'ordine ionico.

 

 

Questa soluzione, oltre a essere piu ricca e splendida della sovrapposizione vitruviana, sembra accordarsi meglio con la tradizione locale: "... i venetiani si dilettano molto nelle sue fabriche d'opera corinthia... ", afferma Serlio4j, che conosceva bene I'ambiente. 

Lo Scamozzi ha espresso molto bene I'intento che animava gli architetti italiani nell'uso della sovrapposizione:

 

Tutti cinque gli ordini messi I'uno sopra all'altro a questo modo regolato da noi vengono a far una scandentia proportionatissima: incominciando dalla sodezza del toscano e fortezza del dorico, e passando alla gravità del ionico et alla venustà del romano, et alla fine pervenendo alla gracilità del corinto, il quale è superiore a tutti gl'altri; e parimente essi vengono a fare grandissimo concerto insieme paragonati, che sono anco I'uno dietro all'altroa

 

 

Un teorico, il Perrault, escogitò tuttavia una curiosa spiegazione, affermando che in una casa d'abitazione I'ordine gigante "fa pensare a un gran palazzo semidiroccato e deserto nel quale si sia installato qualcuno che, trovando scomoda I'ampiezza e I'altezza degli ambienti o volendo utilizzare meglio lo spazio, vi abbia ricavato dei soppalchi"47.

 Ad ogni modo anche Perrault approvava I'uso delI'ordine gigante per determinati scopi, specialmente nell'architettura religiosa: "Un ordine gigante conferisce maestà ai templi, ai teatri, ai portici e ai peristili, ai saloni e ai vestiboli, alle cappelle e agli altri edifici che consentono o addirittura richiedono una grande altezza... ". 

I1 basamento bugnato rappresenta quasi la fondazione naturale, la roccia su cui s'innalza I'edificio. Serlio defini I'ordine rustico "opera di natura" e lo combinò con gli ordini, intesi come "opera di mano": " la qual mistura, per mio aviso, è molto grata all'occhio et rappresenta in se gran fortezza"49. Risulta allora evidente perché Bramante abbia scelto per la sua casa proprio il dorico: essendo I'ordine piu semplice e virile, era anche il piu conveniente alla dimora di un "personaggio" borghese: "... se ad armigeri, et robusti, o gran personaggi, o mediocri, o bassi, si farà edificio alcuno, così publico come privato, si convien questa opera dorica... "5

Cerchiando coi blocchi rustici le colonne ioniche delle flnestre, Palladio contravveniva alle regole: a rigore, il bugnato si confà solo alla robustezza del toscano o tutt>al piu allo spirito marziale del dorico. Ma già Serlio aveva trattato la questione con una certa libertà:

Si potrà ben anco, non ci discostando da quello che han fatto gli antichi, mischiare e comunicare quell'opera rustica con la dorica, e con la ionica anchora, e talhor con la corinthia, a voglia di chi volesse contentar un suo capriccio. I1 che però piu tosto si potrebbe dir che fosse di licentia, che di ragione...55

Palladio dunque si è concessa qui una "licentia" che a rigore contraddice alla "ragione" architettonica; in effetti, nelI'età che chiamiamo manieristica simili "capricci" ebbero talvolta un ruolo di contestazione dell'architettura ortodossa.

 

 

5j S~ Serlio, lib. IV cit., proemio.

 

potuta attribuire a entrambi la paternità dell'ordine gigante

ma fu Palladio a realizzarlo per la prima volta nel palazzo Valmarana. Tra due vi è poi il Serlio (morro nel 1554), che nel lib;o VII, pubblicato postumo, mostra due facciate di palazzi con ordine gigante: cfr. M. Rosci, II Iruttato di architetttlra di Sebnstiano Serlio,

 

Milano 1366, p. 45.

js R. Fréart de Chambray, op. cit., p. 20·

esempio cinquecentesco di sovrapposizione vitruviana, la facciata del Gewandhaus di Braunschweig (1531; fig. 21), sia sorto in una città già famosa per i suoi ricchi edifici in Fachweuk; in ogni caso questa facciata, nonostante il lessico vitruviano dei particolari, non dev'essere apparsa estranea al proprio ambiente. Anche nell'architettura dei palazzi e dei castelli (in quanto risolta 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Lo spiccato verticalismo delle facciate risponde ai precetti stabiliti dallo Sturm per i " palazzi dei grandi signori": "È soprattutto I'altezza dell'edificio a dargli un aspetto sontuoso, e a ciò si deve fare molta attenzione in questo genere d'architettura"M. E ancora:

Quando si vorranno usare colonne o paraste, la possanza e la maestà dell'edificio potranno essere grandemente accresciute dall'ordine gigante, sia che questo abbracci I'intera altezza dell'edificio, sia che s'innalzi sopra un piano terreno (liscio oppure bugnato) e comprenda la rimanente altezza di almeno due ordini sovrapposti di finestre 61

 

1. L'ovdine douico.

 

Per I'uso allegorico dell'ordine dorico è fondamentale il gij citato passo di Vitruvio (I, 2) che lo mette in relazione con determinate divinità: "... a Minerva, a Marte, a Hercole i tempi dorici son convenienti, perché a questi dèi per la virtu loro le fabriche (come sta bene) si fanno senza delicatezze o tene rezze... ". 

 

 

Lo Scamozzi, nel tirare le somme dell'esperienza architettonica del Cinquecento, estende questa caratterizzazione del dorico all'ambito profano, fondandosi sullo stesso Serlio e sulla prassi di tutto il secolo:

 

L'ordine dorico essendo molto sodo e forte nel tutto e nelle sue parti, et accomodato a sostenere gagliardamente i soprastanti pesi,

et a resistere assai bene all'ingiurie de' tempi, e perciò di questo ordine gli antichi fecero gli edifici raccontati, i mausolei, le moli, e simiglianti; e noi parimente potiamo fare gli arsenali, le zecche, et altri generi di fabriche, si come habbiamo ordinato il primo ordine di quelle, de gli Illustrissimi Signori Procuratori, et anco le procuratie stesse, su ambe le piazze di San Marco, et anco le case piu honorevoli de' cittadini, così nella città, come in villa'

 

 

 

 

ORDINE          MANIERA 

 

Vitruvio aveva usato per indicare gli ordini due termini, genus e mos.

Serlio adopera vari vocaboli come " generatione ".

" maniera "(" cinque maniere de gli edifici ") 

e " opera " (" quest'opera Ionica") 

Nel IV libro (primo in ordine di pubblicazione) del suo trattato Regole genevnli di avchitetttlra sopra le cinque manieve degli edifici, Venezia 1537.;

Daniele Barbaro, nella sua traduzione di Vitruvio, non si attiene a una terminologia univoca, e parla ad esempio (nel commento al cap. 2 del primo libro) di "tre maniere d'opere".

 

 

Parallelamente a questi termini appare fin dall'inizio quello di "ordine", che verrà poi largamente usato da tutti i teorici dell'architettura, ma la cui origine non è facile da chiarire.

L'ordinatio vitruviana non ha niente a che vedere con gli ordini: con quel vocabolo il trattatista latino indica il proporzionamento dell'edificio e delle sue parti in base a un modulo unitario, come presupposto della symmetvia.

Gli ordini sono trattati nel cap. 2 del primo libro,  nella traduzione di Barbaro 1 dieci libri dell'architetttrva di M. Vitruvio, tvadntti et commentati da Monsignor Barbaro, Venezia 1556.  :

Decoro è I'aspetto polito di tutta I'opera composta con autorità di approvate cose. Questo è consumato, e perfetto, o per stanza, o per consuetudine, o per natura; per stanza, quando a Giove folgoratore, al Cielo, al Sole, e alla Luna si fanno gli edifici scoperti...; a Minerva, a Marte, a Hercole i tempi dorici son convenienti, perché a questi dèi per la virtu loro le fabriche (come sta bene) si fanno senza delicatezze, o tenerezze: ma a Venere, a Flora, a Proserpina, e alle Nynfe delle fonti son I'opere corinthie mirabilmente convenevoli, perché a questi dèi per la loro tenerezza I'opere sottili, e floride, ornate di foglie, e di volute, pare, che accreschino il dovuto ornamento; ma a Giunone, a Diana, al padre Baccho, e a gli altri dèi, quali sono della stessa simiglianza facendosi i lavori ionici, egli si riguarderà alla via di mezzo, perciò che e dalla severità della maniera dorica, e dalla delicatezza della corinthia sarà la loro propietà moderata.

Nel cap. 1 del quarto libro Vitruvio traccia un quadro storico dei tre ordini e ne stabilisce al tempo stesso le proporzioni. 

"I dori diedero al fusto un'altezza pari a sei o sette diametri misurati alla base, perché I'altezza di un uomo ben proporzionato è uguale a sette volte la lunghezza del suo piede; 

gli ioni s'ispirarono per la loro colonna alle proporzioni un po' piu slanciate del corpo femminile e le assegnarono quindi un'altezza uguale a otto o nove diametri; 

i corinzi infine vollero richiamare I'impressione di snellezza suscitata da un corpo di fanciulla, e allungarono ancora la colonna, sovrapponendo al fusto ionico un capitello piu alto, quello a foglie di acanto."

 Vitruvio riporta nello stesso passo il seguente aneddoto sull'origine del capitello corinzio: "Una vergine cittadina di Corintho già da marito essendo inferma venne a morte, la notrice di quella havendo raccolto insieme que vasi, dei quali la vergine vivendo si dilettava, e postoli in un cesto, dapoi che fu sepelita, quelli al monumento fece portare e porli da capo, e accioché piu longamente restassero v'impose una tegola, il cesto per sorte fu posto sopra una radice d'Achanto... in quel mezzo la radice dal peso oppressa mandò fuori da primavera i rittorti cauli, questi crescendo longo lati del cesto, e da gli anguli della tegola, per la necessità del peso spinti in fuori constretti furono nelle ultime parti delle volute piegarsi. Allhora Calimacho,... passando appresso a quel monumento, avvertendo vide quel cesto, e d'intorno la tenerezza nascente delle foglie, e dilettatosi della maniera, e della novità della forma fece a quella simiglianza appresso i corinthi le colonne, e pose le convenienti misure di quelle, e dapoi nelle perfettioni delle opere fece la distributione della maniera corinthia."

I1 francese Daviler A. C. Daviler, CaMrs d'architecture, Paris 1691, proemio. vede ad esempio negli ordini "i caratteri espressivi della buona architettura"; la natura propria di ciascun ordine può e deve trovare espressione anche Ià dove non vengono usate le colonne:

"Vi sono poi edifici senza colonne che tuttavia prendono ugualmente nome da un ordine perché alcune loro parti - la trabeazione, il coronamento della facciata, le incorniciature dei vani, ecc. - ne hanno i caratteri: ad esempio I'esterno del palazzo Farnese è corinzio perché ha il cornicione tipico di quest'ordine; e cosi in altri"

Serlio cosi la enuncia:

"Gli antichi dedicarono gli edifici a i dèi; accommodandosi a quelli secondo la lor natura robusta, o dilicata: come I'opera dorica a Giove, a Marte e ad Hercole... Ma in questi moderni tempi a me par di proceder per altro modo: non deviando però da gli antichi, voglio dir: che seguitando i costumi nostri christiani; dedicarò, in quanto per me si potrà, gli edifici sacri, secondo le specie loro a Dio, e ai santi suoi. Et gli edifici profani, sì publici come privati, darò a gli huomini, secondo lo stato e le profession loro."

Per quanto riguarda in particolare il dorico, Serlio precisa: Gli antiqui dedicarono questa opera dorica a Giove, a Marte, ad Hercole, e ad alcuni altri dèi robusti. Ma dopo la incarnation de la salute humana dovemo noi christiani procedere con altro ordine, percio che havendosi ad edificare un tempio consacrato a Giesu Christo Redentor nostro, o San Paolo, o San Pietro, a San Georgio, o ad altri simili santi, che non pur la profession loro sia stata di soldato, ma che habbiano havuto del virile et del forte ad esponere la vita per la fede di Christo, a tutti questi tali si convien questa generation dorica... S. Serlio, Regole cit., lib. IV, Venezia 1537, proemio e cap. 6.

 

 

 

I1 divario tra Serlio e Bramante è meno grande di quanto si possa credere. Serlio aveva anzi qualche titolo per considerarsi un erede di Bramante: era stato allievo del     Peruzzi      e ne aveva divulgato i disegni e le teorie architettoniche; e Peruzzi a suo tempo aveva lavorato con Bramante. 

Quest'ultimo  aveva composto anch'egli un trattato di architettura in cinque libri, pur troppo perdutou; 

è lecito supporre che esso contenesse una presa di posizione nei confronti di Vitruvio, che non sia rimasto ignoto ai contemporanei, almeno nelle sue linee fondamentali, e che alcuni suoi principi siano stati accolti negli scritti dei seguaci di Bramante.

 il corinzio, a proposito del quale Serlio afferma che "havendosi da far un tempio sacro di questo ordine, ei si debbia dedicar alla vergine Maria madre di Giesu Christo redentor nostro; la qual non pur fu vergine innanzi, ma fu vergine nel parto, e doppo '1 parto anchora; e così a tutti quei santi e a quelle sante che hanno tenuto vita verginale, questo tal ordine si conviene ancho"

 Anche quest'idea si trova, allo stato embrionale, in Vitruvio, Ià dove egli tratta (lib. VI, cap. 5) delle abitazioni private cittadine; manca però in Vitruvio quella graduatoria "sociale" degli ordini che incontriamo invece nel Cinquecento. 

Fu Serlio a introdurre questo concetto nella teoria dell'architettura, affermando che gli edifici dovevano essere contraddistinti mediante i vari ordini "secondo lo stato, e le professioni" dei committenti. 

Quest'aspetto sociale assume maggior evidenza nel sesto libro del trattato serliano, Delle habitationi di tutti li gvddi degli huomini26, nel quale le abitazioni rurali e urbane sono classificate secondo una. serie ascendente che va dalla "casa del povero contadino" a quella del "gentilhuomo" e del "principe illustre": ad esempio, una casa con loggia colonnata si addice solo a chi abbia almeno la qualifica di "piu ricco citadino, o vero mercante". 

Questa concezione sociale viene ulteriormente differenziata mediante I'uso dei cinque ordini, già trattati da Serlio nel quarto libro.

 

 

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