Iperspazio Racconti .Racconto originale di Arturo Ferrara, anteprima tratta dalla raccolta "Il Cacciatore di mosche" in via di completamento.(versione demo).

La Barba

Una volta che la natura socievole dell' uomo sia stata sconvolta e costretta a cercare scampo nella singolarità, in essa inviene un pervertimento così profondo che, d' ora in poi, egli impiega le sue forze a scindersi dagli altri e riaffermando la sua separazione, giunge sino alla pazzia. Pazzia infatti non è altro che la totale separazione del singolo dalla sua specie. Hegel

LA BARBA
Un incubo di Arturo Ferrara

Cosa è stato, cosa è successo QUEL giorno ? Perché , perché? Oh, potessimo sapere, comprendere, esprimere. Ma a chi, a che servirebbe? E' tardi, sempre tardi. Ci si distrae un attimo e si è vecchi. Non parlo solo del corpo, ma di un qualcosa che non so ben definire. Chiamatelo come volete: "pensiero", "anima", "coscienza". Immortale? Forse (ma è troppo comodo pensarlo), ma non incontaminata. E, non potrebbe essere la peggior condanna l'immortalità stessa, un invecchiare senza ragione (che importa se ciclico o lineare) dei propri sogni, ideali. Rinascere? Ma che serve se devi ricominciare tutto da capo? Ricordare? Ma a che scopo se hai vissuto intere esistenze solo per dimenticare l'immenso dolore dell'esistere. Un decadere lucido e continuo, per l'eternità, e, peggio ancora, coltivare una speranza che non nasce mai ma finisce, nei casi migliori, per ridere di sé, nei peggiori, per correre verso l'autodistruzione.
Sempre più ristretto l'angusto spazio in cui si vive: una cella, una bara, regole, vizi, pregiudizi come sbarre e se stessi come carcerieri di fronte a spettatori inconsapevoli. Opaca, velata dagli errori, quell'immagine di noi stessi riflessa negli occhi degli altri, proiettata nella vita dai fatti, gli eventi.Mi rivedo bambino: la pelle bianca, i capelli biondo cenere, gli occhi scuri, attenti, profondi, lo sguardo un po' obliquo sulle cose, sulla realtà poi, poi un grande vuoto, sino ad ora, riempito solo da qualche ombra, parvenza di una vita vissuta. QUEL GIORNO mi guardavo, dapprima distrattamente e poi con maggiore attenzione, davanti allo specchio.

E'un fascino antico, sottile, pericoloso, quello dell'immagine riflessa. Ti guarda e non sai se sei tu. Pare reclamare la sua autonoma esistenza, dirti che tu sei il vivente suo riflesso. Allora ti si annebbia la vista, la ragione stessa, mentre ti chiedi quale sia la differenza fra realtà e pensiero. Cosa è stato il passato, i tuoi giorni, le passioni, le emozioni, cosa sono gli oggetti intorno a te, gli esseri che ti circondano, attratti o respinti da forze misteriose, antiche corrispondenze o repulsioni? E cosa sei tu, lontano da te stesso, quasi in un terzo punto, ad osservare lo specchio ed il tuo volto stupito che ti osserva?
Ecco, corre il Tempo, ti vedi come eri e più non sei, ecco è già più veloce di te, ti vedi pieno di rughe, avvizzito....ed ecco: non ti vedi più: i tuoi occhi sono chiusi per sempre, ma ti pensi e quindi esisti in un ' assurda e solitaria dimensione. Ti pensi e continui, continui ad esistere, senza avere un corpo, sperduto, smarrito in un'assurda oscurità, totalmente estraneo, sconosciuto ai viventi.
Li vedi, li senti ma loro non s'accorgono di te. Sei trasparente, invisibile, leggero non sai cosa sei , probabilmente non sei nulla, perché LORO NON ti pensano e per loro non esisti.Vorresti urlare: per loro non hai voce, ti assordi inutilmente! Vorresti toccare:non hai organi.  Vorresti comunicare ma non conosci il mezzo, non ne sei capace. Ai margini della vita, forse già oltre ti giunge solo una pallida eco di ciò che è stato di ciò che forse si sta svolgendo davanti te. Tutto sembra lontano, estraneo, assente.E' una eco anche la tua percezione che è a sua volta un'ombra, un riflesso del mondo, della società. Questa è follia, lo sai, ma è anche la tua vita, l'unica cosa che ti permette ancora di esistere.

QUEL giorno mi osservavo la barba, avevo pensato di farla crescere ancora e, con la fornice,"l'aggiustavo", cercando di incanalarla in una forma decisa dalla mente.
Poi decisi di modificare i baffi e cominciai a tagliuzzarli ai margini. Non so come o perché, ma, nella mia "operazione",non riuscivo più a fermarmi.Nulla corrispondeva a ciò che la mente pensava, non la forma della barba, neppure più il mio volto. Chiamatelo "raptus"o come volete.In certi momenti si spalancano porte sconosciute su abissi di esistenze: un fiume immenso travolge la mente,la inonda, dilaga, straripa negli atti, nel comportamento. Follia, follia? Può la forbice tagliare di per sé, senza comando,una mano andare per suo conto?In fondo il tempo che scorre chi, cosa lo possono fermare, comandare? Possiamo noi dire "E' stato" ma perché è "stato così"?....

Ma non sarò così ipocrita.Ero io, SONO io il responsabile. Una parte della mia volontà, che non conoscevo, reclamava la sua esistenza. Come si diventa sconosciuti a se stessi ? Solo semplicemente vivendo in società. Ma quale altra vita è possibile?

I peli della barba cadevano ad uno a due e, non soddisfatto, con la lametta, "rifinivo" selvaggiamente il lavoro,facendomi anche male.Soffriva di più la coscienza che non sapeva, non voleva, il taglio della barba. Che succedeva al viso? Sapone, acqua, sangue e,nello specchio già opacizzato dal vapore intravedevo una strana figura, quasi trasparente.Volevo forse distruggere la mia immagine? E....di fronte a chi, a me stesso, al mondo o ad entrambi.Cosa voleva quello strano fantasma che mi guardava, di fronte?
Forse volevo rimodellarmi, attraverso il corpo, altre forme di esistenza. Non si dice che con il corpo si cura lo Spirito e, viceversa....Ma queste sono storie vecchie, forse convenzioni, tutta quell'impalcatura che sostiene consumate abitudini, piccole meschinità e violenze quotidiane. Ma, se la carne è debole spesso lo Spirito (non so neanche di cosa sto parlando) lo è ancor di più.Si possono distaccare, separare le due identità? (e poi perché devono essere solo due?) Esistono, esiste qualcosa. Non è fantasia, follia, forse una inutile perdita di tempo questa riflessione?  Scoprivo intanto qualcosa di lontano,ma non dimenticato: la mia infanzia, un bambino che si guardava in una pozza d'acqua.Una piega del viso, un'ombra, prima nascosta dalla barba, mi rivelava ciò che ancora ero e ciò che non ero più.
Non ero più lo stesso, NON PIU'. Mi sembrava che tutto il tempo passato da allora a quel momento, fosse stato gettato, sciupato. Avveniva come se mi fossi svegliato all'improvviso e mi fossi accorto di aver dormito un sonno con ricorrenti incubi di dieci, quindici,venticinque anni.... Credetemi, ora me ne rendo conto:non era per la barba, il viso....era qualcos'altro che avevo scoperto. Non me n'ero mai accorto prima.
Lo avevo sognato qualche volta, l'avevo pensato in momenti, fra il dormiveglia, di fantasticherie. Ma cosa sono i sogni, le fantasie....vengono quando meno te li aspetti, quando li cerchi non li trovi e rimane l'insonnia, l'attesa, l'angoscia. Cosa è la fantasia? Tendiamo a nasconderla come colpa della coscienza (e forse lo è veramente).

Immagini, pensieri, ricordi, possibilità, combinazioni, simboli....viventi e autonome forme, troppo in fretta seppellite, cadaveri delle nostre buone intenzioni in una memoria che va al di là della nostra storia e vita. Siamo infine "travolti" dai fatti che definiamo "pratici""reali": preoccupazioni, interessi,mete, fini....più o meno comode categorie di pensiero, abitudini non solo mentali che ci fanno continuare, ancora un giorno,blocchi di fragile cera o materiale elastico che noi crediamo rigidi e fissi (prefissati) metri di misura della nostra e altrui esistenza.

Vorrei solo ricordare meglio, perché, perché.... Ma la memoria pare inghiottita in quel gorgo del lavandino che ha portato via i miei peli, qualcuno già bianco, come le fuggevoli immagini della mia infanzia:"....Sarai più bianco della neve...." *(1)

M'ero fatto un taglio più profondo degli altri.Contemplavo il mio sangue scorrere nel lavandino. V'era una strana ebbrezza nel mio sguardo. Quando tutto fu compiuto ed il viso lavato mi sentii stanco, sfinito.
Avevo percorso tutta la mia vita in pochi istanti ma,ancora non avevo fissato nulla di preciso, trovato i legami, i perché. Rimanevano dettagli, dettagli, voci, particolari ( veri,immaginati?) Cercavo in verità un mondo a cui aggrapparmi per non precipitare in quello specchio dove osservavo i miei occhi lucidi e neri? Ma erano i miei, veramente?
Infinite vite reclamavano da quello sguardo un po' d'attenzione....almeno una spiegazione, una storia.
Perché erano vissuti, dove erano andati i loro sogni?

Quando gli era sembrato di cogliere, fissare qualcosa avevano dovuto lasciare tutto, tornare nelle tenebre, nel nulla.Eppure ancora erano costretti a ricordare, tramite me,la mia vita e forse la tua, la vostra....i loro consueti sogni, tutti gli errori e le speranze disilluse e tradite...

Quante sere mi sono disperato nella mia solitudine, senza poter cercare negli occhi di qualcuno un'immagine che mi ricordasse la mia umana esistenza. Tutta la mia vita (e non solo quella vissuta dalla nascita) ritornava come un'onda impetuosa, si mescolava ad altre vite, all'apparenza sconosciute, ma in verità non estranee (chissà come) alla mia mente. Ancora rivendicavano la loro esistenza, impossibile ora come allora quando forse aveva una presunta consistenza sociale o almeno di sogno.

Continuavo a gettarmi acqua nel viso per togliere il sangue che dai taglietti usciva.Quel rosso era l'unico colore che vedevo bene.Troppo pallido il viso, quasi trasparente il corpo, come non ci fosse più e restassi lì, ostinato fantasma a pensarmi ancora vivo. Quel rosso eppure finiva nel gorgo del lavandino.Anche lui.Tutto passa, scorre, insieme all'acqua, ai miei giorni, il passato, il presente, il futuro.
Ero affascinato da quel buco nero che portava tutto con sé, inesorabilmente, senza promesse di ritorno. Ma anche questa forse era un'illusione.

Sì, mi sono vestito e sono andato nel mondo, al mia vita consueta. Con, in apparenza, un nuovo volto. Cosa sanno vedere gli altri di noi se non la superficie della superficie, cosa VOGLIONO vedere, anche di sé? (Cosa veramente c'è, da vedere?) Banalità, finzioni, giochi,con il passare del tempo sempre meno innocenti, stonati, noiosi con cui ci si confronta e ci si misura. Volgarità, piccole meschinità crudeli in cui si sguazza per non riconoscersi, continuare.... Come si fa ad amare il prossimo se non si ama se stessi? Ma, ormai, tutto, mi faceva un po' meno male di prima. Quell'essere che portavo a spasso, che era costretto (da chi, come e perché?)a vivere così, non ero più io, non sono più io. Non mi ricerco più nello specchio del bagno né in quello sociale.

La barba? Non è poi così importante. Crescerà, è cresciuta, come i giorni senza perché che si accumulano.
Qualche volta resto interi minuti ad osservarla, in ogni caso non mi maschera più (che ironia mettere la maschera ad una maschera),mi attira, sempre di più il nero gorgo che tutto inghiotte, ma, perché affrettare i tempi? Lo fanno da soli, e mi basta guardare la meta, ogni tanto.(Quando mi accorcio la barba.)

nota*(1):
Da giovanissimo ho fatto da chirichetto ad una messa per un bambino morto….Ancor ora ricordo che non riuscivo a smettere di piangere alla lettura del salmo citato e, la frase (di un parente?) alla fine della funzione " …. tu che ancora vivi…. "(che mi fa sentire ancor ora in colpa di esistere)

Arturo Ferrara Viotti
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