In
circa dieci anni di carriera, pur gratificata da un ragguardevole
consenso di pubblico, gli Old 97s sono riusciti a scontentare
più o meno tutti. Il che probabilmente è un bene, perché significa
che non hanno mai assecondato logiche prestabilite, imboccato
sentieri noti, fuggito una sana attitudine alla crescita e al
cambiamento. Passato dal ribaldo alt.country di dischi fedelissimi
alla loro ragione sociale (ispirata a un famoso motivo di Vernon
Dalhart poi ripreso, tra gli altri, da Hank Snow e Johnny Cash)
a un Satellite Rides (2001) molto simile a una versione power-pop
dei tardi Replacements, senza dimenticare l'avventura solista
del capobanda Rhett Miller con quel The Instigator ('02)
riguardo cui il vostro imbrattacarte la pensa esattamente come
Nick Hornby (e come la pensa Nick Hornby? Ih, ih…), stavolta il
gruppo ha avvertito l'esigenza di confezionare un lavoro che in
qualche modo catalogasse senza troppo ordine ogni differente istanza
sinora affrontata. Non offrissero il destro a brani inediti, gli
umori, le atmosfere e la scrittura di Drag It Up,
nella loro estrema eterogeneità, potrebbero essere scambiati per
quelli di un'antologia o di un sunto di fine percorso. Tuttavia,
nonostante una produzione ridotta all'osso, ciò non vuol dire
che l'album suoni dispersivo o abborracciato: Miller, Ken Bethea
(chitarre), Murry Hammond (basso) e Philip Peeples
(tamburi) hanno accumulato abbastanza esperienza, nonché affinato
sufficiente talento, per affrontare i più variegati schemi compositivi
rendendoli sempre fluidi, frizzanti, azzeccati. Mi sembra inutile,
a questo punto, rimpiangere l'una o l'altra incarnazione degli
Old 97s; chiedersi, cioè, se abbiamo perso in via definitiva i
nipotini di Merle Haggard (del quale coverizzarono alla grande
la proverbiale Mama Tried) oppure se abbiamo guadagnato
i più credibili eredi dei Plimsouls. Meglio accettare gli uni
e gli altri senza porsi eccessivi problemi, porgendo magari le
orecchie ad autentiche gemme di scrittura che rifulgono nel contesto
della folk-ballad trasandata e stracciona (Adelaide, magnifica)
come nel territorio mainstream degli episodi a più alto coefficiente
rock'n'roll (The New Kid, Won't Be Home), nell'ambito
del country più tradizionalista (Blinding Sheets Of Rain)
come nelle repentine accelerazioni di certi scatti tra punk e
rock (Friends Forever). Che non tutto sia perfetto, a cominciare
da una mancanza di rifiniture talvolta prossima alla sciatteria
per arrivare allo scarso peso specifico di alcune tracce (Moonlight
o Borrowed Bride, invero debolucce), è un problema in fondo
secondario. Di audacia e rinnovamenti - credetemi - abbiamo comunque
bisogno.
(Gianfranco
Callieri)
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www.newwestrecords.com
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