Con una conoscenza sterminata di ogni singolo ramo dell'American
music, Doug Sahm è un personaggio camaleontico
che non rimpiangeremo mai abbastanza. Ironia della sorte, come
spesso accade per gli artisti più seminali della storia
(Warren Zevon è l'ultimo anello di una lunga catena), è
dovuto intervenire un evento tragico, la sua scomparsa tre anni
fa, per riaccendere i riflettori sul personaggio. A differenza
di altri colleghi però, Doug Sahm non si è mai appartato
nell'ombra, cavalcando ogni vizio musicale gli saltasse in mente:
da maestro del tex-mex ad elegante country singer per le nuove
generazioni (lo ricordate cantare al fianco degli Uncle Tupelo?),
da rocker della prima ora a blueman navigato, il suo regno è
sempre stato il Texas, Austin e i suoi numerosi club, dove inscenare
ogni volta la sua personale visione del rock'n'roll. Ancora più
lodevole, alla luce di queste considerazioni, appare la ristampa
proposta dalla Texas Music Group di due classici minori
della sua produzione. Minori, ben inteso, solamente perchè
registrati in anni in cui gente come lui o il collega Delbet McClinton
non se li filava più nessuno. Juke Box Music
(in orgine pubblicato dalla Antone's nel 1989) e The Last
Real Texas Blues Band (Discovery 1994) sono due opere
speculari, nonostante la distanza delle registrazioni: una big
band alle spalle fondata su una sezione fiati in gran spolvero
e tanto swing da mettere al tappeto i più esperti soul
singers. Doug rivisita i suoi primi amori musicali, il rhythm'n'blues
della sua giovinezza negli anni cinquanta, il soul della Stax,
lo shuffle-blues texano e quello elettrico e pulsante di Chicago,
sfoderando una voce tuonante ed una infinita classe. Più
contenuto, si fa per dire, Juke box Music, con slow da "struscio"
quali I Won't Cry e Crazy Baby ed episodi più
spigliati (Buzz Buzz Buzz, She Put the Hurt On Me,
I Don' Believe e via di questo passo). Più esuberante
e colorito The Last Real Texas Blues Band, con sessions registrate
parte in studio, parte live all'Antone's Nightclub grazie alla
supervisione del padrone di casa Clifford Antone: anche in questo
caso si sprecano i classici, pescando nel repertorio di Lowell
Fulson (Reconsider Baby), T-Bone Walker (T-Bone Shuffle),
Fats Domino (My Girl Josephine), Louis Amstrong (Bad
Boy), ma anche in una trafila di autori minori, immagni sfuocate
di un'era immacolata della black music. Trentadue canzoni che
sono una festa di passione e riconoscenza storica.
(Fabio Cerbone)
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