La questione ebraica

1. INTRODUZIONE

L'espressione "questione ebraica" sta a indicare comunemente l'insieme di difficoltà, pregiudizi o malintesi legati alla presenza degli Ebrei nel mondo.

Si potrebbe pensare quindi che il problema sia esistito da quando esiste il popolo ebraico, ma non è così. Infatti...

2. NELL'ANTICHITA'

Fin dal VI sec. a.C., e poi in maniera sempre più accentuata, la popolazione ebraica della Palestina sciamò attraverso il Mediterraneo e il Vicino Oriente, ma la sua presenza in seno alle popolazioni più diverse non provocò problemi più accentuati di quelli suscitati dalla presenza di altre minoranze etniche, anche se il monoteismo assoluto degli Ebrei si urtava dovunque con il paganesimo dei popoli circostanti. Gli Ebrei furono comunque oggetto di trattamento favorevole, e i Romani, in particolare, li protessero con una legislazione estremamente tollerante.

3. CRISTIANESIMO

Le cose cambiarono con l'espansione del cristianesimo che, dopo essere stato a lungo perseguitato nel mondo pagano, si impose a partire dal IV sec. d.C. come religione dell'Impero romano. Da allora, in conseguenza di confusioni, errori, pregiudizi, si formò un vero e proprio mito ebreo, che sta alla base dei diversi aspetti del problema ebraico.

3.1. ACCUSE TEOLOGICHE

Due sono i temi principali che si trovano espressi fin da allora:

- Deicidio: il popolo ebraico è collettivamente responsabile della morte di Gesù;

- Ebreo Errante: la sua dispersione nel mondo rappresenta il castigo di questo delitto.

Ma si tratta di argomenti che non tengono alcun conto della realtà storica, quale risulta dalle testimonianze dell'epoca e, in particolare, dallo stesso Nuovo Testamento. Di fatto, soltanto un'infima minoranza di Ebrei fu responsabile della morte di Gesù, il cui processo fu condotto dalle autorità romane; un notevole numero di essi si trovò accanto a Gesù, ebreo egli stesso, per assisterlo sino all'ultimo; e infine la massa del popolo ebreo, lontana da Gerusalemme, ignorava del tutto quell'avvenimento. Quanto alla dispersione degli Ebrei, essa era cominciata molti secoli prima di Cristo. Ma, pur non avendo niente a che fare con la storia, questi temi alimentarono molti pregiudizi: il popolo ebraico è l'Ebreo errante, che trascina per il mondo la sua maledizione e la sua miseria; esso è anche Giuda, l'uccisore di Dio, colui che ha venduto il suo Maestro e lo ha consegnato alla morte per trenta danari.

Questo mito, che è all'origine dell'antiebraismo cristiano, rimase saldo fino alla Rivoluzione francese. Nei paesi non cristiani, invece, l'antigiudaismo ebbe poca o nessuna presa, come in Cina o in India. Nel mondo musulmano, si presentò come una variante del fanatismo religioso che l'Islam praticò indifferentemente nei confronti di tutti gli "infedeli".

3.2. NEL MEDIOEVO

Tuttavia, fino all'XI sec., le ripercussioni politiche, economiche e sociali di questo mito rimasero prive di conseguenze decisive. Nonostante una legislazione particolare, gli Ebrei continuarono a mescolarsi, in Occidente, alla vita dei loro concittadini cristiani, senza distinguersi da essi né per le loro occupazioni, né per i loro abiti, né per la loro lingua. L'unico elemento che li caratterizzava era la loro fede religiosa e questa era abbastanza intensa e forte da suscitare interesse e provocare persino conversioni.

Vittime di episodi di violenza durante la prima crociata, dopo la seconda gli Ebrei vennero definitivamente posti fuori legge nella società cristiana e con il Concilio lateranense IV (1215) in tutti i paesi cristiani si iniziò per loro un periodo di restrizioni di ogni genere.

L'apice si raggiunse con Paolo IV, nel 1555: vennero chiusi nei ghetti e contraddistinti dal cappello a punta e dall'emblema della ruota gialla sull'abito; si procedette alla loro esclusione dalle attività economiche normali (soprattutto quelle legate alla proprietà terriera), confinandoli nel commercio del danaro. A questa segregazione sociale si aggiunse quella psicologica: l'accusa di deicidio li designò alla vendetta popolare, alla persecuzione, all'esilio, e fece pesare su di loro sospetti di colpevolezza in tutti i campi della vita, così che furono considerati come i responsabili di molte catastrofi (guerre, epidemie, crisi economiche e sociali). In Spagna le condizioni degli Ebrei, eccezionalmente favorevoli al tempo della dominazione musulmana, andarono progressivamente peggiorando man mano che con l'unità statale si cementava lo spirito nazionale e la fede cattolica; sicché le sistematiche persecuzioni cominciate alla fine del XIV sec. culminarono nell'editto di espulsione del marzo 1492 che colpì da 100.000 a 200.000 Ebrei. La loro partenza ebbe gravi e negative conseguenze sulla stessa economia spagnola. Le "grandi paure" che si ebbero in alcune epoche del medioevo (in particolare nel XIV sec., al tempo della Grande peste) portarono il fenomeno al parossismo: gli Ebrei erano massacrati da bande fanatizzate, spinte dal bisogno di trovare un responsabile, un capro espiatorio. Le reazioni delle autorità laiche ed ecclesiastiche di fronte a questi eccessi furono impotenti a porre un freno efficace, perché la società cristiana si era chiusa in un circolo vizioso. Nutrendo lo spirito dei fedeli di testi liturgici o letterari, di rappresentazioni artistiche in cui la figura dell'ebreo era costantemente assimilata a quella di Giuda e talvolta prendeva addirittura aspetti demoniaci, finì coll'alimentare quell'antipatia che né la Riforma, né l'Umanesimo, né il Rinascimento riuscirono a modificare. In forme attenuate, ma talora altrettanto sanguinose che nel medioevo (specialmente in Polonia), la "nazione ebrea" rimase, dal XVI al XVIII sec., al bando delle società cristiane, sia cattoliche sia protestanti od ortodosse.

4. ILLUMINISMO

Verso la fine del XVIII sec., però, i dati del problema ebraico mutarono. Molti spiriti illuminati presero coscienza di questa secolare ingiustizia; nel 1781 Giuseppe II d'Austria pubblicò una patente di tolleranza per gli Ebrei e in Francia, per le istanze dell'abate Grégoire, si accordò nel 1791 agli Ebrei il diritto di essere cittadini francesi e furono inoltre soppresse radicalmente tutte le barriere che li tenevano ai margini della società. La stessa "emancipazione" fu concessa poi negli altri Stati europei (1866 in Inghilterra, 1870 in Germania, 1917 in Russia, ecc.). In Italia gli Ebrei ottennero la pienezza dei diritti civili e politici in Piemonte nel 1848 con l'art. 24 dello statuto albertino, e questa parità giuridica si estese successivamente agli altri Stati della penisola col progredire dell'unificazione.

5. NELLO STATO NAZIONALISTA

Tuttavia non per questo l'antiebraismo scomparve, perché il riflesso dell'ostilità cui erano stati fatti segno per secoli gli Ebrei era penetrato troppo a fondo nei costumi e negli atteggiamenti tradizionali delle varie società per dissolversi completamente. E così l'antiebraismo si colorò, nel XIX sec., di tinte soprattutto nazionalistiche e prese il nome di "antisemitismo". Quando gli Ebrei divenivano cittadini di un paese, si metteva spesso in dubbio il loro patriottismo e si contestava il loro inserimento nella comunità nazionale, per quanto gli Ebrei dessero generalmente prova di lealismo nella rispettiva patria e la servissero con intelligenza e coraggio in tutti i campi. L'affare Dreyfus, in Francia, alla fine del XIX sec., fu l'esempio più clamoroso di questo antisemitismo nazionalistico, che si attenuò peraltro nei primi trent'anni del XX sec. parallelamente al sorgere del sionismo politico. Ma proprio allora fece la sua comparsa in Germania una nuova forma di antisemitismo: quello razzista, che provocò uno dei più terribili crimini di massa della storia dell'umanità.

6. LA CONDIZIONE DEGLI EBREI DURANTE LA II GUERRA MONDIALE

Gli Ebrei in Germania, in applicazione delle leggi di Norimberga (1935), furono esclusi a poco a poco da tutte le funzioni pubbliche e dalle professioni liberali; sottoposti a tasse particolari, divennero anche oggetto di pogrom organizzati. Molti scelsero il suicidio; circa 200.000 preferirono emigrare a prezzo della perdita di una grande parte dei loro beni. Ma gli altri paesi, pur disapprovando il comportamento dei nazisti, si mostrarono poco propensi ad accogliere gli emigranti e il governo inglese rifiutò loro l'ingresso in Palestina. Navi cariche di infelici errarono così per i mari alla ricerca di un porto di salvezza e parecchie centinaia di migliaia di Ebrei polacchi, residenti in Germania ed espulsi dai nazisti, dovettero accamparsi nella "terra di nessuno" alla frontiera germano-polacca, che il governo polacco proibiva loro di passare. In Italia il regime fascista, a partire dal 1938, seguì l'esempio della politica razzista hitleriana, escludendo gli Ebrei dall'esercito, dal partito fascista, dai pubblici uffici e dalle scuole, proibendo loro i matrimoni misti e limitandone gravemente l'attività professionale ed economica, benché in pratica (almeno in un primo tempo) queste misure fossero meno rigidamente applicate, anche per la loro impopolarità presso l'opinione pubblica. Con le vittorie e le conquiste dei nazisti, in tutta l'Europa occupata gli Ebrei furono sottoposti a disposizioni discriminatorie e vessatorie: obbligo di portare un distintivo (stella gialla), imposizione di un timbro speciale sui documenti d'identità, proibizione di frequentare ristoranti e cinema e di circolare in determinate ore, ecc. Nello stesso tempo cominciò l'espropriazione sistematica dei loro beni per mezzo delle misure dette di "organizzazione economica", che affidavano i commerci e le attività economiche degli Ebrei alla gestione di amministratori provvisori; opera di spoliazione su vasta scala, che ebbe particolarmente di mira le opere d'arte. La sorte degli Ebrei fu soprattutto tragica nell'Europa orientale, particolarmente in Polonia, a partire dalla fine del 1940. Le autorità naziste, dopo aver pensato a un ammassamento degli Ebrei orientali in una riserva, a Lublino, e al trasporto di quelli occidentali nel Madagascar, decisero nel 1942 il loro sterminio sistematico, battezzato come "soluzione finale". In tutta l'Europa occupata si ebbero così rastrellamenti metodici, che trascinarono centinaia di migliaia di Ebrei dapprima in campi di internamento improvvisati, poi nei campi di concentramento e di sterminio, dove i più validi erano attesi dalla morte lenta provocata dal lavoro forzato e dai crudeli sistemi impiegati nei campi, e gli altri — vecchi, malati, fanciulli — dal passaggio quasi immediato nelle camere a gas e nei forni crematori. In complesso perirono in tal modo quasi 6 milioni di Ebrei.

6. 1. DURANTE LA REPUBBLICA DI SALO'

Con l'avvento della repubblica di Salò (autunno 1943) le persecuzioni antisemite divennero gravi anche in Italia. In Francia, l'esistenza di una zona non occupata rappresentò, fino al novembre 1942, un asilo relativo, ma successivamente il governo di Vichy prese misure antisemite (interdizione a molte cariche pubbliche ed esclusione dall'esercizio di determinate professioni) e soprattutto consegnò ai Tedeschi molti Ebrei stranieri, anche per tentare di salvare gli Ebrei francesi.

La sorte degli Ebrei provocò in tutto il mondo una viva indignazione e uno slancio di solidarietà. Uno dai compiti delle organizzazioni della Resistenza fu di procurare loro documenti falsi per salvarli dalla deportazione. Ad Amsterdam, un grande rastrellamento del quartiere ebreo, reso celebre dal Diario di Anna Frank, provocò uno sciopero generale di solidarietà. Da parte loro, gli Ebrei furono divisi circa il comportamento da adottare: spesso, per forza di cose, si comportarono come un gregge indifeso; talvolta invece seppero organizzarsi in gruppi di resistenza e impegnarono combattimenti disperati, soprattutto nel ghetto di Varsavia.

7. LO STATO DI ISRAELE: REALIZZAZIONE DEL SOGNO SIONISTA?

La fondazione dello Stato di Israele (1948) ricondusse in parte il problema ebraico al suo aspetto antico rifacendo di una frazione della Palestina un paese sovrano in mezzo alle nazioni del Medio Oriente. L'antisemitismo prese un aspetto nuovo, da cui erano estranee questioni razziali, mentre quelle religiose rappresentavano soprattutto un pretesto di ostilità: esso appariva come la principale componente di un nazionalismo arabo che si era visto sorgere di fronte, proprio in una posizione geografica chiave, uno Stato forte e moderno, del tutto occidentalizzato, capace di convogliare in sé le risorse economiche di un Vicino e di un Medio Oriente tradizionalmente arretrato. Si assistette così a un completo rovesciamento dei vecchi miti: mentre l'Occidente cristiano finiva per simpatizzare con lsraele, l'Islam (sostenuto da molti paesi a regime socialista) alimentava una violenta propaganda antiebraica, giunta a predicare la guerra di sterminio e a negare a Israele il diritto di esistere. In Europa orientale, e in particolare nell'Unione Sovietica, dove la Rivoluzione bolscevica aveva dato agli Ebrei completa libertà e uguaglianza civile e politica, un'attività dei governi sostanzialmente avversa agli Ebrei costrinse questi a un massiccio esodo verso Israele.

La questione della liberalizzazione dei permessi di espatrio degli Ebrei dall'Unione Sovietica ha costituito dagli inizi degli anni Settanta un tema sempre presente nelle trattative fra le autorità sovietiche e quelle statunitensi.

Contemporaneamente, però, è andato semre più ponendosi alla coscienza dell'opinione pubblica internazionale il problema palestinese, del popolo quindi che nella "diaspora" era stato costretto a sostituire proprio gli Ebrei.

Negli anni Ottanta, dopo l'invasione israeliana del Libano e specialmente in seguito alla rivolta dei palestinesi dei territori occupati e alla repressione da parte delle autorità israeliane (1988), in vari paesi occidentali si sono manifestati episodi di intolleranza verso gli Ebrei. Tali episodi hanno fatto temere il risorgere dell'antisemitismo classico, ma essi possono essere piuttosto considerati come forme estreme di disapprovazione della politica israeliana nei confronti del popolo palestinese.

Sintesi tratta da Enciclopedia multimediale Rizzoli-Larousse

 

 

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Bibliografia