Poesie      

"Lo chiamarono il Santo"

Si fa in fretta dire
vivere da cane, morire come un cane.

Ma io ti ringrazio, Signore,
per il cane che mi hai donato
e per le virtù ch'egli m'ha insegnato.

Un cane:
la festa quotidiana
voglio dire
l'allegria a buon mercato
l'affetto disinteressato
il servizio ambito
la fedeltà assoluta.

Solo un grande poeta cieco
saprebbe cantare degnamente
l'anima di un cane.

Ho avuto un piccolo bastardo
che si puliva ogni mattino
nella rugiada del giardino
e s'era riservato, per i suoi bisogni,
un cantuccio, non ho mai scoperto dove.

Ai cani  (Michele Galdieri)

Sia lode e gloria a te, cane palustre,
cagnaccio da torbiera, grigio-giallo!
Tu non avesti, per prosàpia illustre,
che un affamato lupo e uno sciacallo!
Ma già, fedele e con le orecchie ritte
vegliavi l'Uomo delle palafitte.

S'era all'età glaciale, ma via via,
la razza migliorò, s'ingentilì.
Dimenticata la…sciacalleria,
il Veltro scrisse un nuovo pedigree,
e a lui, come ad un dio, gli antichi Egizi
nei templi offriron fiori e sacrifizi.

Poi vennero i volpini, ed i maltesi…
poi gli agili levrieri dannunziani…
e i bracchi, gli spinoni, i pechinesi,
fox-terrier, i bull-dogs… Cani su cani,
d'ogni colore e d'ogni varietà,
ma tutti uguali, quanto a fedeltà.

Sia lode e gloria a te, cane di Ulisse,
Argo, che per vent'anni l'aspettasti:
temendo che un latrato lo tradisse,
persino la tua voce soffocasti,
nel riconoscerlo, soltanto tu,
levasti solo un po'le orecchie in su…

Sia lode a te, meraviglioso Alano
che fosti alle Termopili, glorioso,
vicino a Serse. Col tuo re persiano
entrasti anche ad Atene, vittorioso…
E quando, a Salamina, fu respinto,
gli rimanesti accanto…Ed era un vinto!

Sia lode e onore a te, cane Medoro,
che in Francia, ardendo la Rivoluzione
di luglio, ovverosia di Termidoro,
portavi armi e cartucce al tuo padrone…
E quando egli morì e fu seppellito
restasti lì, solenne ed impietrito.

Sia lode a te, guerriero Bezerillo,
che combattesti, al messico, gli Indiani.
Lanciato nella mischia, al primo squillo,
sbranavi i più malvagi, i disumani,
ma ti mostravi onesto e generoso
col prigioniero triste e vergognoso.

Sia lode a te, Barry, cane campione,
magnifico, gagliardo San Bernardo!
Tu che salvasti trenta e più persone,
commuovi ancora adesso, col tuo sguardo
chi viene ad ammirarti, in gloria eterna,
imbalsamato nel Museo di Berna.

Sia lode a tutti voi, fedeli amici,
voi giusti, voi devoti, voi pazienti,
che consolate i ciechi, gli infelici,
che sopportate i bimbi impertinenti,
e che passate questa vita breve
legati ad una slitta, sulla neve.

Sia lode a voi, cresciuti in mezzo agli agi,
curati, infiocchettati e ben pasciuti…
…ma soprattutto a voi, cani randagi
che vi cercate il cibo nei rifiuti…
…sia lode a voi, dovunque vi troviate
per tante lezioncine che ci date.

Io v'amo tutti e come vi comprendo!
Se pure non parlate, vi capisco…
E tante volte, giuro, mi sorprendo
d'intendervi così…Vi compatisco
quando vi vedo, tristi, tante notti,
costretti a fare i cani poliziotti.

Braccare un uomo!E' contro il vostro istinto
Tradir l'amico! Pure un mascalzone
è un uomo! Ed anche derelitto e vinto
vi piacerebbe averlo per padrone;
ma gli uomini v'insegnano ad odiare,
ad essere feroci, a non amare!

La ballada del pover Tofin
(testo: Evelina Sironi - musica: Niny Comolli)

La ballada del pover Tofin
mi ve canti perché
l'era on can bastardin che a Milan
tutti ciamen "pajee".

Ai manover su strad de campagna
'sto cagnoeu l'ha trovaa la cuccagna.
On Dragon l'ha guardaa poeu l'ha dii:
"Quest l'el tegni per mì!"

Col padron in caserma content
el passava i sò dì.
El marciava Tofin per Milan
coi "Dragoni a cavall".

Poeu quel dì ch'el padron l'è partii
el Tofin guarda on poo l'è finii
con la guardia al Palazzo del Re
fermaa lì drizz in pee!

E de ronda lì in piazza del Dòmm
gh'era on can e on soldaa
on cagnoeu che coi oeugg al padron
el pareva incollaa

E quand lù l'è partii per la guerra
anca el can l'ha lassaa la sua terra
Fin in Russia el destin l'ha portaa
con centmila soldaa...

El cannon, la tormenta, la nev...
on fior orss...on foppon...
...on cagnoeu deperlù disperaa
ch'el rifà la soa strada...

La garitta de piazza del Dòmm...
on soldaa ch'el gh'ha minga el sò nomm...
...e tì lì che te spettet fident fra el viavai de la gent!
Ma lù el torna nò indree...Sara i oeugg can pajee!

Duu oeucc in prestit   (Mario Comolli)

Andaven per la strada 'rent ai mur
duu oeucc in prestit a pòcch spann de terra,
unica lus d'on mond perduu in del scur.

Duu oeucc in prestit per sètt gamb divèrs:
i dò d'on òmm, i quatter d'on cagnon
e quella inversada d'on baston.

L'Angel custòd
l'è minga semper faa col sòlit meter:
stavoltachì l'è on can pastor todesch
marron e negher.

Il cane (Giovanni Pascoli)

Noi mentre il mondo va per la sua strada,
noi ci rodiamo, e in cuor doppio è l'affanno,
e perchè vada, e perchè lento vada.

Tal, quando passa il grave carro avanti
del casolare, che il rozzon normanno
stampa il suolo con zoccoli sonanti,

sbuca il can dalla fratta, come il vento;
lo precorre, rincorre; uggiola, abbaia.
Il carro è dilungato lento lento.
Il cane torna sternutando all'aia

Van Basten e Gullit (Alessandro Paronuzzi)
da "101 cani d'autore"

Gò in canil do cani
che zoga 'sai ben a balon
Van Basten xè forte de testa
Gullitt inveze de zata
co' i ciapa la bala no' resta
che tiraghe un'altra zavata
perchè no'i la mola de boca

Gò in canil do cani
che zoga 'sai ben a balon
i xè stadi ciapadi sul Carso
qualche mona
deve averli moladi
perchè tropo sgai per lu'
i sarà più fortunadi
co' vegnerà
un novo paròn

Er gatto e er cane (Trilussa)

Un gatto soriano
diceva a un barbone:
- Nun porto rispetto
nemmanco ar padrone,
perché a l’occasione
je graffio la mano;
ma tu che lo lecchi
te becchi le botte:
te mena, te sfotte,
te mette in catena
cor muso rinchiuso
e un cerchio cor bollo
sull’osso del collo,
seconno la moda
te taja li ricci,
te spunta la coda ...
Che belli capricci!
Io guarda: so' un gatto,
so' un ladro, lo dico;
ma a me nun s'azzarda
de famme ste cose..
Er cane rispose:
- Ma io je so amico!

 [Milla] di  Marazico

Quanno m'hai messo dentro a la gabbietta
me lo sentivo ormai ch'era finita.
M'hai detto: - Su coraggio, piccoletta… -.
Poi la puntura, er buio, e addio a la vita.
Addio ar salmone nella scatoletta,
addio a le corse in cima a la salita
quando sentivo la motocicletta
e poi arivavi tu: - ‘ndo’ stai impunita?-.
Mo' l'altra sera nun te ne sei accorto,
avevi l'occhi pieni de stanchezza.
Te sei buttato a letto a peso morto.
Poi co' la mano, Dio che tenerezza,
ner dormiveglia e nei pensieri assorto,
cercavi me, pe' famme 'na carezza.

 

La Vergine Cuccia (Giuseppe Parini)
da "Il Giorno

... Or le sovviene il giorno,
ahi fero giorno! allor che la sua bella
vergine Cuccia de le Grazie alunna,
giovenilmente vezzeggiando, il piede
villan del servo con l'eburneo dente
segnò di lieve nota: ed egli audace
con sacrilego piè lanciolla: e quella
tre volte rotolò; tre volte scosse
gli scompigliati peli, e da le molli
nari soffiò la polvere rodente.
Indi, i gemiti alzando: Aita, aita,
parea dicesse; e da le aurate volte
a lei l'impietosita Eco rispose:
e dagl'infimi chiostri i mesti servi
asceser tutti; e da le somme stanze
le damigelle pallide, tremanti,
prepitaro. Accorse ognuno; il volto
fu spruzzato d'essenze a la tua dama;
ella rinvenne alfin: l'ira, il dolore
l'agitavano ancor; fulminei sguardi
gettò sul servo, e con languida voce
chiamò tre volte la sua Cuccia: e questa
al sen le corse; in suo tenor vendetta
chieder sembrolle: e tu vendetta avesti,
vergine Cuccia de le Grazie alunna.
L'empio servo tremò; con gli occhi al suolo
udì la sua condanna. A lui non valse
merito quadrilustre; a lui non valse
zelo d'arcani ufizi; in van per lui
fu pregato e promesso; ei nudo andonne,
dell'assisa spogliato ond'era un giorno
venerabile al vulgo. In van novello
signor sperò; ché le pietose dame
inorridiro, e del misfatto atroce
odiàr l'autore. Il misero si giacque,
con la squallida prole e con la nuda consorte
a lato su la via spargendo
al passeggiere inutile lamento:
e tu, vergine Cuccia, idol placato
de le vittime umane, isti superba.

Il vecchio e il cane (Maria Monti)

Vecchio e solo,
pensai che un cane
avrebbe colmato
la mia esistenza vuota.

Lo trovai randagio, sporco, affamato;
gli feci una carezza, mi seguì senza timore.

Ora è il mio cane,
io sono il suo padrone.
Gli parlo, lui mi risponde
lambendomi le mani.
"Fido, domani non avremo da mangiare,
la pensione è finita, avremo da aspettare!."

Arriva quel giorno benedetto,
in fila, con gli altri pensionati,
il libretto sgualcito dal tempo
stretto tra le mani,
il mio turno aspetto.
Fido scodinzola contento.
Lui sa che oggi mangeremo di più
e un poco meglio.

E' già l'inverno.
E' fredda la mia casa senza fuoco.
Lui mi sta vicino e mi riscalda.

L'inizio della primavera
ci trova uniti a ringraziare il sole,
mentre dal cuore
mi nasce una preghiera:
"Grazie Signore,
di aver creato il cane!"

Mi rubava dagli occhi i sentimenti
e li spartiva infallibile con me.

M'aspettava sulla porta
della chiesa e del caffé
traversava sulle strisce pedonali;
era il più composto a scuola
e a tempo debito giocava coi bambini
che lo chiamarono "il santo".

Dalla sua breve vita se ne andò
con l'ultima scodinzolata di saluto
e con serena dignità
come chi non ha rimorsi.

Non vi scandalizzate amici:
per la morte di un cane io ho pianto
e ho pensato che se gli uomini
somigliassero ai cani
il mondo sarebbe
pieno di santi.

Prière du chien

A toi, mon Maitre,
je partage ta destinée, je garde
ta maison comme la mienne, je
te suis partout, je fais ce que
tu m'ordonnes, que ce soit facile
ou périlleux.

Mais tu sais que ce qui est
important, pluis que le confort
ou les biens que tu as, c'est
une caresse amicale ou un
regard confiant.

C'est quand tu me montres que
je compte pour toi, que tu me
rends le plus heureux.

Doman el màzzom  (Luigi Cazzetta)

Ona mattina a traversà el giardin
hoo vist la cuccia voeuja del mè can.
Hoo domandaa lì intorna ai inquilin:
nissun l’aveva vista. A damm ‘na man

l’è staa on fiolett che l’ha veduu passà
i ciappacan – quij ghèzz che gira in strada
arent ai mur e pront a fa scattà
el laccio su ona bestia desgraziada -.

Taccaa cont on sospett adree a sto fil,
son minga staa lì tant a cinquantà:
de corsa, ‘me on dirett, so ‘ndaa al canil
e el mè cagnoeu l’hoo pròppi trovaa là!

‘Na sala granda, freggia, spuzzulenta
e gabbii e gabbii pien – coi dì cuntaa –
de pòer besti e intorna con la senta
i bòja secondin già preparaa.

Boiàven? Caragnaven?… On lament!
Scrusciaa giò in terra, el coo poggiaa sui sciamp
convint (cert el sentiven già dent)
che ormai lì inscì per lor no gh’era scamp.

Tasevi, ‘me se dev tasè davanti
a ròbb che se sa minga cossa fa,
perché s’te voeuret anca, no gh’è santi
che poda datt ‘na man per rimedià.

Guardavi, lì indifes, sti presonee;
andavi in là cercand el mè bestioeu…
…quand tutt a on tratt el vedi! Immaginee
la festa ch’el m’ha faa! El pareva on fioeu!

M’el liberen, el ciappi e son ‘dree andà,
ma incontri i oeucc del so compagn vesin:
"Chissà cossa el voeur dì? El podèss parlà!"
- hoo ditt tra mì – e ciami el questurin.

"Quand l’è – domandi – quand l’avii ciappaa?"
"Vòtt dì: doman el màzzom." "S’el dis su?
Cià chì con mì" (rebatti). El m’ha fissaa
per sicurass se ghe l’hoo ditt a lù.

Poeu el va a dervì la gabbia de quel can,
ch’el salta in pee e…foeura vers de mì
el ven de corsa per leccamm i man.
Le sa el Signor come l’ha faa a capì!

"Doman el màzzom!" Ancamò la ruga
sta vos che la m’ha faa drizzà i cavèi.
El can però, l’è là in giardin ch’el giuga,
cont el so amis, a fa scappà i usèi.

Mì e el mè can  (Luigi Cazzetta)

I cavei bianch sui ann, sora l’etaa
me disen nient,
nient come l’è ‘l temp…fermo inciodaa.
Minga ona vos
e minga on pass;
nagòtt che nass denter de mì.
In là de la finestra, vardi el ciel:
al e nivol in vol…
hinn tròpp lontan!
E mì son soll cont el mè can,
mì…e lù,
settaa sui sciamp dedree,
sora i mè pee,
el mus sui mè genoeucc…
el varda in su,
el carezzi.
Vun per l’alter…
i so oeucc…i mè oeucc: nient alter!

Virgola archeologa

Ona cagnetta  (Luigi Cazzetta)

L’andava indeperlee
chissà de quanti dì
avanti e indree,
- tòcch de chì, tòcch de là… -
per i vii de Pòrta Romana,
pòera nana…,
…come in d’on desert
con foeura i oeucc:
(la famm…la famm…)
pièna de paura,
la se vardava intorna.

La gent la vegniva…la passava…l’andava
e lee, lì: el mond davanti,
el voeui de dent: spavent…spavent!
E, magra come l’era,
in su la pell, i segn de tanti bòtt.

On inferno, i so pòcch mes de vita!

Passa ona dòna giovena,
ona sposa, le guarda,
se guarden, se intenden;
la rallenta el pass
e la cagnetta, incerta, adree!
Infilen el porton,
i scal…hinn in cà.
Ghe semm! E adess, se femm?
Brutta ròba, vorègh ben ai besti!
O nò??…Nò…nò, anzi l’è bell.
L’è bell perché te sentet
che lor capissen quell che tì te penset.

Se l’è ciappada in brascia…
’na man sora la crappa
(Signor, tutt òss!)
la ghe parlava:
"la pappa, sì. la pappa vera?"

Quand vegnuu giò la sera…
in d’on canton…buttada là su on strasc,
quella cagnetta, stracca, sfenida,
la dormiva…la piangeva:
brutt sògn (i bòtt, i bòtt!)
Vesin, voeui…el baslòtt.

Boschi di Castelar (Rafael Alberti)
da: "Il mattatore"

Quello che giunse d'estate
Sta sopra le foglie dell'autunno.
Nel vento notturno che le spazza.
In mezzo alla rugiada solitaria.
Nel raggiante pulviscolo di brina.
Nel ligustro verde della siepe.
Nelle nascoste fragole silvestri.
Sotto lo scudo aperto delle dalie.
Sulla stella del gelsomino caduto.
Nel sangue allegro degli anemoni.
Nelle ardenti rose sfogliate.
Ai piedi del coronato melograno.
Nelle braccia azzurre dei cedri.
Nel nero profilo dei cipressi.
Nel brivido d'argento dei pioppi.
Sotto la marea delle mimose.
Nel respiro delle zagare.
Nel capezzolo d'oro dei limoni.
Fisso nella luna di primavera.
Tra i duri cardi dell'estate.
Tra gli improvvisi tuoni dell'estate.
Nelle bruciate notti dell'estate.
Nella sete dell'estate.

Perché giunse d'estate.
Non conosceva il bosco.
Neppure il bosco conosceva lui.
Si, ci hai fatto paura.
C'intimorisce la tua improvvisa presenza.
Da dove vieni e perché in questa casa? Guardavi serio e nulla rispondevi.
Sedette sulla soglia come un mendicante.
E dopo varie notti:
-Puoi entrare. Mi sembri,
nonostante la tua aria severa, un buon ragazzo.
Hai qui il tuo focolare. Un piatto pieno
ci sarà per te sempre in questa casa.
Ma tu sorridesti d'un tratto e te ne andasti
sotto le casuarine, coi bambini.
Di quando in quando scomparivi,
ed eran lunghe le notti ad aspettarti.
Dov'eri stato? Non lo hai detto mai, né la ragione delle tue ferite
e quell'orecchia quasi lacerata
o quella coltellata sopra l'inguine.
Però eri forte, duro ed ostinato.
Era la gioventù che in te bruciava.
Ti era uguale dormire su una stuoia
o sul livido fango del sentiero.
Per mesi interi rimanevi solo.
La solitudine, invece che rattristarti,
ti colmò di un'allegra valentia.
Tutto il bosco ti amò. Innamorate
non dormivan per te in tutto il bosco,
agile amante biondo sempre ardente.

Così tornò l'autunno. E una notte
di alberi spogliati, di cielo
deserto dalle stelle e dalla luna,
mentre in amore vagavi nella nebbia,
d'un tratto, una palla
attraversò il tuo cuore sulle foglie.
E per la prima volta
fu il tuo latrato prolungato e triste.
Dove sarai, Alano, buon amico?
Solo, adesso, nel buio
-fissi in me i tuoi occhi vigilanti,
stretta la bocca dai canini attenti-,
ti domando e ti chiamo col tuo nome,
Il nome della tua nobile stirpe.
Dove sei ora , Alano?
Giaci sotto le foglie dell'autunno.
In quei giardini che tu costudivi.
Nel pianto furioso dei bambini.
Nel cuore verde dei boschi,
perché tu sei ora l'anima del bosco, e sempre
il bosco parlerà di te,
quando la brezza
agiti nei suoi rami il tuo ricordo.

Dick (Totò)

Tengo 'nu cane ch'è fenomenale,
se chiamma « Dick », 'o voglio bbene assaie.
Si perdere ll'avesse? Nun sia maie!
Per me sarebbe un lutto nazionale.

Mm' 'aggio crisciuto comm'a 'nu guaglione
cu zucchero, biscotte e papparelle;
ll'aggio tirato su cu 'e mmullechelle
e ll'aggio dato buona educazione.

Gnorsì, mo è gruosso. E' quase giuvinotto.
Capisce tutto... lle manca 'a parola.
E' cane 'e razza, tene bbona scola,
è lupo alsaziano, è poliziotto.

Chello ca mo ve conto è molto bello.
In casa ha stabilito 'a gerarchia.
Vo' bene 'a mamma ch'è 'a signora mia,
e a figliemo isso 'o tratta da fratello.

'E me se penza ca lle songo 'o pate:
si 'o guardo dinto a ll'uocchie mme capisce,
appizza 'e rrecchie, corre, m'ubbidisce,
e pe' fa' 'e pressa torna senza fiato.

Ogn'anno, 'int'a ll'estate, va in amore,
s'appecundrisce e mette 'o musso sotto.
St'anno s'è 'nnammurato 'e na bassotta
ca nun ne vo' sapè: nun è in calore.

Povero Dick, soffre 'e che manera!
Porta pur'isso mpietto stu dulore:
è cane, sí... ma tene pure 'o core
e 'o sango dinto 'e vvene... vo' 'a, mugliera...

Il cane (Maria Victoria Atencia) da "La palabra precisa"

Come altre volte, andavo a ricevere il giorno
lungo un braccio di terra che s 'addentra nel
mare, dove il mare ha ceduto,
e lo incontrai per caso, mentre sulla scogliera
spiccava il suo profilo, domestico o ferino,
ma pur sempre innocente.
E mai innamorato - a normale distanza di
rispetto - m'ha seguito in quel modo fino a casa.

Il padrone e il cane (Ignacy Krasicki)
da "Orfeo"

Tutta la notte un cane con furore
abbaia forte contro un malfattore.
Ma l'indomani gli insegna il bastone
a non turbare il sonno del padrone.
Allora la seguente
notte egli dorme saporitamente
e fa il ladro tranquillo il suo bottino.
Il seguente mattino
ecco son nuove botte...
perchè non ha latrato la notte!

             

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