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Un crimine senza punizione:
la tratta degli schiavi

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Concedendo la libertà allo schiavo
garantiamo la libertà dell'uomo libero -
gesto doppiamente onorevole di dono e protezione.
Salveremo nobilmente, o perderemo
meschinamente, l'ultima
e più bella speranza dell'umanità.

Abramo Lincoln
Messaggio annuale al Congresso
1° dicembre 1862

Gli orrori della tratta degli schiavi
Le disgraziate vittime della tratta degli schiavi passavano attraverso una catena di supplizi. Innanzitutto venivano braccate come bestie selvagge. Sfuggivano agli orrori di questa caccia solo gli Africani venduti come schiavi da un’altra tribù che li aveva presi in guerra, o dai loro stessi capi. Dopo la cattura, dovevano affrontare le sofferenze del lungo tragitto dall’interno del continente alla costa. Seguiva l’attesa del compratore nella «casa degli schiavi» del sensale, o della nave da trasporto nell’agenzia commerciale di un mercante europeo. L’attesa durava settimane o anche mesi. La tappa seguente, la traversata sulle navi negriere verso la destinazione (in America, nelle isole della Giamaica o altrove), era quella più terribile. Dopo lo sbarco, seguiva generalmente l’attesa del giorno della vendita, poi la vendita stessa che, molto spesso, significava la divisione delle famiglie. Infine, dopo l’arrivo nella piantagione o nella casa del «proprietario», cominciava per lo sventurato schiavo una vita senza speranza, da bestia da soma: lavoro forzato, fame costante, percosse, umiliazioni, eterna paura del domani.

Harry Johnston, un «illuminato» colonizzatore e storico coloniale in-glese, descrivendo le prime tappe di questo calvario racconta tra l’altro in A History of the Colonization of Africa by Alien Races (Cambridge 1913):

«Durante il tragitto verso la costa, al collo degli schiavi venivano appese pesanti catene che si conficcavano nelle carni provocando piaghe purulente. Gli schiavi marciavano consunti per la fame e la fatica, non ricevevano acqua a sufficienza e rischiavano di morire per insolazione. Se si sdraiavano a terra per un breve riposo o se crollavano esausti, venivano fucilati sul posto, oppure uccisi a colpi di lancia, oppure veniva loro tagliata la gola con diabolica brutalità [...] Ai bambini che la madre non riusciva a portare o che non erano in grado di seguire il convoglio veniva fracassata la testa. Numerosi schiavi, non potendo sopportare la separazione dal loro focolare e dai loro bambini, si suicidavano. Gli schiavi venivano bollati con un marchio, percossi e frustati senza ricevere ovviamente nessuna cura medica per le ferite inflitte loro.
Tali erano le condizioni della marcia fino alle “case degli schiavi” o alle agenzie dei mercanti europei. Venivano poi gli orrori del viaggio per mare: va detto che le descrizioni più note dei trasporti si riferiscono quasi tutte a navi appartenenti a nazioni civilizzate quali l’Inghilterra, l’Olanda, la Spagna, il Portogallo, l’America, e non alle navi arabe e indiane che trasportavano schiavi dall’Africa orientale in Arabia o in India. In genere, gli Arabi e gli Indiani non caricavano eccessivamente i loro vascelli e durante il viaggio concedevano una certa libertà agli schiavi».
La descrizione del Johnston è tanto più significativa in quanto si riferisce a un’epoca successiva, in cui la tratta degli schiavi era già in declino grazie ai movimenti abolizionisti in Inghilterra e in altre potenze capitaliste. Alla luce di questo quadro della tratta, si può facilmente immaginare come essa dovesse essere due o secoli prima, quando i mercanti di schiavi erano liberi di agire alcuna limitazione.

Descrizioni dettagliate delle prime tappe (caccia agli schiavi, viaggio sino alla costa) si hanno nelle opere di numerosi viaggiatori, come Mungo Park, Livingstone, Baker e altri. La sorte degli Africani nella schiavitù, la loro vita nelle piantagioni americane eccetera sono state descritte bene in opere classiche quali quelle di H. Beecher-Stowe [vedi anche Venti libri sulla schiavitù].
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