Bacheca (Racconti)

 

 

Giovanni Capodicasa

 

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L'eccellente drammaturgo

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Una banalissima storia di Natale

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- Una banalissima storia di Natale -

 

Ignoro il grado di veridicità di questa storia. Per di più non riesco a definire con certezza se essa sia frutto di una mia originale invenzione(e su ciò nutro forti dubbi),ovvero il semplice ricordo, poi elaborato dalla mia personale e deviata esperienza, di una narrazione ascoltata chissà in quale tempo, luogo e chissà da quale voce. Il giorno 24 del mese di dicembre di un anno qualunque di

questo secolo ormai sul finire, un uomo si aggira solitario e ramingo per le vie ghiacciate di una cittadina di provincia dove il caso lo ha condotto e dove non conosce neppure un abitante. Fa, ovviamente, molto ma molto freddo fuori e dentro l'anima, mentre la neve scende lenta ma abbondante a ricoprire le strade, i marciapiede, le panchine e quell'isolato viandante. Un manto immacolato conferisce un aspetto saturo di solennità dona il mistico e santo aspetto, tipico della vigilia di natale, a tutto il paesaggio lievemente assopito. Cammina lento e svogliatamente, strascicando i piedi gelati, avvolto in abiti poverissimi e consunti da anni ed anni di uso ed abuso. Si sente tremendamente affamato, solo, e immensamente triste e malinconico. La sua povertà é tale che, volendo fare una gara con altri centomila miserabili, si piazzerebbe irrimediabilmente all'ultimo posto: perché é troppo povero! Finanche un cane randagio, che passa vicino ignorandolo, gli pare più ricco di lui. Almeno può permettersi il lusso di non saper pensare e, dunque, ignorare che quella è la sera di Natale. I crampi allo stomaco, dovuti al lungo digiuno, erano da tempo

divenuti abituali, ma mai era riuscito a conviverci ignorando lo sgomento della fame: proprio non ne era capace, nel modo più assoluto.

Guarda, alzando appena il capo e distogliendo lo sguardo dal suolo, sotto la visiera di un ridicolo e rabberciato berretto di lana con copriorecchie, fornitogli generosamente da un cassonetto dei rifiuti in un quartiere bene della capitale. Vede le finestre illuminate e ben chiuse allineate con rigore da parata ai lati delle strade; le lastre di vetro linde e rese belle(per chi sta all'interno) dai fiocchi di neve che si poggiano con delicatezza estrema sui battenti in legno. Da quegli occhi sornioni e cinici, senza un briciolo di commiserazione o di rispetto per l'aberrazione del suo stato, emana una luce speciale, una luminescenza nataligna e festosa: e per forza! Chiarissima, intensa, contornata e trapunta da lampeggianti bagliori variopinti e ritmici.

Lo sguardo, seppure offuscato dallo sgomento e dall'invidia,(in senso positivo, s'intende, poiché i poveracci devono essere necessariamente dotati di congenita bontà.("Senta Buonuomo! "Si è mai sentito apostrofare un derelitto della società in modo meno offensivo? Mai)passa attraverso quegli effimeri ostacoli, vincendo l'abbacinamento della forte luminosità e l'appannamento del vapore acqueo che condensa antipatico sui vetri. Vi scorge tavole riccamente imbandite, con la famigerata tovaglia rossa a Babbi natale e vischio verdi e, attorno, commensali allegri e contenti. Tutti invasi dallo spirito della natività del Cristo che il

consumismo imperante ha fatto suo, sfruttandolo al meglio e lasciando al figlio dell'uomo l'ingrato compito di nascere e finire crocefisso per circa duemila volte. Forse qualcuno è pervaso dalla profonda religiosità del momento e libera il suo spirito verso cieli di pace e di fragrante santità ma all'uomo, infreddolito e affamato, questo importa veramente poco, anzi nulla. Il suo più vivo, si fa per dire, interesse è irresistibilmente attratto dalle pietanze che traboccano dai piatti e sporgono fra le teste impomatate e ondeggianti che le circondano fameliche ed agguerrite. Ascolta le grida di giubilo, i canti di festa e con allucinata fantasia gusta quei sapori, annusa quegli odori. La disperazione più cupa lo travolge, allorquando, da uno di quei paradisi insolenti, s'alza ritto in piedi il decano della famiglia, brandendo una sproporzionata coscia di pollo e un boccale stracolmo di vino rosso. Inevitabile confronto di due mondi: quello opulento del vecchio e il suo, miserevole e umiliato. China il capo e, ancora più prostrato, prosegue il suo vagabondare e prega il Padreterno di far trascorrere presto quella serataccia e, se proprio ne avesse voglia, di poterlo gratificare di un minimo, quanto facile miracolo mangereccio. L'impotenza incrementa la sua mestizia e si chiede quanti e quali atroci crimini deve aver commesso per meritare in castigo così disumano.

Improvvisamente grida al miracolo. Una bustina di plastica tra sparente attrae la sua attenzione. Si avvicina, la raccoglie e dentro vi trova non meno di due etti di ottimi lupini, fuggiti ignobilmente dalle borse della spesa di una massaia distratta e stracarica di approvvigionamenti.

Strappa l'involucro coi denti ed inizia a divorare con brama quei semi, estraendoli dalle scorze che, in vero molto incivilmente, fa volare dietro sé. I morsi della fame cominciano a scemare, ma non quelli dell'anima. Per cui, mentre la bocca rumina, la mente ritorna sulle stesse riflessioni di autocommiserazione. Un rumore quasi impercettibile, lo fa voltare di scatto e s'accorge con sommo stupore che alle sue spalle, un altro essere umano, ma più povero e derelitto di lui, raccoglie le sue bucce e se ne ciba. Qui termina la storia banalissima e scontata, pure nella morale. Non condividendo questo finale, mi spingo a ricercarne uno differente e più consono all'atmosfera natalizia. I due si abbracciano e piangono uno sulla spalla dell'altro.

Si guardano, tacciono, ma in un attimo si sono raccontati tutto della loro sventurata esistenza. Decidono di avvicinarsi ad una finestra (intanto lupini e bucce sono terminati) e così fanno, pulendo il vetro con una manica del logoro cappotto, nella speranza che un anima generosa, chissà, si impietosisca( E' Natale che diamine!) e li inviti ad entrare. - Ehi guarda un po' quegli accattoni vicino casa mia!- grida il capofamiglia. Si alza da tavola, mentre un improvviso e totale silenzio scende nel tepore della stanza da pranzo. Afferra il fucile da caccia, spalanca la porta, con grave dispendio di calore e, senza nemmeno sprecare una parola, spara due colpi contro i disgraziati che stramazzano al suolo senza un grido, colpiti al cuore da una rosa di pallettoni.

Soddisfatto del lavoro compiuto, richiude l'uscio, ripone l'arma e torna a sedere al suo posto, con la festa che riprende allegra come prima.

- Ben fatto - gli sussurra un uomo seduto alla sua destra - Ottimo lavoro davvero. E' ora di finirla, per la miseria, non se può oltre. Pensa che ieri...

Fuori la neve continua a cedere. Lenta, e pietosa ricopre con delicatezza estrema, unica cortesia concessa dal mondo, quei corpi già allo sbando e ora senza vita. Ma con maggiore probabilità, per celare ad un eventuale osservatore festaiolo e senza ormai tredicesima, la nefandezza di quell'indegno spettacolo di degrado e di squallore. Un po' di decoro. Che diavolo! Almeno a Natale.  

 

 

 

  

 

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