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Recensione "Zoo di Venere" su Blow up (Gennaio 2004)

Raccolta l’eredità dei Last of the Teenage Idols, band con cui si era fatto le ossa durante un lungo soggiorno inglese, il chitarrista Daniele Macchi mette nero su bianco il primo nucleo degli Zoo di Venere già nel 1997, uscendo però con l’EP “Emozioni in overdose” solo nel 2000 e arrivando all’esordio lungo oggi, a distanza di sei anni.
Vista la lunga esperienza del musicista, possiamo quindi scommettere sulla rodazione dell’ensemble (tre ragazze e due maschi), e difatti quello che ascoltiamo è certamente un album guidato dalla mano di un veterano che sa come muovere le corde degli strumenti e della nostra sensibilità.
Rock diretto e sparato, voluminoso e dal tiro chitarristico potente, perfetto nella macchina ritmica secca e frenetica, quasi anfetaminica anche quando asseconda un lavoro strumentale dalle ambizioni più complesse che non l’attacco da power rock.
Assolutamente da antologia la finale “Dolce lucida follia” e bella sorpresa la track nascosta, semiacustica.
La voce di Luana Caraffa, che supplisce la mancanza di una personale identità con una perfetta gestione della materia musicale, e il video realizzato dal regista Richard Lowenstein (“E morì con un felafel in mano”) ci fanno scommettere sulla riuscita, anche commerciale, del gruppo.

Andrea Villa