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The Hackensaw Boys - Deep Old America |
Primitive
American Music, mai definizione fu così appropriata
nel sintetizzare l'anima musicale di una band. A vederli
ritratti in quel bianco e nero un po' fuori moda, gli Hackensaw
Boys ci appaiono come fantasmi di un vecchio mondo scomparso.
Sembrano sbucare da qualche storia illustrata sulla Grande
Depressione americana, una sorta di istantanea di una comunità
di minatori. E invece ci troviamo nel bel mezzo del 2003,
a Charlottesvile, tra le mitiche Blue Ridge della Virginia,
catena montuosa in cui aleggia il respiro musicale di una
intera nazione, cuore di una country music risorta a nuovi
interessi durante gli ultimi anni. Avrebbero fatto un figurone
al fianco dei Soggy Bottom Boys in Fratello dove sei?,
il film dei Cohen che ha ridato linfa all'old-time music.
Hanno preferito il Blue Moon Diner, un piccolo locale della
loro cittadina in cui si sono esibiti con costanza, fino
ad arrivare al debutto discografico. Tra rimpasti e defezioni
oggi sono in otto (ma lasciano aperta la porta a chiunque
volgia suonare) e si sono dati soprannomi quanto meno bizzarri:
che si chiamino Pee Paw (basso, fiddle, chitarra),
Shiner (chitarra e banjo), The Kooky-Eyed Fox
(banjo), Dante J. (armonica, basso, chitarra e banjo),
Salvage (batteria, kazoo e percussioni varie), Smoky
Fontaine (dobro), Mahon (mandolino, chitarra,
banjo) o qualcos'altro poco importa. Conta solo la musica,
senza trucchi e mediazioni, tra le più sincere sentite
di recente nel filone newgrass - Americana.
(di Fabio Cerbone)
www.hackensawboys.com
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L'idea è all'apparenza
semplice: tutti riuniti intorno ad un paio di microfoni rigorosamente
vintage e si comincia a suonare. Poi però bisogna avere
canzoni degne di questo nome e uno spirito non comune per
non scadere nella pura calligafria. Gli
Hackensaw Boys riescono nell'impresa mettendo in fila
quattordici brani scritti di proprio pugno, che sfido chiunque
a distinguere dai classici dell'Anthology of Folk Music di
Harry Smith. Il background è lo stesso, anche se in
questo caso non sussiste quell'intruglio di sofferenza e spirituaità
che rende immortali quelle interpretazioni. Non è colpa
di questi ragazzi essere nati fuori tempo massimo, l'importante
però è trovare la chiave per riproporre alcune
atmosfere con una credibilità rinnovata. Keep
It Simple, secondo lavoro di studio dopo l'esordio
del 2002, Get Some, possiede appieno queste caratteristiche.
Old-time e hillbilly music nel segno dei padri, ma con quel
gusto un po' trasandato da vagabondi della nuova America di
provincia, che rende gli Hackensaw Boys dei ribelli nell'anima
e dei conservatori solo nell'estetica della musica proposta.
Si parte con la danza bluegrass di Dance Around e siamo
già dentro un film. Poi arriveranno gighe (Ruby
Pearl, lo strumentale Blue Run), walzeroni da bivacco
(Grandma, When You Said I Love You, la splendida
Wherever You Are), qualche lamento blues da minatore
(Miner) ballate oscure e malinconiche (Jonah,
Keep Me Lord) e per contrasto altre dolissime (Smilin'
Must Mean Something). A patto di azzerare qualsiasi barriera
temporale e di non badare alle mode che corrono, Keep It Simple
sarà l'inizio di un viaggio affascinante
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Band naturalmente votata all'esercizio
live, perennemente e per necessità on the road,
gli Hackensaw Boys hanno pensato bene di catturare
in Give It Back la "sporcizia" dei
loro show senza mediazioni. Attraverso festival e partecipazioni
in appoggio ad artisti delle più disparate provenienze
(dai Cake ai Flaming Lips fino ai De La Soul),
il 2002 è stato vissuto sul bus lungo le highways americane,
South-East, Texas e poi New, York, Los Angeles e via di questo
passo. La qualità sonora di questa spiccia raccolta
live non rende tuttavia pienamente giustizia all'impatto della
band, e qui risiedono le motivazioni di una votazione più
modesta. Passi pure lo slancio casereccio della loro musica,
ma una maggiore cura avrebbe risaltato le dinamiche dei numerosi
elementi e le qualità dei songoli musicisti. In questo
modo si rischia invece di trovarsi tra le mani una specie
di bootleg di discreta qualità e nulla più.
Registrato tra Arizona, Illinois, North Carolina e Tennessee,
Give It Back unisce materiale originale, non presente sul
recente Keep It Simple, e diversi traditionals riadattati
alla sensibilità della band (tra cui Ramblin' Man,
Old Joe Clark e la famosa I'll Fly Away). We
Are Many scrivono gli Hackensaw Boys nelle note del cd,
ribadendo la centralità del gruppo rispetto al valore,
non indifferente comunque, dei singoli. Questo spirito da
vecchia comunità montanara si riesce a percepire fortemente
lungo le note delle loro esibizioni. L'aggiunta nel booklet
di una citazione da The Grapes of Wrath (Furore) di
John Steinbeck aumenta il rispetto nei loro confronti
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