Sammichele di Bari — Centro Studi di Storia Cultura e Territorio

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IL MUSEO DELLA CIVILTA’ CONTADINA “DINO BIANCO”

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"L'importanza dell'impresa è così grande, gli sviluppi di cui è suscettibile sono tali e tanti che vale la pena di affrontare, di rischiare, finanche di compromettere la propria credibilità"

Dino Bianco

Il castello Caracciolo sede del Museo della Civiltà Contadina

Il Museo della Civiltà Contadina nasce nel Dicembre del 1968 per volontà del prof. Vito Donato Bianco, allora presidente della Pro Loco, che ne espose il progetto nel giornale "U mertàle".

L'idea è quella di far nascere un museo di ampio respiro, una sorta di centro polifunzionale costituito da una biblioteca, da una cineteca, da un laboratorio di ricerca su aspetti storici, tecnici, artistici del mondo contadino, e da uno di restauro finalizzato all'analisi e al recupero dei reperti.

Il lavoro di raccolta degli oggetti, cantina per cantina, soffitta per soffitta, è portato avanti tenacemente per anni dallo stesso prof. Bianco e da un gruppo di soci della Pro Loco, fino a quando nel 1974, con delibera del 28 Giugno, l'Amministrazione Comunale mette a disposizione il piano terra del Castello Caracciolo per la sistemazione del materiale raccolto. In seguito verrà destinato allo stesso scopo tutto l'edificio.

L'idea che a molti appare come una sterile e nostalgica ricostruzione di un mondo scomparso e da dimenticare, per il prof. Bianco trova la sua forza nella considerazione che una società senza storia è destinata a non avere futuro. Il museo raccoglie pertanto un notevole patrimonio di oggetti sottratti così all'oblio o peggio alla distruzione, a rappresentare sia i settori delle attività che le consuetudini del mondo contadino.

Intorno ad esso ruotava una serie di botteghe artigiane: il falegname doveva realizzare i carri agricoli, i recipienti (botti, tini) e, insieme al fabbro, tutti quegli attrezzi che vedevano la presenza di parti in legno e ferro; il calzolaio, con materiali resistenti, doveva realizzare scarpe che riuscissero a superare diverse stagioni.

L'arrotino, lo stagnino ed il maniscalco rappresentavano figure anch'esse fondamentali, i primi perché prolungavano l'uso degli utensili, l'ultimo perché svolgeva la periodica ferratura dei cavalli.

Quella della mietitura era per il contadino il periodo più importante dell'anno in quanto si raccoglievano i frutti dopo mesi di lungo e faticoso lavoro. Per questo motivo sono presenti innumerevoli attrezzi: forche, pale, falci e falcioni, balle e tanti altri.

Caratteristica è la pesàre, un blocco di pietra di forma trapezoidale, su cui, talvolta, sedeva per giuoco un bambino mentre veniva fatta girare sull'aia per pestare le spighe. Interessanti sono anche alcuni oggetti che fanno parte del corredo del mietitore: i cannïedde, u pettàle, la graneddère.

Il contadino utilizzava quotidianamente gli strumenti perciò essi dovevano essere sempre a portata di mano: il cortile, per chi ne disponeva, era il luogo dove comunemente essi venivano riposti.

Le donne dovevano provvedere al fabbisogno familiare di indumenti e biancheria, quindi il telaio (l'ardia) era lo strumento presente in ogni casa per filare e tessere. Un'altra componente dell'industria domestica era il ricamo; è questa la ragione della presenza di numerosi modelli e della carta da ricalco esposti nelle vetrine.

I bambini giocavano, anche se non possedevano giocattoli; quelli esposti sono giochi molto semplici, anzi poveri, tra cui spicca l'aquilone.

La cucina era il luogo principale di incontro della famiglia contadina. Il camino, era sempre acceso, con la costante presenza della pignata di fave, u pegnatïedde. L'arredamento della cucina era povero e costituito da un tavolo (la beffétte), da sedie di paglia e, a volte, da una credenza in cui si riponevano i pochi utensili di cui si disponeva: i grossi piatti di terracotta, i mberiàle, spesso ricuciti con ciappe metalliche, segno delle ripetute riparazioni effettuate dall'uomo che le donne chiamavano u quàndre rutte.

Nella saletta dedicata all'attività del cestaio sono esposti ceste e cestini utilizzati sia per il lavoro in campagna che in casa. Le dimensioni ed il materiale (paglia, vimini, esili rami di ciliegio selvatico) variavano a seconda dell'uso.

Per secoli, il carro, è stato mezzo di trasporto di merci e di persone e, in molti centri rurali, ha continuato a svolgere la sua funzione fino a qualche decennio fa. Era un indicatore dello stato sociale di chi lo possedeva. Trasportava ogni tipo di raccolto: i covoni dopo la mietitura sull'aia e da questa, terminata la trebbiatura, il grano ai depositi; i sacchi di mandorle e di olive, la paglia, cibo privilegiato dal cavallo, ma anche utile all'uomo. Durante la vendemmia i carri si riempivano dei tini colmi d'uva da trasportare alle cantine e ai palmenti perché fosse pigiata. Quello rappresentato nell'immagine, a destra, è il break, carrozza coperta a baldacchino, con guidatore all'esterno. Era un mezzo di trasporto padronale. Altri tipi erano la: sciarrétte, carro di uso familiare per trasporto di due o tre persone; u sciarabàlle, tipo di carro veloce e leggero, usato anche per il trasporto di persone fino a 7 unità. Il carro più comune era u traìne, in basso, lungo 15 palmi, tara 3,5 q, portata 7 q.

A causa di lavori di restauro, cui è sottoposto il castello Caracciolo, dal 1991 al 2003 il Museo è trasferito in una sede provvisoria. A maggio del 2004, grazie al lavoro appassionato di un gruppo di volontari, il Museo torna nella sua sede naturale con un rinnovato allestimento.

Ci pare doveroso citare i nomi delle persone che, senza alcun compenso, si sono adoperate per dare, a quello che è uno dei più antichi musei etnografici d'Italia, una sistemazione in linea con gli attuali standard museali.

 

Progettazione, apparato didascalico e allestimento:

Chella CICI (Centro Studi di Storia Cultura e Territorio)

Dominga CICI

Maria DE PALMA (Centro Studi di Storia Cultura e Territorio)

Angela LOTITO

Dora Maria MAGGIPINTO

Alessandra MORGESE

Giacomo SPINELLI (Centro Studi di Storia Cultura e Territorio)

Maria Luna SPINELLI

 

Consulenza:

Vito DEIURE

Vito L’ABBATE

Oronzo SIMONE

Anna Maria TRIPPUTI

 

Collaborazione:

Viviana Cici

Francesco Deiure

 

Tutto, naturalmente, è stato possibile grazie alla volontà dell'Amministrazione Comunale di Sammichele di Bari.

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