" Lungo i sentieri della follia"

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Filosofia

Cesare Lombroso (1835 - 1909)[1]

 

Introduzione

A partire dalla metà del XIX secolo lo sviluppo economico e industriale dei paesi europei portò alla nascita di nuovi movimenti filosofici, che trovavano la loro base nel rinnovamento degli studi scientifici, tecnici e medici.

Un contributo alla ricerca del pensiero filosofico-economico fu dato dall’evoluzionismo, corrente di pensiero presente in Inghilterra tra il 1850 e il 1880, i cui maggiori esponenti sono da ricercare in Charles Darwin e Herbert Spencer. Il primo formulò, contro la tradizionale dottrina fissista delle specie viventi, una moderna teoria dell’evoluzione biologica che presentava due punti chiave: l’esistenza di piccole variazioni organiche degli esseri viventi ad intervalli irregolari di tempo e la lotta per la vita nei vari individui. Spencer, superando i risultati della teoria biologica, formulò la tesi che pose il progresso come base dell’evoluzione e di ogni realtà, ritenendolo, quindi, unico principio adatto a spiegare la realtà nel suo complesso.

Nello stesso periodo in Germania entrarono in crisi le visioni idealistiche e spiritualistiche proprie delle filosofie naturali sensibili al pensiero romantico e ciò permise l’affermazione del movimento filosofico materialistico, che contestava come vuote speculazioni le vecchie filosofie della natura, pur recuperandone, allo stesso tempo, l’esigenza di una visione unitaria e dinamica del mondo materiale e umano. Il fisiologo Jacob Moleschott, nelle sue opere illustrò le continue trasformazioni della materia, da cui, attraverso le generazioni, derivano tutti gli esseri viventi, preferendo, in questo modo, all’evoluzione una ripetizione. Il chimico e biologo Karl Vogt si batté contro una distinzione fra anima e corpo, asserendo che l’anima non esiste perché “tutte quelle capacità che noi comprendiamo sotto il nome di attività psichiche sono solo funzioni del cervello”. Contro di lui, Ludwig Buchner credeva che il pensiero non potesse essere considerato materiale e che le sostanze del corpo nella loro organizzazione creassero una serie di effetti che possono essere definiti, nella loro unità, spirito o anima. L’agnosticismo fu teso, invece, a dimostrare l’esistenza di limiti “invalicabili” per la conoscenza ed ad affrontare problemi ritenuti insoluti, come l’origine della materia e della coscienza, la formazione del pensiero e del linguaggio e la libertà del volere. In Germania, lo zoologo Ernst Haeckel, che aderì al pensiero di Darwin, ma è da collegare più correttamente al materialismo evoluzionistico, riallacciandosi a Goethe[1], riteneva le analogie tra gli organismi come prodotto della loro discendenza da antenati comuni. Haeckel, volendo dimostrare ed estendere a tutta la realtà l’unità dello sviluppo organico, ritenne l’universo come un unico processo di evoluzione retto da due leggi, una interna, della conservazione della materia e una esterna, dell’azione dell’ambiente sull’individuo. Affermava l’unità di spirito e materia come due attributi fondamentali della sostanza universale. Da queste ricerche nasceva l’immagine di un essere umano le cui facoltà intellettuali e morali risultavano dettate da condizioni fisiche, biologiche, economico- sociali.

In seguito alla costruzione di uno stato unitario, in Italia, si costituirono comunità scientifiche nazionali, all’interno delle quali si sviluppò un atteggiamento culturale di posizione anti- spiritualistica, rivolto allo studio di problemi e fatti particolari, influenzato dall’evoluzionismo spenceriano e dal materialismo di Moleschott e Buchner. La ricerca sull’essere umano si concentrò quasi esclusivamente su un’analisi scientifica dell’uomo e della società ove egli era inserito, operando con i metodi deterministici delle scienze naturali. In questo periodo nel quadro italiano furono di rilevabile importanza gli studi del medico-psichiatra Cesare Lombroso, che facilitato da uno studio diretto dei materialisti tedeschi analizzò le caratteristiche somatiche e fisiologiche degli individui mettendole in rapporto con la psiche. La sua analisi si concentrò su due linee fondamentali: lo studio del comportamento criminale che mise in stretto rapporto con l’anomalia fisica, residente nel cranio, e quello del genio, interpretato come forma degenerativa dell’uomo. Fondatore della “Scuola positiva di diritto penale” sostenne che i criminali non delinquono seguendo un atto cosciente, ma sono guidati da tendenze malvagie, che trovano il loro presupposto in un’organizzazione fisica e psichica diversa da quella normale. Da questo presupposto dedusse che il diritto della società a punire i delinquenti non si fonda sulla malvagità del delinquente o sulla sua responsabilità, ma soltanto sulla sua pericolosità sociale. Lo studio delle caratteristiche fisiopsichiche che causano la delinquenza fu chiamato dall’autore “nuova antropologia criminale”, le cui caratteristiche principali sono racchiuse nell’opera L’uomo delinquente in rapporto all’antropologia, alla giurisprudenza ed alle discipline economiche, pubblicata per la prima volta nel 1876. Le applicazioni principali delle teorie di Lombroso si ebbero nel campo di quella che egli chiamò la “profilassi” e la “terapia” del delitto. Considerato il delitto come anormalità o morbosità, il compito della società deve essere di curare il delinquente e di elevare il concetto di difesa sociale a quello di rigenerazione del reo. A ciò si ricollegarono gli studi carcerari di Lombroso e l’opera svolta per l’istituzione dei manicomi criminali.

La nuova figura di uomo delineata da Lombroso si presentava inscindibile dalle caratteristiche fisiologiche e pertanto non gli veniva riconosciuta la libertà come possibilità autonoma di scelta. In tal modo, basandosi solo su aspetti fisiologici e somatici e tralasciando completamente quelli storico- sociali, la scienza dello psichiatra italiano escludeva l’ipotesi di una trasformazione della realtà esistente.

Biografia

1835

nacque il 6 novembre a Verona da Zefora Levi e Aronne Lombroso, una famiglia di commercianti israeliti e qui frequentò le scuole elementari e di umanità

1852

si iscrisse a Pavia alla facoltà di medicina

1854-1855

continuò gli studi di medicina a Padova e poi a Vienna

1856

pubblicò il saggio Influenza della civiltà su la pazzia e della pazzia su la civiltà

1858

si laureò in medicina all’Università di Pavia con uno studio sul cretinismo in Lombardia

1859

dopo il conseguimento della laurea in chirurgia all’Università di Genova, si arruola volontario e si arruolò nell’esercito piemontese come medico

1863

trasferitosi a Pavia come medico militare, iniziò un corso libero di clinica delle malattie mentali e di antropologia

1864

gli venne affidato un incarico in una clinica di malattie mentali e antropologia e incominciò il corso con una prolusione su “Genio e follia”

1867

ricevette un premio dal Reale Istituto Lombardo di Scienze e Lettere per lo studio: “Azione degli astri e delle meteore sulla mente umana” e diventò professore di clinica delle malattie mentali

1870

sposò Nina Debenedetti. Nel corso di un’autopsia scoprì delle anomalie atavistiche[2] nel cranio di un delinquente, Villella

1871

assunse la direzione del manicomio di Pesaro.

1872

ritornò a Pavia. Uscivano la memoria Sull’istituzione dei manicomi criminali in Italia e presso Brigola, a Milano, Genio e follia.

1873

partecipò alla fondazione della società freniatrica (psichiatrica) italiana. Pubblicò Studi clinici ed antropometrici sulla microcefalia e il cretinismo

1874-1876

diventò professore straordinario di medicina legale, tossicologia, e igiene a Pavia e Torino e pubblicò L’uomo delinquente in rapporto all’antropologia, alla giurisprudenza ed alle discipline economiche

1877

usciva la terza edizione di Genio e follia.

1880

fondò con Raffaele Garofano l’“Archivio di psichiatria, antropologia criminale e scienze penali”

1881

fu nominato membro ordinario del Consiglio sanitario della provincia di Torino

1882

presso Bocca usci una nuova edizione di Genio e follia

1885

a novembre partecipò al I Congresso di antropologia criminale, che aveva contribuito a organizzare e che si tenne insieme al Congresso internazionale penitenziario. In quest’occasione vi fu un’esposizione di materiale psichiatrico e criminologico

1888

incominciò a studiare i fenomeni ipnotici. Raccolse, nei Palinsesti del carcere, i graffiti, le immagini, gli scritti lasciati dai reclusi del carcere

1890

pubblicò con Rodolfo Caschi, Il delitto politico

1896-1897

divenne ordinario di psichiatria e clinica psichiatrica all’Università di Torino, mantenendo l’incarico di medicina legale. Uscivano i tre volumi dell’ultima edizione dell’Uomo delinquente e Genio e degenerazione

1905

pubblicò il trattato su La perizia medico- legale e diventò titolare della cattedra di antropologia criminale, per lui istituita

1906

a Torino si tenne il VI Congresso di antropologia criminale che tributò grandi onoranze a Lombroso. Gli venne offerto il volume celebrativo L’opera di Cesare Lombroso nella scienza e nelle sue applicazioni

1909

morì il 19 ottobre e nelle sue disposizioni testamentali lasciò al museo le sue spoglie. Appaiono postume le Ricerche sui fenomeni ipnotici e spiritici

Pazzia secondo Lombroso

Il giovane Lombroso, traducendo La circolazione della vita di Moleschott, entrò in contatto con il pensiero di Feuerbach che ne era stato l’ispiratore, e inizialmente ne condivise i concetti, passando in seguito all’evoluzionismo di Darwin. Nel pensiero di Lombroso la storia umana e l’evoluzione si integrarono: lo sviluppo che va dalle scimmie, al selvaggio, all’uomo civilizzato, si inserì nella consapevolezza di reali cadute storiche e quantificabili regressioni biologiche come la criminalità e la malattia mentale. In questa direzione intraprese ricerche storiche e specifici studi di ordine biologico-evoluzionistico che riconobbe fondamentali per interpretare eventi storici e sociali complessi. Per studiare l’uomo delinquente si rifece alla fisionomia di noti personaggi del passato come Messalina, Caligola e Nerone. Un altro strumento conoscitivo a cui Lombroso si riferì fu la statistica, già ampiamente usata nel secolo precedente, utilizzata per cogliere e dimostrare l’esistenza tanto discussa del tipo criminale collegando i dati anatomici patologici alla pazzia. Lombroso ritenne che nella specie umana esistono degli individui predisposti per natura all’attività criminale, definiti delinquenti nati: quelli caratterizzati da fattori genetici cui corrispondono alcuni tratti somatici, relativi soprattutto alla conformazione cranico- facciale, ma anche alla statura, alla lunghezza degli arti e ai comportamenti cinetici come l’andatura e la gestualità. La tendenza a delinquere viene dunque annunciata dalle caratteristiche anatomiche, che si possono considerare i segni decifrabili della vita psichica.

Lo psichiatra si dichiarò evoluzionista, ritenendo l’evoluzione delle razze regolata dalla lotta per l’esistenza, dall’ambiente e dalle trasformazioni geologiche e climatiche. L’essere umano bianco, che ha raggiunto la simmetria nelle forme del corpo, sarebbe il punto d’arrivo della selezione evolutiva. Dall’osservazione che certe azioni, che l’uomo civilizzato giudica delinquenziali, nei selvaggi e negli animali sono un fenomeno naturale, Lombroso giunse a considerare legittimo reputare l’inclinazione trasgressiva dei criminali di carattere naturale: la causa è riscontrabile in un’organizzazione inferiore sia dal punto di vista fisico che psichico, come quella dei primitivi e dei selvaggi. Lombroso descrisse e materializzò, così, il tipico delinquente nato.

Con l’incarico a direttore del manicomio, allargando il suo campo di ricerca, si trovò a dover considerare, oltre al delinquente nato, il pazzo morale, il delinquente epilettico, il delinquente d’impeto, il delinquente pazzo e il delinquente d’occasione.

Il pazzo morale non si discosta dal delinquente nato, condotto da una forza irresistibile non è adatto a nessuna convivenza sociale. Il tipo epilettico riunisce ed esagera tutti i tratti del pazzo morale e del delinquente nato, soprattutto per il profilo psicologico con forti automatismi[3] distruttivi e conseguenti amnesie. Il delinquente d’impeto è staccato dai precedenti in quanto dominato dalla forza irresistibile delle passioni e carente di quelle caratteristiche anatomiche del cranio e della fisionomia del delinquente nato; il suo passato è caratterizzato da una vita tradizionale e onesta in cui si instaura una causa scatenante soprattutto contro la persona (autori dei delitti politici).

Numerosi sono i delinquenti affetti da disturbi mentali, non evidenziati dalle statistiche, per il timore che questo sia di motivo a scusare il reato commesso. Abbondano nelle città e si dimostrano instabili nel lavoro, litigiosi, contraddittori con egoismo mascherato da altruismo.

Furono da lui presentati i delinquenti d’occasione e nei loro confronti avverte alla cautela perché si potrebbero verificare processi degenerativi.

Fu studiando gli anarchici che Lombroso definì la distinzione fra “rivoluzione” e “ribellione”, considerando per rivoluzione una fase necessaria dello sviluppo della specie, ispirata per lo più da uomini geniali o passionali. Le ribellioni, al contrario, risultavano opere di pochi, delinquenti o pazzi, spesso sollecitati da motivi personali; quindi gli anarchici erano, per lo più, pazzi criminali e Lombroso suggerì validi rimedi per queste forme di disordine sociale: promozione del lavoro, educazione tecnica adeguata ai tempi, riduzione delle forme di concentrazione economica e di potere.

In un secondo momento, Lombroso studiò il genio, che identificò come forma degenerativa dell’uomo contrassegnata da una patologia psicosomatica analoga a quella del pazzo. Comunque la totale comunanza dei termini risulta errata, nonostante in entrambi i casi esista “l’esaltamento intermittente della sensibilità e il suo consecutivo esaurimento”, basti pensare ai numerosi esempi fornitici dalla storia (Galileo, Colombo, Voltaire, Napoleone, Michelangelo).

Elementi ritenuti da Lombroso cause di pazzia

Lombroso si riferì all’eziologia[4] nell’individuazione delle eventuali cause di pazzia. Tale decisione maturò dopo che, dall’osservazione su 84 casi di malati, notò che raramente ci si poteva riferire a cause di tipo morale, mentre prevalevano cause di tipo fisico: problemi di ordine fisico, ereditario e il puerperio. Il contatto diretto con i manicomi italiani, dopo il 1871, permise al medico di osservare che nella maggior parte dei casi, il ricovero, tramutato da subito in internamento coatto, era dovuto prevalentemente a cause fisiche e non a cause di ordine morale, anche se le prime venivano spesso mascherate da piccole contrarietà morali. Per quanto riguarda la civiltà, egli rilevò che non vi è nessun legame diretto tra essa e le cause fisiche, mentre potrebbe esserci per quanto riguarda le cause morali, per prime le passioni e gli eccessi intellettuali. In molti circoli culturali e medici dell’epoca si riteneva che l’attività intellettuale favorisse l’insorgere della pazzia; non era mai stato dimostrato, però, che unica e privilegiata sede della pazzia fosse l’intelligenza. Contrariamente a questa teoria vanno ricordati tutti quei casi in cui la pazzia non è conseguenza, ma diventa la causa di studi e applicazioni artistico-mentali, che perduravano negli anni del malato.

Un altro importante campo d’indagine di Lombroso fu il rapporto che intercorre fra la civiltà moderna e le civiltà barbare con la pazzia. Constatò che il progresso influisce in modo poco significativo sulle passioni dal momento che esse sono interiori e comuni a tutti gli uomini e quindi evidenziò che le sensazioni esterne possono al massimo determinarne la direzione. La civiltà moderna aumenta il numero di oggetti che possono dirigere le passioni e può creare delle combinazioni che generano la pazzia, ma anche la barbarie può avere la stessa influenza. Mentre il progresso civile è, però, caratterizzato dalla vittoria della ragione sulle passioni e aumenta anche i modi per soddisfarle, la civiltà barbara non riesce a limitare le proprie passioni, poiché è generata dall’ignoranza, che aumenta le paure nei confronti della natura.

Fra le cause della follia, Lombroso individuò anche i romanzi sottolineando, comunque, che essi non sono un frutto della civiltà perché esistono fin dai tempi antichi e in tutte le popolazioni.

Concludendo, la civiltà indebolisce il prestigio degli alienati e la forza d’imitazione nelle masse, impedendo che la pazzia acquisisca un carattere epidemico. Inoltre è impotente riguardo alle cause fisiche, non accresce le cause morali, non alimenta le passioni e insegna a dominarle con la ragione.

Influenze

Fra le sue opere, il medico italiano, scrisse anche un trattato riguardante l’influenza degli astri e dei fenomeni atmosferici sulla mente umana, Azione degli astri e delle meteore sulla mente umana.

Nella ricerca scientifica, operata in tal senso, riportò spesso esempi particolari e distinse tra le diverse tipologie dei malati. Ad esempio, parlando delle variazioni di pressione, egli suddivise i pazzi in epilettici, malati cronici e alienati e suggerì una cura basata su ripetute esposizioni, prima, ad aria compressa e in seguito rarefatta.

Altri esempi riguardano il calore e le fasi lunari; nel primo contesto, Lombroso osservò che nei mesi caldi aumentavano i suicidi, i crimini passionali e gli eccessi maniaci, mentre per quanto concerneva la luna, essa aveva effetti negativi sui malati in fase calante.

Arte nei pazzi

Nell’esaminare l’arte prodotta da elementi che erano stati riscontrati malati psichici segnalò diversi caratteri; una prima tendenza è la mescolanza fra scritto e disegno e nei disegni stessi la ricchezza di simboli e geroglifici, che derivano dal bisogno di sostenere la parola o il pennello, incapaci di esprimere con l’energia desiderata l’irrompere o il persistere di una data idea. Nell’estrinsecazione del pensiero alcuni pazzi, come i delinquenti, si esprimevano con un linguaggio diverso da quello umano (grosse lettere maiuscole, quasi sempre consonanti, frammiste a figure di oggetti o persone) e facevano spesso ritorno alle epoche preistoriche dell’uomo primitivo. Inoltre l’esagerazione degli emblemi, contenuti nelle loro opere, rendeva spesso confusa l’esposizione dei loro pensieri.

In altri pazzi si rilevava, invece, un carattere opposto che consisteva nell’esagerazione di minuzie. Ad esempio un quadro raffigurante un paesaggio campestre, esaminato da Lombroso, mostrava i fili d’erba che quasi non si discernono l’uno dall’altro.

Nell’atavismo inoltre, mancava la prospettiva, anche se il disegno era estremamente chiaro a testimoniare un forte senso artistico. Il medico individuò, comunque, in tutti i malati che si dedicavano all’arte un carattere comune: la completa inutilità dei lavori cui attendevano; ad esempio una donna, conoscente dello stesso filosofo e affetta da mania persecutoria, eseguiva lavori bellissimi su uova e limoni, che inoltre teneva gelosamente nascosti.

Musica nei pazzi

Secondo Lombroso l’abilità musicale, più di quella pittorica, tendeva ad offuscarsi in coloro che, prima di ammalarsi, la coltivavano con passione, ma ciò, senza contraddire la sua teoria, secondo cui la follia produceva delle qualità artistiche in coloro che precedentemente alla malattia non le coltivavano.

Il medico veronese vide la manifestazione di un’abilità musicale in molti melanconici, maniaci e persino nei dementi; ad esempio un malato che aveva perso la parola suonava a prima vista dei pezzi musicali difficilissimi, mentre un melanconico, matematico illustre, pur non conoscendo la musica, improvvisava al pianoforte arie degne di un maestro. Ciò si poteva spiegare in parte con il fatto che “la fantasia ha più sciolto il freno quanto meno domina la ragione”, facoltà che reprimendo le allucinazioni e le illusioni, toglie all’uomo normale una vera fonte artistica e letteraria. Da qui si comprende come l’arte stessa possa, a sua volta, produrre e fomentare lo sviluppo di malattie mentali.

Meriti e critica

Le teorie mediche successive a Lombroso ne sottolinearono soprattutto i limiti; ritengo sia di maggior rilievo sottolineare le innovazioni e i meriti del suo pensiero, perché, nonostante polemiche e dissensi, egli riuscì a richiamare l’attenzione non solo di autori a lui contemporanei, ma anche di molti studiosi del ‘900, sull’elaborazione della pazzi come malattia.

Inoltre è di fondamentale importanza ricordare che Lombroso deve essere analizzato nel contesto culturale del suo tempo.

Uno dei meriti principali del medico è stato quello di aver preso le distanze dalla scuola classica del diritto, scuola che si ispirava a una concezione astratta del libero arbitrio in stretto collegamento con la mentalità del momento e la morale comune. Per primo, se non altro in Italia, affrontò il problema della criminalità in modo concreto e naturalistico, ponendo l’attenzione allo studio scientifico della personalità del criminale e collegandola ad aspetti somatici. Dal punto di vista personale gli va riconosciuta la capacità di autocritica, che lo portò spesso ad ampliare le proprie osservazioni, e l’impegno totale non solo come ricercatore, ma anche come pubblicista e militante dell’ala positivista del movimento socialista. Inoltre non va dimenticato che, anche se con Lombroso acquista enfasi eccessiva il problema della difesa sociale, proprio con lui viene modificato il concetto di pena come punizione, sostituendovi la misura terapeutica.

Sia in Francia che in Italia la sua ideologia influenzò in larga misura la letteratura. Alcuni scrittori francesi, a lui contemporanei, lo contestarono sia come antropologo sia per la sua proposta del “tipo” criminale; in Italia la prima analisi importante sul pensiero lombrosiano comparve in un volume giubilare del 1906 a cui collaborarono noti studiosi legati alla scuola positiva. Dopo la sua morte il dibattito continuò: lo stesso Gramsci si trovò perplesso riguardo alla scuola lombrosiana, che pensava fosse ossessionata dalla criminalità e da concezioni moralistiche piuttosto astratte. Però è soprattutto dal secondo dopoguerra, sia in Italia che all’estero, che si iniziarono ad evidenziare principalmente i lati negativi e i limiti delle ricerche di Lombroso.

Infine, per quanto studiato da medici e da filosofi, si giunse alla conclusione che quest’uomo non fu né un filosofo né uno scienziato, ma un “savio” (Ferrero); in seguito fu definito solo come un ideologo dal forte impegno sociale.

Dopo averlo a lungo analizzato, sono giunta alla conclusione che, per quanto le sue teorie siano state attualmente superate o, comunque, in gran parte rielaborate, esse ebbero grande rilevanza negli studi condotti sui manicomi e i malati in essi ricoverati, anche se molte posso essere le lacune individuabili nel suo elaborato.



[1] A tale proposito è da ricordare la tesi di Goethe secondo cui le forme viventi sono variazioni di un unico tipo originario.

[2] Atavistico: relativo ad atavismo, ricomparsa in un individuo dei caratteri anatomici o funzionali, esistenti in lontanissimi antenati.

[3] automatismo: carattere degli atti compiuti meccanicamente senza partecipazione della coscienza.

[4] eziologia: settore di una scienza che studia e ricerca le cause di un fenomeno o di una classe di essi, in questo caso la pazzia.

 


[1] A cura di Serena Avancini

 

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