department  DEMONT ©  morphology

Home ] Up ] Contens ]

Ordini Architettonici

Home ] Up ] NEW ENGLISH ] MORPHOLOGY ] MEMBERS ] Gallery ] Archive ] Services ] NEWS ] VRML GALLERY ] EDUCATION ] DESIGN ]

XXXXXXXXXX

Home
Up
Metafisica dello spazio
Ordine e Numero
Ordini Architettonici
Simbolismo dello spazio
Ordine dello Spazio

Tratterò dell'architettura come linguaggio e mi limiterò per il momento a presumere che il mio pubblico riconoscerà il latino dell'architettura quando se lo troverà di fronte. I1 latino dell'architettura: ecco ciò che mi induce a un altro presupposto di carattere generale. L'architettura classica affonda le sue radici nell'antichità, nel mondo greco e in quello romano, nell'architettura dei templi del mondo greco e nell'aichitettura ieligiosa, militare e civile dei romani. Lo sviluppo e l'elaborazione del linguaggio classico dell'architettura, la sua natura e il suo uso, dall'architettura greca e romana nel suo uso come linguaggio architettonico comune, ereditato da Roma, fra il Rinascimento e I'epoca attuale.da parte di quasi tutto il mondo civile negli ormai sei secoli che intercorrono . Consideriamo il termine «dassico» aI~plicato all'architettura. È un errore cercare di definire il classicismo. Esso assume ogni sorta di significati utili in contesti differenti e io ptopongo di considerarne soltanto due che saranno entrambi utili nel corso di queste conversazioni. Ilprimo signi~cato è il piu evidente. Un edificio classico è quello i cui elementi decorativi derivano direttamente o inditettamente dal vocabolario architettonico del mondo antico: il mondo «classico», come è spesso chiamato. Questi elementi sono facilmente identi~cabili: per esempio, le colonne di cinque tipi determinati, usate in determinati modi; modi determinati di trattare porte e ~nestre e le esttemità del frontone, e determinati tipi di modanature applicabili a tutte queste cose. Benché spesso si prescinda da questi «elementi determinati», essi sono ancora riconoscibili come tali in ogni parte di tutti gli edi~ci che possono essere considerati classiu in questo senso. ELEMENTI ESSENZIALI sugli elementi essenziali del classicismo in architettura.. Dire «elementi essenziali» è molto vago ;nonduneno, la storia dell'architettura classica è costellata da una serie di giudizi sugli elementi essenziali dell'architettura, e tali giudizi sono concordi per un lungo periodo di tempo, . I1 fatto è che gli elementi essenziali dell'architettura, cosi come sono spiegati dai trattatisti del Rinascimento, possono essere espiessi, consciamente o inconsciamente, nell'architettura di tutto il mondo. E mentre dobbiamo associare questi elementi essenziali con ciò che consideriamo classico, dobbiamo anche accettare il fatto che I'architettura dassica è riconoscibile come tale soltanto quando alluda, anche di sfuggita e in modo sommario, agli antichi «ordini». ARMONIA Lo scopo dell'architettura dassica è stato sempre quello di ottenere un'armonia delle parti suscettibile di dimostrazione. Si è sempre ritenuto che questa armonia fosse propria degli edifici dell'antichità e fosse ul gran parte ~tincorporata» negli elementi prinapali antichi, particolarmente nei cinque «ordini» di cui ora parleremo. Ma tale atmonia è stata anche teonzzata da una serie di ttattatisti, i quali hanno dimosttato che in una costruzione si raggiunge un'armonia analoga a quella musicale mediante la proponione, garantendo cioè che i rapporti di un edi~cio abbiano soltanto funzioni atitmetiche e che i rapporti di tutte le sue parti siano quei rapporti stessi o si ricolleghino ad essi in modo diretto.. I1 concetto iinascimentale di proponione è molto semplice. Scopo della proponione è di ottenere I'armonia attraverso una struttura: un'armonia resa intelligibile mediante I'uso manifesto di uno o piu ordini come componente dominante, oppure soltanto mediante I'uso di dimensioni che implicano la replica di semplici rapporti. [Armonia e propor zione sono condizioni necessarie ma non sutfficienti.] GOTICO si potrebbero citare moltissimi altri esempi, in cui il sistema gotico è strettamente analogo a quello classico. Tra paientesi, è un grande errore pensare ai termini gotico e classico come antitetici; essi sono molto ditferenti, ma non antitetici, e fra loro non mancano affatto i rapporti. È stato il romanticismo del xIx secolo che a ha indotti a porli psicologicamente in settori del tutto diversi. CLASSICISMO MODERNO Alcuni edi~ci moderni, specialmente quelli di Auguste Perret e dei suoi imitatori, sono classici in questo modo: cioè, sono realizzati con spirito classico, quantunque con materiali modetni, e si quali~cano come classici soltanto mediante le allusioni piu impe~cettibili.. CINQUE 5 ORDINI la cosa principale è la questione degli ordini, i «cinque ordini dell'architettura». Prima di tutto che cosa sono gli ordini~. Un «ordine» è costituito dall'insieme di «colonna e sovrastruttura» del colonnato di un tempio. Esso non ha necessariamente un basamento e infatti spesso non lo ha. Ha invece necessariamente una trabeazione (le colonne non hanno senso se non sono in funzione di sostegno), e la cornice corrisponde alla gronda che conclude gli spioventi del tetto. Petché sono cinque e non quattro, o sedici, o trecentoventisei~ Perché gli ordini sono cinque? Questo è un po' piu difficile da spiegare e occorre risalire in parte alle origini. La prima descrizione scritta degli ordini si trova in Vitruvio. Nel terzo e nel quarto libro del De Avchitectura Vitruvio descrive tre ordini: lo ionico, il dorico e il corinzio, e accenna a un quarto, il toscano, indicando in quali parti del mondo furono inventati, ricollegandoli alle sue descrizioni di templi e precisando a quali divinità ciascuno di essi si addice. Le sue descrizioni non sono affatto esaurienti, egli non parla del quinto ordine, non presenta gli ordini in quella che a nostro parere è la loro «giusta» successione (toscano, dorico, ionico, corinzio) e, ciò che è ancora piu importante, non ne tratta come di una serie di formule canoniche comprendenti ogni virtu architettonica. ; quantunque i romani accettassero indubbiamente gli ordini dorico, ionico e corinzio nella loro individualità e ne conoscessero le origini storiche, non furono essi a imbalsamarli e consacrarli nel modo arbitrario e restrittivo che ci è familiare Questo spettò ai trattatisti del Rinascimento. Occorre comprendere I'importanza immensa che ebbe per tutta I>architettura, dal Rinascimento in poi, questo processo di imbalsamazione e canonizzazione. Si giunse a considerare gli ordini come I'autentica pietra di paragone dell'architettura, come gli strumenti architettonici piu raffinati, che incarnavano tutta I>antica saggezza del genere umano nell'arte edilizia, quasi fossero un prodotto della natura. Le descrizioni di Vitruvio presentano lacune, che si possono colmare soltanto con la conoscenza immediata dei monumenti romani superstiti. Gli ordini esemplificati in questi monumenti mutano sensibilmente dall'uno all'altro, cosicché chiunque ha la possibilità di ricavarne quelle che considera le caratteristiche migliori, al fine di esporre ciò che ritiene essere il proprio ideale dell'ordine corinzio, ionico e cosi via. A metà del xv secolo, millequattrocento anni dopo Vitruvio, I'architetto e umanista fiorentino Leon Battista Alberti descrisse gli ordini in parte rifacendosi a Vitruvio e in parte basandosi sull'osservazione diretta delle rovine romane. Grazie a questa osservazione diretta, egli aggiunse un quinto ordine, il composito, che unisce alle caratteristiche del corinzio quelle dello ionico. Ma I'atteggiamento di Alberti era ancora estremamente oggettivo e le- gato a Vitruvio. Fu Sebastiano Serlio, quasi un secolo dopo, a dare veramente inizio alla lunga carriera di autorità canonica, simbolica e quasi leggendaria degli ordini, ormai divenuti i cinque ordini. Non sono certo che questa fosse proprio I'intenzione di Serlio, ma è ciò che egli fece. L'opera di Serlio sugli ordini inizia con un'incisione, la prima del suo genere( tav. 4), in cui i cinque ordini si susseguono I'uno accanto all'altro come birilli male assortiti, schierati secondo il loro spessore, cioè secondo il rapporto del diametro inferiore della colonna con I'altezza. Hanno tutti un piedestallo. I1 tozzo oidine toscano è il primo da sinistra, seguono il dorico, a lui analogo ma un po' meno basso, I'elegante ionico, il corinzio alto ed elaborato e infine il composito, ancora piu allungato e adorno. Nel testo che accompagna questa tavola, Serlio spiega che nel suo trattato sull'architettura ha posto davanti al lettore gli stili principali, come gli antichi drammaturghi erano soliti far precedere le loro tragedie da un prologo, per spiegare al pubblico quanto stava per accadere. Egli lo fa in modo da rendere gli ordini cosi essenziali nella grammatica dell'architettura, come sono, per esempio, le quattro coniugazioni dei verbi nella grammatica latina. Questo espediente di Serlio, cosi ef~icace e quasi davvero teatrale, non andò perduto con i successori: infatti, i cinque ordini passarono di mano in mano come «serie completa», da cui era discutibile allontanarsi.( Quasi tutti i libri di aichitettura del xvII e del xvIII secolo incominciano allo stesso modo, con una tavola delle cinque colonne e trabeazioni allineate I'una accanto all'altra: Bloem in Svizzera, De Viies nelle Fiandre, Dietterlin in Germania, Fréart e Perrault in Francia e, in Inghilterra, Shute, Gibbs e Sir William Chambers. L'edizione del trattato di Chambers a cura di Joseph Gwilt ci fa giungere al I825 e, Se Si passa da essa alla Encyclopaedia of Architecture dello stesso Gwilt e la si segue fino alla sua ultima edizione nel I89I, si constata che vi si afferma ancora che «I'architettura come arte si fonda sull'esatta conoscenza e applicazione degli ordini».) Serlio ce li pone davanti perentoriamente, indicando le dimensioni di ciascuna parte, come se ne determinasse in modo definitivo pro~li e proporzioni. Ma, in iealtà, gli ordini di Serlio, mentre rinettono evidentemente in qualche misura quelli di Vitmvio, si basano anche sull'osservazione diietta dei monumenti antichi da parte dell'autore, e quindi, essendo frutto di una scelta personale, sono in grado notevole di sua invenzione. Non poteva essere altrimenti Nel corso della storia dell'architettura classica, la speculazione sul tipo ideale di ciascun ordine è oscillata continuamente fra il rispetto per la tradizione antica, da un lato, e la pura e semplice invenzione personale, dall'altro. I tipi composti e pubblicati dai grandi trattatisti si collocano piu o meno tra questi due estremi: dapprima Serlio, naturalmente, nel I~37; poi Vignola, nel I562; Palladio, nel I570; Scamozzi nel I6I5. Costoro ebbero un'innuenza determinante in tutto il mondo, ma in ogni secolo vi sono stati architetti che a volte hanno tratto vanto dall'attenersi letteralmente a determinati esempi antichi. Fra gli altri, Jean Bullant, nel castello di Ecouen nei pressi di Parigi, copiò I'ordine corinzio del tempio di Vespasiano con tutti i suoi motivi ornamentali: ciò avveniva nel I540· I"igo Jones ricostrui nel I6go al Covent Garden di Londra I'ordine toscano fondandosi sul testo di Vitruvio (tav. 2I)e compiendo quasi un'esercitazione di carattere archeologico. Nel I7gj Sir John Soane attinse a piene mani dal tempio di Vesta a Tivoli per la Banca d'Inghilterra a Londra. D'altronde vi sono stati sempre innovatori audaci. Philibert de L'Orme creò un nuovo ordine «francese» per il palazzo delle Tuileries a Parigi; gli ordini di Wendel Dietterlin nel suo trattato del I594 sono variazioni fantasmagoriche su Serlio; gli ordini di Borromini sono invenzioni esasperate ed estremamente espressive, del tutto personali. È quindi un errore pensaie ai «cinque ordini dell'architettura» come a una specie di scatola di costruzioni per bambini di cui gli architetti si sono serviti per risparmiarsi la fatica di esercitare la propria facoltà creatrice. È molto meglio considerarli espressioni grammaticali, che impongono una rigorosa disciplina, ma una disciplina nel sui ambito la sensibilità personale ha sempre un certo gioco, una disciplina, inoltre, che a volte può essere infranta da un'idea geniale e poetica.   VITRUVIO . I1 nome di questo scrittore romano. Fu un architetto di una certa importanza all'epoca di Augusto In se stesso Vitruvio non fu un genio, né ebbe particolari doti di letterato oa quanto ne sappiamo, di archiYtetto. e scrisse un trattato in dieci libri: De Architecttlra, da lui dedicato all'imperatore. È I'unico trattato del genere pervenutoci dall'antichità e per tale motivo è stato tenuto nella massima considerazione. L'importanza del suo trattato consiste nel fatto che esso compendia e t~asmette ai posteri un'immensa quantità di dati sull'edilizia tradizionale dell'antichità, codificando la tecnica di un architetto romano del I secolo d. C. e completandola con esempi e note di carattere storico. SERLIO Serlio fu un uomo del Rinascimento maturo, nato nello stesso anno di Michelangelo, contemporaneo di Raffaello e collaboratore di Baldassarre Peruzzi, del quale ereditò i progetti. Costrui alcuni edifici di una certa importanza, ma il servizio maggiore da lui reso all'architettura fu di redigere, su vasta scala e con ampio corredo illustrativo, la prima grammatica architettonica del rinascimento. Essa scaturi da una serie di libri, i primi due pubblicati a Venezia e i successivi in Francia sotto il patrocinio di Francesco I, che divennero la bibbia architettonica del mondo civile. Gli italiani se ne servirono, i francesi subirono I'influenza decisiva di Serlio e dei suoi libri, i tedeschi e i fiamminghi basarono i loro trattati su quello di lui, gli elisabettiani attinsero da Serlio e Sir Christopher Wren lo considerava ancora insuperabile quando, nel I663, costrui lo Sheldonian Theatre a Oxford. CARATTERE DEGLI ORDINIil carattere dell'architettura classica non risiede a~atto soltanto nel trattamento degli ordini stessi. Esso risiede anche, ancora di piu (molto di piu, invero), nel modo in cui vengono utilizzati; Se non si conoscono davvero gli ordini e non si è in grado di distinguere a colpo d'occhio un ordine toscano secondo Vitruvio, uno corinzio tratto dal tempio di Vespasiano, uno ionico tratto dal tempio di Saturno o il composito piuttosto bizzarro escogitato da Serlio ispirandosi al Colosseo, non si possono apprezzare tutte le raf~inatezze e le varianti a cui, di volta in volta, sono stati amorosamente e assiduamente assoggettati. DORICO E LEGNO È certo che I'ordine dorico trae le sue forme da un tipo primitivo di costruzione in legno. Lo attesta anche Vitruvio. Quando osserviamo un ordine dorico eseguito in pietra, vediamo in realtà la rappresentazione, ottenuta mediante la scultura, di un ordine dorico in legno. Beninteso, non si tratta di una rappresentazione letterale, ma del suo equivalente plastico. I primi templi dell'antichità erano in legno; a poco a poco alcuni di essi, senza dubbio quelli con un particolare carattere sacro e che erano fonte di ricchezza, furono ricostruiti in pietra. Probabilmente si avverti la necessità di conservare nella versione in pietra, piu duratura, quelle stesse forme che avevano assunto un accentuato carattere sacrale. Quindi vennero copiati in pietra o in marmo gli elementi della trabeazione lignea, i quali erano gla sicuramente un po' stilizzati. È certo che in se- guito i templi in pietra sorti in nuove località ricopiarono queste copie, e si prosegui in tal modo finché si pervenne a una formula statica e accettata. Se si considera la trabeazione dorica sotto questo punto di vista, essa trova in parte una sua giustificazione. I muttlli sembrano costituire le estremità di travi sporgenti allo scopo di sorreggere la gronda e ottenere cosi che la pioggia scorra lontano dalle colonne. I trigliji, inoltre, potrebbero corrispondere alle parti terminali delle travi lignee di campata, appoggiate sull'architrave. La tenia assomiglia a una specie di elemento di collegamento e sembra essere assicurata ai triglifi mediante le gocce, che, naturalmente, non sono dei pendagli, ma cavicchi. Ho detto «sembrano costituire», «potrebbero coriispondere», «assomiglia», perché si tratta soltanto di mie approssimative congetture. Alcuni archeologi si sono dedicati con molta ingegnosità al tentativo di risalire dalla formula consolidata del dorico al suo precedente prototipo ligneo. Le loro ipotesi sono da prendere in maggiore considerazione delle mie, ma si ttatta pur sempre di ipotesi, destinate probabilmente a rimanere tali. Ciò che qui interessa è che con I'andar del tempo un sistema di costruzione lignea, copiato in pietra, si cristallizzò nella formula linguistica nota a Vitruvio, e in tal modo a noi, come ordine dorico. ORIGINI DEL LINGUAGGIO ED ARCHITETTURA Una cristallizzazione di questo genere trova un parallelo evidentissimo nel linguaggio, perché le parole, le espressioni, le costruzioni grammaticali sono state tutte all'occorrenza inventate per sopperire a particolari necessità di comunicazione. Dopo un certo tempo queste necessità contingenti sono state~dimenticate. ma le parole e gli schemi in cui si inseriscono formano ancora il linguaggio che usiamo per migliaia di scopi, compresa la poesia. Lo stesso avviene per i cinque ordini dell'architettura. ORDINI E FIGURE UMANE Si suole supporre che ciascuno di essi rassomigli a qualche cosa, e Vitruvio ne è forse in qualche modo responsabile. Egli vide nel dorico I'ordine che impersona «la proporzione, la fotza e la grazia di un corpo virile», presumibilmente di un uomo medio ben fatto. Per lui I'ordine ionico era caratterizzato da una «snellezza femminea», e il corinzio imitava «I'esile figura di una fanciulla», il che può sembrare non molto diverso dal giudizio precedente. Ma, avendo Vitruvio aperto la via alla pe~sonificazione degli ordini, il Rinascimento andò oltre, spesso in modo contraddittorio. Cosi, mentre Scamozzi riecheggia Vitruvio nel dire «verginale» il corinzio, Sir Hcnry ~Potton, alcuni anni dopo, ne svisa il pensiero definendo lo «lascivo» e «adorno come una cortigiana impudica» e aggiunge che Corinto era nnomata per la sua immoralità. Comunque, I'ordine corinzio è sempre stato considerato muliebre e quello dorico virile, mentre I'ordine ionico è qualcosa di mezzo, quasi asessuato: uno studioso di una certa età o una calma e nobile matrona. USO DEGLI ORDINI Le raccomandazioni di Serlio sono forse le piu precise e coeFenti. Egli dichiara che il dorico dovrebbe essere usato pet le chiese dedicate ai santi accentuatamente virili, per esempio san Paolo, san Pietro o san Giorgio, e in genere dal carattere combattivo; lo ionico andrebbe riservato al~ le sante matrone, non troppo giovani né troppo vecchie, e anche agli eruditi; il corinzio si addice alle vergini, in par·ticolare alla Madonna. Serlio non assegna all'ordine composito caratteristiche speciali, mentre -ello toscano gli sembra adatto alle fortificazioni e alle prigioni. fatto è che gli ordini sono stati usati per lo pm secondo ilgusto, le ciicostanze e molto spesso i mezzi, essendoovviamente meno costoso servirsi degli ordini to~ scano o dorico, piu semplici, che non del corinzio riccamente scolpito. Vi sono casi in cui I'uso di un ordine ha un voluto significato simbolico: penso, ad esempio, che Wren deve avere usato il dorico nel Chelsea Hospital a Londra a causa del suo carattere marziale. Citerò anche il suggestivo impiego da parte di Inigo Jones dell'ordine to. scano a Covent Garden, I1 toscano e il dorico sono gli ordini piu semplici e gli architetti vi hanno fatto ricorso quando hanno voluto esprimere severità e solidità, oppure, quanto al dorico, ciò che viene chiamato un «aspetto marziale». All'altra estremità della serie, I'ordine composito evidentemente è scelto a volte perché I'architetto tende a un fasto e a un'opulenza esagerati senza badare a spese. , il punto essenziale è questo. Gli ordini fornivano una specie di gamma architettonica, che andava dal severo e solido allo snello e ra~inato. Nella progettazione prettamente classica, la scelta dell'ordine costituisce una questione di importanza fondamentale: è la scelta di un modo di essere. Ciò che si fa con I'ordine, quale rapporto esatto si dà alle sue diverse parti, quali motivi omamentali si aggiungono o si omettono, tutto questo muta e determina il modo di essere. GRAMMATICA , i cinque ordini dell'architettura sono i cinque elementi fondamentali nella grammatica architettonica dell'antichità. il punto di vista dei romani, quando impiegavano I'arco e la volta nei loro edifici pub~ blici. Lungi dall'abbandonare gli ordini, quando costruivano a~teatri, basiliche e archi di trionfo muniti di volte, li mettevano in mostra il piu possibile, come se ritenessero (e forse era proprio cosi) che nessun edi~cio potesse esprimere qualcosa senza di essi. Per i romani gli ordini si identificavano con I'architettura. Forse si trattava, anzitutto, di conferire ai grandi edifici laici il prestigio insito nell'architettura sacra: non posso affermarlo. Comunque, i romani presero questo tipo di architettura estremamente stilizzato, ma strutturalmente del tutto primitivo, e lo sposarono con elaborati edi~ci a molti piani, muniti di archi e di volte, portando cosi il linguaggio architettonico a un livello nuovo. Per questi tipi di edifici, essi escogitarono nuovi modi di impiego degli ordini, non come semplici abbellimenti ornamentali, ma con funzione di guida. In molti edifici romani gli ordini sono del tutto super~ui strutturalmente, ma dànno un significato agli edifici stessi, li fanno parlare, li spiegano all'osservatore, con buon senso e solennità e spesso con grande eleganza. Dal punto di vista visivo, essi dominano e controllano gli edi~ci di cui fanno parte. Come si ottiene un simile risultato2 Non solo inseiendo colonne, trabeazioni e timpani in una struttura che altrimenti risulterebbe spoglia. I1 complesso - struttura ed espressione architettonica - dev'essere completato, e ciò significa che le colonne devono essere usate secondo tutta una gamma di modi diversi. Infatti, c'è colonna e colonna. Le colonne a tutto tondo devono sorreggere qualche cosa: per lo piu la loro trabeazione, oppure un muro, oppure la gronda del tetto sovrastante. Ma ci sono anche le cosiddette «colonne libere», le quali hanno dietro di sé un muro che sfiorano appena, in cui tuttavia la loro trabeazione si inscrive saldamente. Si possono avere inoltre tre quarti di colonna, quando il resto di essa si trova incassato nel muro. Analoghe a queste sono le mezze colonne, incassate nel muro per I'altra metà. Infine, ci sono i «pilastrio, che sostanzialmente sono delle colonne appiattlfe`e sembrano scolpiti in rilievo sul muro (o, se si vuole, si può considerarli come colonne quadrangolari incorporate nel muro). In questi casi si hanno quattro gradi di integrazione di un ordine in una struttura, quattro gradi di rilievo, quattro intensità divetse di ombra. I romani, pur avendo indicato la via, non riuscirono mai a sfruttarne in pieno le possibilità. Per meglio illustrare quanto ho detto, vi prego di guardare le tavole 44, 45 e 46: tre facciate di chiese dei secoli xvI e xvII. La chiesa del Gesu a Roma ha soprattutto pilastri. La chiesa di Santa Susanna, sempre a Roma, ha pilastri nella parte superiore, e pilastri, mezze colonne e tre quarti di colonna in quella inferiore. Val-de-Grace a Parigi ha mezze colonne, tre quarti di colonna, pilastri e un pronao con colonne a tutto tondo. In seguito mi soffermetò di piu su queste tre chiese. Per il momento, cerco di abituare il vostro occhio ai vari giochi resi possibili dalI'impiego degli ordini, come risultato a lunga scadenza di quanto avevano iniziato i romani. E, nel guardare queste tre chiese, osservate un'altra cosa. Tutte le volte in cui un ordine si sposta da un piano all'altro, per esempio quando avanza da un pilastro a un mezzo pilastro e quindi da un mezzo pilastro a tre quarti di pilastro, anche la trabeazione deve spingersi in avanti. Non è possibile spostare le colonne senza spostare anche la trabeazione. Questa è una regola fondamentale. Da quanto ho detto comprenderete quello che intendo affermando che nel linguaggio classico gli ordini non sono semplici elementi posticci aggiunti alla stmttura, ma vi si integrano. A volte, penetrano in essa completamente, a volte ne emergono formando liberi vestiboli o colonnati, ma la regolano sempre. ARCO E ORDINE NELLA ARCHITETTURA ROMANA Roma antica. tutti i principali edifici romani diversi dai templi furono progettati a base di archi e di volte, mentre gli ordini appartengono iigorosamente al piu primitivo sistema della «trabeazione», costituito da sostegni sormontati da architrave. Sposare i due sistemi, nel senso di af~idare il compito di sorreggere gli archi ai vecchi tipi di colonne del tempio, poteva essere efficace fino a un certo punto, ma il risultato non fu mai soddisfacente per due motivi. Prima di tutto, perché, grazie a una lunga associazione, colonne e trabeaaioni si erano cosi strettamente identificate da divenire una cosa sola, per cui scinderle sarebbe stato quasi un mutilarle. In secondo luogo, perché edifici di varia dimensione ad archi e a volte esigevano, per reggere i carichi, non colonne ma sostegni piu massicci, essendo le colonne troppo esili. nel Colosseo. si possono vedere le tre interminabili gallerie aperte: archi su archi, sormontati da un muro pieno. ogni ~la di archi si inserisce in un colonnato ininterrotto. I colonnati non hanno una funzione strutturale, o I'hanno solo limitatamente. Essi riecheggiano I>architettura del tempio, quasi fosse una scultura applicata su un edificio che non è un tempio, un edificio a molti piani, costruito a base di archi e di volte. Se questo modo di fondere i due sistemi, quello ad arco e quello a trabeazione, trattando il secondo soltanto come mezzo di espressione, ci sembra assurdamente semplice, ciò è dovuto soprattutto al fatto che vi siamo abituati. Esso è semplice, ma non lo è piu tanto se si incomincia a esaminarlo nei particolari. Nel Colosseo abbiamo quattro ordini: il dorico al pianterreno, lo ionico al primo piano, il corinzio all'ultimo piano aperto, e un ordine non meglio determinato, che a volte è stato detto composito, ma che in realtà si trova solo al Colosseo, al sovrastante piano chiuso. Una delle campate delle tre gallerie, la galleria di mezzo è ionica. :un paradigma grammaticale abbastanza completo. Si tratta di una costmzione regolata da un ordine ionico che obbedisce solo alle sue tradizionali regole estetiche. D'altro canto, la forma e la dimensione dell'arco e degli stipiti dietro le colonne si sono adattate alle esigenze dell'opportunità e della costruzione. Mi pare che si possa convenire che le due discipline si sono armoniosamente incontrate. La modanatura del piedestallo dell'ordine si allinea con la soglia degli archi. L'imposta dell'arco cade un po' al di sopra della metà superiore dell'altezza delle colonne, e I'arco è comodamente situato fra le colonne e il sovrastante architrave. Questa disposizione è soddisfacente perché è stata ottenuta mediante un attento equilibrio delle diverse esigenze: la dittatura estetica dell'ordine ionico e le necessità pratiche dell'edificio per lo scopo a cui era destinato. Anche una lieve alterazione in una qualsiasi delle parti rovinerebbe I'insieme..   COLOSSEO E ANFITEATRI il Colosseo, che ci ha portati a parlare della correlazione fra arco e ordine, fu uno degli edifici da cui gli uomini del Rinascimento appresero di piu. Esso non è soltanto un esempio di questa particolare correlazione, ma lo è anche della sovrapposizione degli ordini e, all'ultimo piano, dell'impiego di un ordine di pilastri per rendere espressivo un muro liscio e quasi privo di aperture. tre esempi, scelti piu o meno a caso, in cui si può constatare I'in~uenza della tematica del Colosseo nelle opere dei maestri del Rinascimento. A tavola I8 il palazzo Corner a Venezia, con colonne e archi sovrapposti; a tavola 25 un particolare del Palazzo Ducale a Mantova, in cui Giulio Romano interpreta in modo romantico il medesimo tema; oppure, con riferimento all'ultimo piano a pilastri del Colosseo, a tavola jq la villa Farnese di Caprarola. Si tratta di edi~ci indubbiamente molto diversi fra loro, ma in cui sono impiegate quelle stesse espressioni grammaticali, delle quali il Colosseo costituisce I'esempio piu cospicuo. Di edifici di questo tipo ve ne erano altri: per esempio, il teatro di Marcello e, fuori Roma, le arene di Verona e di Pola in Istria. Furono tutti studiati a fondo, traendone utili elementi grammaticali, e furono pubblicati da Serlio e poi, una generazione piu tardi, da Palladio. ARCHI TRIONFALI Forse ancora piu istruttivi dei teatri furono, dal punto di vista grammaticale, gli archi trionfali di Roma e di altre parti d'Italia: Serlio ne presenta ben undici. Questi archi, avendo una funzione puramente di parata, abbondavano in particolari architettonici e scultorei. A Roma, i piu grandi e i piu importanti erano e sono tuttora I'arco di Settimio Severo e I'arco di Costantino, È un massiccio blocco rettangolare di muratura, con tre aperture: I'apertura di centro costituisce I'arco principale, le altre due sono archi secondari piu bassi e piu stretti. Contro i quattro stipiti che separano gli archi stanno quattro colonne, poste su piedestalli e che s'innalzano fino a una trabeazione, la quale inizia al di sopra di ciascuna di tali colonne e sorregge, in prosecuzione di esse, quattro figure stanti a tutto tondo. Sulla trabeazione vi è una sovrastruttura chiamata piano attico, che fa da sfondo alle statue e contiene altorilievi e un'iscrizione. Osservate come sono disposti tutti questi elementi: la chiave di volta dell'arco centrale è in immediato contatto con la base della trabeazione: le chiavi di volta degli archi laterali sono in immediato contatto con una linea, che costituisce la prosecuzione dell'imposta dell'arco centrale; e in tutti e tre gli archi il rapporto fra altezza e larghezza è il medesimo. La profondità della trabeazione è tale, che lo spazio tra essa e il suolo è riempito dalla colonna corrispondente. Si tratta di un'interessante disposizione, organica e armoniosa, che adempie in modo mirabile alla sua funzione simbolica. Nel secolo xv la fantasia di pittori e di architetti (questi ultimi spesso anche pittori) fu profondamente colpita da questo e dagli altri archi romani, per cui troviamo un continuo ripetersi di elementi e di combinazioni di elementi, tratti dagli archi trionfali e impiegati in edifici di tipo completamente diverso e di ogni genere' dei quali ancora una volta ci si serviva come di espresslonl grammaticali che regolavano la struttura. I1 caso che piu colpisce è la trasformazione dell'arco trionfale in una chiesa, eseguita da Leon Battista Alberti. A Rimini, nel progettare il cosiddetto Tempio Malatestiano, egli ideò una facciata che deriva in modo evidente dalI'arco trionfale romano, situato alla periferia della città. Ma questo fu soltanto il primo passo. Molto piu tardi, verso la fine della sua vita, Alberti esegui il progetto della chiesa di Sant'Andrea a Mantova, in cui non solo adattò il concetto dell'arco trionfale alla facciata, ma lo introdusse nelI'interno, servendosene come modello per le arcate della navata. Inoltre, la facciata e le arcate hanno la stessa scala, cosicché tutta la chiesa, all'interno e all'esterno, si presenta come lo sviluppo logico a tre dimensioni del concetto dell'arco trionfale. Sant'Andrea è un vero trionfo, perché rappresenta la conquista della grammatica romana e al tempo stesso la creazione di una struttura ininterrottamente logica, sul cui modello nei quattro secoli successivi furono costruite innumerevoli chiese classiche. Esso costituisce il primo grande passo verso la chiesa di San Pietro a Roma e quella di St Paul a Londra. Vi sarebbe ancora molto da dire sugli archi trionfali e il loro contributo al linguaggio classico. La loro caratteristica piu elementare, cioè la divisione dello spazio mediante colonne in tre parti disuguali - una stretta, una larga, una stretta - è forse anche la piu importante. In epoca molto piu tarda, ci si servi spesso del piano attico come elemento utile per fare da sfondo a statue. Se ne ha un esempio nella Somerset House a Londra. Un uso veramente raffinato del piano attico con statue si riscontra nella facciata dell'tlshmolean Museum di C. R. Cockerell a Oxford TIPI QUALI FONTE Abbiamo cosi accennato a due tipi di costruzioni romane: quello dell'anfiteatro a gallerie, esemplificato dal Colosseo, e quello dell'arco trionfale, e abbiamo visto in quale misura furono sfruttati come fonti di espressione grammaticale. Vi sono molti altri tipi di architettura romana, ma credo che nessuno come questi fu cosi completamente assimilato e divenne una parte altrettanto organica del linguaggio classico. Certamente, vi erano anche le terme, la cui pianta grandiosa e le cui sale e altri locali a volta divennero in alcuni casi guide e fonti di ispirazione; vi era il Pantheon, monumento unico nel suo genere, prototipo di tutte le grandi cupole classiche; vi era la grandiosa basilica di Costantino, che rappresenta una sfida per tutti i costruttori di grandi navate a volta; e, beninteso, vi erano i templi. È singolare che il tipico tempio romano, un edificio rettangolare con un portico aperto e un timpano nella parte anteriore, circondato o no da colonne o da pilastri (proprio quanto consideriamo il simbolo piu evidente dell'architettura romana) non servi mai da modello per le chiese fino al secolo xvIII, né in Italia, né, tanto meno, nel resto dell'Europa. I1 tempio circolare, invece, svolse una funzione importante, forse grazie soprattutto alla magnifica ricreazione di Bramante, che descriverò piu oltre. La grande conquista del Rinascimento non fu la rigorosa imitazione degli edifici romani (che fu lasciata ai secoli xvIII e xIx), bensi la riconquista della grammatica dell'antichità come disciplina di carattere universale: quell~ disciplina ereditata dal piu remoto passato dell'umanità e applicabile nella costruzione di tutti gli edi~ci di una qualche importanza. INTERCOLUNNIO la distanza fra le colonne, denominata tecnicamente «intercolunnio». L'intercolunnio stabilisce il «tempo» di un edificio e, una volta scelto il «tempo», non si può servirsene con troppa disinvoltura. Certo, variare il «tempo» è possibile, ma in un modo determinato e significativo. I romani attribuivano una tale importanza alla distanza fra le colonne, che ne stabilirono cinque classi tipiche, calcolate in base ai diametri delle colonne stesse. Vitruvio le riporta. L'intercolunnio minore era detto picnostilo e corrispondeva a un diametro e mezzo. Seguivano il sistilo, I'ezcstilo, il diastilo e infine I'areostilo, cioè il piu ampio, che corrispondeva a quattro diametri. I1 sistilo e I'ezlstilo sono i piu comuni. Si potrebbe paragonare il sistilo a una rapida marcia, I'ezlstilo a un'andatura regolare e dignitosa. Gli intercolunni che sono agli estremi della serie non marciano né camminano. I1 picnostilo mi ha sempre dato l'impressione di un «alt»; fa pensare a una fila di uomini a cui è stato ordinato I'attenti. L'areostilo invece procede a passi molto lunghi, quasi un lento moto a sbalzi. Volendo, si può cercare di esprimere gli intercolunni in termini musicali. Proporrei I'«adagio» per il diastilo, I'«andante» per I'eustilo e I'«allegro» per il sistilo; ma non mi piace il «presto» per il picnostilo e, tanto meno, il «largo» pei I'areostilo. I'importanza dell'intercolunnio, di questo sistema di «battere il tempo» in architettura, è senza dubbio immensa Ecco due edifici piu o meno della stessa forma e destinati all'incirca allo stesso scopo commemorativo. Ma quanto sono diverse le sensazioni che suscitano! I1 diastilo di Bramante (tre diametri)è maestoso, e sereno, induce alla meditazione; il picnostilo di Hawksmoor (un diametro e mezzo)è rigido e a~cigno, assomiglia a una fastosa palizzata. diversi tipi di variazioni che possono introdurre: colonne accoppiate, coppie di colonne distanziate, colonne inserite nel ritmo « stretto-largo-stretto » dell'arco trionfale, e ritmi complessi si presentano quando colonne, mezze colonne e tre quarti di colonna incominciano a giocare, rendendo talvolta un po' dubbioil problema del «tempo» di base. LUTYENS I'identificazione dell'architetto con gli elementi che lo sfidano, cosicché egli è al tempo stesso profondamente immedesimato negli ordini dei quali si serve e in antagonismo con essi, tanto da arrivare quasi a credere di avere ideato quell'ordine, il cui impiego gli crea cosi grandi difficoltà. Per esprimere questo stato d'animo la cosa migliore è citare alcune osservazioni di un grandissimo architetto classico della generazione passata: Sir Edwin Lutyens. Egli fu allevato nella pittoresca tradizione Tudor del tardo secolo xrx, e le sue prime opere appattengono tutte a   questa tradizione. Tuttavia, all'età di trentacinque anni, nel Igo3, incominciò a penetrare nello spirito del classicismo, con una sensibilità che ne avrebbe fatto uno dei maestri dell'architettura del suo tempo. Mentre progettava una casa per un ricco industriale a Ilkley, soggiogato dallo splendore della disciplina classica, annotò in una lettera all'amico He~bert Baker alcuni pensieri straordinariamente acuti: Ho I'audacia di usare I'ordine dorico, corroso dal tempo, che trovo cosi bello. Non lo si può copiare. In realtà, bisogna impadronirsene e poi realizzarlo... Non lo si può copiare: ci si troverebbe presi in trappola e il risultato sarebbe un pasticcio. È un duro travaglio, una faticosa meditazione su ogni linea di ciascuna delle tre dimensioni e su ogni articolazione, e non ci si può permettere di spostare nemmeno una pietra. Se lo affronti in questo :modo, I'ordine è tuo, e ogni linea, essendo prima elaborata nella mente, dev'essere permeata di poesia e di arte nella misura in cui Dio te ne ha fatto dono. Se modifichi un elemento (cosa che puoi sempre fare), devi armonizzare con esso tutti gli altri con una certa cura e fantasia. Non è quindi una partita facile, né la si può giocare a cuor leggero. «Non lo si può copiare», a~erma Lutyens. Ma, d'altronde, in un'altra lettera osserva: "Gli ordini non consentono originalità. Devono essere talmente assimilati da non restarne che I'essenza. Se applicati in modo esatto, sono di una singolare bellezza, immutabili come le forme delle piante... La perfezione dell'ordine è assai piu vicina alla natura di qualsiasi cosa prodotta di getto o per un caso fortunato. Ecco un architetto che sapeva davvero, avendolo appreso per esperienza, che cosa significa il linguaggio classico. Egli, al tempo stesso, amava, rispettava e s~dava gli ordini. Se uno dei punti fondamentali nella creazione di grandi edifici classici è comprenderne le regole, I'altro è sfidarne le regole. LA LINGUISTICA DEL XVI SECOLO l'elaborazione grammaticale dell'architettura classica, il suo meccanismo: la natura dei cinque ordini, le colonne, i tre quarti di colonna e le mezze colonne, i pilastri, I'unione di colonne e archi, I'intercolunnio e cosi via. come questa grammatica fu usata da alcune delle personalità innovatrici del Cinquecento e soprattutto da Donato Bramante.. Egli è I'architetto che piu di ogni altro riprese la grammatica dell'antica Roma in opere d'importanza fondamentale I>attività di alcuni suoi predecessori: Brunelleschi, ancor prima di lui, diede nuova vita all'ordine corinzio nelle navate delle sue chiese fiorentine. Alberti, il quale, trasse il modello perfetto di una chiesa classica dall'arco trionfale romano, BRAMANTE E LA SUA FORTUNA Ma fu Bramante a porre il sigillo su tutto ciò, ad affermare in modo stabile e definitivo: «questo è il linguaggio romano, questo e nessun altro è il modo di servirsene». La sua autorità venne universalmente iiconosciuta. Serlio scrisse che egli fece rivivere la sepolta architettura dell'antichità, e gli rese un tributo ancora piu grande includendone aln~ne opere nella parte del suo libro dedicata apparentemente solo all'antica Roma. Per Serlio, Bramante era sullo stesso piano degli antichi. Prima di recarsi a Roma nel I433, Bramante aveva lavorato alla corte di Milano, in quella cerchia di cui Leonardo costituiva lo straordinario fulcro. Leonardo s'interessava di architettura piu dal punto di vista ~losofico e teorico, che non da que:lo della progettazione secondo le forme ortodosse dell'antichità. L'interesse di Bramante era volto a entrambe le cose, ma prevalentemente alla progettazione. A Milano si può ancora vedere, seminascosta t, la sua prima opera, la singolare chiesetta di San Satiro, con la navata a pilastri semplici e compositi e ad archi, e con il coro, che in realtà non esiste, essendo costituito soltanto da una magnifilca raffigurazione prospettica in bassorilievo. Quando Bramante giunse a Roma ed entrò al servizio del papa, aveva già cinquantacinque anni e doveva viverne soltanto altri sedici. Ma furono anni straordinariamente proficui. Tra I'altro, progettò e in parte realizzò il nuovo San Pietro e due vasti cortili nel Vaticano, ed il tempietto costruito a Roma, nel I5oz, nel chiostro di San Pietro in Montorio, sul luogo in cui, secondo la tradizione, san Pietro subi il martirio. Si tratta della ricostruzione ad opera di Bramante di un tempio circolare dell'antica Roma, come ad esempio quello cosiddetto di Vesta sulle rive delTevere: la sua trabeazione è andata interamente perduta, e la non infelice copertura a tegole è un semplice ripiego. Ma questo tempio (o un altro dello stesso genere) presenta la tematica di Bramante. Egli lo trasforma da corinzio in dorico (forse perché il dorico è consono a un santo militante come Pietro), lo colloca sopra tre gradini e pone sotto I'ordine un plinto ininterrotto con modanature. Ilplinto (negligentemente omesso nell'incisione di Serlio) conferisce inaspettatamente e felicemente al piccolo edificio una «spinta verso I'alto», atta ad esprimerne la sacralità. Segue I'ordine dorico e quindi la balaustrata. Ad ogni colonna dorica corrisponde un pilastro dorico,lungo il muro della parte interna del tempietto: la cosiddetta celld. La cella è piu alta del colonnato ed è ricoperta da una cupola emisferica . Si tratta dello sviluppo di un'idea mutuata dai romani. I1 plinto e il cilindro centrale, che si spinge verticalmente oltre il colonnato fino alla cupola, sono invenzioni di Bramante, e invenzioni che ebbero grande successo, a giudicare dalle numerose imitazioni. Questo tempietto è un perfetto esemplare di prosa architettonica: un'affermazione nitida come il suono di una campana. Attraverso I'incisione purtroppo inesatta di Serlio e, successivamente, attraverso quella piu accurata di Palladio, I'opera divenne famosa in tutto il mondo quanto un edificio «classico», quasi come il Pantheon o I'arco di Costantino. Sir Christopher Wren la conobbe certamente, tramite Palladio, tanto è vero che in una fase della progettazione del St Paul a Londra tentò d'impiegare il tempietto di Bramante nella parte terminale delle due torri campanarie della facciata. Ciò avveniva quando stava ancora dibattendosi fra ogni sorta di dif~i~cili alternative per dare una soluzione al grande tamburo e alla cupola situati sopra il transetto della cattedrale. Intui infine che il tempietto costituiva la chiave di quest'ultimo problema ancor piu che dell'altro, nonostante I'enorme differenza di dimensione e di luogo. Osservate la cupola di St Paul e vedrete immediatamente quanto essa sia debitrice al tempietto. Ma, piu la si osserva, meglio si comprende che la cupola di St Paul non si limita ad essere un ingrandimento del tempietto. Quest'ultimo ha sedici colonne, a Wren ne occorsero il doppio. Egli tuttavia si rese conto che un anello di trentadue colonne non avrebbe avuto un'orientazione precisa, e quindi riempi un intercolunnio ogni quattro, cioè gli intercolunni che sovrastano i grandi speroni, e vi ricavò una nicchia, cosl da conferire al colonnato il ritmo di una battuta in quattro tempi. La cupola di Wren non è quindi un semplice ingrandimento dell'opera di Bramante, ma ne è un ingegnoso sviluppo, prop~io come questa lo fu del modello antico. Nel Seicento e nel Settecento I'idea del tempietto, cioè il colonnato che circonda il nucleo cilindrico sormontato da una cupola, fu ripetutamente sfruttata. Hawksmoor la drammatizzò nel mausoleo di Castle Howard colonne ravvicinate e arcigne come una serie di pali, una cupola sgon~ata e priva di slancio, e per base una funerea piattaforma prosternata al suolo. la Radcliffe Library di James Gibbs a Oxford. Si tratta indubbiamente dello stesso tema. Le colonne, però, si sono riunite a coppie, coppie non egualmente distanziate, sopra un podio che, con le sue sporgenze adorne di frontoni, evidenzia una serie di intervalli, e sotto una cupola i cui contrafforti scendono accentuatamente verso I>altra serie. È un singolare edificio elaborato e sofisticato, che sa~ebbe stato la delizia di un Gonzaga o di un Medici, e che forse è un po' assurdo, assolvendo soltanto alla funzione di accogliere libri austeri e austeri lettori in un'università inglese. un'altra trovata classica di Bramante. È il palazzo romano, ora scomparso, detto di RaffaeUo per avervi questi vissuto per un certo tempo. La parte abitata era di sopra, mentre sotto si stendeva una serie di archi destinati a botteghe secondo una consuetudine locale. Bramante diede alla parte inferiore il carattere rude ma rigoroso delle opere di ingegneria romana, limitandosi a inserire un ordine in quella superiore: colonne doriche accoppiate, su piedestalli allineati con le balaustrate delle finestre. Può sembrarci elementare, un semplice brano di prosa: come nel caso del tempietto, è invece una novità. I romani non avevano certo mai fatto una cosa del genere. Si tratta però ancora una volta di uno sviluppo di modelli romani, realizzato in modo consono alla vita del xvI secolo, e ancora una volta questa nuova classicità sarà riecheggiata nei secoli successivi ~no al nostro. Sansovino la introdusse a Venezia sul Canal Grande Lungo il Canal Grande non vi sono botteghe, e perciò qui i tre archi centrali del pianterreno diventano un ingresso grandioso, mentre quelli laterali sono sostituiti da ~nestre. E, poiché Venezia richiedeva una maggiore altezza, Sansovino raddoppiò il piano superiore di Bramante, ottenendo cosi qualcosa che lontanamente, ma credo volutamente, ricorda il Colosseo. Quindi, volgendosi all'Inghilterra, ecco a Londra la facciata sullo Strand della Somerset House che risale al I780 ed è di evidente derivazione bramantesca. E sempre sullo Strand, di fronte alla Somerset House, I'Australia House, con i suoi archi occupati da negozi e le sue colonne doriche arrogantemente sfarzose, è ancora Bramante, all'epoca dell'imperialismo britannico: I9II. In Italia, sotto la guida di Bramante, I'architettura pervenne a quello stadio di completa conquista dello stile antico e di completa padronanza nello sviluppo e adattamento di esso, che in ogni campo dell'arte è chiamato Rinascimento maturo. La generazione successiva a Bramante e che ne accettò gli insegnamenti comprendeva Raffaello, pittore che fu anche architetto, Baldassarre Peruzzi, Antonio da Sangallo il giovane, Sansovino, che come abbiamo visto portò a Venezia le idee di Bramante (e anche quelle di Peruzzi), e Sanmicheli, che le accolse e sviluppò a Verona. Non intendo tuttavia soffermarmi su questi artisti: se lo facessi, il problema sarebbe soprattutto di tentare di stabilire il loro debito verso Bramante e in quale particolare direzione ciascuno di essi si mosse. La generazione successiva alla loro con Palladio PALLADIO e parlare di Andrea Palladio: infatti, poiché ci stiamo occupando dell'architettura come di un linguaggio, è piu utile, da questo punto di vista, porre accanto a Bramante Palladio, sebbene il secondo sia nato tre anni dopo la morte del pri-~ mo. Da Biamante a Palladio il passo è breve, e ve lo dimostrerò. Palladio, ~glio di un mugnaio, divenne noto e trascorse la maggior parte della sua vita in una città di secondaria importanza: Vicenza. Qui avvenne la sua formazione, nel ristretto ambito della cultura locale, per cui Roma era senza dubbio molto lontana, e che aveva, per cosi dire, un suo proprio tardivo Rinascimento maturo. Quando il giovane Palladio si recò a Roma, dovette essere innanzi tutto colpito dalla terribile insu~cienza delle uniche riproduzioni delle rovine romane fino allora pubblicate: quelle del nostro vecchio amico Serlio, il cui libro era a quell'epoca abbastanza recente. Palladio dovette rendersi conto che Serlio aveva affrontato questi studi superficialmente, aveva omesso molti particolari importanti e non aveva mai colto veramente la lezione insita nella raf~inatezza delle sagome e delle proporzioni che costituiva I'essenza delle opere antiche. Egli divenne perciò uno studioso di architettura, il piu dotto e meticoloso del tempo: divenne anzi assai di piu. Superò Bramante nella padronanza della grammatica dell'architettura romana e, ogniqualvolta ne ebbe I'occasione(e le occasioni gli si presentarono spesso e volentieri a Vicenza e nei dintorni, e in seguito a Venezia), costrui edi~ci in cui il linguaggio di Roma era piu eloquente e piu articolato di quanto si fosse mai visto. Quando dico «piu articolato», intendo una cosa ben precisa. Eccone la dimostrazione. I'interno di Sant'Andrea a Mantova e poi, , quello del Redentore a Venezia. Quasi un secolo esatto intercorre fra la costruzione di queste due chiese, la prima di Alberti e la seconda di Palladio. I1 ripetersi del sistema costituito dagli archi con i loro sostegni è quasi identico in entrambe, ma Alberti si serve unicamente di pilastri e Palladio di mezze colonne. Questo è ciò che intendo col termine articolazione. Nella chiesa di Palladio I'ordine è molto piu evidente che in quella di Alberti; inoltre, all'estremità est del Redentore, I'ordine di Palladio si libera perfettamente nell'incurvarsi per formare una transenna absidale dietro I'altare. Sembra che le imponenti colonne sostengano davvevo le pesanti trabeazioni e che i muri e gli archi si limitino invece a occupare gli spazi tra di esse. il palazzo Chiericati a Vicenza, sempre di Palladio: è un'importante casa di abitazione urbana, che presenta al pianterreno un colonnato aperto al pubblico e al primo piano due terrazze coperte, in modo che sulla facciata verso la strada i muri emergono soltanto nel punto in cui delimitano il grande salone centrale. Anche qui Palladio fa degli ordini il fattore dominante della costruzione. Di fronte a questi edifici e a quasi tutti gli edifici di Palladio, si avverte il suo profondo amore per gli ordini e la fierezza di mostrarli nelle versioni da lui perfezionate. Egli fece risorgere a Vicenza e nel Veneto I'antica Roma con un realismo perfino superiore a quello con cui Bramante I'aveva fatta risorgere nella Roma rinascimentale. Questo realistico rifarsi a Roma è soltanto uno degli aspetti di Palladio, ma è quello che qui piu ci interessa e, naturalmente, è inseparabile da un altro aspetto a cui ho già accennato, quello di Palladio archeologo. La qualifica di archeologo non è forse la piu esatta, poiché il suo studio dell'antichità era consapevolmente permeato di fantasia,. Nondimeno, parliamo pure di archeologia. Quando Palladio studiava il testo di Vitruvio o le rovine romane, il suo primo impulso era di eseguire dei «restauri», restauri che sono tra le cose piu interessanti del suo libro, o meglio dei suoi libri: I ~uattro Libri, pubblicati nel I570. L'influenza di tali ricostruzioni si estese molto al di là dell'Italia, ed esse ebbero una ripercussione tutta particolare in Inghilterra. il portico di St Paul a Covent Garden, Londra, opera di Inigo Jones, si riallaccia alI'archeologia palladiana. Esso segue(sebbene con qualche abile e sottile deviazione) I'interpretazione fedele fatta da Palladio di quanto dice Vitruvio sull'ordine toscano. L'aggetto elegante degli spioventi, le colonne molto distanziate, appartengono all'archeologia palladiana. Un secolo dopo Inigo Jones, Lord Burlington utilizzò I'archeologia palladiana nel costruire le Assembly Rooms a York: fedelmente vi si attenne. Nell'esaminare contemporaneamente Bramante e taluni aspetti di Palladio, mi sono limitato ad occuparmi della grande sobrietà propria dell'architettura dell'Italia cinquecentesca, cioè della ria~ermazione del «latino» delI'architettura: lo sfoggio altero degli ordini, elaborati con fiducia illimitata. della generazione successiva a quella di Bramante: una parte degli artisti che vivevano a Roma alla morte di Bramante, nel I5I5, che erano ancora a Roma quando Raffaello vi mori, nel I520, e che continuavano forse a trovarvisi quando la città fu saccheggiata e devastata dalle truppe imperiali nel I~27. BUGNATO NEL SERLIO il significato di un termine che ha una grande importanza nell'architettura classica di quest'epoca: bugnato. Con questo termine si indicò dapprima una maniera rustica e grossolana di disporre le pietre, in modo che ciascuna di esse conservasse un po' delle caratteristiche che aveva al momento dell'estrazione dalla cava. In questa rustica rozzezza si ravvisò tuttavia un certo carattere, la possibilità di un impiego artistico, tanto che col tempo divenne oggetto di estrema so~sticazione. I1 bugnato aveva già ricevuto una stilizzazione e una sistematizzazione al tempo in cui Serlio scriveva il suo quarto libro (pubblicato nel I537), come si può constatare nell'incisione riprodotta nella tavola 27. Da assolutamente rozzo, esso è divenuto estremamente artificioso, con sfaccettature intagliate in modo geometrico. Tuttavia Serlio descrive il bugnato come se si trattasse in sostanza di un misto di naturale e di artificiale: egli sembra voler dire che si tratta di una specie di lotta fra I'artefice e le forze della natura. BUGNATO E GIULIO ROMANO Il palazzo del Te, residenza estiva dei duchi di Mantova. Si tratta di un'opera singolare. Vi riconoscerete di certo I'ordine dorico. Le colonne principali ricordano il modello dell'arco trionfale; ma, mentre quelle esterne hanno un plinto tutto per loro, le interne condividono il proprio molto illogicamente con un ordine dorico minore, introdotto per incorniciare I'arco. L'insieme difetta di armonia ed esattezza. Come si vede, alcune pietre della trabeazione sono «scivolate» e si trovano simmetricamente disposte rispetto al centro. Che significa tutto ciò? È abbastanza ovvio che si tratta di un rifiuto degli insegnamenti di Bramante. ricorda le rovine (specie nelle pietre fatte volutamente «scivolare»)e certi edifici antichi rimasti interrotti. Ma è anche di una straordinaria efficacia, che in gran parte deriva dall'uso espressivo del bugnato. La pietra è in continuo contrasto con i particolari architettonici estremamente elaborati. Le grezze pietre che fungono da chiavi di volta delle due edicole laterali spingono la cornice fra le pietre sovrastanti. Le chiavi di volta delle due nicchie sono grottescamente troppo grandi, mentre quella dell'arco centrale è assurdamente piccola. Qua e Ià il muro è privo di bugnato e appare spoglio in modo sconcertante. L'architetto ha voluto fare sul serio? Sono certo che non ha inteso abbandonarsi a stramberie. Si tratta di un'arrogante protesta contro le regole e si tratta anche di poesia: una poesia, che ha qualcosa in comune con le grotte e con la mania dei nani e dei giganti che ossessionava la corte di Federico Gonzaga. Ma ai nostri occhi la sua importanza dipende dalla sua carica inventiva. Giulio Romano non inventò il bugnato (lo usavano già i romani, lo usò Brunelleschi e lo usò Bramante nella casa di Raffaello), ma riusci a conferirgli un'efficacia espressiva, quale nessuno prima di lui aveva raggiunto, e da cui solo pochi architetti delle generazioni successive non trassero profitto. Dal palazzo del Te Giulio Romano passò al Palazzo Ducale, costruendovi quell'indimenticabile esemplare di stile classico-grottesco il cortile della Cavallerizza. E, il suo progetto di una porta di città: è un arco trionfale interamente concepito negli stessi termini di durezza esa- sperata. Le invenzioni di Giulio Romano esercitarono un'innuenza estesissima. Da quanto ho detto su Palladio, potreste credere che questi avrebbe saputo resistere a una materia cosi esplosiva, mentre invece anch'egli attinse da Giulio Romano per i suoi ultimi palazzi. Nell'Inghilterra del secolo xvIII, la prigione di Newgate a Londradovette la sua teiri~cante solennità a Giulio Romano; e non ci si può aggirare in un centro commerciale dell'Ottocento senza imbattersi in sedi di banche e di compagnie di assicurazioni sovraccariche di decorazioni a bugnato, che in gran parte traggono la loro origine da Mantova. per esempio la pesante decorazione della County Hall a Londra. MICHELANGELO un rivoluzionario molto piu radicale di Giulio Romano, colui che veramente violò i dogmi del Rinascimento maturo, aprendo nuove vie alI'architettura classica: Michelangelo. Michelangelo aveva venticinque anni piu di Giulio Romano, ma non si era ancora dedicato all'architettura quando questi incominciò il Palazzo del Te; inoltre le sue opere piu importanti appartengono quasi tutte al periodo posteriore alla morte di Giulio, avvenuta nel I546, guando egli era piu che settantenne. L'architettura di Michelangelo appartiene a un mondo diverso da quello di Giulio Romano. Egli ha scarso interesse per il bugnato; i suoi muri sono lisci e la loro forza espressiva dipende essenzialmente dall'essere superfici delimitate in modo rigoroso, dalle loro sporgenze e rientranze, e dall'elaborazione di elementi che di rado sono decorati. Michelangelo insisteva sempre nel dire che non era un architetto, ma uno scultore, sebbene nessun architetto di professione abbia mai avuto un'innuenza cosi determinante sull'architettura. Vasari scrisse di lui: «gli artefici gli hanno infinito e perpetuo obbligo, avendo egli rotti i lacci e le catene delle cose che per via d'una strada comune eglino di continuo operavano». Si tratta in ogni caso di un'affermazione inadeguata, che non rende giustizia alle in~uenze positive esercitate dalle invenzioni di Michelangelo e alla loro carica stimolante. I1 modo di operare a cui si riferiva Vasari era, naturalmente, quello dei maestri del Rinascimento maturo a partire da Bramante, consisteva cioè in quella padronanza grammaticale, ottenuta attraverso lo studio di Vitruvio e un'approfondita analisi degli antichi monumenti romani, di cui ho parlato nella seconda conversazione. La sagoma delle cornici e il rivestimento di porte e finestre erano sempre progettati richiamandosi all'autorità degli antichi. Se nei progetti si manifestava la sensibilità personale delI'artista, ciò avveniva involontariamente e a causa di incrinature nel processo di selezione delle fonti consacrate. Da parte sua, Michelangelo si ribellò ad ogni concetto di «autorità». Come scultore, aveva già una padronanza della forma e della materia che superava quella degli antichi e, quando si volse all'architettura, la sua capacità di guardare, oltre le forme morte e accettate, a qualcosa di intensamente vivo, lo mise in grado di trascendefe la grammatica di Vitruvio con estrema sicurezza. Come dice ingenuamente Vasari, «fece assai diverso da quello che di misura, ordine e regola facevano gli uomini, secondo il comune uso». Senza dubbio egli operò in modo del tutto diverso. due «edicole» di due grandi maestri classici. La prima, opera di Raffaello nel palazzo Pandolfini a Firenze, è un esempio bello ed elegante di prosa classica; perfetto nel suo genere, non commuove però, e quasi ogni sua linea rientra categoricamente negli schemi vitruviani. . A destra abbiamo una delle edicole di Michelangelo nella Cappella medicea a San Lorenzo. È impossibile descriverla. Presenta, se si vuole, alcuni degli elementi principali riscontrabili nell'opera di Ra~aello: pilastri, timpano, architrave, ma tutti ricreati e gremiti di quelli che un critico vitruviano considererebbe errori grossolani e assurdi. I pilastii sono dorici o che cos'altro? Che significato hanno quelle interruzioni nella linea curva del frontonei~ E in base a quale regola o a quale precedente un architrave modanato scorre all'in su lungo il timpano, per appoggiare i suoi gomiti aguzzi su una cornice? No, quest'opera in realtà è quasi una scultura astratta, è I'equivalente tutto michelangiolesco di Vitruvio. Lo spettatore ne resta forse colpito per la sua stranezza e, sulle prime, per la sua inaccettabilità. Ma questa creazione singolarmente tesa e profondamente sentita non si dimentica. Nessuno degli architetti, o per lo meno nessuno degli architetti giovani e sensibili che visitarono la Cappella medicea dopo che Michelangelo I'ebbe condotta a compimento, continuò a concepire come p~ima I'architettura.   Ho concluso la mia ultima conversazione dicendo che nessuno degli architetti, o per lo meno nessuno degli architetti giovani e sensibili che visitarono la Cappella medicea dopo che Michelangelo I'ebbe condotta a compimento, continuò a concepire come prima I'architettura. Non saprei dirne la ragione. Posso soltanto lasciare la parola alle edicole perché ritengo necessario che ci si renda conto di quanto sia convenzionale I'edicola di Ra~aellose si vuole comprendere lo straordinario anticonformismo di quella di Michelangelo Michelangelo ha apportato al latino dell'architettura deformazioni che ricordano quelle del corpo umano in molte delle sue sculture; ma, mentre tutti conosciamo o crediamo di conoscere il corpo umano e quindi avvertiamo facilmente il significato delle deformazioni di esso, pochi invece conoscono bene il nostro latino architettonico. Penso, comunque, che tutti siano in grado di cogliere qualcosa del vigore con cui Michelangelo tratta le forme architettoniche, cosicché non occorre certo sottolinearlo con confronti e analogie. Le altre opere di Michelangelo non possiedono tutte uguale originalità di dettaglio, ma ci sorprendono sotto qualche altro aspetto. In uno dei palazzi del Campidoglio a Roma )Michelangelo usa un ordine corinzio gigante e assolutamente convenzionale, ma che presenta due pal-ticolarità. La prima è la sua stessa monumentalità, perché i pilastri misurano circa quattordici metri di altezza e preannunziano perciò il San Pietro michelangiolesco, dove diventeranno addirittura colossali, superando i ventisette metri. La seconda particolarità è che questi pilastri occupano due piani. I romani non avevano mai fatto una cosa simile: invero i palazzi capitolini assomigliano, molto approssimativamente, a templi romani, i cui lati siano stati «riempiti» in epoca moderna con muri e finestre nella parte superiore e un piano aperto in quella inferiore. Inoltre il muro del piano piu alto poggia su una trabeazione sostenuta da colonne ioniche, due per ogni apertura. Questa disposizione, questo modo di far collaborare due ordini per risolvere il problema di un edificio a due piani, fu una delle piu valide ed efficaci scoperte di Michelangelo. Tra il palazzo capitolino e le due facciate di chiese riprodotte il passo è breve: entrambe queste chiese (in modo piu evidente Sant'Andrea al Quirinale, a sinistra), pur svolgendo il tema del Campidoglio, sorsero piu di un secolo dopo il palazzo capitolino. Esse sono un esempio di ciò che viene denominato barocco, ma non posso parlarvi del barocco senza aver prima accennato all'evoluzione dell'architettura italiana fra il momento in cui, nei decenni successivi rispettivamente al I530 e al I540, incominciò a farsi sentire la duplice influenza di Giulio Romano e di Michelangelo, e il momento in cui, un secolo piu tardi, il barocco giunse al pieno sviluppo.   MANIERISMO, e VIGNOLA Questo periodo intermedio si chiama «manierismo». I1 significato del termine manierismo è assai simile a quanto intendiamo dicendo di una persona che è «manierata», cioè che ostenta di imitare un determinato modello e, cosi facendo, mostra artificiosità, modi affettati. I1 manierismo non è uno stile, è lo «stato d'animo» di un'epoca, e comprende le cose piu disparate verificatesi mentre prevaleva tale stato d'animo. Per il nostro scopo, che è di considerare I'architettura come un linguaggio, interessa soprattutto sapere fino a che punto il manierismo colori questo linguaggio e ne arricchi il vocabolario. due famosissimi edifici di Vignola, che sono stati sempre considerati esempi notevoli del periodo manierista. la villa Farnese a Caprarola. Devo premettere che i corpi avanzati dall'aspetto di bastioni ai lati dell'edificio derivano dall'utilizzazione di fondamenta e di muri eretti in parte su progetto di un altro architetto. Prescindendo da essi, il corpo principale dell'edificio, per quanto si può vedere nella riproduzione, sarebbe da considerare un semplice sviluppo di ciò che si s~leva fare nel Rinascimento maturo, qualcosa che forse Bramante e certamente Raffaello avrebbero potuto comporre, sebbene ne diverga in modo abbastanza evidente per il fatto che la loggia a tre archi posta fra la doppia scalinata ricurva è adorna, in modo abbastanza aggraziato, di bugnati alla maniera di Giulio Romano. Ma passiamo all'incisione, tratta dal libro di Vignola, con il particolare della trabeazione principale della villa Farnese. Essa non assomiglia per nulla alle trabeazioni delle tavole 4 e 5, benché abbia qualcosa in comune con la mediocre versione di Serlio dell'ordine composito: il bandolo della matassa è proprio qui. Fonte dell'ordine composito di Serlio fu I'ultimo piano a pilastri del Colosseo I'ultimo piano di Caprarola, con i suoi pilastri, svolge lo stesso tema. Ma Vignola con molta genialità ha inventato una trabeazione in scala tale da armonizzarla con il sottostante ordine di pilastri e che al tempo stesso è abbastanza grande e ardita per costituire I'elemento terminale del massiccio edificio. Ci si allontana cosi dalla stretta osservanza della grammatica dell'antichità, incominciando a modellare con fantasia, a progettare le facciate come un alternarsi di luci e ombre, attraverso il quale, piu che enunciare una serie precisa di affermazioni, si svolge un gioco con un suo significato. Questo modo di prospettare le cose potrà essere meglio compreso se lo applichiamo a una facciata che sia una piu completa espressione del manierismo: per esempio, il secondo edificio di Vignola da me citato, la chiesa del Gesu, la principale chiesa dell'ordine dei gesuiti a Roma È Un tempio vasto con un'ampia facciata a due piani di pilastri, tutti corinzi. Se osservate attentamente questo edificio cercando di decifrarne I'architettura in termini di Rinascimento maturo, vi trovate subito in difficoltà. Non vi è un ritmo costituito da una ripetizione evidente. Le superfici avanzano e indietreggiano in modo sconcertante e a un certo punto, nel piano inferiore, sembra che un pilastro si nasconda in parte dietro un altro. Evidentemente tutto I'edificio è concepito per apparire come un pezzo di architettura plastica di vaste proporzioni, in cui è insito un gioco preciso con un suo signi~cato. Cockerell È importante comprendere questi prodotti del periodo manierista, perché la loro innuenza si fece sentire molto a lungo. I primi vittoriani, per esempio, riscoprirono I'architettura manierista (benché non la chiamassero cosi, ma semplicemente italiana), e la riscoprirono come qualcosa di perfettamente a loro congeniale. Essa sembrava liberarli dalla fredda pedanteria dei revivals classici e possedeva ciò che i vittoriani amavano definire «carattere». Molte delle grosse e scure banche e molti degli empori piu elaborati in città come Manchester, Liverpool e Leeds, sono completamente «manieristi» quanto a ispirazione ; di quando in quando trapela I'abilità artistica dei veri e propri manieristi, come avviene nella produzione dell'unico architetto classico vittoriano inglese di calibro internazionale, Charles Robert Cockerell. attinse a piene mani alla villa di Caprarola per la sede di una compagnia di assicurazioni nella City di Londra Cockerell merita molta piu attenzione che non architetti di questo genere e in Gran Bretagna non si trova un altro edif~cio che eguagli 1'Ashmolean Museum di Oxford per purezza d'ingegno e per capacltà mventiva nel trattare i temi manieristi. Cockerell vedeva con gli occhi dei manieristi italiani, ma vedeva anche altro: infatti, particolari tratti dall'arte greca, di cui aveva approfondito lo studio, arricchiscono in modo straordinario I'idioma manierista di Vignola, del quale si riconosce subito, nonostante la nuova sagoma, la famosa cotnice. STILEMI MANIERISTI un'opera af~ascinante di un architetto manierista ~orentino che era anche scultore, Bartolomeo Ammannati. È un edi~ticio rigido e seve~o, con quakhe concessione alla «plasticità»: pannelli rientranti, pannelli sporgenti, pannelli spo~genti entro pannelli rientranti e, al di sopra dei fianchi dell'arco, una voluta assurdità, due capitelli ionici scolpiti come se fossero sospesi o appartenessero a un sottile strato architettonico in parte aspoitato per mettere in mostra I'arco. Questa tendenza a trattare la facciata come se fosse una scultuia, che deriva in ultima analisi da Michelangelo, riappare (e forse in modo ancor piu accentuato) con il cortile del palazzo Maiino a Milano. È un cortiletto di foima quadrata, con tte archi per ogni lato, che pochi si prendono la briga di andare a vedere, benché sia proprio al centro della città. I1 fatto curioso in quest'opera di Galeazzo Alessi è che, al di sopra dell'ordine dorico del pianterreno, dalla trabeazione assai ridotta, quasi tutto si è trasformato in scultura, o meglio I'architettura è stata relegata nei contorni, mentre le superfici sono piene di statue, maschere zoomorfe, trofei e festoni di ~ori e frutta. Al posto di un ordine superiore vi sono delle «e~me», costituite da piedestalli stretti alla base, che si allargano in alto terminando in busti umani; fra le «erme» si ttovano nicchie contenenti statue; fra gli archi, elaborati pannelli con sculture a rilievo, e cosi via. L'insieme è molto scenogra~co e probabilmente deriva proprio dalla scenogra~a. Questo tipo di decorazione architettonica si diffuse con molta facilità specialmente nel Nord dell'Europa e si prestò per la creazione di incisioni di notevole interesse,. Esse sono, iispettivamente, del fiammingo Vredeman de Vries e del tedesco Wendel Dietterlin, e mostrano sotto quale forma I'architettura manierista raggiunse, fra altri paesi, 1'Inghilterra elisabettiana. Infatti Wollaton Hall, a Nottingham), è abbondantemente adorna di elementi tratti da De Vries. E benché gli studi terribilmente complicati di Dietterlin non fossero spesso copiati in Inghilterra, il suo tiattato divenne cosi famoso che la decorazione elisabettiana e del tempo di Giacomo I era generalmente nota, nei secoli xvII e xvIII, come decorazione «ditterling». . Copiare De Vnes significava copiare semplicemente dei disegni, seppure gradevoli, che offrivano soltanto una valutazione superficiale di quel tipo di progettazione classica, Ritorniamo dunque al punto centrale del nostro discorso. la facciata del Gesu. vi sono altre due facciate che con tutta evidenza ne sono la derivazione. Santa Susanna a Roma e, se la confrontate con il Gesu, sarete subito colpiti da due cose. La prima è che Santa Susanna è molto piu compatta: la sua facciata è in sostanza inscritta entro un rettangolo verticale, mentre le volute in corrispondenza delle navate laterali, che nel Gesu si protendono in fuori, qui sono decisamente ridotte per contribuire alla spinta verso I'alto. In secondo luogo, penso che vi renderete conto come, mentre nel Gesu il motivo dei pilastri si ripete in tutta la facciata, in Santa Susanna la disposizione delle colonne e dei pilastri è inconfondibilmente diretta a richiamare I'attenzione verso il centro e, in particolare, sul portale. Un simile confronto è stato fatto spesso ed è uno dei tanti confronti che si possono fare per mettere in luce la differenza fra I'architettura manierista e quella barocca: e Santa Susanna è barocca. Ma, per comprendere come occorra procedere con cautela nell'uso di questi teimini, osservate oia la terza chiesa(quella di Val-de-Grace, costnxita a Parigi cinquant'anni dopo Santa Susanna. È manierista o barocca? Vediamo un po'. Non si disperde né è ambigua come il Gesu, ma non ha nemmeno la potenza e la decisione di Santa Susanna. E non è neppure qualcosa di intermedio, ma ha un carattere tutto suo. È rilassata e armoniosa, e il graduale articolarsi dell'ordine del piano inferiore, da pilastri a colonne a tutto tondo, sembra imbevuto di uno spirito classico piu genuino di quello di qualsiasi parte degli altri due edi~ci. È manierista o barocca? Né I'uno né I'altro. Si tratta di un'interpretazione personale del tema del Gesu da parte di un francese, e questa interpretazione appartiene a una fase dell'arte francese che ha modelli classici suoi propri: quelli di Poussin, di Racine e di Mansart, il quale ultimo appunto è I'architetto di questa chiesa. È impossibile superare I'imbarazzo che si prova talvolta nell'usare termini generici come «Rinascimento maturo», «manierismo», «barocco», ecc. I1 barocco è quasi sempre retorico, nel senso di un'oratotia magniloquente, ricercata e suadente; e, nel parlare delI'architettura come una sorta di linguaggio, esso costituisce un'utile qualificazione per alcuni degli edifici piu importanti del secolo xvII: quelli a cui si pensa subito quando si adopera la parola «barocco». Intendo quindi concludere la presente conversazione esaminando tre opere di questo genere: prima di tutto, la piazza di San Pietro a Roma di Bernini, poi la facciata est del palazzo del Louvre a Parigi di Le Vau, Perrault e Le Brun, e infine Blenheim Palace presso Oxford di Vanbrugh e Hawksmoor. Alla domanda se sono proprio certo che queste tre opere siano puro barocco, risponderei subito che naturalmente non ne sono certo. Da un lato, non vi è una categoria del «puro barocco»: il fatto che esista un certo termine non significa che esista una pura essenza correlativa. Dall'altro, mentre si potrebbe tranquillamente affermare che questi tre edi~ci a buon diritto possono essere definiti barocchi, si potrebbe tuttavia dimostrare con altrettanta sicurezza che ciascuno di essi presenta elementi che, sotto qualche aspetto, potiebbero rendere ingiustificata tale qualificazione. Non preoccupiamocene, dunque, ma limitiamoci a esaminare queste tre opere e ad analizzarne il signi~cato. Bernini pt~ogettò la piazza di San Pietro come un enorme cortile chiuso, antistante alla chiesa. Cosi appare nella veduta aerea, eseguita prima delle demolizioni dell'epoca fascista. Si tratta di un cortile esterno, non di un «luogo di accesso»: un cortile esterno, uno spa· zio delimitato, un sagrato costruito allo scopo speci~co di accogliervi grandi folle per ricevere la benedizione papale. Prescindendo dai due corridoi rettilinei, che si riallacciano alla facciata della chiesa, esso consiste in un immenso spazio ovale, parzialmente circondato da due reggimenti curvilinei di colonne: colonne in quadruplice fila, alte oltte quindici met~i. Ve ne sono in totale duecentottanta, duecentottanta colonne a tutto tondo, alte oltre quindici metri, probabilmente il piu maestoso complesso di colonne del mondo. Ma queste colonne(Sono doriche2 Si, tranne che hanno basi toscane, che sono un po' piu alte delle normali colonne doriche e che sostengono una trabeazione, la quale non è a~atto dorica, ma piu o meno ionica. In altre parole, in questo caso particolare Berninl ha progettato, al di là della norma, un proprio ordine, in cui la dignità marziale di quello dorico si fonde con I'eleganza di quello ~onico. È un ordine indimenticabile per la sua originalità: non lo si può non ricordare come dorico(grazie ai capitelli), ma è un dorico personalissimo. Vorrei riuscire a esprimere I'impressione straordinaria che producono questi colonnati. dietro ciascuna di quelle visibili vi sono altre tre colonne, cosicché, quando ci si trova alI'interno di uno dei colonnati, sul cammino percorso talvolta da imponenti processioni, i loro cilindri ascendenti si affollano intorno come gli alberi di una foresta. I1 sole vi penetra a malapena, e da questa foresta sacrale se ne scorge un'altra al di Ià della piazza, parimenti vasta e profonda. Osservate poi come ciascuna delle due gigantesche mezzelune, il cui ritmo avrebbe potuto tanto facilmente disperdersi, è trattenuta da colonne che, come sentinelle, sporgono alle estremità e di nuovo, a coppie abbinate, nel centro. Si tiatta di una mirabile realizzazione, alla quale contribui, naturalmente, il fatto che I'occasione era meravigliosa ed eccezionale: I'occasione di costruire una struttura di tale mole e di costruirla soltanto con colonne. Per quanto mi risulta, una simile occasione non si è mai piu ripresentata: è stata solo oggetto d'invidia. Un palazzo è una cosa molto diversa: se passiamo al Louvre di Parigi ritroviamo un colonnato, ma un colonnato la cui esistenza è in funzione di parte di una dimora regale. La progettazione di questa facciata fu uno dei grandi avvenimenti della storia dell'architettura europea. La costruzione del resto del Louvre era durata un secolo e Colbert, ministro di Luigi XIV, voleva che la facciata est coronasse felicemente I'intero edi~cio. Furono interpellati tutti i maggiori architetti francesi e alcuni di quelli italiani piu famosi, compieso Bernini, che si recò con grande pompa a Parigi e il cui progetto fu accettato, senza essere poi realizzato. Alla ~ne, I'opera fu a~idata a tre persone: Louis Le Vau, primo architetto del re, Charles Le Brun, suo primo pittore, e Claude Perrault, medico dalla vasta cultu~a scientifica, che è stato sempre considerato la mente piu originale e innovatrice fra i tre. I1 risultato è spettacoloso. Nessun architetto italiano era mai riuscito (o forse non aveva mai avuto I'occasione per tentare di riuscirvi) ad adattare su cosl vasta scala I'architettura dei templi romani alle esigenze di un palazzo. Ma soprattutto colpisce nel Louvre il colonnato corinzio dalle colonne romane pienamente articolate. Le colonne sono a coppie. Abbiamo già visto nella casa di Raffaello di Bramante )una soluzione analoga, che costituisce un comodo espediente per assicurare alle ~nestre un ampio intercolunnio. Ma le colonne di Bramante erano addossate a un muro, mentie nel Louvre il muro retrostante arretra pe~ un tratto, cosicché le colonne risaltano come se facessero davvero parte del colonnato di un tempio. Tuttavia, considerando I'insieme della facciata in tutta la sua lunghezza, vedrete che, quantunque il colonnato sia un elemento saliente e scenografico, non è I'unico fattore che contribuisce alla 1·iuscita. Essa dipende dal modo di trattare I'ordine nel suo complesso e d'integrarlo nelI'edi~cio in modo da dominarlo. E come si è ottenuto ciò3 Abbiamo visto che per due lunghi tratti I'ordine appare indipendente; ma, al centro, nella pa~te in cui fa un passo avanti e sostiene un frontone, le colonne hanno alle spalle un muro pieno, un muro, fra parentesi, in cui si apre un arco che sovrasta I'ingresso principale e che (sopra alI'arco)è ornato di splendidi bassorilievi. Quindi, nei corpi terminali(chiamati dai francesi, e per lo piu anche dagli inglesi, padiglioni), nei padiglioni terminali, il muro avanza ulteriormente e I'ordine, con il medesimo intercolunnio del colonnato, si trasforma in una serie di pilastri. Ma, quasi in compenso, questi padiglioni terminali hanno nelI'intercolunnio di centro (ingegnosamente allargato) una rientranza, in cui il muro arretra fino al piano di quello del padiglione centrale e contiene per di piu una ~nestra ad arco che riecheggia I'arco dell'ingresso centrale. Osservate tutto ciò attentamente nella riproduzione, perché il Louvre è uno splendido esempio di come, attraverso il «gioco» di un ordine dassico, si può padroneggiare una facciata lunghissima non soltanto senza cadere nella monotonia, ma con intelligenza, grazia e logica estetica. Mi limiterò ad aggiungere, a proposito del Louvre, che le decorazioni scolpite hanno una leggerezza e una delicatezza di genere tipicamente francese, che spiega la straordinaria vitalità di questo edi~cio, il quale in una limpida mattina di primavera appare come la cosa piu nuova e fresca che si sia mai vista. Vanbrugh Blenheim Palace un altro palazzo, totalmente diverso dal Louvre. Questa volta non si tratta di un'unica lunga facciata con sapienti variazioni di piani, ma di un edi~cio che consta di molte parti, che si snoda in vari modi, con sporgenze e rientranze; non si

XXXXXXXXXX

Up
Order 1
1Order 1
1Order2
5orders1
5orders2
5orders3

 

Home ] Up ] NEW ENGLISH ] MORPHOLOGY ] MEMBERS ] Gallery ] Archive ] Services ] NEWS ] VRML GALLERY ] EDUCATION ] DESIGN ]

Mail to demontmorphology@hotmail.com
© 1999 DEMONT morphology Copyright
      The contents of this site, including all images and text, are for
      personal, educational, non-commercial use only.
      The contents of this site may not be reproduced in any form .