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The Rolling Stones
Single mania collection #2

The Rolling Stones
Singles 1965-1967 (box 11 cd)
(Abcko/Universal 2004)

 

Rispetto all'uscita che lo ha preceduto (Singles 1963-1965), nonché rispetto a quella - presumo, visti dischi e periodo, ghiottissima - che lo seguirà, questo nuovo Singles 1965-1967 rischia di fare la classica figura del manufatto di coccio in mezzo ai vasi artigiani di ferro. Non per demerito o per scarsa bontà del materiale presente, ci mancherebbe, trattasi però dell'istantanea di una fase interlocutoria, di un bellissimo raccordo tra una sequenza e l'altra, di un transitorio seppur avvincente frame tra un prodromo irripetibile e una conseguenza eccitante quant'altre mai. Mi spiego meglio.
I Rolling Stones della prima, memorabile sequela di 45 giri sono una band acerba, tutta da rodare, ancora provvista di scarsa coordinazione, eppure (o forse proprio in virtù di tutti questi fattori) capace di sprigionare un volume di fuoco impressionante, che alla calligrafia bluesy da nerds innamorati dell'America unisce un beat ruvido e primordiale, verve scintillante e condotta teppista, fissando così alcuni dei basilari dettami di ciò che con una punta di orgoglio ci ostiniamo tuttora a chiamare rock'n'roll.
Singles 1965-1967, invece, fotografa una band compresa nel tentativo di scrollarsi di dosso le residue ingenuità caratterizzanti il biennio antecedente, tentativo peraltro più che legittimo, per non dire comprensibile, che spesso li porta ad entrare negli studi di registrazione con le idee poco chiare, con l'urgenza incontenibile di affermare qualcosa dando ben scarsa rilevanza ai toni e alla modulazione delle rispettive voci. Questo non significa che i brani ivi contenuti non siano buoni, molto buoni, persino magnifici: può essere men che monumentale una raccolta che allinea uno via l'altro il sempiterno riff di (I Can't Get No) Satisfaction, il ritornello assurdamente catchy di Get Off Of My Cloud, il pentagramma melodrammatico di As Tears Go By, una sciabolata del calibro di 19th Nervous Breakdown, il baccanale ritmico di Paint It Black o l'allusiva lascivia di Let's Spend The Night Together? Certo che no, tanto più se ogni singolo dell'epoca viene riprodotto con confezione, grafica e accoppiamento tra le b-sides inglesi e quelle americane assolutamente rispettoso dei più rigidi criteri filologici. Tuttavia, rispetto alla prima uscita (che constava di undici singoletti laddove questa ne sciorina uno in meno), Singles 1965-1967 pecca di un briciolo d'irruenza in meno, non sempre rimpiazzata da soluzioni all'altezza. Il peccatuccio, ché di robetta veniale trattasi, risalta con evidenza soprattutto ascoltando i famigerati lati b (tra i quali una rara Sad Day, con Jack Nitzsche al pianoforte), senz'altro meno supini al concetto di cover in pratica dominante nella prima antologia ma al tempo stesso anche meno frizzanti e inventivi. Tracce quali - per dire - The Under Assistant West Coast Promotion Man (acidula presa per i fondelli del discografico George Sherlock, dipendente di secondo piano della divisione americana della Abkco e incaricato di pedinare ogni mossa del gruppo oltreoceano), Long Long While (sin troppo scolastica imitazione dei coevi giganti del soul) o Lady Jane (melensa ballata la cui efficace linea melodica è strozzata da un eccesso di orpelli e ampollosità), nulla tolgono e nulla aggiungono, oggi come allora, alla ben nota grandezza del gruppo, incapaci come sono di trascendere il rango di pura curiosità per esegeti incalliti. Spezzerei al contrario una o più lance in favore della magnifica performance vocale di Dandelion (stupenda), del blues cartavetroso di una Who's Driving Your Plane troppo a lungo sottovalutata e dei brani - She's A Rainbow, 2'000 Light Years From Home, The Lantern e la In Another Land accreditata al solo Bill Wyman - desunti dal bistrattato Their Satanic Majesties Request (1967), album che se rapportato al contesto dell'epoca invecchia come il buon vino.
Singles 1965-1967 resta un'opera a dir poco essenziale, cui nuoce solo il confronto tra predecessore e successore: ascoltatela per quello che è, e godetevi per l'ennesima volta le canzoni strepitose della più grande rock'n'roll band che palchi, solchi vinilici e record-studios abbiano mai conosciuto.
(Gianfranco Callieri)


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