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Nell’area del pop moderno con voce femminile si
muovono gli Zoo di Venere, che vivono a Roma, posseggono
un’indole più rock e sono giunti solo ora
al vero e proprio esordio – dopo molte modifiche
di organico e l’ep “Emozioni in overdose”,
pubblicato in proprio nel 2000 – con l’omonimo
CD marchiato dalla Radiofandango/Wea. Guidato dal chitarrista/produttore
Daniele Macchi e dalla cantante Luana Caraffa, entrambi
anche autori di testi e musiche, il gruppo sembra essersi
allontanato dall’impostazione filo-elettronica dell’ep
per imboccare una strada più grintosa e incisiva
– ma tuttavia molto attenta all’orecchiabilità
– modellata attorno alle esecuzioni potenti, calde
ed enfatiche (“teatrali” si potrebbe definirle)
della brava “front-woman”; peccato che i risultati,
benchè apprezzabili sotto il profilo dell’energia
(preservata dalla registrazione in presa diretta), non
riescono a convincere appieno, vuoi per l’artificiosità
(apparente?) della formula e vuoi per la generale tendenza
a “calcare la mano” nella ricerca di soluzioni
d’effetto. Con la loro miscela di pop e hard-glam
velate di dark, gli Zoo di Venere sembrano insomma una
sorta di epigono italiano – in chiave però
meno kitsch – di quegli Evanescence gratificati
di un clamoroso successo internazionale grazie alla presenza
nella colonna sonora di “Daredevil”: un accostamento
che il famoso regista australiano Richard Lowenstein,
autore del semplice ma seggestivo videoclip in bianco/nero
del singolo “Killer (ogni istante è l’ultimo)”,
ha in pratica avallato coniando per lo stile della band
la spiritosa etichetta “vampire-chic”. Che
ognuno, in base al proprio gusto, valuti se ciò
pesi sul piatto dei “pro” o su quello dei
“contro”.
Federico Guglielmi
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