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This is Pop - le nuove vie dell'indie-rock americano |
Oggetto
misterioso la pop music. Cosa si definisce oggi con questo
termine? Quali possibili interpretazioni possono essere
date al genere senza scadere nel soliti luoghi comuni?
Questa veloce panoramica vuole essere più che altro
uno spunto per indicare le strade intraprese dal giovane
indie-rock americano nel corso del 2003. La ricerca della
melodia si unisce ad esigenze espressive più profonde,
e nel passato si riscoprono intuizioni e sperimentazioni
messe da parte con i facili prodotti da classifica. L'equazione
più semplice è stata quella di coniare il
termine indie-pop. Cos'è questa strana creatura?
Attraverso alcune interessanti uscite proviamo a tracciare
un percorso comune. Attenzione: non si tratta di una scena
precisa, non c'è un movimento ed ognuno di questi
artisti si muove con un proprio passato alle spalle ed
un futuro costruito su obiettivi diversi. Parliamo forse
di una sensibilità comune, che è uscita
allo scoperto
(di Tommaso Piccoli)
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The
Decemberists - Her
Majesty
Kill
Rock Stars 2003
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Struggimenti,
romanticismo, un
dramma in pieno stile,
omaggi all'amata
Los Angeles, storie un po' picaresche sono il pane quotidiano
di Colin Meloy, mente del progetto The Decemberists.
Her Majesty The Decemberists è stata
una delle uscite più "hype" del 2003 a
livello indipendente. Ha portato alla ribalta questa formazione
di Portland, descritta come una delle promesse più
interessanti per gli anni a venire nella rielaborazione
della canzone pop. Her Majesty non ha fatto altro che confermare
l'eccitazione suscitata nella
critica solo
un anno prima da Castaways and Cutouts. Questa volta però
la direzione è più contorta, oscura, certamente
meno spensierata. Forse perchè il disco si presenta
come una mediazione tra le radici di Meloy (un background
che affonda nella canzone alternative-country) e il leggero
pop sinfonico che accompagna episodi quali Bill Liar
o The Soldiering Life. Non si può fare a meno
di notare l'impronta folk-rock che avvolge Shanty for
the Arethusa, con quel suo incedere epico dato dalla
presenza inusuale, all'interno di una proposta sostanzialmente
indie-pop, di strumenti come la fisarmonica (Jenny Conlee),
a cui si aggiungono in seguito pedal e lap steel (Chris
Funk), dobro ed ogni sorta di stramberia, tra cui il
famigerato glockenspiel. E' questa spensierata varietà
e leggerezza, contrastata dai testi di Meloy, a rendere
irrestibile il disco. Si passa dalla leziosa Los Angeles
I'm Yours (con tanto di sezione archi e solo d'armonica
che fa molto seventies) al gustoso pop-rock di Song for
Myla Goldberg (dove Meloy si diverte a citare il folklore
napoletano di Funiculì Funiculà). Si finisce
poi nelle braccia di un bellissimo walzer alla Calexico
(The Chimbley Sweep) e di una ballata vagamente western
come la conclusiva As I Rise. Her Majesty è
un disco a suo modo trascinante per la ricchezza di particolari
che sa offrire
www.decemberists.com
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Il crescente interesse
che si è generato intorno alla nuova canzone
pop andrebbe a maggior ragione applicato a questi
ragazzi di Albuquerque. The Shins sono sorti
dalle ceneri dei Flake per iniziativa di James
Mercer. Secondo disco e successo assolutamente
inaspettato. Chutes Too Narrow si è
affacciato nella top 100 americana, oltrepassando
i soliti canali delle college radio. Non è
un fenomeno del tutto inspiegabile certo, e i precendenti
sono anche numerosi, ma colpisce comunque che un disco
così breve e dai connotati così "indie"
riesca a fare breccia negli ascoltatori. Deve essere
subito chiaro che la musica degli Shins possiede quel
fascino sottile che solo una smaliziata pop band sa
avere. Eppure qui le radici sono ben più profonde
di qualsiasi sguardo superficiale. Le canzoni del
leader James Mercer pagano un forte tributo al passato,
ma hanno il pregio di unire la sensibilità
del songwriter (la malinconia folk di Pink Bullets
e Those to Come, un leggero country-rock come
Gone for Good) con le tonalità sbarazzine
di un pop-rock pimpante (So Says I, Turn
a Square). Qui risiede il segreto della band:
il suono è sempre essenziale, spesso e volentieri
acustico, verrebbe da dire scarno e nonostante questo
a brani quali Kissing the Lipless o Young
Pilgrim non manca proprio nulla. C'è un'aria
inconfondibile di sixties, Kinks e Beach Boys riadattati
al nuovo millennio, persino qualche spunto psichedelico,
e tutto risulta vivo, scintillante.
Non è solo revival
www.darkcoupon.com
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Hanno spolverato tanti e tali raffronti ed etichette
per i Death Cab for Cutie che sorge quasi il
sospetto di qualcosa di artificiale. Un non so che
di costruito, sospinto dalle ali dela critica più
snob e alternativa. Per fortuna basta la musica a
rimettere tutti in riga. Quella prodotta dalla band
di Bellingham, WA è senza dubbio un concentrato
di linguaggi e regole che tracciano la storia di certo
rock indipendente americano dell'ultimo decennio.
Facile a questo punto comprendere il fascino esercitato
da Transatlanticism. Non è per
altro un fulmine a ciel sereno, ma il risultato di
un percorso molto prolifico del leader Ben Gibbard.
Quest'anno poi è proprio il suo anno, grazie
al successo ottenuto con il progetto parallelo The
Postal Service, incontro tra elettronica e indie-rock.
Qui però dobbiamo parlare della sua attività
principale, divisa con le chitarre e la produzione
dell'amico Chris Walla. Scrittura poetica e
molto introspettiva innestata su canzoni fatte di
fragili equilibri: indie-pop certamente, ma cosa significa
poi? Semplicemente che le melodie di The New Year,
Lightness e Expo '86 aggiungono alle
loro spirali pop una precisa intimità. Si citano
spesso i Built to Spill come padri ispiratori: non
mancano agganci certo, ma qui non ci sono fughe elettriche,
piuttosto esplosioni improvvise (We Looked Like
Giants, il finale della stessa Transatlanticism)
frenate da uggiose ballate (Passenger Seat,
A Lack of Color)
www.deathcab.addr.com
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Quanti sono? Si è perso
il conto, tra dischi di studio, live, raccolte e prove
soliste del leader. Una carriera che ha raggiunto
quasi vent'anni di attività. Dici Guided
By Voices e pensi alla storia dell'indie-rock
americano. Non c'è dubbio che il nome di questa
formazione dell'Ohio sia tra le colonne portanti di
un certo modo di intendere la materia pop. L'imperativo
è disturbarla, modellarla e creare nuove forme,
segnate dal genio un po' fuori misura di Robert
Pollard, figura centrale della band. Genialità
vera o presunta a parte, è un dato di fatto
che le sue intuizioni sono state fatte proprie da
intere generazioni e la presenza dei GBV con Earthquake
Glue in questa veloce rassegna è in
parte anche un premio. Non solo però, visto
che da più parti si è salutato il loro
ritorno come una prova di maturità senza sbavature,
sulla linea tracciata già dal precedente Isolation
Drills. Forse meno eccentrica e low-fi del passato,
ma di una solidità invidiabile. Pop sicuramente,
ma alla loro maniera (The Best of Jill Hives)
o, ribaltando i termini, rock'n'roll ad alto tasso
di melodia (My Kind of Soldier). Certamente
ci sono chitarre in grande quantità (Doug
Gillard e Nate Farley) roboanti sulle ali
di un Pete Townsed (Apology in Advance, Secret
Star), che hanno digerito il punk-rock (I'll
Replace You With Machines, She Goes Off at
Night) ma lo hanno infettato con una dose massiccia
di disturbi e psichedelia
www.gbv.com
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Tanto è sottile il pop degli Shins, deviato e
classico al tempo stesso quello dei Guided by Voices,
quanto resta levigato e furbetto quello dei Fountains
of Wayne. Sono la vera incarnazione del power-pop
più malizioso che si possa chiedere al giorno
d'oggi. Intendiamoci non c'è nulla che non funzioni
nelle note di Welcome Interstate Managers,
anzi, si tratta a buon titolo di una irresistibile raccolta
di pop songs frizzanti, giocose, piene di rispetto per
i classici. I Fountains of Wayne insomma sanno maneggiare
la materia, hanno persino dei gusti molto eclettici
che passano in rassegna la ballata acustica (Hackensack,
Yours and Mine), il pop pianistico più
sontuoso (Halley's Waitress, Fire Island),
il country-rock di maniera (la spassosa Hung Up on
You). Non c'è che dire, Adam Schlesinger
e Chris Collingwood sono una coppia di autori
da invidiare, che sanno cosa significa scrivere una
pop song perfetta (Mexican Wine e Stacy's
Mom prime fra tutte). E se ne sono accorti anche
ai Grammy Award, tanto da candidarli come Best New
Artist e Best Pop Performance. Ecco forse
è proprio questo il problema (ma potrebbe essere
solo un vezzo del recensore): nessuno mi toglierà
dalla testa quella strana sensazione di mestiere che
li porta a scrivere un pezzo insipido come Peace
and Love. E' mainstream, non c'è dubbio,
anche se diverte
www.fountainsofwayne.com |
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