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Percorso generale
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Sommario

 

Il convenzionalismo

Gli sviluppi teoretici della scienza dell'ottocento, inducono una profonda revisione delle procedure e del fondamento del sapere scientifico, condotta sia da scienziati sia da filosofi. Ma più in generale è lo stesso "ideale di scienza" positivistico a venire messo in questione. Le soluzioni elaborate per superare la crisi dell'ideale positivistico di scienza consistono:

nel riportare in primo piano la soggettività del ricercatore rispetto all'oggettività dei fatti.
nell'accentuare il carattere convenzionale delle preposizioni scientifiche.
nel affermare l'impossibilità della verifica empirica di una teoria.

Mach recuperò infatti la funzione fondante del soggetto nell'impresa scientifica, rivendicando il ruolo prioritario del pensiero sull'esperienza, per mettere in luce come la conoscenza scientifica si costruisca grazie all'intervento attivo e creativo dello scienziato. Per Mach l'attività conoscitiva va però intesa darwinianamente, cioè come una risposta dell'uomo agli stimoli dell'ambiente esterno. La realtà non è riconosciuta contemplativamente dall'uomo, ma vissuta e modificata, costruita da esso. A questa interpretazione non si sottrae neppure la scienza: essa ha un fine pratico, cioè la conservazione della specie, ha un fine interno, conservare una coerenza logica interna, e soprattutto deve essere economica, cioè permettere di ricostruire la totalità dei fatti nel modo più semplice possibile.
Questa definizione di Mach apre la strada alla discussione attorno alla natura convenzionale della scienza. Questo argomento venne ripreso da Poincaré che pone il convenzionalismo come risposta alla crisi delle due linee che avevano cercato di interpretare la geometria. La prima linea, quella kantiana, riteneva che gli assiomi fossero a priori. Questa linea però si trovava in contraddizione con la nascita delle geometrie non euclidee, studiate da Poincaré.
Alla crisi della linea Kantiana, Poincaré risponde dicendo che gli assiomi della geometria sono convenzioni particolarmente comode. Poincaré giustifica queste affermazioni con una serie di considerazioni. In primo luogo la geometria tratta di cose differenti da quelle che si percepiscono nella realtà. In secondo luogo, se la geometria fosse dipendente dall'esperienza essa sarebbe soggetta a un continuo processo di revisione. Infine, per sperimentare un sistema geometrico occorre fare preliminarmente delle ipotesi fisico-geometriche sulla natura dei corpi si cui si compie l'esperienza.
La seconda linea, quella empirista, riteneva che gli assiomi fossero basati sull'esperienza. Poincaré si rende conto che nemmeno questa linea può essere ritenuta vera, perché nessuna esperienza potrà mai avere il potere di falsificare o verificare un teorema geometrico.
Duhem si occupa della critica della nozione di esperimento scientifico. Riprendendo l'argomentazione di Poincaré Duhem afferma l'insostenibilità dell'idea di separare i fatti dalla teorizzazione: ogni preteso "fatto" scientifico non è altro che l'interpretazione di un evento compiuta alla luce di alcune teorie. Ciò comporta una rilevante conseguenza metodologica: essendo tramontato il sogno di una base fattuale sicura, in quanto legata all'esperienza, ne deriva il carattere ipotetico deduttivo del metodo scientifico. Anche il controllo empirico non potrà mai verificare o falsificare una teoria: infatti i responsi dell'esperienza sono approssimati, tanto che esiste sempre un divario tra piano dell'esperienza e piano della teoria; in secondo luogo la verifica empirica è possibile solo su alcune conseguenze delle ipotesi teoriche di partenza, che esistono in quanto elementi di una teoria più vasta: l'esperienza non può dunque mai condannare una singola ipotesi.

Il neopositivismo logico

Il convenzionalismo, non mette solo in crisi le teorie generali, ma anche le minime osservazioni condotte in laboratorio. Ciò che il positivismo riteneva empirico, viene presentato dunque come un fattore influenzato dall'osservatore.
La prima risposta a questa "scienza ipotetica" venne dal circolo di Vienna, di cui facevano parte Hahn, Neurath e Carnap, che voleva favorire e diffondere una "visione scientifica del mondo" e di dare luogo a una "scienza unificata", in grado di comprendere tutte le conoscenze intorno alla realtà conquistate dall'uomo nei secoli. In un saggio scritto da Neurath, il fondamento del movimento sta nel principio di verificazione: si può stabilire una verità scientifica se le ipotesi vengono rafforzate dall'esperienza.
Così viene spostato il problema dalla validità delle teorie alla enumerazione delle teorie, al controllo della coerenza tra linguaggio e dato. Comunque prima del controllo empirico, la teoria deve essere logicamente coerente.
La teoria viene infatti suddivisa in enunciati, che hanno la loro base nella verità logica, cioè sono frasi analiticamente non dubitabili. Saranno allora queste asserzioni protocollari ad essere a fondamento di una teoria. Poiché i fatti sono dubitabili e le asserzioni protocollari no, se qualche teoria genera un problema, la colpa può essere scaricata sul fatto. Le teorie diventano perciò più forti che con il convenzionalismo.

K. Popper

Dal circolo di Vienna si forma anche Karl Popper, uno studioso viennese, che si trova però in disaccordo con i risultati del circolo, diventandone il maggior oppositore.
Nel 1919 a Vienna lavora Freud, arriva il Marxismo e passa Einstein che tiene una conferenza sulla teoria della relatività. Queste tre forme di rinnovamento vengono presentate come teorie scientifiche, non dubitabili, in grado di prevedere con esattezza ogni situazione. Popper si rende conto che le prime due teorie promulgate come scientifiche sono molto diverse dalla teoria della relatività einsteiniana: le prime infatti sono in grado di spiegare l'evento e il suo opposto, inglobando gli eventi come conferma della verità della teoria.
Einstein invece crede che la teoria della relatività rimarrà valida fino a quando non nasceranno prove che la falsificheranno. L'atteggiamento scientifico consiste nell'andare cercare prove che potrebbero confutare la teoria, e elaborarne una migliore: la teoria deve essere considerata come una congettura, valida fino a quando non viene smentita.
Popper non si ferma alla critica di marxismo e psicoanalisi, ma critica soprattutto l'induttivismo positivista, affermando che non esisterebbero teorie scientifiche se l'induzione stesse alla base delle teorie. Infatti, anche se una infinita serie di osservazioni sostenesse una teoria, ne basterebbe una sola per farla crollare. Anche se fosse ammesso un "principio di induzione" per coordinare l'induzione, se venisse considerato una verità logica, si trasformerebbe in una tautologia, mentre se si trattasse di una verità empirica, il problema verrebbe risolto solo grazie ad un altro principio che coordinasse il principio  e l'induzione, fino all'infinito.
Da ciò Popper ricava il carattere non verificabile della scienza: la scienza non è verificabile empiricamente.
C'è però un collegamento tra esperienza e scienza: mettere alla prova un'ipotesi significa dunque dedurre da essa alcune delle conseguenze e vedere come queste si rapportano con l'esperienza. Lo scienziato critico si distingue da quello dogmatico in quanto va alla ricerca delle conseguenze della teoria che sembrano avere la più alta probabilità di essere false.
Quando una teoria verrà falsificata dall'esperienza, si dovrà abbandonarla per sostituirla con un'altra congettura. La storia della scienza si presenta dunque, dal punto di vista falsificazionista, come una serie ininterrotta di congetture e falsificazioni.
Il falsificazionismo non nega, non può negare senza contraddirsi, che esista la verità e che "compito della scienza è la ricerca della verità, cioé di teorie vere". Egli nega però che esista un criterio di riconoscimento della verità. Il fatto che un ipotesi abbia superato positivamente severi controlli, può certamente essere interpretato come un sintomo, una spia sulla verità dell'ipotesi, ma non abbiamo modo di dimostrare che le cose stanno proprio così.
Popper, rendendosi conto della difficoltà della scelta tra due teoria, crede che esista un criterio di scelta tra le due. Egli infatti ritiene che si deve preferire la teoria che ha il maggior grado di verosimilitudine, cioé si preferirà l'ipotesi che ha un contenuto di verità al suo interno maggiore rispetto al suo contenuto di falsità.
Infatti gli scienziati possono accettare per convenzione un dato insieme di asserti, ritenuti altamente verosimili, che parlano dell'esperienza in qualità di asserti, fornendo una conoscenza di sfondo non problematica. La nozione di conoscenza di sfondo conferisce così al procedere della scienza un elemento di continuità che il primo falsificazionismo non poteva garantire: il modello delle congetture-falsificazioni suggeriva un processo storico fatto da continue fratture e rivoluzioni, mentre l'idea di una conoscenza di fondo recupera un nucleo stabile.

Kuhn

Negli anni sessanta, Thomas Kuhn ha criticato il modello discontinuista del primo falsificazionismo popperiano. Secondo Kuhn infatti, anche se lo sviluppo scientifico è passato attraverso rivoluzioni, è altrettanto vero che la maggior parte dell'attività conoscitiva dispiegata dagli scienziati si svolge secondo modalità che poco hanno a che fare con gli sconvolgimenti teorici. Per Kuhn scienza normale significa una ricerca fondata su uno o più risultati raggiunti dalla scienza del passato, ai quali una comunità scientifica, per un certo periodo di tempo, riconosce la capacità di costituire il fondamento della sua prassi ulteriore. Grandi opere come i Principia di Newton o la Fisica di Aristotele, hanno rappresentato per grande tempo il fondamento delle ricerche condotte all'interno delle comunità scientifiche. Per indicare queste tradizioni scientifiche originantesi e dirette da opere di particolare rilievo Kuhn impiega il termine paradigma. La scienza normale è quella che si sviluppa all'interno di un certo paradigma, arricchendolo ma non cambiandolo nella sostanza dei suoi principi e dei suoi metodi: la rivoluzione scientifica è un passaggio da un paradigma all'altro.
L'attività svolta nei periodi di scienza normale all'interno di un certo paradigma è orientata dal paradigma stesso. L'attività sperimentale si dedica allo studio di quei fatti che il paradigma ha indicato come particolarmente rivelatori della natura delle cose. Questa attività non porta novità fondamentali, ma il suo obiettivo primario è accrescere la portata e la precisione del paradigma.
Lo scienziato che opera all'interno di un paradigma si comporta come un solutore di rompicapo, poiché agisce dando per supposto che, entro il suo paradigma, esista la soluzione del problema che affronta. Agendo come solutore di rompicapo il ricercatore esplorerà tutte le possibilità concettuali all'interno del paradigma senza ricorrere ad un paradigma alternativo. La scienza normale procede così raccogliendo fatti suggeriti dal paradigma, andando alla ricerca di soluzioni che si trovano all'interno del paradigma stesso. È questo tipo di attività che conferisce alla storia della scienza quella continuità che Popper misconosce: invece di  lavorare per far crollare le teorie in cui credono, gli scienziati normalmente lavorano nella convinzione che entro quelle teorie si possano trovare le soluzioni a tutti i problemi interessanti.
Durante la ricerca nomale possono però sorgere delle anomalie. Se l'anomalia persiste il paradigma entra in crisi. La crisi di un paradigma diventa la fase preparatoria per l'avvento di un nuovo paradigma, per l'accadere di una rivoluzione scientifica. Il grande innovatore scientifico, come lo fu Einstein con l'elaborazione della teoria della relatività, non è quindi colui che vede le cose con maggior precisione, ma colui che vede cose diverse.
Il passaggio da un paradigma all'altro è un mutamento improvviso, che non consente la compresenza di due paradigmi. i due paradigmi sono perciò incommensurabili tra loro.
L'attività della scienza normale, caratterizzata come "soluzione di rompicapo", e le "rivoluzioni" escludono che si possa giustificare la tesi secondo cui la scienza progredisce verso una sempre migliore conoscenza della verità. Nella visione della storia della scienza kuhniana non trova giustificazione l'idea di progressi verso qualcosa; piuttosto viene configurato un progresso a partire da qualcosa: partendo da stadi primitivi la scienza compie un processo evolutivo che passa per stadi successivi caratterizzati da una sempre più elevata capacità di risolvere rompicapo sempre più articolati. Un progresso scientifico che parte da stadi primitivi dunque, ma che non tende verso nessun scopo.

Lakatos

All'inizio degli anni settanta, Lakatos, pur riconoscendo che la critica di Kuhn alle posizioni di Popper elaborate prima della guerra, nega che le stesse conclusioni possano essere usate per il secondo Popper.
Il falsificazionismo di Popper del dopoguerra si era fondato sul concetto  di verosimilitudine: tra due teorie rivali è razionale scegliere quella che ha il più alto grado di verosimilitudine, cioé che possiede la maggiore distanza tra la misura del contenuto di verità e di quello di falsità. Questa posizione di Popper non venne criticata da Kuhn. Lakatos dunque parte da Popper per elaborare la sua teoria sulla scienza, senza però negare la validità delle critiche di Kuhn al primo Popper.

Per Lakatos i grandi risultati scientifici non consistono di ipotesi isolate. La natura delle teorie scientifiche più importanti manifesta una complessità superiore che trova chiarimento nella struttura che possiede un programma di ricerca. Un programma di ricerca è costituito da un nucleo, cioé un insieme di ipotesi di particolare importanza accettato per convenzione e per questo non confutabile, in virtù di una decisione non provvisoria: una euristica positiva, cioé un insieme di indicazioni che definiscono i problemi da affrontare, il loro ordine di priorità e prevedono le anomalie e il modo di superarla, adottando un insieme di "ipotesi ausiliarie" che hanno lo scopo di salvaguardare il nucleo. Queste indicazioni formano attorno al nucleo una cintura protettiva. tutto ciò conferisce alla scienza teorica una grande autonomia: il programma si può sviluppare senza molto curarsi delle "falsificazioni" empiriche. Si esplicita in questo modo anche l'idea di continuità, di intimo legame tra le teorie che si succedono l'una all'altra: continuità e legame intimo sono garantiti dalla permanenza del nucleo e dalle indicazioni dell'euristica.

Esistono tuttavia due modi ben differenti con cui un programma si può velocemente sviluppare: nel corso del suo sviluppo esso può produrre delle nuove previsioni, oppure può crescere senza produrre novità. Nel caso in cui la crescita teorica è più rapida della crescita empirica, il programma è progressivo, quando invece la teoria è sempre in ritardo sui fatto, il programma è regressivo. È proprio questa distinzione che permette a Lakatos di enunciare un criterio oggettivo di scelta tra programmi di ricerca rivali: «Se abbiamo due programmi di ricerca rivali dei quali uno è progressivo mentre l'altro è regressivo, gli scienziati tendono ad aderire al programma progressivo.

Lo sviluppo progressivo di un programma lakatosiano è la riformulazione del concetto popperiano di aumento di verosimilitudine: in entrambi i casi si tratta di considerare un aumento di contenuto empirico. Tuttavia, per Lakatos, Popper ha sbagliato nel sostenere che la teoria della misura di verosimilitudine sia la traduzione in linguaggio tecnico dell'idea intuitiva di approssimazione alla verità. Non esiste alcun modo per stabilire che c'è un nesso tra aumento di verosimilitudine in senso tecnico (o sviluppo empiricamente progressivo di un programma) e approssimazione alla verità oggettiva. Il progresso di un programma di ricerca, o la vittoria di un programma di ricerca su un altro, non significano dunque, di per sé, un progresso conoscitivo.
Feyerabend

Lakatos ha tentato di salvare la razionalità scientifica elaborando un criterio di scelta, una regola di condotta per lo scienziato di fronte a teorie rivali.
Paul Feyerabend gli obietterà tuttavia che le regole proposte sono solo apparenti e in realtà non guidano, non possono guidare uno scienziato nelle sue scelte. Infatti quando si consideri un programma di ricerca in uno stato regressivo, è perfettamente legittimo che si senta il bisogno di abbandonarlo e di sostituirlo con uno rivale progressivo. Tuttavia, per la razionalità non-istantanea lakatosiana, è anche legittimo fare l'opposto e conservare il programma: se non è saggio rifiutare teorie erronee nel momento della loro nascita, in quanto potrebbero migliorare e crescere, non è saggio neppure rifiutare i programmi di ricerca in declino, i quali potrebbero riprendersi e recuperare un carattere progressivo.
Le regole della metodologia dei programmi di ricerca possono aiutare lo scienziato a valutare la situazione storica nella quale egli prende le sue decisioni, ma non gli indicano che cosa fare, quale programma scegliere. Non esistono regole, non esiste un metodo da seguire obbligatoriamente, tutto va bene. La fine della razionalità istantanea proclamata da Lakatos è in realtà la fine del mondo.
Entro questa cornice cade, evidentemente, la possibilità di parlare di progresso conoscitivo. Non essendovi regole che consentano di stabilire un criterio di preferenza tra due teorie rivali, poiché anzi non vi sono regole di alcun genere, non si può dire che una teoria è migliore  di un'altra. L'anarchismo metodologico di Feyerabend significa che non solo non abbiamo modo di stabilire razionalmente se la teoria di Einstein sia meglio di quella di Newton, ma neppure si può dimostrare che la medicina dei più avanzati ospedali sia migliore di quella tradizionale delle tribù indiane americane. La scienza non può dunque avere la pretesa di essere considerata più profonda, più vicina alla verità di qualsiasi altra espressione culturale dell'uomo.

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