Il professore stava seduto fuori al terrazzo a prendere il sole.
Indossava dei pantaloni corti ed era a dorso nudo.
Quando sentì il campanello squillare, si sentì disturbato.
Non gli andava di ricevere nessuno in quel momento. Voleva essere lasciato in
pace.Rimase ancora seduto,accavallando le gambe sulla sedia che aveva messo
davanti alla sua sdraio; ma il campanello continuava a squillare.
Impaziente si alzò. Attraversò la grande stanza con passo lento e stanco, ed
aprì la porta.
Non fece certo salti di gioia quando vide Gualdi.
- Entra, entra pure, - disse, allontanandosi dalla porta d'ingresso.
Ritornò al suo posto di osservazione, non dimenticando però di preparare una
sedia per il suo amico.
Edoardo lo raggiunse. Non si mise a sedere subito. Si fermò con le mani fissate
sulla ringhiera di ferro, tenendogli le spalle.
- Laura non c'è? - chiese Edoardo.
- No. Sono solo. Come vedi sono solo. E tu, ...come te la passi? Ho saputo,
sai, di Manuela... Mi dispiace, mi dispiace tanto, - disse, aggiustandosi con
una mano gli occhiali scuri che gli erano scivolati sul naso, e inumidendosi
le labbra con la lingua.
Gualdi lo trovò abbastanza strano. Non lo riconosceva più. Eppure lui, il professore,
Giacomo Filimbeni lo aveva aiutato così tante volte con i suoi giusti consigli.
Si accese una sigaretta. Si girò. Lo fissò; poi si mise a sedere di fronte a
lui. Lì faceva caldo. Il sole picchiava forte in testa.
- Manuela, già! - sospirò. - Fra pochi giorni sarà fuori. L'avvocato dice che
potrà lasciare il carcere a fine mese.
- Scusami,... scusami tanto. - lo interruppe il professore. - Scusami se non
mi sono fatto sentire. Certo che avrei fatto meglio a venire da te.
Edoardo non replicò. Si portò la sigaretta alla bocca. Aspirò e fece uscire
dalle narici il fumo.
Ora c'era silenzio. Quel silenzio dolce e riposante di un pomeriggio caldo d'estate;
poi il rumore di un motore di macchina in accelerazione.
Quando si affacciò dal terrazzo, Edoardo vide che una macchina dei carabinieri
si fermava davanti all'ingresso della palazzina.
Poco dopo il campanello squillò. Il professore aprì la porta. Il maresciallo
fece il suo dovere ed andò via.
Edoardo abbassò lo sguardo e cercò di non incrociare gli occhi del suo amico.
- Corruzione, - disse Giacomo, senza aggiungere altro.
Gualdi ci rimase. Non sapeva nulla. Era vero che non si vedevano da un bel po'
di tempo, ma al bar, gli amici, l'ambiente. Nessuno aveva parlato di questo
guaio che gli era capitato.
Ecco perché era taciturno ed aveva quello sguardo assente.
Il professore si alzò. Andò in cucina, prese dal frigo due coca cola con cannuccia
e ritornò di nuovo a sedersi.
- Ma tu,.... perché sei venuto? Oh,scusa. E che non ci sto più con la testa.
Sono brutale. Antipatico,... e fesso, - disse mentre tirava la linguetta della
lattina.
Sì. Sono proprio fesso. Hai visto, no! I carabinieri. Ho gli arresti domiciliari.
Che bella pacchia! Ma io ne uscirò. Vedrai. Anche lei se ne accorgerà. Ma tu...,
per quale motivo sei venuto?
- Ero venuto per chiederti... Ma vista la situazione, non penso che...-
- Quale situazione? Non preoccuparti.
Il suono del telefono lo tolse dall'impiccio di dovere per forza parlare.
Il professore si alzò ed andò a rispondere.
Era Laura.
Edoardo lo sentì che gridava stizzito; poi lo vide ritornare calmo e sereno.
Il professore prese l'asciugamano e si asciugò il viso; poi accese la radio.
Sentì "Penny Lane" dei Beatles.
Gualdi alzò gli occhi. C'era l'ombrello, la radio, ma non riusciva a vedere
il secchio d'acqua.
- L'acqua è dentro. Nel bagno. Preferisco farmi una doccia ed uscire fuori.Del
resto sono cambiate molte cose dal tempo del nostro amico Filippo. -
- Già, Filippo..., - disse, sottovoce, Gualdi.
Filippo era anche amico suo. Era morto da un paio di mesi per un intervento
chirurgico al fegato.Era andata male.
A Filippo non piaceva andare al mare; allora si organizzava.
Sul piccolo terrazzo della sua casa metteva un ombrellone e una sedia a sdraio.
Alla sua destra aveva una sedia dove metteva la radio. Dietro alla sedia a sdraio
metteva una tinozza, piena di ghiaccio con bibite e caffè.
E poi metteva al sole a scaldare un tinello pieno d'acqua.
Verso le due del pomeriggio, dopo aver mangiato, si sedeva soddisfatto sulla
sua sdraio e guardava davanti a sé. Quasi cercasse di scoprire qualcuno sulla
sua fantomatica spiaggia.
Poi incominciava a leggere "Black Macigno o Capitan Miki.
"Slip, bum! Slash! Ah, Boom, boom. Maledette giubbe rosse", lo potevi sentire
gridare stizzito.
Poi quando il sudore gli bagnava la fronte, lasciava perdere Black Macigno,
e si asciugava.
Era arrivato il momento di fare... il bagno.
Allora si avvicinava alla piccola tinozza, piena d'acqua, e con un piccolo secchiello
si versava l'acqua sulla faccia, sulle braccia, sul capo.
Quando stava sulla... sua spiaggia, non indossava mai il costume. Al massimo
aveva un pantalone corto.
Indossava sempre una camicia a maniche lunghe per nascondere la cicatrice grande
che aveva sul braccio.
Non seppero mai come s'era prodotto quella ferita.
Era Laura, disse.
Gualdi non rispose. Rimase muto. Prese una sigaretta dal
taschino e se la infilò in bocca. Il sole picchiava forte sulla sua testa e il
sudore incominciava a bagnargli la fronte.
Non cercò un posto all'ombra.
-
Uffa! Entriamo che questo cazzo di sole mi sta spaccando il cervello.
-
Edoardo lo seguì. Prima non l'aveva notato, ma ora che vedeva bene, si rese
conto che la stanza era un po' in disordine.
Si vedeva la mancanza di una
donna o di qualcuno che facesse le pulizie.
- Almeno tu hai Manuela. Io… chi
cazzo ho? Nessuno. Il preside della mia scuola non si è neanche degnato di farmi
una telefonata. E gli altri, i miei estimabili e ineguagliabili colleghi?
Niente. Per loro sono già colpevole. Bollato e cancellato.
Edoardo stava per
dire qualcosa, ma pensò che non era il caso.
- Laura, la bella e dolce Laura.
L'unico successo della mia vita, sai dirmi dov'è?… Avresti fatto bene a sposarla
tu, con te avrebbe avuto una vita migliore. E poi… perché ti lasciò, non l'ho
mai saputo.
- Passerà, Giacomo. Passerà. Tu riuscirai a farcela. Non sei uno
qualunque, - disse Edoardo.
- Sì, ce la farò. Passerà. Anche l'uragano prima
o poi passa, ma vedi poi che cosa lascia dietro di se: distruzione e morte. Se
avessi più coraggio, aprirei quella porta e andrei al mare. Invece, …aspetterò.
Aspetterò ancora un po'.
Edoardo l'abbracciò forte a sé, poi andò via.
Avrebbe fatto meglio a non
venire. Pensò al suo amico e al suo stato di prostrazione. In questi casi basta
un nulla per farti saltare il cervello, ma pensò che non era il tipo da fare una
sciocchezza, il professore era una persona equilibrata.
Stava per aprire lo
sportello della macchina, quando notò che di colpo nel viale era piombato il
silenzio. Poi… un colpo di pistola.
(c) Raffaele Crispino hermes2000@supereva.it
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