" Lungo i sentieri della follia" |
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Storia della costruzione e successive modifiche di ordine architettonico e funzionaleIl
28 aprile 1824 l’imperatore austriaco Francesco I decretò che l’assistenza
e la cura di individui afflitti da malattie mentali divenisse di gestione
pubblica. In particolare se tali persone non fossero state d’accordo nel
trascorrere del tempo in strutture adibite al loro recupero, compito degli
organi di polizia sarebbe stato quello di eseguire il loro trasferimento coatto.
Tale procedimento non affonda radici in un moto di solidarietà da parte del
sovrano, ma bensì trova spazio in un’azione volta allo spegnimento di tutte
quelle voci che avrebbero potuto turbare l’equilibrio della monarchia,
all’interno di una politica restauratrice antinapoleonica ed antiliberale. E
fu così che numerosi ospedali psichiatrici vennero edificati in ogni parte
dell’impero, fortunatamente nel rispetto di buone regole architettoniche ed
artistiche. Ai pochi centri di cura istituiti da Giuseppe II negli anni
precedenti, più simili a carceri che a manicomi, se ne affiancarono molti
altri, le cui caratteristiche venivano abilmente plasmate in relazione alle
necessità del malato. Tra essi quello per noi fondamentale è quello di Hall,
nel Tirolo, in cui trovavano assistenza malati tirolesi e trentini, e la cui
architettura, insieme a quella dell’ospedale di Vienna, fu d’esempio per gli
edifici dello stesso tipo successivi. Erano palazzi circondati da ampi parchi,
generalmente a forma di E, con un corpo rettangolare e tre ali che se ne
dipartivano, e la cui facciata veniva decorata monumentalmente. La costruzione
del manicomio di Hall determinò un’importante svolta nella gestione dei pazzi
del territorio circostante. Essi erano fin allora stati lasciati liberi: fin
quando erano sopportabili potevano convivere in famiglia; in caso contrario
venivano legati, incatenati, o abbandonati. Finalmente essi potevano ottenere un
trattamento un po’ più umano, almeno, secondo le intenzioni. Alcuni
avvenimenti determinarono la decisione da parte della dieta del Tirolo a
edificare un altro manicomio in zona. Il primo di questi fu l’emendamento di
un decreto il 14 maggio del 1835 da parte della cancelleria aulica. Esso negava
ai malati del Tirolo di recarsi in cura presso strutture del regno Lombardo –
Veneto, allo scopo di scoraggiare le trasmigrazioni dei pazzi. Tale
provvedimento fu in sostanza dannoso nei confronti dei trentini, la cui
dipendenza da Innsbruck fu accentuata e di cui furono intaccati i sentimenti
popolari e l’unità linguistica. Furono queste premesse a determinare il
secondo avvenimento di rilievo nel percorso che porterà alla costruzione
dell’ospedale psichiatrico di Pergine. Il dottor Francesco Saverio Proch,
ufficiale sanitario del comune di Trento e primario internista dell’ospedale
S. Chiara, fu autore di un libretto dal titolo Della necessità di un manicomio
nel territorio della reggenza di Trento. In esso veniva definita la diversità
come ostacolo insormontabile per la cura morale, in quanto non consente di
penetrare nel cuore degli uomini da assistere. Ciò accadeva nel manicomio di
Hall, differente per lingua e cultura da quella trentina. La lunghezza del
viaggio alla volta di Innsbruck e le difficoltà burocratiche per essere ammessi
nell’istituto furono altri due punti che il dottore enucleò particolarmente
per spronare l’organizzazione austriaca a procedere con l’edificazione della
nuova struttura. La causa trentina trovava un ottimo leader in Proch, uomo di
notevole statura morale ed intellettuale. Ed in effetti ben presto il problema
divenne di importanza notevole, di fronte al fatto che il manicomio di Hall non
era più in grado di risolvere i problemi dei malati della zona a cui era
adibito. Due strade si delinearono: ampliare quest’ultimo o edificarne uno
nuovo nel Tirolo trentino. Documento notevole a favore di quest’ultima ipotesi
fu il discorso pronunciato da Andrea Strosio, deputato trentino, arciprete e
decano di Rovereto, il 5 febbraio 1866 presso la dieta di Innsbruck. Egli
sostenne con forza e vivacità quanto fosse da preferirsi la costruzione di due
ospedali psichiatrici in vece di uno di dimensioni maggiori, portando come tesi
il fatto che all’interno di una struttura dalle dimensioni enormi sarebbe
andato perduto un rapporto più umano tra dottore e paziente. “Io domando se
gli ammalati siano per il medico o se non siano piuttosto i medici per gli
ammalati.” disse, ed ancora: “la giustizia sociale domanda altamente che
venga fatto finalmente qualche cosa per noi, che si dia una volta ascolto alle
nostre fondate domande.”. Decisiva fu la dieta del 22 settembre 1874: i 9
membri che ve ne facevano parte presero la decisione di dare il via alla
costruzione di un ospedale psichiatrico in provincia di Trento solo a patto che
1) vi fossero edifici da affittare nel Trentino 2) che vi fosse una zona idonea
3) che vi fossero state alcune particolari condizioni di spesa e 4) che i comuni
trentini avessero contribuito all’edificazione. A seguito di un’attenta
analisi da parte di una commissione di esperti, ad ognuna di queste richieste fu
data una risposta. In particolare: non esistevano edifici da affittare, Trento
fu riconosciuto come posto più idoneo, in quanto sede di un’ottima
organizzazione ospedaliera ed assistenziale, la spesa fu fissata intorno ai
100.000 fiorini, ed i comuni non avrebbero mancato di sovvenzionare. Era il 1875
quando venne scelto il Maso di S. Pietro, in Pergine. Vicino al lago, a 500
metri di altitudine, senza eccessivi sbalzi di temperatura: era il luogo ideale
per curare malattie nervose. Il paese esplode in festa la sera del 19 Aprile
1877, quando il Conte Francesco Crivelli torna da Innsbruck con il permesso
ufficiale. La gente spera in grandi vantaggi economici da tale impresa, la Banda
Civica suona immersa nella confusione e nel fuoco dei bengala. Si legge infatti
nel diario personale del cittadino perginese Francesco Dalle Piatte: “La sera
il paese tutto era in moto di allegria, con fuochi a bengala dal principio dei
passeggi fino al palazzo del conte Francesco Crivelli per cagione del suo
ritorno dalla dieta provinciale di Innsbruck con l’ottenuto permesso che il
menzionato manicomio venga fabbricato a Pergine. Si spera in grandi e comuni
vantaggi.” Il terreno prescelto viene venduto per la somma di 26.678 fiorini
(sebbene alcuni testi citino 18.000 fiorini, probabilmente a seguito di benefici
ricevuti dal Comune da parte dell’organizzazione austriaca) dal Conte al
comune di Pergine, esso avrebbe successivamente dovuto offrirlo al Land come
sede dell’ospedale. Crivelli, da sempre conosciuto come persona generosa,
cedette il suo terreno non tanto per una generosa elargizione, quanto perché
aveva visto nell’accrescimento della struttura ospedaliera una fonte di
ricchezza per il comune stesso. Poco tempo dopo il comune si impegnò con il
Land ad elargire acqua gratuitamente all’ospedale, a permettere l’uso delle
cave di pietra per la costruzione dell’edificio, e di apportare in generale un
aiuto alla sistemazione della struttura. L’ingegnere Josef Huter progettò una
struttura che ospitasse 200 letti, a forma di una E maiuscola. L’impresa
Cesare Scotoni di Trento fu incaricata. Il direttore dei lavori fu l’ingegnere
Karl Lindner e l’ispettore dei lavori Alfredo Riccabona. Sfogliando ancora il
diario di Francesco Dalle Piatte in data 11 febbraio 1879 troviamo: “dopo tre
anni di ragionamenti e progetti, calcoli e altre cose, diedero principio alla
fabbrica del tanto desiderato manicomio per opera del maestro Domenico Valentini.”
Il 20 marzo 1879 la prima pietra viene posta sul terreno, e 330 operai iniziano
a lavorare sotto un sole di primavera. I comuni trentini si impegnarono nel
sovvenzionare l’ospedale nella misura in cui i comuni tirolesi avevano
contribuito alla costruzione del manicomio di Hall. Alla fine del 1879 si era già
giunti al tetto, mentre il 1880 ed il 1881 furono dedicati alle opere di
completamento. Nel 1880 vennero poste le piastrelle, gli intonaci del locali
interni, le mura di cinta, la canalizzazione e lo scolo principale, le assi per
i pavimenti. Nel 1881 vennero installate le finestre, le porte, vennero dipinti
i muri, sistemati i servizi, e messo a punto il sistema di riscaldamento. Giunti
a questo punto all’ingegner Karl Lindner fu dato l’incarico di erigere un
altro edificio alle spalle del manicomio, per i bagni e la lavanderia. Nei primi
giorni dell’aprile 1881venne passata in rassegna la sistemazione del giardino,
fu delineato un primo ipotetico bilancio ed acquistato il mobilio. Si pensò con
largo anticipo al personale, ad iniziare dal custode e dal giardiniere. Il 19
settembre 1882 l’attività dell’ospedale prese ufficialmente il via. Il 14
agosto 1882 i primi malati avevano messo piede all’interno della struttura,
mentre il dottor Heinrich Sterz fu nominato direttore. Nota curiosa il fatto che
la festa organizzata per il 19 settembre fu annullata a seguito della rottura
degli argini del Fersina, che procurò l’allagamento dei prati circostanti. La
prima accurata relazione della disposizione del manicomio perginese fu fatta dal
dottor Pius Dejaco, prima assistente e poi direttore all’interno
dell’ospedale. Egli descrive il pianoterra, in cui si trovavano gli
appartamenti del portiere, del capo infermiere, le camere per le visite dei
parenti nonchè una sala per le feste. Al primo piano trovavano posto gli uffici
amministrativi, le stanze di lavoro del direttore e die medici, e la cappella.
Al secondo piano, infine, c’erano gli appartamenti del medico assistente, del
cappellano e del direttore. I medici trovavano sede nelle due ali che si
dipartivano dal corpo principale verso nord e verso sud rispettivamente. Altro
aspetto che viene sottolineato è la duplice opinione pubblica che si era andata
sviluppando a seguito dalla costruzione del manicomio. In particolare da una
lato si schierava quella fetta di popolazione che vedeva nella nascita della
struttura una nuova fonte di guadagno, mentre dall’altro troviamo coloro che
ritenevano la presenza di pazzi nel paese un elemento di squilibrio
nell’ambiente perginese. Questi ultimi trovavano alimentate le loro paure
guardando all’esempio di Hall, conosciuta ormai come città dei pazzi. Alcuni
malumori si verificarono inoltre riguardo l’assunzione di operai provenienti
dal regno d’Italia così come riguardo il ritardo di pagamenti ai salariati
che avevano partecipato alla costruzione dello stabile. Nonostante tutto, tali
voci restavano comunque una minoranza. I problemi forse maggiori sorsero invece
in campo economico. In particolare, i deputati trentini, con a capo Carlo Dordi,
misero in discussione l’obbligo di pagamento da parte dei comuni per
sovvenzionare il manicomio. In un discorso del 1 dicembre 1885 egli andò contro
la richiesta di pagamento di 37.000 fiorini, tanti quanti erano stati sborsati
dai comuni tirolesi per l’edificazione dell’ospedale di Hall, giungendo
addirittura ad affermare: “Quindi, io mi permetto di fare la proposta del
seguente tenore: l’eccelsa dieta voglia deliberare che non si debbano
riscuotere i fl. 37.887,90 e che, anzi, si debbano restituire ai comuni quegli
importi che già hanno pagato.” Ricordiamo che dei comuni inclusi nel
pagamento dei fiorini, avevamo, secondo i verbali delle sedute dietali dell’11
luglio 1883 e del 31 luglio 1884: - 269 comuni che avevano versato 18.051
fiorini; - 67 comuni che avevano inoltrato richiesta di proroga; - 35 comuni che
non avevano dato alcuna risposta, tra cui Trento e Rovereto. I deputati
tedeschi, per voce di Friedrich von Graf, si mostrarono profondamente contro
tali idee, sostenendo che solo i comuni di Trento e Rovereto costituivano
eccezione, mentre tutti gli altri avevano già pagato. Egli sostenne duramente,
in un discorso del 1878: “…e solamente ora venga in mente la sanzione
sovrana, mentre nel 1883 e nel 1884 non fecero opposizione che tale contributo
venga prelevato in questo modo, ed ora, che è il momento di pagare, insorgono
con tali eccezioni.” La proposta Dordi venne di fatto respinta. Uno
dei primi problemi di ordine tecnico sorse riguardo il sistema di riscaldamento.
Esso si mostrò ben presto insufficiente per i freddi inverni del 1884 e 1885.
Il caso scoppiò nel 1887, quando l’intera area che ospitava le donne entrò
in crisi, seguito poco dopo dalla rottura delle caldaie che scaldavano i bagni e
la lavanderia. A questo punto l’industriale ed ingegnere signor Porta di
Torino, dopo un’accurata analisi della situazione, suggerì il totale
smantellamento del precedente impianto per sostituirlo con uno più efficiente.
La giunta accolse la proposta, e durante l’estate del 1889 un nuovo sistema di
riscaldamento dava conforto agli ammalati. Nel 1892 fu apportata una successiva
modifica all’edificio. La giunta provinciale decise di munire l’ospedale di
corrente elettrica. Il 23 giugno 1893 l’illuminazione artificiale era ormai un
fatto compiuto, grazie al comune di Pergine che si occupò di fornire
gratuitamente la corrente. Altri e continui lavori si susseguirono in quegli
anni, dovuti soprattutto agli incidenti che continuavano a verificarsi. Il 18
maggio 1889 il pavimento dell’essiccatoio collassò nella sottostante
lavanderia, a causa dell’eccessiva umidità. Un incendio si sviluppò il 28
novembre 1890 nella stireria. La pavimentazione ne uscì completamente
carbonizzata. Dei tetti di protezione furono installati in giardino, in modo da
proteggere i malati dalla pioggia, dal sole, dal vento, e dagli oggetti
scagliati dai malati dai piani più alti. Nel 1891 le vasche in legno della
lavanderia furono sostituite da altre in cemento, ed il locale fu munito di
mezzi di ventilazione per una più rapida eliminazione dei vapori. Anche
l’approvvigionamento dell’acqua si dimostrò insufficiente; il 1883 fu
ricordato nei documenti ufficiali come l’anno senza acqua. Ciò spinse il Land
ad allestire un acquedotto apposito, proveniente dalle pendici del monte Orno,
ma che risultò ben presto poco adatto data la poca pressione che non permetteva
ai piani superiori di ricevere acqua. La mancanza della cantina spinse
l’amministrazione a dare il via a lunghi e complicati interventi, difficoltosi
vista la scarsa profondità dei muri maestri. Nel 1894 si fece una costruzione
che modificò profondamente il profilo dell’edificio: i due edifici separati
che ospitavano i reparti per gli agitati, vennero uniti alle due ali del corpo
principale. Il vuoto tra i due edifici fu colmato edificando un brave tratto
edificiale. Questo nuovo tratto fornì nuovi spazi al manicomio, che già
accusava la scarsità di locali. In tal modo lo stabile che ne risultava
appariva differente da quello precedente: le due ali esterne della E maiuscola
apparivano come due corpi separati. I dieci anni che seguirono non videro
sostanziali modifiche al profilo dell’ospedale. Il
27 giugno 1902 la giunta provinciale inviò una relazione, alla dieta, in cui si
proponeva un ampliamento del manicomio di Pergine Valsugana. Essa, curata
dall’assessore dott. Johann Schorn, profilava l’incombente necessità di
tale ampliamento, in quanto la capienza di 240 letti appariva ormai da anni
insufficiente. Tale impresa, su consiglio della direzione di Pergine, sarebbe
dovuta avvenire in due fasi: 1) la costruzione di due nuovi padiglioni, locati
nel comprensorio manicomiale, di capienza di 70 letti circa ciascuno, in modo da
evitare un’eccessiva dimensione di un solo stabile che lo rende
inevitabilmente meno efficiente; 2) l’erezione di una “Pflegeanstalt” per
i malati incurabili. Ultima ipotesi, non prevista in un primo tempo, la posa di
un edificio prefabbricato in legno per l’isolamento di casi particolari. In
quei mesi, infatti, una nuova forma di malattia agli occhi si era diffusa nella
cittadina, e si temeva dunque un’epidemia. Il 18 luglio 1902 fu nominato un
comitato tecnico per far fronte ad un nuovo periodo di costruzioni. Il piano
veniva profilandosi così: - una vasta colonia agricola per i malati lavoratori
sul maso Gasperini; - un padiglione per uomini sottoposti a vigilanza intensiva;
- un padiglione per donne sottoposte a vigilenza continua; - un edificio adibito
a cucina; - un edificio per varie officine; - una portineria; - un obitorio; -
piccoli adattamenti nell’edificio principale. Sommando tutti i nuovi posti
letti che ne sarebbero conseguiti con quelli preesistenti, il manicomio di
Pergine avrebbe raggiunto una capienza di 370 letti, in vece dei 240 precedenti.
Nel 1902 i lavori vennero iniziati parallelamente al manicomio di Hall, e,
secondo il dott. Offer, direttore di quest’ultimo, le due città di avviavano
a divenire cittadelle dei folli. Il dott. Pius Dejaco fornì in una
pubblicazione del 1912 la descrizione delle novità apportate: - La portineria:
in posizione perpendicolare rispetto la linea della facciata fu costruita una
portineria ad un solo piano, di modo che ogni persona che entrasse o uscisse
fosse notata. Anche un’abitazione del portiere, un locale di attesa e la
stanza di servizio, adibita oltretutto a centralino telefonico, furono
allestiti. – Due padiglioni, di 50 posti letto ciascuno, vennero costruiti,
rispettivamente, per gli uomini e le donne. Essi erano concepiti come reparti
per agitati, e constavano di un piano terra e di uno superiore. In entrambi era
organizzata una vigilanza intensiva. Uno prese il nome di padiglione Gaetano
Perusini, quello più vicino al portale, mentre l’altro quello di Gennaro
Pandolfi. – L’edificio di cucina, anch’esso dotato di un piano terra e di
uno superiore, venne eretto di fronte al padiglione delle donne. Al piano terra
trovava spazio la cucina vera e propria ben attrezzata, mentre sopra trovavano
alloggio i membri del personale. – Un piccolo edificio, di un solo piano,
nell’estremo lato nord del comprensorio manicomiale, usato come obitorio. –
Altre modifiche vennero apportate: una cisterna - riserva fu costruita sul
pendio del monte. Vennero migliorati i servizi igienici, allestito un ascensore
elettrico, e fu organizzata una riserva d’acqua calda per la lavanderia e per
le officine. Fatto incredibile fu che, nonostante le modifiche, alcuni malati
erano comunque in eccedenza. Gli
anni successivi trascorsero senza modifiche di rilievo nell’assetto del
manicomio perginese, sino alla prima guerra mondiale. Il suo scoppio determinò,
per una serie di cause politiche, il restringimento dell’ospedale di Hall ed
un conseguente ampliamento dell’Hinterland di Pergine. Il suo istituto diviene
manicomio di tutta la Venezia Tridentina, dal Brennero a Borghetto. 181 malati
tornano nell’edificio a conflitto cessato e numerosi pazzi che precedentemente
avevano alloggiato ad Hall trovano ospitalità in provincia di Trento. Pergine
inizia una nuova fase. E’ un manicomio italiano, ed il primo direttore
italiano è Guido Garbini, che, in una minuziosa descrizione che in precisione
ricorda quella di Dejaco precedentemente citata, scrive: “Nelle camere da
letto, in quelle di soggiorno e nei corridoi sono disseminati a profusione
quadri sacri e profani, riproduzioni di quadri d’autore, vasi con fiori e
piante ornamentali. Le finestre, durante l’inverno, sono provvedute di
controfinestre, le quali durante l’estate sono sostituite da persiane. Ogni
finestra è provveduta di tenda esterna.”. Gli alti muri di cinta iniziali
vennero in quegli anni progressivamente sostituiti con una “siepe viva di
fiordispino alta metri 2,80, difesa esternamente da una rete metallica.” La
provincia tridentina non tardò ad attuare alcune modifiche che migliorassero
l’utilizzo del manicomio. I provvedimenti in particolare furono due: -
adattare una casa di riposo in Nomi come ricovero per i malati più tranquilli;
- sovralzare le ali esterne del palazzo principale. La convenzione con la casa
di ricovero di Nomi fu stipulata nel 1922 ed alcuni pazienti, quasi non
bisognosi di cure e controlli, vennero lì trasferiti. Le due ali vennero alzate
di un piano ciascuna, ottenendo così 48 nuovi posti letto. Il lavoro richiese
237.000 lire. Questi erano i primi due provvedimenti non presi dalla dieta
tirolese in merito all’ospedale psichiatrico, sebbene una certa continuità
tra le due amministrazioni sia palese, dato anche il fatto che molti membri che
precedentemente avevano fatto parte della dieta stessa ora erano stati impiegati
nell’organo amministrativo italiano. Nuovi profondi cambiamenti si ebbero nel
1924, quando la cura dei malati di mente divenne priorità della gestione
comunale e un nuovo progetto fascista propose di ampliare lo stabile fino a
portarlo a dimensioni enormi. Tale linea si riproponeva in tal modo di eliminare
per molto tempo il problema dei posti, e si impegnava nel realizzarlo con la
costruzione di tre nuovi padiglioni, da effettuarsi in epoche successive. Uno di
essi sarebbe stato adibito all’ammissione dei malati da poco giunti nella
struttura, il secondo sarebbe stato riservato agli uomini ed il secondo alle
donne. Nell’agosto del 1924 una commissione presieduta dal dottor Michele
Chiaromonte prese alcune decisioni importanti in merito a teli progetti. Il
primo dei tre padiglioni, detto “padiglione dell’osservazione”, di cui fu
decisa la costruzione il 28 marzo 1925, fu edificato nel 1926 ed inaugurato nel
luglio 1927. Esso, composto di due piani, fu posizionato di fronte al palazzo ad
E ed aveva una capienza di 120 letti. La seconda fase del progetto fu invece
attuata nel 1932. L’amministrazione decretò la costruzione immediata del
padiglione per le donne, capace di 130 posti – letto. Tale edificio fu
intitolato Valdagni in onore di Angelo Valdagni, un perginese che con tanto
ardore aveva partecipato al progetto di ampliamento dell’edificio manicomiale
ma che, morto il 3 marzo del 1933, non riuscì a vedere l’opera conclusa. Era
uno stabile a tre piani, costruito solidamente e sobriamente. La struttura per
gli uomini non venne invece costruita, non essendo stata riconosciuta come
necessaria. Nonostante tale rifiuto, si ebbe in tutto un apliamento di 250 posti
letto, portando la capienza a 750 posti letto. Gli amministratori che si
susseguirono tra le due guerre mondiali continuarono questa politica allo scopo
di migliorare ed ingrandire sempre più l’ospedale. Lo stesso ospedale che la
dieta tirolese aveva prescritto per 200 posti dal 1924 in poi si avviò a
raggiungere la capienza di 1.000 posti letto. Fatto di rilevo da ricordare
avviene nel 1927 quando Bolzano diventa provincia autonoma, staccandosi
finalmente dal controllo esterno giunto prima da Nord, poi dal Sud. Nonostante
questo, però, l’amministrazione bolzanina non si preoccuperà di organizzare
un proprio sistema di cura dei malati mentali. In tal modo i pazzi altoatesini
rimarranno nell’ospedale perginese senza alcun appoggio dalla loro terra e
senza trovare nessuno che difendesse i loro diritti, come invece nel secolo
scorso era avvenuto per i trentini con Proch. La
seconda guerra mondiale apportò ulteriori modifiche. In particolare alcuni
reparti dell’ospedale di Trento furono trasferiti a Pergine. Anche
l’ospedale infantile si installò nel padiglione Pandolfi, mentre il
padiglione Perusini ospitò l’esercito tedesco. Questo atteggiamento ben
sintetizza l’idea dilagante che si era andata formando nell’amministrazione:
i malati di mente andavano postposti rispetto a tutti gli altri individui con
problemi fisici. Di questo periodo fu anche la terribile deportazione di
moltissimi pazzi, partiti dall’ospedale e mai più tornati. Il numero di
pazienti, prima stipati in poche camere per lasciar spazio per altri utilizzi,
precipitò, e il terribile sospetto che essi fossero stati trucidati serpeggiò
per molto tempo. Nel 1953 l’introduzione della terapia degli psicofarmaci portò
sia ad una modificazione professionale degli psichiatri sia il fatto che
l’ospedale dovesse, per essere completamente operativo, avere al massimo 625
posti (suddivisi in 5 sezioni di 125 letti ciascuna). Sostanziale invece sarebbe
dovuto essere l’incremento del personale. Il rapporto sarebbe divenuto di un
medico ogni 3 posti e 1 assistente ogni 100. In tal modo il paziente avrebbe
cessato di essere solo un oggetto da custodire, ma si sarebbe delineato come
persona, come un individuo afflitto da malanni come qualsiasi altro. Nel 1973 i
pazienti dell’ospedale psichiatrico furono divisi secondo il loro luogo si
provenienza. Ciò determinò il fatto che una stessa equipe di medici potesse
seguire un paziente sia dentro la struttura sia alcuni tempi dopo la dimissione.
La morte dell’ospedale psichiatrico era ormai visibile quando nel 1974 la
Provincia di Trento decretò, coerentemente con le scelte nazionali, il
“Programma Sanitario Ospedaliero”, il quale prevedeva che ogni ospedale
comprendesse divisioni psichiatriche con un numero di posti letto pari ad 1 su
1000 abitanti. Nello stesso anno si propose di chiudere il manicomio. Ma le
riforme interne non si fermavano, e nel 1976 si decise di realizzare nella
struttura forme di day e night hospital. Fatto importante che contemporaneamente
si era venuto ad affacciare il concetto ideologico e sociologico di Basaglia,
che sosteneva che il disturbo psichico fosse dovuto alla società, la quale
usava l’ospedale psichiatrico come emarginatore dei disturbati, ultimo atto di
violenza istituzionalizzata. La Legge 431, che sanciva il ricovero volontario
escludendo quasi totalmente quello coatto, fece precipitare ulteriormente il
numero dei pazienti, lasciando molti spazi inutilizzati. La legge 180 del 1978,
infine, provocò il decentramento dell’assistenza psichiatrica, che passo alle
singole Unità Sanitarie Locali. Contemporaneamente i ricoveri nell’ospedale
psichiatrico furono sospesi. Era il 1 gennaio 1982 quando tutta l’assistenza
psichiatrica passò ad altri organismi locali. Il manicomio di Pergine era
ufficialmente svuotato delle sue funzioni. |
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