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I cattolici e il voto
L'«ordine sparso» non giova,
servono raccordi visibili
di Alberto Migone

Come si sono orientati i cattolici alle elezioni del 13 giugno? E oggi possiamo ancora parlare di «voto cattolico»? Realisticamente si è trattato di un voto sparso, e spesso secondo emozioni, che si è indirizzato verso tutti (o quasi) i gruppi politici, con qualche preferenza, non scontata per altro, per quei raggruppamenti che dicono di rifarsi alla dottrina sociale cristiana o si dichiarano eredi dell’impegno politico dei cattolici.Del resto oggi in quasi tutti i partiti i cattolici sono presenti (anche in posizioni di rilievo) e questo – si afferma – può meglio tutelare le convinzioni, i valori, gli interessi, cari al nostro mondo.Eppure – a nostro parere – l’«ordine sparso» non può essere né teorizzato né auspicato. E non si tratta di interessi da tutelare, ma di ben altro. Affidare alle singole coscienze individuali, senza nessuna forma di raccordo visibile, la difesa e la promozione dei valori umanistici e religiosi che, come cristiani, consideriamo essenziali al bene nazionale e mondiale in questo momento storico e culturale, non ci sembra accettabile.Bisogna domandarsi, invece, da cristiani, come «mantenere il contributo specifico di una posizione culturale presente e importante nella nostra società» che «ha costituito come un grande movimento per la difesa della persona umana e per la tutela della sua dignità» (Centesimus annus, 3). È domanda che interpella prima di tutto i partiti che dichiarano la loro ispirazione cristiana. Ed esige una riflessione approfondita. Niente può esser più dato per scontato o stabilmente acquisito, neppure l’esistenza. Senza questo «esame», per certi aspetti spietato, rischiano davvero di diventare un’appendice cattolica dei «grandi» partiti: danno lustro, ma non sono certo utili ai fini di una ispirazione cristiana della politica.In un contesto però di indubbia crisi politica, ma anche economica e soprattutto ideale, questa riflessione-rinnovamento non può essere delegata solo ai partiti. Anche la comunità cristiana in quanto tale ha responsabilità e impegni. Ed è il laicato cattolico organizzato che deve riprendere iniziativa e visibilità, aiutato dalla pastorale sociale della Chiesa a livello locale e nazionale, mentre oggi, sotto questo aspetto, abbiamo un laicato muto.Non si tratta di assumere iniziative che non competono, ma di promuovere partecipazione, formare persone, ricostruire un retroterra culturale che riparta dal Vangelo, dando vita quasi a un rinnovato «Movimento cattolico» a servizio della dottrina sociale della Chiesa nella sua globalità e della sua reale incidenza nel divenire sociale e politico e a servizio di una permanente formazione etico-spirituale e di un raccordo fraterno dei laici più impegnati nelle vicende pubbliche.Non si pensa certo a un nuovo partito – non ci compete – ma a un nuovo interesse coerente, concreto, efficace. Ma c’è questa volontà? C’è questo laicato? Si desidera che ci sia? Chi se ne interessa in concreto? E soprattutto chi conta oggi di più, nella comunità cristiana, quali idee e posizioni ha in proposito? Sono domande non più a lungo eludibili, anche perché incertezze e frammentazioni determinano nelle stesse comunità ecclesiali, soprattutto nelle più piccole, divisioni rancorose, che devono preoccupare.

 

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