Garibaldi mi si presenta così come l'abbiamo sempre visto sui libri
di scuola: con barba, camicia rossa e ,leggermente chinato, con le mani poggiate
sulla grande sciabola.
Mi trovo in una casa gentilizia nella provincia di Nuoro in Sardegna.
Il generale, dopo aver constatato di aver sortito un grande effetto da quel
suo mostrarsi in controluce davanti alla porta, si avvicina, mettendo la sciabola
sul tavolo.
- Signor Garibaldi...-, esordisco.
Mi fermo. Garibaldi mi lancia un occhiata assassina.
- Un momento. Qui le domande le pongo io.-, dice Giuseppe Garibaldi, battendo
un pugno forte sul tavolo.
Si vede che deve avere tanta rabbia in corpo.
Ammutolisco.
- Ho saputo delle pretese di Francesco II di Borbone. Sembra che voglia una
statua al posto di Vittorio Emanuele II nella nicchia di Palazzo Reale a Napoli.
Ed io con i mille...-
- Erano proprio mille?-, chiedo, non riuscendo a frenare la mia lingua e con
il rischio di prendere qualche sciabolata in faccia.
Al contrario ,invece, Don Peppe si dimostra molto paziente.
- Ah, mille! No, eravamo mille e uno. Quest'ultimo l'abbiamo buttato a mare,
quando abbiamo fatto la conta. Scherzo, naturalmente. Eravamo in millenovanta.
Lei capirà che sarebbe stato difficile per gli studenti dire: la spedizione
dei millenovanta.Sapesse quante volte, prima di imbarcarci, abbiamo fatto
la conta. Abbiamo tentato di scartare questi novanta in più, adducendo
varie scuse. Con Nino abbiamo tentato di scartare gli stranieri.Non volevamo
che il mondo dicesse che avevamo conquistato il regno delle due Sicilie con
l'aiuto degli oriundi. Ma erano solo otto gli stranieri e fra questi c'era
anche mio figlio Menotti. Non potevamo.
Garibaldi prende fiato. Prende una brocca di vino rosso e ne versa un po'
nel bicchiere.
Beve.
Non si preoccupa se il suo intervistatore avesse sete.Poi continua.
- "Scartiamo i lombardi"Mi suggerisce Nino.Ma anche così
non raggiungevamo la cifra tonda,anzi andavamo sotto di una decina, e allora
la spedizione sarebbe stata dei novecentonovanta. Allora Bixio mi ha consigliato
di lasciar perdere."Diciamo che eravamo in mille,tanto chi vuoi che ci
contesti" ha detto. E così ho accettato. Eravamo mille. Gli studenti
possono sorridere.
- Erano trecento. Erano forti e belli...-, mi scappa di dire.
Garibaldi la prende come un offesa ed incomincia a sbraitare e a battere i
pugni sul tavolo.Gira e rigira per la stanza.Si passa una mano sulla faccia.Mi
guarda in tono minaccioso.
Dopo un poco, sfogata l'ira, incomincia di nuovo a parlare.
- Hai capito.Ora non conto un cavolo.Io che mi sono fatto un mazzo così.
Lo sbarco a Marsala. La battaglia di Calatafimi, e poi sull'Aspromonte e le
battaglie in Campania. Io, che ho fatto mille battaglie, non ho neanche una
statua.E che diavolo! Siamo uomini o non!-
- In realtà, signor Generale, una sua statua c'é a Napoli, e
precisamente nella piazza a Lei intitolata. -
- Ma non mi faccia ridere. In quella piazza! Ma che l'hanno messa a fare lì.
Che sto a guardare la Rinascente? E poi con tutte quelle macchine, che mi
girano intorno, pensi che il giapponese o l'americano, quando arriva alla
stazione, s'intrufola tra le macchine per vedere la mia statua?-
- Be', ha ragione. Potrebbero metterla di fronte alla stazione di Napoli Centrale
con un po' di verde intorno. -
- Oh, non mettiamo carne a cuocere. La statua la voglio nel salotto buono
di Napoli, a piazza Plebiscito al posto di Vittorio Emanuele II. In fondo
chi é che ha conquistato il regno di Napoli?-
- Lei, signor Generale.-
- E allora! Vittorio Emanuele II ha fatto solo una passeggiata fino a Teano.
Il posto nella nicchia di piazza Plebiscito spetta a me. E' mio e basta. Lo
dica, lo dica forte agli Organi Competenti. Bene, l'intervista é finita.-
Sto per andare via, quando...
- Guagliò, non é che hai dimenticato qualcosa?-, chiede in modo
gentile Garibaldi.
- Ah, sì! Il dono.-
Metto sul tavolo una pietra incandescente del Vesuvio, posta in un recipiente
termico.
E, prima che Don Peppe (istintivo com'é) prenda la pietra in mano,
chiudo in fretta la porta e scappo .
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