next essayprevious article indice volumeStudi Storici 1, gennaio-marzo 1995 anno 36


Bartolomé Yun Casalilla, Trasformazioni e continuità in Castiglia nel secolo d'oro. Riflessioni per una storia sociale dell'economia


1. La storia economica e sociale del secolo d'oro nel contesto di alcune recenti revisioni.
Le recenti letture sulla storia economica del periodo hanno teso a indicare le questioni relative all'evoluzione della popolazione e della produzione (soprattutto agraria) come condizionanti l'evoluzione sociale. Non è questa una caratteristica esclusiva del caso spagnolo. Si è tenuto conto molto piú — alcune volte piuttosto vagamente e non sempre con conoscenza diretta della letteratura originale, altre volte molto criticamente — delle idee che durante gli ultimi anni hanno predominato nella storia dell'Europa in generale. Cosí, se le teorie di G. Bois o di Brenner sono state poco influenti in generale, se la loro considerazione è stata relativamente tardiva e se esse sono state considerate sempre piú come punto di riferimento critico che come modello da seguire6, le letture predominanti si sono mosse intorno a spiegazioni di forte componente maltusiana, in linea, d'altra parte, con la decisiva influenza che la scuola delle « Annales» ha avuto nella storiografia spagnola degli anni Settanta7.

Non vale la pena di entrare qui in una discussione cosí dettagliata e ancora meno ricordare un dibattito che ha bisogno di essere riproposto8. Tuttavia è interessante considerare la visione che abbiamo delle relazioni tra economia e società nella Spagna del secolo d'oro attraverso l'impronta che hanno lasciato nella nostra storiografia.

La tesi piú accreditata fino a non molto tempo fa è stata quella che combinava la spiegazione tradizionale, che vedeva nella pressione fiscale e nel peso delle guerre dinastiche il motivo fondamentale del cambiamento sociale ed economico, con la piú recente e di moda degli anni Settanta, che partiva dalle impostazioni maltusiane e che a volte si completava enfatizzando, se non il carattere « dipendente» dell'economia, almeno l'effetto esclusivamente negativo dell'esportazione delle materie prime.

Secondo la visione piú ricorrente, dal secolo XV si assiste ad un'espansione agraria e demografica che affonda le radici nell'abbondanza di terra disponibile e nell'estensione delle coltivazioni e che perdurerà per tutto il XVI secolo. Aumentando le eccedenze e coniugandosi con una fase di crescita commerciale, tale processo avrebbe facilitato anche lo sviluppo delle città e quello della « borghesia» mercantile, cosí come il rinvigorimento di un patriziato urbano di basi complesse. Senza dubbio, alla fine del XVI secolo, questo modello espansivo necessariamente doveva entrare in crisi. A causa dei rendimenti marginali decrescenti, la produzione sarebbe aumentata piú lentamente rispetto alla popolazione, le città avrebbero sofferto problemi di approvvigionamento e avrebbero raggiunto livelli maltusiani insuperabili, capaci di provocare una riduzione degli effettivi demografici e una nuova contrazione produttiva. Per allora, inoltre, la esportazione di materie prime, e in particolare di lana, avrebbe posto un freno decisivo allo sviluppo industriale.

Non manca chi ha ritenuto di dare meno importanza alla pressione fiscale e al peso dello Stato nell'economia9. Tuttavia molti ritengono che questo processo si sarebbe combinato con un aumento delle esigenze dello Stato, stretto dalle guerre e dal costo della sua burocrazia, che avrebbe avuto un doppio effetto: da una parte esso colpí negativamente le attività produttive, tanto agrarie (specialmente a causa delle vendite di terre baldias e collettive) quanto commerciali e industriali10, dall'altra, propiziò un « tradimento della borghesia» , che attratta dal debito pubblico e della terra, avrebbe abbandonato questa attività e si sarebbe « nobilitata» o convertita in una classe che vive di rendita, chiudendo anche la porta quanto piú saliva nella scala sociale e generando cosí una società molto piú rigida e immobilista11.

In questa maniera, alcune componenti della spiegazione tradizionale della « decadenza spagnola» , che procedono dagli stessi arbitristas , 12si sono combinate con quelle di carattere maltusiano per cercare di chiarire, non solo la decadenza, ma anche quali sarebbero state le linee fondamentali dello sviluppo economico e dell'evoluzione sociale13. Tale visione, basata principalmente su studi di storia rurale su scala regionale e, pertanto, tendente ad enfatizzare il peso delle componenti endogene di quell'economia — popolazione, produzione agraria ecc. — ha contrastato quella che a suo tempo avevano proposto Wallerstein o Kamen, per i quali il carattere « dipendente» dell'economia spagnola e la sua condizione fondamentale di fornitrice di materie prime avrebbe contribuito ad anchilosare una società di tipo feudale nella quale lo sviluppo economico sarebbe stato assente e rispetto alla quale, di conseguenza, neanche si può interpretare il secolo XVII come una fase di crisi che avrebbe invertito questa tendenza, perché — secondo le parole di Kamen — « la Spagna non crebbe mai» 14. Un'idea quest'ultima che non stupisce se si tiene conto di interpretazioni anteriori come quella di D. North, per il quale lo sviluppo economico in Spagna fu sempre inibito dall'importanza dei diritti di proprietà, come quelli della Mesta, che impedivano l'instaurazione di una economia capitalista, o se si considera che storici tanto prestigiosi come C. M. Cipolla già avevano affermato che la spiegazione della decadenza spagnola era molto facile ad intendere per la semplice ragione che « la Spagna mai si sviluppò» 15.

Oggi la maggior parte degli storici ritengono che questa crescita non solo si manifestò in Castiglia, il regno piú dinamico, ma anche nei territori della Corona di Aragona16, e che ebbe come conseguenza il rilancio delle attività mercantili e il rinvigorimento del patriziato urbano17. Si sostiene inoltre che, nonostante le difficoltà degli anni Cinquanta, ciò che capitò nel 1557 — anno nel quale il fallimento finanziario avrebbe costituito, secondo Wallerstein, il turning-point dell'economia castigliana — non solo fu lungi dal determinare un'autentica bancarotta18, ma non interruppe affatto una congiuntura espansiva che, sebbene allentata, continuò in molte regioni fino agli anni Ottanta19. E ciò perché, attualmente la crescita si fa dipendere piú da forze interne che dai vincoli del commercio internazionale. Di fatto, secondo le letture piú accreditate, questa espansione era legata ad una ragguardevole solidità delle economie urbane, che, malgrado la costituzione di un « sistema urbano immaturo» , danno luogo a livelli relativi di urbanizzazione al di sopra della media europea20. Si ritiene inoltre che l'espansione dipendeva soprattutto da un aumento della popolazione che, sebbene tocchi l'apice verso la metà del secolo, si mantiene forte ancora per alcuni decenni, in parte grazie all'esistenza di spazi poco popolati al Sud e in parte per gli effetti positivi dello sviluppo mercantile e urbano21. È evidente, inoltre, che la rottura dell'asse Burgos-Anversa, dovuta alla guerra con le Fiandre, e la caduta del commercio della lana con l'Europa, che tanto negativa fu per l'importante colonia mercantile burgalese, già era stata preceduta — come ha dimostrato C. Rahn Philips — da una riduzione delle esportazioni di lana dal 1550, che l'autrice rapporta, tra le altre cose, all'impulso industriale castigliano22. Oltretutto, questi elementi non furono affatto un colpo determinante per l'economia peninsulare, giacché furono compensati da un incremento delle esportazioni in Italia e tutto fa pensare che, malgrado i problemi di qualche nucleo come Cuenca, ce ne furono altri, come Segovia, che conobbero negli anni Settanta e Ottanta il loro massimo apogeo23. In questo senso è stata anche suggerita l'idea che la traiettoria dell'economia spagnola non si adatti allo schema che cerca di spiegare la storia d'Europa secondo la prospettiva della dipendenza tra periferia e centro di un'« economia mondo» , quanto piuttosto alla concezione di una crescita polinucleare su scala europea. Quest'ultima però non si fonda su tale successione di poli di sviluppo, stabilita qualche tempo fa da Braudel, ma su un modello nel quale, nonostante la presenza di punti dinamici che si successero gli uni agli altri, rispondeva piú a forze endogene legate all'impulso demografico e produttivo e allo sviluppo, dal XV secolo, dei mercati, delle fiere locali, delle reti urbane e, in piú, della commercializzazione diretta del prodotto contadino che implicava una diversificazione del reddito familiare e un vincolo sempre maggiore della sfera produttiva al mercato24; tale lettura ha permesso di porre in secondo piano le spiegazioni tradizionali che enfatizzavano l'importanza del tesoro americano per l'economia spagnola. Queste idee sono state abbandonate già prima che Vilar pubblicasse le sue acute critiche al lavoro di Hamilton25. Di fatto, sebbene si discuta ancora dell'importanza dei metalli preziosi come causa della rivoluzione dei prezzi, pochi si sono preoccupati di seguire l'indicazione dello storico nord-americano nel senso di calcolare la distanza tra prezzi e salari, e ancora meno sono quelli che considerano la domanda americana un fattore determinante dell'evoluzione dell'economia spagnola del XVI secolo26.

Nell'interpretazione che sto descrivendo ci sono alcune discrepanze rispetto ai problemi che si vivono alla fine del XVI secolo e all'inizio del XVII, ma molti storici concordano sul fatto che il recupero successivo è conseguenza di un aumento della disponibilità pro capite di cereali che si sarebbe avuta a partire dal 1640-50e 27 che avrebbe generato un nuovo processo espansivo che raggiungerà nuovamente l'apice alla fine del secolo XVIII e che si risolverà solo con la crisi e la sparizione dell'antico regime.

Comunque, fino a che punto possiamo conformarci al panorama piú o meno complesso che si sta descrivendo? Se, come di norma accade tra gli storici dell'economia, continuiamo a ritenere che la capacità di produrre e le forme di distribuzione siano chiavi per comprendere le connessioni tra sviluppo materiale e mutamento sociale, possiamo continuare a pensare che quelle sopraesposte siano le linee di interazione piú importanti, decisive ed uniche, tra economia e società?

Nelle stesse ricerche che hanno contribuito a fissare questo modello esplicativo esistono anche idee — a volte non tenute nel giusto conto dai loro stessi autori, a volte non integrate in esso — che obbligano a reimpostare le questioni e trascendono anche la storia di Spagna, per rimandarci ad un problema piú generale.

In primo luogo, ci sono alcuni quesiti che sono inevitabili. Si può ridurre la risposta a queste domande alla considerazione di una crescita che, avendo arricchito i mercanti e i patrizi delle città, si affievolí proprio per il « tradimento» di questi? Non staremo supponendo che ogni mercante è un « rivoluzionario» in potenza, siano come siano la situazione storica, l'apparato istituzionale, la sua stessa idea della società e la sua organizzazione? Certamente pochi storici si sono riferiti ad altri vincoli tra economia e mutamento sociale e ancora meno sono quelli che hanno cercato di utilizzarli come componenti di una spiegazione piú ampia e ricca del processo storico. Il risultato è una immagine di società che cambia solo in funzione della crescita economica e della distribuzione della rendita.

Pur accettando certe dosi di verità in tali spiegazioni, è necessario evidenziare che in tutti i casi siamo davanti ad una visione economica dei processi sociali. È una storia economica e sociale nella quale la preferenza dell'enunciato — prima l'economia, poi la società — metteva in evidenza in realtà un ordine gerarchico di rapporto causa-effetto unilaterale.

Tutte quelle letture hanno presupposto, in maggiore o minore misura, che l' economia (ridotta allo studio della popolazione e della produzione e qualche volta anche alla rendita della terra) si è mossa su un piano di autonomia rispetto alle istituzioni; inoltre il quadro politico, nel quale quella si è attuata, o non si considerava o si riteneva statico o che non era sottomesso a piú tensioni di cambiamento di quelle derivate dallo sviluppo di questa « borghesia» . È sufficiente considerare le spiegazioni sopra citate per capire che, in quelle, l'evoluzione sociale dipende dalle tensioni tra risorse e popolazione (linea neomaltusiana), dalla proporzione della sua distribuzione (linea di G. Bois) o, in ultima istanza e malgrado l'ampliamento di prospettiva che presuppone l'analisi di Brenner, da rapporti sociali che si riducono a « rapporti di proprietà» . È, infine, una « storia economica della società» che vuole essere parte di una « storia totale» in cui tutti i piani erano considerati, ma che registra solo una linea causale.


continueback Studi Storici 1, gennaio-marzo 1995 anno 36
Bartolomé Yun Casalilla, Trasformazioni e continuità in Castiglia nel secolo d'oro. Riflessioni per una storia sociale dell'economia


6 Un'applicazione o meglio una contrapposizione alle idee di G. Bois in J. M. López Garc&iacutea, La transición del feudalismo al capitalismo en un se&ntildeor&iacuteo monástico castellano. El Abadengo de la Santa Espina (1147-1835), Valladolid, 1990; G. Lemeunier, Un testimonio sobre la baja tendencial de la renta feudal: las concordias de Ceutí con sus se&ntildeores, siglos XVI-XVII, in « Areas. Revista de Ciencias Sociales» , 1989, n. 10, pp. 159-179. Le idee di Brenner sono state considerate con un certo senso critico in J. Torras, Class struggle in Catalonia. A note on Brenner, in « Review» , 1980, n. 4, pp. 253-265, e L'economia castellana en el segle XVI. Un esquema, in « Re&ccedilerques» , 1984, n. 16, pp. 159-169. Ho preso in considerazione alcuni dei paradigmi dello storico americano in Sobre la transición al capitalismo en Castilla. Econom&iacutea y sociedad en la Tierra de Campos, 1500-1830, Salamanca, 1987. Si veda anche De molinos a Gigantes (A propósito de los comentarios de E. Llopis a Sobre la transición al capitalismo en Castilla. Econom&iacutea y sociedad en la Tierra de Campos, 1500-1830), in « Revista de Historia Económica» , 1989, n. 2, in particolare pp. 470-476.

7 Si vedano a riguardo diversi lavori di G. Anes, Las crisis agrarias en la Espa&ntildea Moderna, Madrid, 1970, specialmente pp. 87-126; Tendencias de la producción agr&iacutecola en tierras de la Corona de Castilla (siglos XVI a XIX), in Homenaje a Julio Caro Baroja, cit., pp. 83-100. Uno studio specifico per il caso di Segovia in A. Garc&iacutea Sanz, Desarrollo y crisis del Antiguo R&eacutegimen en Castilla la Vieja. Econom&iacutea y sociedad en tierras de Segovia de 1500 a 1814, Madrid, 19862.

8 Mi riferisco al contrasto tra il primo gruppo di queste posizioni, inserito in T. S. Aston and C. H. E. Philpin, The Brenner Debate. Agrarian Class Structure and Economic Development in Pre-industrial Europe, Cambridge, 1985.

9 I. A. A. Thompson, Taxation, military spending and the domestic economy in Castile in the later sixteenth century, in War and society in Habsburg Spain. Selected essays, Great Yarmouth, 1992.

10 Una visione che combina la spiegazione maltusiana con l'impatto della fiscalità si può trovare in A. Garc&iacutea Sanz, Desarrollo y crisis, cit.

11 F. Braudel, El Mediterráneo y el mundo mediterráneo en la &eacutepoca de Felipe II, t. II, Madrid, 19762, pp. 99-106; F. Ru&iacutez Mart&iacuten, La banca en Espa&ntildea hasta 1782, in Banco de Espa&ntildea. Una historia económica, Madrid, 1979.

12 Nella letteratura sempre piú abbondante sull'arbitrismo vanno segnalati J. Vilar, Literatura y econom&iacutea.La figura sat&iacuterica del arbitrista en el Siglo de Oro, Madrid, 1973; P.Vilar, Los primitivos espa&ntildeoles del pensamiento económico « cuantitativismo» y « bullonismo» , in Crecimiento y desarrollo, Barcelona, 19742.

13 È impossibile confrontare qui le molteplici opere sulla base delle quali si è andata costituendo questa interpretazione. Conviene tenere presente che essa non è chiusa: gli autori che hanno contribuito a determinarla non sempre concordano su tutti i punti. Ciò che si fa qui è una ricostruzione — discutibile, naturalmente, ma spero non troppo forzata — delle idee piú frequenti tra di noi. Coloro i quali aderirono a questa spiegazione, « d'allure balistique» nelle parole del loro principale promotore (E. Le Roy Ladurie, Les paysans de Languedoc, Paris, 1966, vol. I, p. 639) e in particolare alla prima parte di quella, non sembra che considerarono l'esposizione originale per il caso della Francia dello stesso Le Roy Ladurie, il quale ritiene causa ultima di questi problemi i « blocchi culturali» o la mancanza di mentalità industriale, che sorgerebbe solo, « poco a poco» , a partire dalla fine del XVII secolo. Sebbene sia abbastanza difficile che tali affermazioni non siano state accettate da nessuno degli storici spagnoli, dopo la reazione alle idee secondo le quali le cause del ritardo economico avrebbero a che vedere con il « senso dell'onore» e il « rifiuto del lavoro» e degli « affari» di cui si parlava negli anni Sessanta (I. A. A. Thompson, Introduction, in I. A. A. Thompson and B. Yun Casalilla, eds., The Castilian Crisis, cit., p. 3).

14 I. I. A. Wallerstein, The modern world-system. Capitalist agriculture and the origins of the European world-economy in the sixteenth century, New York-London, 1974, cap. I e in particolare pp. 181, 184 e 191; H. Kamen, The decline of Spain: a historical mith?, in « Past & Present» , 1978, n. 81, pp. 24-50.

15 D. North, Structure and change in economic history, New York-London, 1981, p. 150; C. M. Cipolla, Storia economica dell'Europa preindustriale, Bologna, 1974, p. 288.

16 Per la Catalogna si può vedere M. Durán, Producció i renda &agravegraria a la Catalunya del segle XVI, in Aa.Vv., Terra, treball i proprietat. Classes agr&agraveries i regim senyoral als Pa&iumlsos Catalans, Barcelona, 1986, pp. 186-213. La stessa impressione offrono le serie decimali ottenute per la provincia di Huesca da J. M. Latorre Ciria, La producción agraria en el obispado de Huesca (siglos XVI-XVII), in « Revista de Historia de Jerónimo Zurita» , 1989, n. 59-60, pp. 121-171. Anche per il caso di Valenza si veda M. Ardit, Els homes i la terra del Pa&iacutes Valencià (segles XVI-XVII), II, Valencia, 1993, pp. 93-102.

17 Per la Catalogna si può consultare J. Amelang, La formación de una clase dirigente: Barcelona, 1490-1714, Barcelona, 1986; il caso di Saragozza si può vedere in J. I. Gómez Zorraquino, La burgues&iacutea mercantil en el Aragón de los siglos XVI y XVII (1516-1652), Zaragoza, 1987.

18 I. Wallerstein, The modern, cit., p. 181. Un'eccellente critica all'utilizzazione del concetto di bancarotta per i problemi finanziari di quegli anni in M. J. Ródriguez-Salgado, The changing face of Empire. Charles V, Philip II and Habsburg authority, 1551-1559, Cambridge, 1988.

19 Ho commentato le idee di Wallerstein e Kamen in Spain and the seventeenth-century crisis in Europe: some final considerations, in I. A. A. Thompson and B. Yun Casalilla, eds., The Castilian Crisis, cit., pp. 303-307.

20 Tali sono le conclusioni che si possono evincere da J. de Vries, La urbanización en Europa, 1500-1800, Barcelona, 1987, pp. 46 e 144-145. Uno studio che definisce e studia queste reti, dandone una visione relativamente ottimistica è quello di D. S. Reher, Town and country in pre-industrial Spain. Cuenca, 1550-1870, Cambridge, 1990, pp. 33-38. Circa le monografie sulle città, tutte comprovanti una fase espansiva, all'opera pionieristica di B. Bennassar ( Valladolid au si&egravecle, cit.) sono seguite, tra le altre, J. I. Fortea, Córdoba en el siglo XVI: las bases demográficas y económicas de una expansión urbana, Córdoba, 1981; F. Chacón, Murcia en la centuria del Quinientos, Murcia, 1979; J. E. Gelabert, Santiago y la Tierra de Santiago de 1500 a 1640, Santiago, 1982; C. Rahn Phillips, Ciudad Real, 1500-1700: Growth, crisis and readjustements in the Spanish Economy, Cambridge, Mass., 1979. Da un punto di vista strettamente demografico cfr. A. Rodr&iacuteguez, Cáceres: población y comportamientos demográficos en el siglo XVI, Cáceres, 1977; A. Marcos, Auge y declive de un n&uacutecleo mercantil y financiero de Castilla la Vieja. Evolución demográfica de Medina del Campo en los siglos XVI y XVII, Valladolid, 1978. Durante gli anni Ottanta, gli articoli e le relazioni al riguardo si sono moltiplicati.

21 Le analisi sullo sviluppo industriale sono state incluse soprattutto nelle monografie di storia urbana. In particolare J. I. Fortea, Córdoba, cit.; J. Montemayor, Tol&egravede entre fortune et decline (1530-1640), 2 voll. (tesi discussa all'Università di Tolosa nel 1991). Per il XV secolo, sebbene sfoci nel XVI, P. Iradiel, Evolución de la industria textil castellana en los siglos XIII-XVI, Salamanca, 1974.

22 C. Rahn Phillips, The Spanish Wool Trade, 1500-1700, in « Journal of Economic History» , XLII, 1982, n. 4, pp. 781-782.

23 Ivi, p. 782; E. Lapeyre, Les exportations de laine de Castille sous le r&egravegne de Philippe II, in La lana come materia prima. Atti della seconda settimana di studio di Prato, t. II, Firenze, 1978, pp. 221-240. Lo splendore dell'industria tessile segoviana in questo periodo fu datato già da tempo da F. Ru&iacutez Mart&iacuten, di cui si veda pure La empresa capitalista en la industria textil castellana durante los siglos XVI y XVII, in Troisi&egraveme Conference Internationale d'Histoire Economique, M&uumlnich, 1965, pp. 267-276.

24 B. Yun, Economic cycles and structural changes, in T. Brady jr., H. A. Oberman and J. Tracy, Handbook of European History, 1400-1600. Late Middles Ages, Renaissance and Reformation, Leiden-New York-K&oumlln, 1994, pp. 113-145.

25 Come si ricorderà P. Vilar richiamò l'attenzione sulla scarsa importanza delle differenze tra prezzi e salari come fattore determinante del profitto e come stimolo dell'investimento industriale nelle società preindustriali, criticando cosí l'idea di Hamilton che il ritardo dello sviluppo capitalistico spagnolo sarebbe stato causato dalla prossimità tra entrambe le variabili — determinata a sua volta dall'arrivo di metalli preziosi — e dalla debolezza degli investimenti (cfr. P. Vilar, Problems of the formation of capitalism, in « Past & Present» , 1956, n. 10, pp. 15-38).

26 Anche in questo senso, P. Vilar richiamò l'attenzione sul fatto che gli effetti piú importanti dell'impero sull'economia peninsulare non sarebbero derivati dall'esportazione di prodotti metropolitani, ma dallo sviluppo di forme primitive di accumulazione di capitali (cfr. El tiempo del Quijote, in Crecimiento, cit., pp. 332-346). Le stime sui salari non sono molto abbondanti. Si vedano B. Bennassar, Valladolid au si&egravecle, cit., libro II, cap. II e IV; D. S. Reher e E. Ballestreros, Precios y salarios en Castilla la Nueva: la construcción de un &iacutendice de salarios reales, 1501-1991, in « Revista de Historia Económica» , 1993, n. 1, pp. 101-151. Tra gli scarsissimi lavori di storici spagnoli sulla rivoluzione dei prezzi cfr. P. Mart&iacuten Ace&ntildea, Los precios en Europa durante los siglos XVI y XVII: un estudio comparativo, in « Revista de Historia Económica» , 1992, pp. 359-395.

27 A. Garc&iacutea Sanz, Desarrollo y crisis, cit.