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MULTICINEMA   X-FILM

1999 CINEMA CONTRO LA VIOLENZA

I FILM

L'amour violé

Regia e sceneggiatura: Yannich Bellon - Fotografia: Georges Barsky, Pierre - Musica: Aram - Montaggio: Jeannine See  - Interpreti: Nathalie Nell, Alain Foures, Michèle Simonnet, Pierre Arditi - Produzione: Les Films de l'Equinoxe, Les Films du Dragon, NK2 Productions.

Francia, 1977

 

L'amour violé ricostruisce un episodio di violenza carnale da un fatto di cronaca. Una tranquilla situazione di giovani si trasforma, per una di loro, in una giornata infernale. Tutto è descritto senza perifrasi e senza veli. Un giovane uomo che ‘capisce’ la sua donna violentata, ma la invita a stare zitta. Una donna che non è disposta a tacere. Un film che, apparso nel pieno delle denuncie femministe sulla realtà dello stupro, suscitò un dibattito violento.

Lo scandalo era dato dalla rappresentazione dell'innominabile o meglio del nominabilissimo, ma a bassa voce. L'interdetto che terrorizza tutte le bambine: ‘l'uomo nero’, il lupo nero che ti aspetta dietro l'angolo, prendeva per la prima volta sullo schermo le fattezze di un uomo normale, con un viso e degli abiti come quelli che indossano i fratelli, gli amici, i compagni di scuola, e, perché no? i padri. I padri appunto insorsero tutti a partire da Jean Luc Godard che trovava connivente e istigatore lo sguardo di Yannich, rea di non aver chiuso gli occhi e di non aver permesso che gli spettatori li chiudessero.

Yannich Bellon è una vera sporcacciona perché trae godimento dalla violenza e fa godere lo spettatore. Telerama, agosto 1978.

Presupponendo evidentemente che nella rappresentazione di uno stupro sia d'obbligo identificarsi con lo stupratore e che in tutti i casi violenza è equiparabile a godimento.

Un film scomodo, quindi, ma quanto mai attuale, mentre da tante parti si cerca di riportare a galla i vecchi fantasmi che coprano con il loro silenzio una realtà che non può essere più taciuta.

 

Die Macht der Mannër ist die Geduld der Frauen

Regia: Christina Perincioli - RFT, 1978 - col. 78', 16 mm

 

Il film racconta la storia di Addi, una donna che lavora ad un banco del mercato, che viene maltrattata psicologicamente e fisicamente dal marito da anni e che, per lungo tempo, ha tentato inutilmente di porre fine al suo matrimonio. Per caso, sente alla televisione dell'esistenza della prima Casa per donne malmenate a Berlino e ci va.

Qui riceve l'appoggio necessario per riuscire a separarsi dal marito. Insieme ad altre donne, finalmente, forma una comune nella quale abita con persone che hanno vissuto la stessa esperienza ed i loro bambini.

Quest'opera nasce da un lavoro collettivo, da una équipe composta da sole donne e le donne sullo schermo, non sono attrici, ma il gruppo della Frauenhaus.

Senza dubbio il pregio fondamentale del film è dato dal lavoro di ricerca ed individuazione del soggetto e dei modi della resa filmica che è stato condotto. Le donne hanno scelto di portare sullo schermo un caso non particolarmente grave, rispetto e quelli di cui erano a conoscenza o che avevano personalmente sperimentato, centrando l'attenzione sulle difficoltà di carattere materiale, ma anche emotivo, psicologico che una donna prova nel ribellarsi ad una condizione di sopportazione che per millenni le è stata imposta.

La quasi impossibilità di rispondere a livello individuale alle aggressioni verbali e fisiche, i comportamenti incoerenti e masochisticamente indifesi, tutte queste dialettiche complesse ed estremamente difficili da esprimere, sono analizzate nel film che si propone esplicitamente una funzione didattica.

 

Dream on

Regia e montaggio: Ellin Hare, Lorna Powell - Sceneggiatura: Kitty Fitzgerald - Interpreti: Maureen Harold, Amber Styles, Ana Maria Cascoigne, Pat Leavy, Ray Stubbs, Brian Hogg - Fotografia: Peter Roberts - Scenografia: Maurizio Leonardi - Musica:  Bridget Enever, Graham Raine - Produzione: Amber Film.

Gran Bretagna, 1991 - 115'

 

Il Nord Est dell'Inghilterra e la disgregazione della civiltà industriale. La vita di tre donne che si arrabattano sotto il peso di un quotidiano impervio. Una delle donne ha subito violenza sessuale, la seconda viene regolarmente picchiata dal compagno e la terza è impelagata in un matrimonio senza amore in cui ricopre un ruolo insignificante. Eppure non è un film triste o disperato. Anzi. Esigente e radicale, questo sì, ma pieno di humor e di trovate eccellenti.

Perché si svolge principalmente in un pub dove lo sport preferito è il tiro con le freccette. Perché esiste una protagonista straordinaria: una sessantenne in moto, giubbotto di cuoio e tanta attitudine alla vita e all'amore, che da dietro il bancone muove le fila delle altre esistenze suggerendo le mosse giuste per riappropriarsi dei significati perduti.

 

Faccia di Lepre

Regia e soggetto: Liliana Ginanneschi - Sceneggiatura: Liliana Ginanneschi, Mariella Carpinello - Interpreti: Amy Werba (Elena), Annie Girardot (Marlene), Felice Andreasi (Avv. Del Moro) - Scenografia: Adriana Bellone - Costumi: Paola Romano - Montaggio: Alfredo Muschietti - Fotografia: Vittorio Bagnasco - Musica: Antonio Di Pofi - Produzione: Francesca Noè per Libra Film con la partecipazione del Ministero del Turismo e Spettacolo.

 

Bologna, ora di punta, un incrocio stradale della trafficata periferia. Una barbona infagottata di stracci regola il traffico con gesti imperiosi, mandando al diavolo e rispondendo per le rime a chi osa fare commenti. Incredibilmente dall'ammasso di indumenti sformati e cenciosi appare il viso di Annie Girardot al quale i segni del tempo sembrano aver conferito una sempre maggiore capacità di ipnotizzare gli sguardi sullo schermo.

La barbona è lei. Dopo tante mogli, madri, puttane, operaie, borghesi, eccola lì che danza con la drop out aristocratica che si fa chiamare Marlene, come la Dietrich. È lei che conduce il gioco in Faccia di Lepre, conferendo spessore ed umanità ad un personaggio che altrimenti potrebbe volar via leggero come quello di una fiaba. Già, perché Marlene è un po' strega e un po' fata.

Ha vissuto più di una vita ed anche se lava vetri ad un incrocio o vende le sue piccole mercanzie agli automobilisti, è in grado di riconoscere un meteorite della Mesopotamia, da una pietra qualsiasi. Un giorno taglia la strada (in senso proprio) ad una giovane donna in carriera che la travolge con l'automobile e la porta al Prono Soccorso senza però fermarsi a dare le generalità.

Ma non è facile liberarsi dalla terribile Marlene. La giovane dirigente d'azienda non potrà fare a meno di incontrarsi nuovamente con lei e di intrecciare un rapporto rissoso di continuo confronto che supera la razionalità controllata dell'una e la sfrenata imprevedibilità emotiva dell'altra, fino a diventare un'amicizia vera e preziosa. Ambedue le donne portano con sé fantasmi familiari, distacchi violenti, subiti o scelti. Non c'è lieto fine nel film. La barbona non accetta di tornare indietro né di cambiare.

 

Ci sarà la neve a Natale? (Y'aura t il la neige à Noël?)

Regia e sceneggiatura: Sandrine Veysset - Fotografia: Hélène Louvart - Montaggio: Nelly Quettier - Interpreti: Dominique Reymond (la madre), Daniel Duval (il padre), Xavier Colonna (il bambino), Jessica Martinez, Fanny Rochetin, Flavie Chimenes, Jeremy Chaix, Guillaume Mathonnet.

Francia, 1996, 35 mm, col. 90'

 

È la storia di una madre, forte e solare, di un padre assente e minaccioso, come l'Orco della favola e di sette bambini. Quindi realismo magico, in cui il principio materno assicura sicurezza, calore e quello paterno, paura e devastazione. A chi pensa che il patriarcato sia morto, Veysset dimostra con questo film luminoso, che l'unica cosa che non è morta è la capacità femminile di combattere. Come sempre, per i figli. Come sempre, fino allo stremo delle forze.

“Ruota attorno a una donna straordinaria Ci sarà la neve a Natale?, primo film della regista francese Sandrine Veysset. Straordinaria proprio nel significato letterale di fuori dall'ordinario, dalla normalità cui siamo abituati. Anche un po' pazza, certo, come di continuo la apostrofa il padre-padrone, che da anni la ama e la maltratta insieme, facendole procreare un figlio dopo l'altro; ma soprattutto eccezionale, diversa, animata da un'invincibile forza interiore”. (Roberto Escobar,  Il Sole 24 Ore, Gennaio 1998)

“La trasgressione dei tabu, l'incesto trattato come una condotta logica in una comunità in cui la sessualità è un dato fisico così pregnante come fecondità e la virilità, la revisione positiva dei pregiudizi, (la donna ‘fattrice’ è in effetti una madre attenta a ciascuno dei suoi piccoli; la famiglia monoparentale proliferante è di fatto un gruppo umano solidale e felice), costituiscono i fondamenti di Ci sarà la neve a Natale? Il film prende in contropiede l'ideologia familiare contemporanea, sia perché tesse le lodi di quello che si condanna, sia perché chiarisce i misfatti della famiglia, luogo di sfruttamento e di oppressione”. (Françoise Audé, Positif, n° 431)

 

Not a love story (Non è una storia d'amore)

Regia e sceneggiatura: Bonnie Sherr Klein - Fotografia: Pierre Letarte - Montaggio: Anne Henderson - Suono: Ginette Bellavance - Interpreti: Linda Lee Tracey, Suze Randall - Produzione: National Film Board Canada (Studio D).

Canada, 1981 - col. 68', 16mm

 

È una ricognizione nel mondo della pornografia condotta dall'autrice, Bonnie Sherr Klein e da una spogliarellista Linda Lee Tracey. Sono di scena in questa scrupolosa e provocatoria inchiesta la 42a strada di New York e luoghi meno celebri in cui si consuma e si produce sesso: il giro d'affari si calcola in miliardi e il fenomeno è parte integrante della nostra cultura.

 

Le rose blu

Regia: Emanuela Piovano, Anna Gasco, Tiziana Pellerano - Sceneggiatura: Emanuela Piovano, Anna Gasco - Fotografia: Elisa Basconi - Musica: Cinzia Ganagarella - Montaggio: Alfredo Muschietti a.m.c. - Interpreti: Daniela A, Carmen C., Concetta R., Marzia Z., Rita M., Elisabetta B., Anna F., Francesca P., Morgana C., Conni F., Caterina R., Betti P., Vittoria D., Cinzia C., Antonietta P., Maria V., Antonella C., Monica S., Rosi P., Maria Giovanna C., Mariella F., Rosi Z., Liviana T., Tania B., Maria Luisa R., Isabella P., Lina L., Oriana C., Susanna C. - Partecipazione speciale: Laura Betti, Ninetto Davoli - Produzione: Kitchenfilm, Airone Cinematografica.

Italia, 1990 - col. 90', 35 mm

 

Il film della Piovano non nasce artificialmente come film sulle carceri femminili, è l'estremo punto di arrivo di un lavoro che il gruppo Camera Woman ha intrapreso, nel 1987, con le detenute del carcere "La Vallette" di Torino.

Il carcere, ne Le rose blu, non è il contenitore né il palcoscenico ma attraversa tutto il meccanismo della messa in scena. La camera fissa e le sequenze a teatrino sono lì ad esibire non un discorso sul carcere, ma il discorso ‘del’ carcere, tra assurdità contraddizioni e desideri.

Il filo conduttore è una rosa blu, alchemicamente oeuvre impossibile, oltre ché esplicito e diretto rimando alla poesia di una delle detenute scomparse nell'incendio de "La Vallette", Lidia, voce e volto del film. La rosa che non riesce ad arrivare a destinazione ma che si perde nella kermesse dei desideri quotidiani, non è quindi soltanto la poesia incarcerata, diventa invece l'introiezione della pena.

 

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