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SANT'ANTONIO DI RANVERSO

la storia

Sulla sinistra della strada statale del Moncenisio in direzione di Avigliana, al confine tra i comuni di Buttigliera Alta e Rosta, un viale di platani conduce all'Abbazia di S.Antonio di Ranverso, uno dei più belli e significativi monumenti dell'architettura medioevale piemontese, splendido esempio dell'influsso gotico francese nella regione.
Situata ai piedi di una collinetta morenica, l'Abbazia fu per centinaia di anni un punto di riferimento per i pellegrini che transitavano lungo la Val di Susa.
Insieme alle millenarie Abbazie della Sacra di San Michele e di Novalesa (poste rispettivamente alla testata ed al centro della valle stessa) costituiva un complesso monastico di notevole interesse.

Il nome trasse origine da Sant'Antonio Abate, protettore dei monaci che esercitarono il loro caritatevole ministero di uomini di Chiesa e di medici, e da "Rivus Inversus" (da cui Ranverso), un ruscello presente nella zona, così denominato in quanto situato a mezzanotte.

Collocata sull'antica via per la Francia, frequentatissima da eserciti, mercanti, pellegrini e avventurieri, l'Abbazia venne fondata nel 1188 da Umberto III di Savoia, detto il Beato, e fu affidata ai monaci Antoniani Ospitalieri provenienti dal Delfinato, i quali avevano la loro casa madre a Sant'Antonio di Vienne.
Da Ranverso essi si diffusero in tutta l'area pedemontana; si trattava per lo più di nobili che si accostavano alla vita monacale per dedicarsi all'assistenza degli ammalati di lebbra e del cosiddetto "fuoco sacro" o "fuoco di Sant' Antonio", malattia molto diffusa nel Medioevo.
Oltre alla chiesa ed al monastero, Umberto III fece erigere anche un ospedale, dove i malati venivano curati dai monaci col grasso di maiale,che agiva sulle piaghe come emolliente ed isolante.

Poichè l'ordine dei monaci Antoniani, fondato da Gastone di Vienne ed approvato da papa Urbano II con bolla del 1095, era composto da fratelli laici (il Gran Maestro o Abate era sacerdote) che indossavano un abito nero su cui risaltava in azzurro una T (tau), la quale richiamava contemporaneamente il simbolo della Croce, della stampella degli ammalati e l'arcano significato della lettera greca sinonimo di prodigio, si spiega perchè compare la T (tau) negli stemmi degli Abati, sui capitelli, sulle volte della chiesa, sul campanile; la T (tau) inoltre veniva cucita sul vestito degli ammalati e addirittura impressa sulla groppa dei maiali.


Il complesso abbaziale di S.Antonio di Ranverso era costituito dalla chiesa (più volte rimaneggiata), dalla sacrestia (interamente affrescata da Giacomo Jaquerio), dal campanile gotico trecentesco, dal chiostro (di cui attualmente rimane solo il lato adiacente alla chiesa), dall'ospedale (la cui facciata gotica in cotto è tuttora esistente), dal monastero (che presenta ora connotati settecenteschi) e dalle cascine, anticamente gestite dai monaci conversi.
All'Abbazia erano legate le rendite di numerosi lasciti, le quali se da una parte consentirono il compimento delle opere caritatevoli, dall'altra portarono al decadimento dell'istituzione stessa che fu data in commenda.

Nel 1776 una bolla di papa Pio VI pose fine all'opera caritativa; i monaci Antoniani superstiti passarono all'ordine dei Cavalieri di Malta e la proprietà di tutto il complesso venne affidata all'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro (Ordine Mauriziano) che ne ha curato e cura tuttora la conservazione ed il restauro.

Nel 1914, durante i lavori di restauro della facciata e dell'interno della chiesa, venne portata alla luce, nella fiancata sinistra del presbiterio, la firma di Giacomo Jaquerio, confermando così le ipotesi che vedevano nel pittore torinese, maestro nell'arte figurativa del cosiddetto gotico fiorito o gotico internazionale, l'autore degli affreschi più importanti della chiesa e della sacrestia.



Opera di Defendente Ferrari è invece il polittico, realizzato nel 1531, che si innalza sull'altare maggiore.

Nonostante il loro esiguo numero, i monaci di S.Antonio di Ranverso incisero fortemente non soltanto sul tessuto umano, ma anche sul territorio, che seppero modificare senza stravolgere: prosciugarono paludi, condussero operazioni di disboscamento ed edificarono le loro costruzioni, integrando in perfetta simbiosi natura ed architettura.

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