Cerca su eBible
Canali Tematici


Introduzione alla Bibbia
Il Pentateuco
I Profeti e il profetismo
Letteratura Sapienziale
I Vangeli
Atti degli Apostoli
Lettere Paoline

Area Download

Bibbia on-line
Mappe Tematiche
Galleria Fotografica
Landscape

Premi e Riconoscimenti

 

Home > Pentateuco > La prova di Abramo


Gen 22 Analisi del testo: la prova di Abramo

Cfr. Gn 22
v. 1
: la prova
E' detto che Dio mise Abramo in una situazione di tentazione per lui, una situazione difficile. Abramo, uscendo dalla sua patria e fidandosi di Dio, di fatto ha iniziato a percorrere cammini divini. Seguire Dio porta a incontrare la prova, perché Dio è il totalmente altro e le sue vie, i suoi modi di agire, trascendono e restano inafferrabili e oscuri all'uomo; solo la fiducia permette di uscire vittoriosi dal buio totale e dall'impossibilità di intravvedere un rapporto con Dio.

vv. 2-5: i rimandi a Gn 12,1
In amedue i testi Dio dice: “Vai per il tuo bene” ( dativus commodo ), ma: Gn 12: il lasciare il padre, cioè ogni sicurezza, per intraprendere un'esistenza precaria che rivela la fiducia in Dio-Vita è finalizzata ad una promessa di benedizione, promessa di vita; invece in
Gn 22: Abramo deve lasciare non suo padre ma il suo unico figlio. La promessa è totalmente contraddetta. Dio sembra essere un crudele ingannatore, che chiama Abramo non per la vita ma per la morte, e la morte definitiva (niente discendenza). Il serpente di Gn 3 aveva ragione?
In Gn 12 Abramo deve andare verso una terra che gli sarà indicata;
in Gn 22 verso un luogo che Abramo non conosce, per fare una cosa che conosce. Tragicamente, ciò che non conosce è il monte del sacrificio.
Prima (Gn 12) il non conoscere la terra di destinazione era segno della sua fiducia e della benedizione che questa comportava.
Ora (Gn 22) il non conoscere il monte è segno di una fiducia che continua ad esserci ma che è tragicamente tradita. Abramo è ora veramente, definitivamente solo. Dio chiede ad Abramo stesso di distruggere la sua promessa.
Una nota psicologica: prendi tuo figlio (chi Ismaele, Isacco?), il tuo unico figlio (la promessa ), quello che ami, Isacco! Questa annotazione è vista dalla tradizione giudaica come segno del non voler capire di Abramo. Attraverso tali annotazioni psicologiche, il redattore vuol far entrare il lettore nella stessa angoscia di Abramo.
L'espressione figlio è usata 10 volte (come le 10 volte con cui Dio dice e crea; come le 10 parole del decalogo che fanno vivere l'uomo). Dio sembra contraddirsi: prima promette, poi mantiene, poi chiede di rinunciare.
L'espressione unico è usata 3 volte per significare che Dio chiede proprio l'oggetto della sua promessa, del suo dono.
Isacco = colui che ride, che dà gioia ed è frutto della gioia, è ora legato alla tragedia. Dio prima dà la gioia poi chiede di toglierla. Si veda anche il c. 18: Dio rinuncia a punire i peccatori per la presenza di 10 giusti, ma ora chiede di uccidere senza motivo un innocente.
“Il terzo giorno” (v. 4): tradizionalmente il tempo dell'intervento positivo, il tempo atteso di chi spera in Dio. Esso è invece il tempo che non si apre al giorno, quello in cui le speranze e la fiducia sono destinate a infrangersi tragicamente. Solo alla fine il terzo giorno tornerà a significare il positivo, ma starà ad indicare che il passaggio verso la nuova vita è condizionato dalla perseveranza in una fiducia assoluta, che deve restare nonostante tutte le apparenze di morte, le stranezze dell'agire misterioso di Dio.

vv. 7-8: il dialogo
Messo alle strette dalle domande di Isacco, che per la prima volta parla, Abramo finalmente fa entrare in scena il vero protagonista: Dio. Nella risposta di Abramo c'è una duplice possibilità:
1) Dio farà uscire vita da questa situazione;
2) Dio stesso provvederà all'olocausto: il mio figlio.
Viene annotato che "proseguirono tutt'e due insieme"; sembra che si voglia esprimere un accordo, un'obbedienza che è iniziata con Abramo e che ora prosegue con Isacco (è interessante come la tradizione giudaica dice che fu Isacco stesso a chiedere al padre di essere legato alla legna).
L'ordine delle parole è indicativo: Altare- legna - figlio Isacco - Altare - legna
“L'altare” (v. 9): In 12, 7 l'altare, memoria della fedeltà di Dio, è costruito dopo essere giunti sul luogo della promessa; qui è per distruggere la promessa.
La Legna: è segno dell'amore di Abramo che non conosce privilegi.
Il figlio Isacco: viene ancora sottolineato l'amore di Abramo e il suo totale abbandono alla volontà di un Dio che appare, qui, totalmente inaffidabile, infedele, ingannatore. Sull'altare, che sta ad indicare la fedeltà di Dio, Abramo pone l'innocente e si dichiara egli stesso innocente, giusto (al contrario di Dio!).

vv. 9 ss.: l'intervento di Dio
Dio stesso interviene, risolvendo il dramma e la contraddizione. Chiamando Abramo, Dio salva Isacco (cf. quelle di 12, 1 e 22, 1). Ciò perché “ora so che tu temi Dio” (cf. v. 1: la prova).
Il timore indica qui la capacità di Abramo di continuare a stare con Dio che è il totalmente Altro. Indica la fiducia assoluta che permane nell'assoluta incomprensione, nella consapevolezza che Dio è pure sempre Mistero, ma un mistero che conduce alla vita, che è capace di darla anche nella situazione di morte (la tradizione giudaica dice che la morte c'è stata).
Nel timore Abramo dimostra di aver conservato quell'obbedienza che è portatrice di benedizione. Per questo la promessa viene rinnovata, ai vv. 15-18, coi segni dell'incalcolabilità (stelle - sabbia): la promessa deve essere sempre legata a ciò che non è verificabile, perché viene da Dio.

v. 20: conclusione
Chiude l'episodio un'annotazione significativa. Nacor ha generato figli a Milca, la figlia del figlio di Terach morto prematuramente. Ancora una volta viene ribadita la volontà di vita e di benedizione da parte di Dio. Dopo che Abramo ha potuto toccare con mano che Dio dà vita nonostante la morte, egli è nuovamente benedetto. E da ora diventa causa di vita e di benedizione non solo per chi è in vita (suo fratello Nacor) ma anche per chi è morto come Aran.
A causa sua, anche il suo fratello morto torna in qualche modo a vivere, perché ora sa che è attraverso la morte che la bontà di Dio si rivela definitivamente. Doveva essere manifesto che non solo Dio ha dato Isacco perché lo ha fatto nascere dalla sterilità, ma Dio ha dato definitivamente Isacco richiamandolo alla vita.
Il testo ci insegna che tipo di atteggiamento assumere in rapporto coi doni di Dio. Il rapporto con Dio non può essere condizionato dai suoi doni, ma è fondato sulla fiducia nella sua Parola e sul timore di lui. Per questo occorre essere disponibili a mettere in discussione i doni, per poterli sempre di nuovo ricevere, ma senza possederli egoisticamente

 


Argomenti Correlati

Introduzione alla Bibbia
Che cos'è la Bibbia
Le traduzioni del testo Biblico: La
Bibbia dei LXX

I materiali d'incisione delle sacre
scritture

 

© 2004 eBible | Tutti i diritti riservati