LICEOVERONESE2

Provveditorato agli  Studi  di Treviso

  Home Su Sommario      

Per non perdersi:
MAPPA DEL SITO

Ricerche sul Web?

Home
News
Informazioni
Proff. & Staff
I Licei
Scambi Estero
Rubriche
Servizi
Sport
Studenti
Genitori
English
Francais
Deutsch
Mappa
DOWNLOAD

ESERCIZI  DI  STILE

Magazine on line 

ovvero: il piacere di scrivere!

 
 

Guerra e Pace di Morena Battilana, (3F Linguistico)

Un testo, una canzone, un po' di idee: L' Isola Che Non C'è (Edoardo Bennato) di Silvia Frassetto (2E Linguistico)

Un testo, una canzone, un po' di idee: La Guerra di Piero (Fabrizio De Andrè) di Valentina Bessegato ((2E Linguistico)

L'Amore di Morena Battilana (3 F Linguistico)

Il Valore del Regalo di Andrea Modesto (3 B Liceo delle Scienze Umane)

Islam e Occidente: dualismo inconcilabile? a cura di Alessia Casagrande, Selena Perotto, Chiara Sgarbossa (5A), Paola Citarella, Francesca Sernaglia (5E), Vanessa Berlato e Elena Zanotto (5F)

Fare scuola dopo Auschwitz di Silvano Sabbadin, docente

La Shoah e la Memoria di Linda Martignago, Jacopo Rossi (4F Linguistico) - Gisella Piccolo, Silvia Pozzebon (4 A Psico Pedagogico)

Rapporto tra Cultura e Politica di Silvia Nicoletti, Elena Pasqualato, Elisabetta Posmon e Michele Pandolfo  (classi 5 E - 5 F Liceo Linguistico)

 

 

Un altro scritto, 
sotto forma di lettera questa volta, 
di Morena Battilana, 
che le ha valso una segnalazione nell'ambito della 
II° edizione del premio "Antonio Russello"
(Castelfranco Veneto, 18 maggio 2003)

 

GUERRA E PACE

di Morena Battilana 3F Linguistico

 

Caro amico lontano…

 

   Ti scrivo per raccontarti di quel giorno in cui mi recai a Venezia, perché mi successe qualcosa di impensabile che devo assolutamente condividere con qualcuno.
Era un giorno uggioso e triste. Una candida pioggerellina continuava imperterrita a posarsi sulla gente che passeggiava. Le mie ossa erano intrise di umidità e solitudine, perciò, dopo parecchi chilometri di madido cammino, decisi di abbandonarmi per un poco al calore di un esiguo locale di una calle dimenticata. Mi sedetti tranquilla ad un tavolino in un angolo e ordinai una tazza di caffè bollente….
Aspettando l’amara bevanda, cominciai a volgere un poco il mio sguardo sugli altri clienti, e la mia attenzione subito fu attirata da due donne che parlavano pacatamente tra loro. Questo mio interesse fu dettato inizialmente dalle loro vesti: indossavano due tipiche maschere carnevalesche veneziane (sai, quelle sontuose ed eleganti, molto curate nei dettagli), che donavano un’indescrivibile maestosità ad entrambe.
Una delle due aveva un  abito di color bianco, intarsiato di piccoli brillanti sul petto e sulle maniche del vestito. La gonna di questa era ampia, luminosa, ricamata di un pizzo finissimo e minuzioso e, sotto questa, si scorgevano due piccole scarpette bianche senza tacco. La maschera che indossava sul viso mi mise un po’ d’inquietudine: era pallidissima, di un candore marmoreo, con  lineamenti dolcissimi e nel contempo molto tristi. Infatti, scendeva una piccola lacrima argentea da quegli occhi dipinti con così tanta cura.
L’altra donna invece, pareva l’opposto. Il vestito che indossava era più nero delle notti senza luna, più scuro dell’ebano, più tetro di un pozzo abbandonato. Tuttavia questa tinta cupa non animò in me un senso di apprensione: piuttosto, di fronte ad essa, l’unica sensazione che riuscii a individuare fu un vuoto interiore. La gonna del suo abito era anch’essa buia, anche se, tra le pieghe di questa, si intravedevano degli sprazzi dorati e sanguinei. Sul petto tintinnavano delle piccole monete d’oro e lungo le maniche del corpetto brillavano degli esili serpenti di filo giallo luccicante. La sua maschera era ombrosa, con folte piume di corvo tutt’attorno, e con agghiaccianti rubini vicino agli occhi. 
Non puoi assolutamente immaginare quanto angosciante e attraente fosse per me il fatto di starmene lì a scrutare queste due donne avvolte nel mistero. Purtroppo dall’angolo in cui ero seduta non riuscivo a  udire ciò che si stavano dicendo; in più le maschere sui loro visi mi impedivano di decifrare le emozioni che esse stavano provando in quel momento.
Nonostante questo, capii che dovevano essere veramente unite, forse amiche del cuore, se non addirittura legate da un immacolato rapporto saffico. Le loro mani si sfioravano teneramente sopra il tavolo e la postura di entrambe comunicava un sentimento di placidità. Non erano assolutamente in contrasto tra loro (come invece sembravano far capire i costumi): pareva piuttosto che in quel piccolo locale sconosciuto, le due amanti si dichiarassero totalmente complementari l’una dell’altra. Non so, questa mia convinzione che ci fosse un legame indissolubile tra le due donne si addentrò da subito nel mio animo.
Continuavo a fissarle intensamente, e mi perdevo nell’infinità del tempo osservando i loro gesti. Era come se tutto intorno a me fosse sfocato e appartenesse ad un’altra dimensione: tutto ciò che riuscivo a percepire erano quelle due insolite figure, e davvero non ero capace di distogliere il mio sguardo da quella coppia. Intanto il mio caffè continuava a fumare sempre con meno vigore.
D’un tratto le due donne si volsero contemporaneamente verso di me. Mi accorsi in un bagliore che i loro sguardi penetranti superavano la barriera delle maschere e si fondevano direttamente nei miei occhi. Con un senso di vergogna e pudore, tentai di abbassare la vista, ma qualcosa me lo impedì. La loro occhiata era magnetica e ammaliatrice; non potevo fare altro che obbedire al loro desiderio: la  reciproca volontà di attirare fino in fondo la mia attenzione.
Poi tutto attorno a me svanì realmente e magicamente. Mi ritrovai a tu per tu con le due dame, in un luogo inspiegabile e a me oscuro: sembrava una sorta di quieta catacomba che non mi trasmise né gioia né dolore, né paura né tranquillità.

Le due donne continuavano a scrutarmi mentre nella mia mente si aggrovigliavano pensieri, quesiti e domande. Socchiusi le labbra insicure per tentare di chiedere spiegazioni, anche se nel mio più profondo ego sapevo bene che loro non desideravano sulla mia bocca tremolante per farmi tacere…. 
Non accadeva nulla. Restavamo semplicemente lì in silenzio, senza fare il minimo movimento o rumore. Quella staticità mi penetrò nell’anima con impetuosità, ma senza farmi del male vero e proprio. Di tanto in tanto chinavo lo sguardo dinanzi a loro, come se fossero state divinità o esseri metafisici, ma le donne continuavano a non parlare, a non respirare neppure. Sembravano due statue prive di vita, due cadaveri paranormali e fatati in grado di scrutare la mia mente intrisa di paranoie, paure, emozioni.
Pensai che non aspettassero altro che un mio attimo di cedimento, e devo dire che in effetti, questo non tardò ad arrivare…. In un baleno tutti i miei pensieri ghiacciarono nel mio sangue bollente, e crearono un lampo nero che mi lacerò l’anima. Credei di perdere i sensi, di cadere, di svenire, ma proprio in quell'istante di perdizione le loro mani immortali mi cinsero le braccia, mi ressero con forza in piedi, mi obbligarono a rimanere presente e lucida.  Poi, con passione sfrenata, le due amanti si slanciarono verso il mio viso, e contemporaneamente socchiusero le loro labbra freddissime e roventi sulle mie.
Nulla durò quel bacio, al massimo un battere d’ali di farfalla; eppure mi sembrò un’eternità intera.
Si staccarono, si fissarono con velocità e poi all’unisono mi spiegarono il motivo della loro visita e la loro stessa natura astratta. Infine mi dissero i loro nomi….
E così tutto finì.
Ritornai repentinamente nel piccolo locale dimenticato e nessuno pose la minima attenzione su di me, che ero stata altrove così a lungo e che solo ora ero riapparsa. Ansimavo per la fatica, il cuore sussultava impaurito. Il mio caffè era ancora lì immobile, ma oramai era freddo. Al tavolino incantato le donne non c’erano più.
Mi alzai, pagai e me ne uscii di lì, senza aver bevuto la bevanda che aveva perso il suo essere invitante. Me ne tornai sotto la pioggia e fortunatamente l’aria aperta mi rischiarò le idee e la mente. Piansi a testa alta per la gioia e per il dolore, per la paura e per la tranquillità. Avevo in testa le due donne: ora danzavano assieme, ora si abbandonavano all’amore più intimo, ora erano complici, ora rivali. Ora una e poi l’altra giacevano immobili su sarcofagi  d’avorio….
Camminai, presi il treno e rientrai a casa. E poi sognai, pensai, riflettei a lungo su ciò che mi era accaduto quel giorno. 
Vuoi sapere cosa mi dissero le due donne? Quando esse  parlarono, mi spiegarono che la loro esistenza era condizionata dall’uomo; erano due creature trascendenti e incorporee, presenti sulla terra dall’inizio della vita, che avevano assistito a tutti i procedimenti della storia dell’umanità: interagivano col mondo intero giorno dopo giorno. Tentarono di spiegarmi anche che non erano in opposizione l’una all’altra (anche se lottavano per due fini opposti), che si amavano e si odiavano costantemente, che però l’una non poteva esistere senza l’altra. Erano in vita grazie a una complicità segreta.
Non mi seppero dire perché avessero scelto e aspettato me per dire tutto questo. Io penso che lo fecero, in quanto ero l’unica che era riuscita ad intuire questa complementarietà dal primo istante in cui posai gli occhi su di loro….
Scusa lo sfogo, caro amico lontano, ma non riuscivo più a tenermi dentro tutto questo. Anche se ti è difficile credere a questo racconto, ti supplico di prestarmi fede perché necessito di un appoggio morale in questo momento di inconsapevolezza e stupore. Da quel giorno in poi la donna bianca e l’oscura dama nera mi accompagnano e vivono in me ovunque io sia, e chissà mai che  un po’ di loro non si sia impregnato anche in te per mezzo di questa lettera confusa.
Ti saluto con affetto e attendo con impazienza una tua risposta e una tua opinione sul fatto accadutomi.

A presto,        …la tua cara amica.


P.S.: ah, dimenticavo la cosa più importante…. Le due donne hanno i nomi di Pace e Guerra. 

 

 


UN TESTO, UNA CANZONE, UN PO' DI IDEE:
L'ISOLA CHE NON C'E'   (Edoardo Bennato)


di Silvia Frassetto  2 E Linguistico
 

Seconda stella a destra
questo è il cammino
e poi dritto, fino al mattino
poi la strada la trovi da te
porta all'isola che non c'è.

Forse questo ti sembrerà strano
ma la ragione
ti ha un po' preso la mano
ed ora sei quasi convinto che
non può esistere un'isola che non c'è

E a pensarci, che pazzia
è una favola, è solo fantasia
e chi è saggio, chi è maturo lo sa
non può esistere nella realtà!....

Son d'accordo con voi
 non esiste una terra
dove non ci son santi né eroi
e se non ci son ladri
se non c'è mai la guerra
forse è proprio l'isola
che non c'è.... che non c'è!...

E non è un'invenzione
e neanche un gioco di parole
se ci credi ti basta perché
poi la strada la trovi da te...

Son d'accordo con voi
niente ladri e gendarmi
ma che razza di isola è?
Niente odio e violenza
né soldati né armi
forse è proprio l'isola
che non c'è.... che non c'è!

Seconda stella a destra
questo è il cammino
e poi dritto, fino al mattino
poi la strada la trovi da te
porta all'isola che non c'è.
... E ti prendono in giro
 se continui a cercarla
 ma non darti per vinto perché
 chi ci ha già rinunciato
 e ti ride alle spalle
 forse è ancora più pazzo di te!

 

 

La pubblicità si appropria di molte cose.
Una canzone degli anni settanta è stata riproposta recentemente come sottofondo musicale di una comunicazione pubblicitaria.

Questo è anche servito per riscoprirla considerato che molti quando uscì ancora non esistevano.

Si tratta dell’ “Isola che non c’è” canzone che Edoardo Bennato compose nella seconda metà degli anni settanta e che è inclusa nell’album “Sono solo canzonette”.
Edoardo Bennato è un cantautore napoletano di estrazione proletaria che canta con anticonformismo.
Un autore che scrive contro il potere, il denaro, l’arrivismo e l’ipocrisia.
Questa canzone parla proprio di un’isola perfetta senza odio e senza guerra che rappresenta lo specchio della sua visione del mondo ideale; è un’isola che presenta però un unico problema: non c’è.
Vi è quindi un contrasto tra la realtà e l’irrealtà, l’isola è un’utopia, è frutto dell’immaginazione pensare che esiste.
In effetti non vi è alcun posto al mondo dove non ci sia mai la guerra, l’odio, la violenza… lui se ne rende conto, sa che non può esistere un posto così perfetto, ma nonostante questo continua ad immaginarla, a coltivare questa illusione ed è alla continua ricerca di un mondo che si possa avvicinare all’isola che non c’è.
Attribuisce, inoltre, notevole considerazione alla ricerca di un posto così perché è essenziale nella vita sognare, credere ed ambire a qualcosa, avere aspirazioni e desideri perché, in fondo, è nella natura di ciascuno di noi; la nostra vita sarà sempre piena di sogni e di speranze, che aiutano a superare momentanee situazioni di sconforto, a dare più gioia alla propria esistenza e a volte sono proprio queste a dare un senso alla vita.
La canzone è molto coinvolgente, efficace, semplice ma allo stesso tempo complessa perché pur utilizzando un metodo agevole, sembra quasi una favola, racchiude un importante contenuto che mira ad esprimere un forte messaggio: nonostante le difficoltà ed i possibili scoramenti che la vita inevitabilmente ci presenta bisogna comunque aspirare ad una meta anche se difficile o irrealizzabile; bisogna sperare….
Inoltre il testo è di evidente attualità perché la gente al giorno d’oggi sente sempre più la necessità di sognare e di avere ambizioni per vivere una vita felice e soprattutto in momenti come l’attuale, con la guerra alle porte, c’è bisogno di speranze perchè se dovesse un giorno scoppiare sarebbero proprio quest’ultime a farci sognare un futuro migliore.

 

 

UN TESTO, UNA CANZONE, UN PO' DI IDEE: 
LA GUERRA DI PIERO  (Fabrizio De Andrè)


di Valentina Bessegato  2 E Linguistico
 

Dormi sepolto in un campo di grano, non è la rosa, non è il tulipano,

che ti fan veglia dall’ombra dei fossi, ma sono mille papaveri rossi.

“Lungo le sponde del mio torrente voglio che scendano i lucci argentati,

non più i cadaveri dei soldati portati in braccio dalla corrente.”

Così dicevi ed era d’inverno e come gli altri, verso l’inferno

te ne vai triste come chi deve, il vento ti sputa in faccia la neve.

Fermati Piero, fermati adesso, lascia che il vento ti passi un po’ addosso,

dei morti in battaglia ti porti la voce, chi diede la vita ebbe in cambio una croce.

Ma tu non lo udisti e il tempo passava con le stagioni a passo di “java”

Ed arrivasti a varcar la frontiera in un bel giorno di primavera.

E mentre marciavi con l’anima in spalle vedesti un uomo in fondo alla valle

Che aveva il tuo stesso identico umore ma la divisa di un altro colore.

Sparagli Piero, sparagli ora e dopo un colpo sparagli ancora,

fino a che tu non lo vedrai esangue, cadere in terra a coprire il suo sangue.

“E se gli sparo in fronte o nel cuore soltanto il tempo avrà per morire,

ma il tempo a me resterà per vedere, vedere gli occhi di un uomo che muore.”

E mentre gli usi questa premura quello si volta, ti vede, ha paura

ed imbracciata l’artiglieria, non ti ricambia la cortesia.

Cadesti a terra senza un lamento e ti accorgesti in un solo momento

Che il tempo non ti sarebbe bastato a chieder perdono per ogni peccato.

Cadesti a terra senza un lamento e ti accorgesti in un solo momento

che la tua vita finiva quel giorno e non ci sarebbe stato ritorno.

“Ninetta mia, crepare di maggio ci vuole tanto, troppo coraggio.

Ninetta bella, diritto all’inferno, avrei preferito andarci in inverno.”

E mentre il grano ti stava a sentire, dentro alle mani stringevi il fucile,

dentro alla bocca stringevi parole troppo gelate per sciogliersi al sole.

Dormi sepolto in un campo di grano non è la rosa, non è il tulipano

Che ti fan veglia dall’ombra dei fossi ma sono mille papaveri rossi.

 

Composta dal cantautore genovese Fabrizio De Andrè nel 1968, la canzone “La guerra di Piero” è uno dei brani tratti dall’album “La canzone di Marinella”.
Il brano è scritto sottoforma di ballata e il testo, in lingua italiana, si articola in quattro strofe seguite da una ripresa e da un finale, il quale riprende l’inizio della canzone sia sul piano testuale sia su quello musicale. 
La melodia è sempre uguale e con un ritmo costante supporta lo sviluppo del testo. La canzone presenta una struttura narrativa, la storia è raccontata nell’arco delle quattro strofe e non è presente il ritornello. 
Le vicende del soldato Piero sono narrate sottoforma di ballata. Piero, che ripudia la guerra e la violenza in maniera convinta, non trova il coraggio di uccidere un soldato nemico, il quale impaurito spara per primo. 
Ma Piero non è un vigliacco, ha agito così spinto da un sentimento di fratellanza e da un invincibile orrore per la guerra, l’odio e la violenza. Nelle strofe viene data la parola al protagonista, il quale esprime tutta la sua umanità sia nel momento in cui si rifiuta di uccidere il soldato, sia quando, emerso il suo lato più dolce e poetico, manifesta il suo rimpianto per dover morire in primavera, periodo sereno, allegro e pieno di vita. Il testo si conclude con la morte di Piero che giace su un campo di grano.

Con questa canzone l’autore esprime tutto il suo odio per la guerra, senza polemiche o retorica. 
La storia di Piero, semplice ed essenziale ma chiara e diretta allo stesso tempo, è un atto d’accusa contro la guerra in generale e invita alla riflessione dell’ascoltatore sui temi della pace, della fratellanza e dell’amore. 
Una melodia orecchiabile, sebbene triste e malinconica a causa dei contenuti tragici del testo, addizionata a parole e frasi semplici e comprensibili, ma non per questo meno significative, fanno de “La guerra di Piero” una delle canzoni più famose e di maggior rilievo scritte da De Andrè; canzone perfettamente coerente con lo stile del cantautore genovese, il cui brani sono spesso uno stimolo per la critica e la riflessione e nello stesso tempo trattano e ripudiano temi impegnativi come per esempio la guerra. 
Una canzone dai contenuti molto profondi, seri ed importanti, trattati in maniera coerente e senza cadere sul facile sentimentalismo.

                                  

 

 


Con questo brano Morena Battilana (nella foto a destra) 
ha ottenuto il 2° premio ex-aequo del 
Concorso Nazionale di prosa "Sincerità" - 12° edizione 2002 -
 organizzato dall'Associazione Culturale Pegaso di Biella.
A Morena vanno le sincere congratulazioni 
dei compagni di classe, degli studenti dell'Istituto, 
dei Proff. , della Preside e del... webmaster.
Che sia nata una stella? ... 
Ce lo auguriamo e lo auguriamo a Morena. Con affetto.

 

L’AMORE

di Morena Battilana 3F Linguistico

 

Nell’intimità del buio della notte sto qui, al centro di una strada. 
Cammino lentamente, completamente immersa nella nebbia più fitta e deprimente. Cerco invano di camminare diritta su quell’unica striscia bianca che riesco a scorgere sotto i miei piedi. Tra le labbra screpolate e tagliuzzate giace una sigaretta sottomarca, piegata, umida, schifosa. La mia unica compagnia? Il Nulla.
Me ne sto andando da questo posto insignificante. Sto partendo per un lungo viaggio senza meta, senza confini, senza emozioni. Mi avventuro in qualcosa di così estraneo semplicemente per sfuggire al mio nemico più potente e infame: l’Amore.
Non posso rimanere nemmeno un altro po’. Rischio di essere spezzata, scarnificata, annientata. Che poi, non so neanche io se sia peggio di quello che mi aspetta qui fuori, tutta sola.
Comunque, in ogni caso devo provare e rischiare.
Mentre muovo impazientemente i miei arti ghiacciati per avanzare incessante, un qualcosa di indistinto, piccolo e maligno mi attanaglia la mente e la gola.
E’ qualcosa di strano. Mi parla di trasferirci assieme in un piccolo monolocale a Milano. Disegna in modo confusionario dei tratti in bianco e nero che ritraggono piccoli flash di vita. Canta, strimpella una chitarra acustica scrostata, scrive pezzi di una canzone punk al chiaro di luna, in riva al mare. Ride. Poi, mi stringe e coccola, mi bacia.
Lo allontano dalla testa. Lo allontano con una piccola lacrima salata. Vorrei credere che Lui non ci sia nelle lacrime e nel cervello. Eppure so che Lui è scandalosamente lì… Mi sale un lieve rantolo di voce, dallo stomaco vuoto e affamato: vorrebbe sbraitare per cacciarLo, per spaventarLo, per ucciderLo… 
Ma poi si ferma e razionalmente capisce: non può allontanarLo, intimidirLo, punirLo. Lui in fondo è l’Amore. E cosa può salvare quel poco che è rimasto del mio ego da questo insaziabile e sadico Venditore di illusioni? La morte, forse?
Accendo la sigaretta che da più di un’eternità penzola dalla mia bocca rinsecchita. Il primo tiro di tabacco bagnato fradicio mi annienta il cervello. Poco male. Chissà che almeno così certi pensieri estenuanti mi diano un po’ di tregua….
D’un tratto mi pare che anche l’aria segua il dissolversi delle mie paranoie solitarie. La nebbia si è vaporizzata, ed ora, bene o male, attorno a me vedo qualcosa. Scorgo una piccola chiesetta con qualche lumino acceso all’interno. Storco il naso, perché non mi va di distendermi proprio qui per passare la notte (in fondo, è una vita che non mi avvicino più alla religione). 
Però… sono veramente distrutta, e neppure il caro amico Nulla, che mi accompagna, mi può aiutare ad andare avanti ancora un po’. Per cui mi siedo in disparte, al riparo da quel lieve venticello pungente, senza essere notata da anima viva. E chiudo gli occhi.
Non mi capita di sognare spesso, per cui non sento quel terrore angoscioso nel socchiudere le palpebre. So che sono sola, e non devo aver paura. Fa tanto freddo però…
Poi, tutto un tratto, sento un tepore, scorgo una luce fioca, calda e accogliente. Percepisco una mano sul viso rigato dal trucco sbavato: dita lunghe, magre, sensibili. Mi rifiuto di aprire gli occhi. Si appoggiano due labbra carnose e tiepide sulla mia fronte, sul mio naso, sul mio mento. Una lingua umida e felina mi passa sul collo, dietro l’orecchio sinistro, appena più su del serpente tatuato sull’incavo della clavicola. Ma perché sei tornato? Lasciami sola. Non posso stare con Te.
Amore allontanaTi, torna da dove sei arrivato, ripercorri all’indietro i momenti passati assieme.
Dimenticami e cerca di gettare via i ricordi della vita passata. Tu non puoi attaccarti a me. Lo sai che non ti è permesso.
Amore, non puoi innamorarTi di me…
Ma Lui non mi ascolta, Lui non mi vuole dare retta, Lui è testardo. Mi bacia violentemente, con foga e passione, per farmi tacere, per far sì che io la smetta un po’ di farneticare. Quante volte me lo rinfacciava quando eravamo felici e uniti.
Ricambio quel piccolo gesto di gioia, lo stringo un po’ a me. Ma dolcemente. Non posso far male alla mia piccola anima fragile. Lui trema, distratto e inconsapevole. Infine si lascia sopraffare dalla stanchezza e cade sfinito su di me… e scompare.
Mi stringe di nuovo il freddo, ma sento ancora qualche nota di chitarra… odo lo scricchiolio di un cuore che pian piano si spezza. Credo sia il mio.
Non ho sognato, non me Lo sono immaginata. Quelle emozioni escludevano sogni, allucinazioni e supposizioni…. Era tutto vero, e Lui era lì.
Terribilmente cerco di riprendermi. Mi alzo, mi scrollo di dosso la malinconia e riprendo il mio cammino. Mi ero ripromessa di distanziarLo se mai si fosse riavvicinato a me. E invece?
Per l’ennesima volta ha fatto ciò che desiderava, ovvero farmi stare male.
Lui, così immenso, perfetto, impareggiabile. Lui, la mia luce che grida nel buio; Lui, il mio dolore che sussurra alla gioia; Lui, il mio Dio illuminato dalle tenebre. Lui, l’Amore che mi illude.
Temporeggio un istante, mi guardo attorno. Non c’è davvero nessuno. Eppure sento di non essere sola. Mi sta guardando e, forse, sorride. Sa che mi ha ferito ancora ed è orgoglioso del suo lavoro. Il suo compito in fondo è quello di uccidermi lentamente dentro per farmi crescere e fiorire fuori.
Spesso mi balena nella mente che tutto ciò sia ingiusto. Non me lo merito. In fondo io ho sempre creduto che Lui ci tenesse a me, ho sempre supposto che l’Amore mi amasse per davvero.
Sto per scoppiare a piangere per l’ennesima volta: mi sento ridicola, fragile e insicura. 
Ma non mi è possibile farlo: mi si sono prosciugate tutte le lacrime e, insieme ad esse, anche l’anima.
Allora mi specchio per un istante nella vetrina di un negozietto di antiquariato e, tra la mia immagine riflessa ed un piccolo tavolino dell’Ottocento tarlato ed intagliato, d’un tratto scorgo Lui. E’ alla mia sinistra e mi guarda attonito. Catturo per un istante il suo sguardo, che non è lieto come lo avevo immaginato. Anzi, la lacrima che non è scesa dai miei occhi, si è appropriata del suo viso, e gioca sui suoi dolci lineamenti raffinati ondeggiando tremolante. L’amore non parla, non respira nemmeno. Mi fa però capire che Gli dispiace di dovermi crescere in questo modo truce e doloroso. Poi, con un ultimo sguardo mi trasmette i suoi veri sentimenti.
Capisco che ho sempre avuto ragione.
L’Amore è davvero rimasto ammaliato da me. Solo da me.
Ed ora piange silenziosamente perché Egli, essendo la forza misteriosa per eccellenza, non può permettersi questo: non può accendersi d'amore per una comune mortale, quale io sono. Non può.
Lo fisso per un’ultima volta e gli scorgo in mano un tagliacarte dorato intarsiato di piccoli rubini. La punta affilata di questo incide lentamente il suo collo….
Mi giro di scatto per fermarLo, per non far morire il mio Amore… ma Lui non c’è più.
Alzo gli occhi al cielo assassino, e… c’è del sangue sulla luna. E’ l’Amore che muore….

 

 

 

IL VALORE DEL REGALO

di Andrea Modesto - 3 B

Ogni regalo racchiude qualcosa dentro di se e non rappresenta altro che una forma di

comunicazione di una persona verso un’altra.Per esempio in un regalo come un anello può essere racchiusa una proposta, in un regalo come un orsacchiotto può essere racchiusa una dimostrazione di affetto anche se in ogni caso tutto dipende ovviamente dal mittente e dal ricevente visto e considerato che per ogni persona ogni oggetto ha un significato ed un valore particolare.

Questo è ciò che riesco a vedere in un regalo,in un regalo vero.

Ma guardandosi intorno si può notare che il valore del regalo sta perdendo importanza. Infatti il regalo sta diventando sempre più spesso, ormai, una pura formalità, un semplice atto di circostanza che si fa per tradizione, per abitudine e, nel peggiore dei casi, per un secondo fine. In molte circostanze sembra sia diventato quasi un peso! E quando il regalo si trasforma in un atto dovuto vuol dire che dentro di sé contiene poco o niente!

Certo è che non tutti i regali assumono queste forme, ovviamente! Molti ancora li fanno mantenendo vivo il loro valore, per fortuna.

Un regalo deve essere qualcosa di spontaneo e qualcosa di prezioso come è la persona che lo riceve!

Che tristezza quando ci si accorge che tra due persone il farsi il regalo non è diventato altro che un puro e formale baratto… è proprio desolante e questo può essere visto come la prevalenza della finzione, della formalità sulla trasparenza e sulla spontaneità e come un grande limite di una società chiusa mentalmente che ha ancora tanta strada da fare nell’ambito interiore…

Insomma da un semplice gesto come un regalo si possono capire e cogliere degli aspetti molto importanti sia di un singolo individuo ma anche di un’intera comunità!

Ma in ogni caso per me un regalo continuerà ad avere lo stesso significato,avrà lo stesso valore di una canzone che ti riempie il cuore e di un sorriso che ti trasmette energia e che ti fa sentire felice, anche solo per un istante

 

 

 

Relazione sull'incontro  dibattito 
del 19 ottobre 2002:
L'Islam e Occidente, dualismo inconciliabile?"

a cura di Alessia Casagrande, Selena Perotto, Chiara Sgarbossa (5 A), Paola Citarella, Francesca Sernaglia (5 E), Vanessa Berlato e Elena Zanotto (5 F)

Coordinamento: proff. Paola Bellin, Maria Pia Comin e Maria Luisa Zin 

Relatori:

Prof. Silvio Lanaro: ordinario di storia contemporanea presso la Facoltà di Lettere e Filosofia all'università di Padova. Attento studioso e profondo conoscitore della realtà della nostra terra e dei suoi abitanti.
Prof Gianni De Michelis: già docente all'università Ca' Foscari di Venezia, esperto di politica internazionale e ministro degli esteri negli anni 1989-92, membro del comitato esecutivo dell'Aspen Institute Italia di cui è stato presidente.

La conferenza a cui abbiamo assistito si proponeva di discutere approfonditamente uno dei problemi attuali più pressanti: il difficile rapporto tra Islam e Occidente, resosi evidente e preoccupante a partire dall'11 settembre 2001, quando l'Occidente stesso fu colpito duramente al cuore.
Da quel momento emerse una questione che non era più possibile rimuovere: bisognava trovare soluzione al dualismo e riavvicinare in qualche modo due culture tanto differenti, cercando di porre fine a quel fenomeno chiamato "integralismo", che minaccia l'intero Occidente e tutti gli "infedeli". Su questa linea si è sviluppata la relazione, che ha cercato di rispondere al quesito: "Islam e Occidente, dualismo inconciliabile?"
I Proff. Silvio Lanaro e Gianni De Michelis hanno trattato due aspetti differenti del problema: il primo ha affrontato la problematica dal punto di vista storico-culturale, il secondo invece si è preoccupato di analizzarla sotto il profilo socio-economico-politico; entrambi gli aspetti sono importanti e si integrano.
La minuziosa analisi della situazione vuole mostrarci quanto siano profonde le radici delle tensioni Islam-Occidente, per capire finalmente se c'è una soluzione o dobbiamo rassegnarci a tutto l'odio in cui siamo costretti a vivere ... odio che ci rimanda a questioni passate, come le terribili Guerre Mondiali.
Dopo tutte le considerazioni fatte non ci resta che porci l'ultima domanda: trionferà la ragione?

Il prof. Silvio Lanaro ha articolato il suo discorso in due momenti che riguardano aspetti fortemente legati tra loro e sono
-
i rapporti internazionali Islam-Occidente;
- la necessità di una convivenza civile tra culture e religioni diverse, senza sfociare in presuntuose prese di posizione.

Nella sua esposizione del problema si è servito anche dell'intervista a Bassam Tibi, "Islam, passa per l'Europa un futuro democratico" di Nina Fúrstenberg, in La Repubblica del 17 ottobre 2002.

Partendo dai dati forniti dall'articolo egli ha illustrato come il numero dei musulmani che emigrano in Europa sia in continuo aumento: dagli 800 mila del 1950 si è passati ai 15 milioni del 2000 e infine ai 17 milioni dell'ultima registrazione, risalente al settembre scorso; il che evidenzia la serietà e le dimensioni del problema.
Nell'osservazione dell'Islam e delle etnie che lo compongono è comune incorrere nell'errore di identificare l'Islam con il mondo arabo, quando molti paesi che si considerano islamici sono invece islamizzati come l'Indonesia e il Pakistan. Nella maggior parte dei casi poi sono proprio questi ultimi ad essere quelli fra i quali sono reclutati gli integralisti e i fondamentalisti. Un esempio di ciò è riscontrabile nel libro di Naipol dove viene tratteggiato il ritratto di un indonesiano di Giakarta che, pur essendo un "mago" della tecnologia, non dimentica mai di inginocchiarsi sul suo tappetino per le cinque preghiere quotidiane.
Questo forte attaccamento alla religione si riflette nella mancanza dell'individualismo, che caratterizza la società occidentale. A differenza dell'Occidente nel mondo islamico non vi è una distinzione tra Stato e Chiesa; esiste, invece, la "Umma", cioè la comunità dei fedeli, che si configura come un'unica entità in cui potere temporale e spirituale coincidono; quindi viene a mancare la distinzione fra comportamento pubblico e privato a favore di una concezione teocratica.

E' davvero inconciliabile il dualismo Islam-Occidente? Secondo il prof. Gianni De Michelis, per dare la risposta, bisogna attualizzare la situazione riferendola al contesto in cui viviamo e non bisogna dimenticare come l'Islam abbia dietro a sé circa 1400 anni di esistenza, anche se il problema del fondamentalismo è riemerso solo in occasione dell'11 settembre 2001.
Da quel momento siamo entrati in una fase di transizione, in cui è cambiato l'ordine mondiale e l'unica certezza è l'esigenza di trovare una soluzione, che riporti l'equilibrio.
Questa instabilità, però, emersa soltanto dopo il terribile attacco all'America, esisteva già da moltissimo tempo e per trovare le sue radici bisogna andare alla "lontana" dissoluzione dell'Unione Sovietica, in occasione della quale si ruppe l'equilibrio mondiale e si entrò nella fase di transizione in cui tuttora viviamo.
Alla caduta dell' "impero" comunista seguì un periodo di "disinvoltura e distrazione": i vari paesi, infatti non si curavano molto della situazione e tanto meno si preoccuparono della fatica che occorreva per dare una nuova organizzazione al Mondo. Per avere un'idea di ciò, basta ricordare la tesi di un intellettuale americano di origine giapponese, secondo il quale, con la caduta dell'Unione Sovietica, sarebbe giunta la "fine della storia" in senso hegeliano, con l'affermazione della democrazia di stampo occidentale, modello che non prevedeva alcuna evoluzione.
Tale tesi a suo tempo, venne sostenuta dallo stesso Clinton, dall'intera società americana e da tutto il mondo.
Dopo tutti questi anni di 'disinvoltura e disattenzione" da parte di molti, Bin Laden si è imposto, approfittando della totale noncuranza.
Così, a capo dell'organizzazione "Al Qaeda", il terrorista per eccellenza ha portato l'angoscia nel mondo, con l'intento di imporre il suo modello di ordine.
Il suo scopo è mutare la situazione nei paesi arabi ed unificare l'intera nazione islamica, passando da "califfo virtuale" a "califfo reale", successore legittimo di Maometto.
Questa missione risulta, oltre che frutto della mente contorta di uno squilibrato, la vendetta per la distruzione del califfato stesso e la cacciata del sultano ottomano ad opera degli occidentali in occasione della fine della prima Guerra Mondiale (1922) e quindi la rivincita per tutte le umiliazioni subite dal mondo islamico nel corso degli ultimi 80 anni.
Ora come ora gli Americani sono fermamente convinti di voler ristabilire l'ordine, mentre alcuni paesi europei vagano nell'incertezza o sono contrari, promuovendo in questo modo il permanere del disordine, che non può che portare ad ulteriori scompensi.
A questo punto l'unica cosa da chiedersi è come si riuscirà a riportare l'ordine. Il prof. De Michelis ci propone a questo proposito di fare mente locale su quali siano le caratteristiche della situazione attuale e quali differenze intercorrano con il passato recente. Il momento in cui viviamo, infatti, è una situazione nuova, caratterizzata da una totale globalizzazione, dove tutto è riassunto in un unico sistema. Questo meccanismo fa sì che ogni avvenimento condizioni necessariamente tutti e che esista una sola economia di mondo, che corrisponde al mondo stesso: dalla polis all'ordine mondiale.
Una realtà del genere era impensabile fino ad alcuni anni fa, quando ci si curava soltanto della propria economia per cui i rapporti economici si sviluppavano in scala molto ridotta. Oltre a questo, bisogna considerare anche il fattore demografico: oggi , infatti, siamo giunti ad una situazione limite, data da un enorme sviluppo, come mai in precedenza è accaduto.
Inoltre per stabilire ordini mondiali nella storia si è sempre ricorsi alla forza e all'assimilazione imposta dall'alto, al fine di organizzare la convivenza.
Nel corso dei secoli però è mutato il modo di fare ciò, basti pensare all'Impero Romano, dove l'aggregazione era basata sul riconoscimento delle differenze, anche nei sistemi di governo. L'Impero Cinese, invece, ha operato un'assimilazione molto più forte e non ha concesso alcuna libertà; per questo motivo non esistono differenze etniche nella Cina attuale.
Infine, l'ultima forma di riorganizzazione è stata imposta dall'ordine coloniale basato sulla netta divisione tra metropoli e colonie, intensamente sfruttate. Di questo sfruttamento, tra tutte le vittime, quella che ne ha sofferto dì più è stato il mondo islamico, tanto che solo pochi stati rimasero indipendenti: Turchia, Yemen, Afghanistan e Arabia Saudita.
S- l'ordine significa solamente minor disordine;
- nonostante tutto, i più forti detteranno sempre legge (vedi ONU), perché esisterà sempre una divisione tra "ricchi e poveri,"forti e deboli";
- l'ordine richiede un compromesso: intesa tra i più forti che stabiliscano regole, a cui sono richiamati i più deboli.
L'unica strada per fare tutto ciò è l'Integrazione: creare le condizioni per far convivere e cooperare realtà diffèrenti difendendo però l'identità stessa.
Inoltre ognuno deve essere aperto al dialogo senza pretendere di avere una innata superiorità. A proposito di questo, si può portare ad esempio il trattato di Helsinki (1975), in occasione del quale si sono stabilite regole senza affermare la superiorità di nessun paese. Fu sottoscritto anche dall'URSS e, per questo motivo, tale evento è diventato il primo embrione di diritti umani che, tra l'altro, a suo tempo, fece capitolare il comunismo sovietico.
I diritti umani furono successivamente codificati nel 1995 nella carta dell'ONU, che ora si vorrebbe vedere estesa a tutto il mondo. Tra questi diritti ne esistono alcuni naturali ed altri che andrebbero invece discussi, poiché possono esistere delle diversità derivanti da percorsi di sviluppo diversi.
In particolare in Medio Oriente queste diversità sono dovute allo status quo presente, il quale dovrebbe cambiare, nonostante le inevitabili conseguenze che potrebbe causare, per giungere ad una soluzione e ad un compromesso con i paesi occidentali.
Il dualismo potrà quindi essere conciliato attraverso una cooperazione tra mondo islamico e occidente, soprattutto con una maggior attenzione da parte di quest'ultimo, altrimenti l'ordine imposto da Bin Laden sarà il vincitore.

Conclusione

La conferenza è stata molto interessante, sia per le tematiche affrontate, sia per il modo in cui sono state approfondite ed analizzate nelle loro molteplici sfaccettature. Tali argomenti, però, richiedevano spesso una completa visione della storia recente e passata e la conoscenza di particolari vicende a noi purtroppo sconosciute. Per questo motivo alcune parti della relazione sono state colte frammentariamente e sono risultate spesso confuse; nonostante ciò possiamo definirci soddisfatti di questa esperienza, che ci stimola alla ricerca e all'approfondimento, per conoscere meglio il mondo in cui viviamo.

 

FARE SCUOLA DOPO AUSCHWITZ

di Silvano Sabbadin, docente


Anniek Cojean dice che un preside di liceo americano aveva l’abitudine di scrivere, ad ogni inizio di anno scolastico, una lettera ai suoi insegnanti:
Caro professore,
sono un sopravvissuto di un campo di concentramento. I miei occhi hanno visto ciò che nessun essere umano dovrebbe mai vedere:
camere a gas costruite da ingegneri istruiti;
bambini uccisi con veleno da medici ben formati;
lattanti uccisi da infermiere provette;
donne e bambini uccisi e bruciati da diplomati di scuola superiore e università.
Diffido –quindi – dall’educazione.
La mia richiesta è: aiutate i vostri allievi a diventare esseri umani. I vostri sforzi non devono mai produrre dei mostri educati, degli psicopatici qualificati, degli Eichmann istruiti.
La lettura, la scrittura, l’aritmetica non sono importanti se non servono a rendere i nostri figli più umani.

Sono un dono queste parole che la Comunità Ebraica d'Italia ci offre dal suo sito Internet dedicato al 27 gennaio, Giorno della memoria. Esse ci aiutano a prender  coscienza del nostro impegno nella scuola e dicono la nostra speranza profonda di far crescere uomini che siano umani.

"In Se questo è un uomo, nel capitolo dedicato al suo arrivo nel campo di Auschwitz, Primo Levi racconta:

«Spinto dalla sete, ho adocchiato, fuori di una finestra, un bel ghiacciolo a portata di mano.  Ho aperto la finestra, ho staccato il ghiacciolo, ma subito si è fatto avanti uno grande e grosso che si aggirava là fuori, e me lo ha strappato brutalmente. - Warum? - gli ho chiesto nel mio povero tedesco. Hier ist kein Warum (qui non ci sono perché) - mi ha risposto, ricacciandomi dentro con uno spintone».

Ad Auschwitz non si fanno domande.  Si danno ordini, si gridano imperativi, si prendono decisioni di vita o di morte.  Ma non si fanno domande.  E soprattutto non si fa quella domanda - la domanda del senso, della ragione, della presa di coscienza: Warum - perché?  La domanda della causa, dell'origine, della fondazione.  La domanda che cerca la spiegazione, che indaga i motivi, che esige giustificazione.  La domanda che fa la differenza tra l'animale razionale e l'animale non razionale, la domanda che muove il pensiero verso i confini del non-ancora-conosciuto, verso il mondo del possibile e dell'ipotetico, verso quel di-più che rende così unica e affascinante l'esperienza umana. E' la domanda del senso, del significato, di Dio - perché?

Ogni domanda, ma soprattutto questa domanda, ad Auschwitz non solo non era possibile, ma anzi era vietata, negata, annientata.  Auschwitz, appunto: il luogo dove «non ci sono perché»." (Massimo Giuliani, Auschwitz nel pensiero ebraico, Brescia, 1998)

Fare scuola per noi oggi, qui a Montebelluna, e non ad Auschwitz, per grazia di Dio, è tentare, per quanto ci è possibile, di raccogliere, rilanciare e suscitare sempre nuove domande che aprano vie più la nostra mente all'intelligenza di noi stessi, della realtà che ci circonda e della vita: quella che ci ha preceduto: da cui veniamo e che ci ha definito in quello che ora siamo, quella che ora viviamo, talvolta con molte incertezze, e quella che stiamo preparando per il futuro nostro e delle nuove generazioni.

Non vogliamo, né abbiamo la presunzione di arrivare in fretta alle risposte. Sappiamo che la vita è molto complessa e non ci interessa rinchiuderla in poche formule.

Cerchiamo invece di affacciarci su di essa, sul fluire della sua storia, anche se talvolta ne rimaniamo abbagliati come dalla intensa luminosità del mattino.

Interrogando, studiando e confrontandoci con la varietà e la ricchezza delle risposte, intendiamo andar oltre le nostre attuali conoscenze, comprensioni e capacità di pensare e di esprimere giudizi sulle azioni altrui e soprattutto nostre, maturando l'attitudine a discernere sempre meglio il bene dal male, il bello dal brutto, la verità dalla menzogna.

Le semplificazioni, tentazione ricorrente,  portano sempre a cercare troppo in fretta colpevoli, - gli altri, ovviamente! - a demonizzarli, ad odiarli e quindi a combatterli, come spesso abbiamo ancora tragicamente sotto gli occhi.

Molti nella storia hanno cercato motivi per negare, odiare e combattere gli altri: i diversi, gli stranieri, i nemici.

E molti si sono domandati quali colpe li portassero ad essere malvisti, discriminati, odiati, negati, sterminati, annientati.

Noi con il nostro lavoro, cercando insistentemente anche altre e nuove risposte alle nostre domande ed aprendoci sempre a nuove domande, vorremmo imparare a scoprire e a comprendere anche quelle esperienze di bene, che tra tanto male si sono affermate, come testimoniano tanti "Giusti", così li chiamano e li onorano gli Ebrei, tra cui Oscar Schindler, Giorgio Perlasca  che anche noi in questi giorni abbiamo ricordato.

Esse ci aiutano a non disperare, anzi ad aver fiducia, a credere nell'uomo e nel suo cammino, talvolta tortuoso e difficile, verso una piena umanizzazione e ad insistere perciò nell'educazione come in un far luce dentro di noi al fine di prepararci a fare scelte che siano umane, sempre rispettose dell'uomo e della vita.

21.05.2002

 

LA  SHOAH  E  LA  MEMORIA

Incontro con il prof. Piero  Stefani

Il giorno 11 aprile ci siamo riuniti presso il cinema "Italia", per assistere ad una conferenza sulla Shoah. Da due anni infatti il 27 gennaio è giornata dedicata alla memoria dello sterminio degli Ebrei, dal momento che i pochi testimoni ormai rimasti stanno scomparendo. La nostra scuola ha voluto approfondire e dibattere questo tema con il contributo di un esperto, il professor Piero Stefani, docente di storia e filosofia al liceo scientifico di Ferrara, redattore per la rivista "Il regno" di Bologna e collaboratore di "Biblia", associazione laica di studi biblici.

Evento spartiacque nella storia della contemporaneità, irriducibile a letture semplicistiche, ma spesso esposta ad interpretazioni banalizzanti, la Shoah ( distruzione degli Ebrei d'Europa ) si propone innanzi alla nostra coscienza come un passaggio obbligato e complesso, a tratti sgradevole e al limite dell'insopportabile, ma comunque imprescindibile. Confrontarsi con la Shoah, domandarsi qual è oggi il suo significato, indagare sui costrutti politici e socio-culturali che l'hanno originata implica assumere una visuale non solo storiografica ma soprattutto storicistica e socioantropologica, intendendo con ciò la capacità di cogliere le peculiarità irrepetibili del momento insieme alle persistenze nella diversità delle storie, nazionali come individuali, dei popoli come delle persone.

Per il professor Stefani è sbagliato considerare Auschwitz come qualcosa che riguarda solo gli Ebrei: nei lager furono deportati e sterminati anche zingari, criminali, prigionieri di guerra, omosessuali, testimoni di Geova… . Inoltre questa non è una questione solo di perseguitati, ma anche, se non soprattutto, di persecutori. Egli ribadisce come i persecutori siano una questione dei cristiani, dell'Europa cristiana. Infatti se non possiamo affermare che i deportati fossero trattati da uomini, allo stesso modo non possiamo ritenere che i persecutori si comportassero da esseri umani.

Oggi ci troviamo in posizione di passaggio tra la storia scritta e le ultime testimonianze e la giornata del 27 gennaio è stata decisa dalle istituzioni, per rafforzare la voce dei testimoni che sta venendo meno, poiché la morte li sta portando via. Probabilmente siamo l'ultima generazione che "vive" questi episodi, giacché l'inesorabilità del tempo li trasformerà in storia scritta.

Riprendendo Primo Levi, il relatore cita la domanda del deportato :- Perché? -, insieme alla relativa risposta dell'aguzzino :- Qui non ci sono perché -. Qui si elabora l'idea della sospensione della vita quotidiana, cui erano sottoposte le vittime della persecuzione, che provavano un forte senso di spaesamento nel vedere improvvisamente la loro vita sconvolta. Il lettore, di fronte a tutto ciò, si pone la questione del come sia potuto accadere . Per cercare di capire, per sapere come ciò è avvenuto, è necessaria la fatica grigia dello storico, la cui ricerca ha lo scopo di superare le semplificazioni. Una di queste riguarda la confusione fra lager, ghetti e campi di raccolta.

In Germania ed in Polonia esistevano prigioni, che, con la salita al potere di Hitler nel 1933, vennero allargate e, con l'avanzata verso est, si svilupparono varie tecniche di violenza contro l'umanità. Solo nel 1941 furono introdotte le camere a gas e così vennero istituiti veri e propri campi di sterminio con forni crematori. I ghetti erano  dei quartieri, in cui si raggruppavano le minoranze, costituendo una forma di isolamento sociale, politico ed ideologico. I campi di raccolta e smistamento svolgevano ciascuno un compito specifico.

Il prof. Stefani ci ha quindi presentato la testimonianza di due donne, che hanno avuto la fortuna di sopravvivere allo sterminio. Queste testimonianze hanno un'importanza fondamentale nel far comprendere l'atrocità di ciò che è accaduto e nel mantener vivo il ricordo di quello che hanno subito le vittime dei lager.

La prima testimone è Amalia Navarro, autrice del libro "Siamo ancora vive!", nel quale racconta la sua storia e quella della sorella, le uniche della famiglia ad essere sopravvissute al massacro. Questo libro è stato scritto di getto nel settembre del 1945 ed è quindi colmo delle emozioni e sensazioni proprie del momento. A sanzionare il senso della "soluzione finale" basti menzionare questa frase pronunciata da Himmler nel 1943 :- Per uccidere i pidocchi non c'è bisogno di una visione del mondo, di un credo: è una questione di igiene-. Quindi bastava divulgare la convinzione che gli Ebrei fossero dei fastidiosi parassiti, per farne degli "Arbeitstuecke", ovvero oggetti, pedine da sfruttare senza tregua e senza nessuno scrupolo di coscienza. Nel momento in cui i deportati approdavano in questi campi era necessario acquisire la consapevolezza che si entrava in un sottomondo, al di fuori del tempo e dello spazio, dove sopravvivevano solo coloro che si dotavano di un infinito spirito di adattamento. Conoscere il tedesco era questione di vita o di morte e questa lingua veniva storpiata e modificata, per dimostrare che il dominio si traduceva anche in possesso culturale. E' curioso, per esempio, capire perché il nerbo di gomma usato dai kapò era stato ribattezzato il traduttore. Infatti l'unico linguaggio diretto, immediatamente comprensibile, era la violenza, intesa come traduttore universale: chi non capiva un ordine veniva punito duramente, non essendo in grado di svolgerlo. Altro segno emblematico era il numero, ossia l'insieme dei numeri impressi a caldo nelle braccia dei deportati, testimonianza della disumanizzazione generale. Il numero di Amalia Navarro era A.8483 e quello della seconda testimone, Liana Millu, A.5384; entrambi di Auschwitz Birkenau.

Liana Millu è genovese e ha scritto negli anni '46-'47 il libro "Il fumo di Birkenau". Una quarantina di anni dopo è stata pubblicata la sua seconda opera "Dopo il fumo", una raccolta di conferenze , scritti sulla testimonianza di dare testimonianza. Fra questi il relatore ha letto dei passaggi significativi di quello intitolato "Quel mozzicone di matita del Meclemburgo".Il fatto narrato si rifà al ritrovamento occasionale di una matita, subito dopo la liberazione del '45, in una fattoria abbandonata. La Millu dice:- Da oltre un anno non ne avevo toccate più…Quelle viste tra le mani delle Kapo, appartenendo al mondo di Auschwitz, non erano che oggetti terribili, dagli effetti spesso mortali… Rovistai e, quasi subito, mi venne in mano un libretto rilegato in finta-pelle, le pagine tutte bianche… Scrissi il mio nome sulla prima pagina, più volte, con una gioia sempre più esultante. Non solo sapevo ancora scrivere: possedevo di nuovo una cosa mia! Grazie a quella matita vissi il momento che segnava il mio ritorno fra gli umani. Finalmente una gioia pulita, civile: non la soddisfazione bruta della sopravvivenza-. Per i tre mesi successivi,in cui rimase in Germania, Liana continuò a scrivere e la matita si consumò. Lei la conservò, ma, col passare del tempo, pensò di affidarla a Primo Levi, importante testimone dell'esperienza dei campi di sterminio e un po' più giovane di lei. Il 7 gennaio 1987 le giunse la risposta scritta di  Levi :- Cara amica, ho ricevuto lo strano e prezioso dono e ne ho apprezzato tutto il valore. La conserverò. Anche per me i giorni si stanno facendo corti, ma le auguro di conservare a lungo la Sua serenità e la capacità di affetto che ha testimoniato inviandomi quel "mozzicone del Meclemburgo" così carico di ricordi per lei (e per me). Con affetto, Suo Primo Levi-. Purtroppo l'11 aprile dell''87 Levi si suicidò, cioè, come dice la scrittrice "precipitò verso la morte". Sparì con lui anche il mozzicone di matita. Con acuta sensibilità Liana considera:- Noi non possiamo sapere… Nel circo, quando sta per avvenire qualcosa che può anche risolversi in morte, il rullo dei tamburi ce ne avverte. Nella vita, no-.

Nell'ultima parte di questo incontro si è lasciato spazio alle questioni, agli interrogativi e ai dubbi degli studenti. Interessanti sono state alcune domande. Le quinte, ad esempio, studiando ed approfondendo tematiche filosofiche connesse con questo argomento, ovvero il pensiero di Fichte e di Hegel e la teoria dello stato-nazione, si sono domandate se questi modelli di pensiero etico-politico potessero aver, in qualche modo, influenzato il progetto hitleriano. Il prof. Stefani è dell'opinione che la filosofia non possa essere vista sistematicamente come lo strumento capace di dirimere questioni così complesse e variegate.

Un'altra domanda si interrogava sulla posizione della Chiesa in quel tempo. Subito è stato precisato che non è il caso di parlare di chiesa,ma di chiese, visto che gli Ebrei provenivano da tutta Europa. Per quanto riguarda, poi, l'Italia e la chiesa cattolica, essa aiutò gli Ebrei. Bisogna precisare, però, che le poche decine di migliaia di Ebrei italiani e la presenza di numerosi conventi rendeva possibile la cosa. Ma le proteste della chiesa italiana sono state insignificanti; ci sono stati grandi aloni di silenzio,anche se nell'enciclica di Pio XI non si nomina mai la parola ebreo e vi sono prove che confermano che la Santa Sede scrisse a Badoglio, nel 1943, schierandosi contro le leggi razziali. Vi sono state, invece, molte proteste dei vescovi olandesi e molti documenti, ancora conservati, attestano queste loro posizioni. Lo stesso Carol Wojtilwa, ancora quando era docente di etica a Krakovia, sosteneva che il razzismo è un anticristianesimo. Nel complesso, però, la reazione di molti cristiani non fu quella che ci si aspettava dai seguaci di Cristo.

La Shoah è stata, quindi, parte integrante di un progetto politico, che intendeva sconvolgere alle radici la conformazione culturale e demografica dell'Europa. Lo sterminio di concittadini europei di religione ebraica non fu un accadimento occasionale. Fu il prodotto di un sistema per sua intima natura omicida, destinato alla guerra e alla distruzione. La consapevolezza dell'attualità della Shoah è, pertanto, anche indice di quella vigilanza intellettuale che va costantemente assunta all'atto di formulare dei giudizi e di governare i processi di una società, la nostra, che fu capace di far sì che i campi di concentramento e di sterminio nascessero e si espandessero.

A conclusione di tutta l'attività di ricerca dedicata alla memoria, questa conferenza ci ha fornito informazioni e spunti di riflessione personale importanti. Emergono, in tutta la loro assurda tragicità, le crudeltà e i soprusi subiti da queste vittime, alle quali è stata sottratta l'umanità, per cui non venivano chiamate con il proprio nome ma con dei numeri, segni incancellabili incisi sulla loro pelle.

Linda Martignago, Jacopo Rossi  (4 F)  -   Gisella Piccolo, Silvia Pozzebon (4 A)

Coordinatrice:  
prof. Maria Luisa Zin 

21.05.2002

 

 

Il Circolo culturale "Pietro Bertolini" di Montebelluna ha organizzato una serie di incontri dibattito sul tema: CULTURA E SOCIETA’

3° incontro-dibattito, 29 settembre 2001.

RAPPORTO tra CULTURA e POLITICA

incontro con  Marcello Veneziani, scrittore, giornalista e studioso di filosofia

Cultura e politica sono due termini concettualmente autonomi, ma concretamente in continuo rapporto. La cultura infatti ha da sempre influenzato la politica e viceversa; lo stesso Platone, ad esempio, era a favore di uno Stato governato dai veri detentori del sapere, i filosofi.

Marcello Veneziani, scrittore, giornalista e studioso di filosofia si è preoccupato di situare storicamente questo tema e di calarlo nella quotidianità, analizzando il profilo storico del ' 900, soprattutto degli ultimi 50 anni. Ma
che cos'è la politica?

La politica è l'arte di condurre la società, di portare il gruppo verso un miglioramento, un progresso civile; è quindi l'arte di governare. Il relatore è partito da una premessa importantissima: noi, la nostra società attuale vive da alcuni anni un divorzio tra cultura e politica. L'eredità di questo rapporto è dovuta a due fasi opposte:
- la coincidenza, identità tra i due concetti;
- l'assoluta separazione tra i due.

Quando è la cultura a condizionare la politica si producono delle enormi devastazioni e nascono regimi totalitari, in forza di un pensiero legato all'azione. Questa politica, che possiamo definire ideologica, ha dato origine al pensiero utopistico. In pratica ciò significa sacrificare per l'umanità futura quella presente con una conseguente perdita di contatto con la realtà. 
L'anello di congiunzione tra cultura e politica, in questa situazione, è rappresentato dalla figura dell'intellettuale, militante impegnato, testimone di appartenenza. Il primo modello ha quindi attraversato sogni e ideologie per gran parte del ' 900. Fra gli intellettuali impegnati ricordiamo in particolare Gramsci, il quale ha introdotto il marxismo nella cultura italiana.

Il primo esempio concreto di questo rapporto di affinità tra cultura e politica è riconducibile al secondo decennio del 1900,cioè allo scoppio della prima Guerra Mondiale. A sostegno di tale conflitto, infatti, spinti dall’ideale mazziniano, pensiero-azione, scese in campo la maggior parte degli intellettuali italiani ed europei dell’epoca, i quali, sostenendo la necessità di partecipare alle operazioni belliche, favorirono la militanza politica della cultura.

Il pensiero fondamentale, caratteristico di questo conflitto, il quale riconosceva l’azione assoluta come l’unico modo per ricondurre la politica alla cultura, portò in seguito alla nascita di pericolose ideologie, basate sulla convinzione che la cultura dovesse dominare la politica e che quest’ultima fosse quindi totalmente dipendente dalla prima. Basti pensare a quei regimi totalitari che si succedettero dopo la prima guerra mondiale. Questi, spinti da idee di carattere utopistico, arrivarono addirittura a pensare di poter giustificare atti come il sacrificio di una società presente a favore di una società futura sicuramente migliore; questa sarà infatti la causa dei farneticanti progetti di Hitler.

Come però l’identità tra pensiero ed agire politico fu causa di sconvolgimenti internazionali, così, considerare i due elementi indipendenti l’uno dall’altro non ha portato a risultati migliori: ha lasciato la politica in balia dei tecnici del contingente e non ha dato alla cultura la possibilità di sbocchi nella pratica. Ne è esempio la situazione italiana del secondo dopoguerra.

In questo periodo le classi che detenevano il potere in Italia erano essenzialmente tre: la casta politica senza alternanza, il ceto imprenditoriale delle grandi famiglie industriali, quale la famiglia Agnelli ed infine la casta intellettuale di ispirazione radical-marxista e progressista. La situazione che conseguì a questa divisione non fu delle migliori: la casta politica, essendo stabile, non favorì un serio confronto democratico ;il ceto imprenditoriale fece prevalere i propri interessi economici a danno della piccola e media impresa ed infine il ceto intellettuale portò ad un’egemonia asfissiante di stampo social-comunista che non lasciò spazio ai pensieri di impostazione ideologica differente. A dimostrazione della chiusura vicendevole di queste caste il fatto che in Italia si sia favorita la costruzione di strade e autostrade, piuttosto che ferrovie, appunto per incentivare la produzione automobilistica. L’iniziatore del predominio marxista fu il segretario del partito comunista italiano Palmiro Togliatti il quale, rifacendosi direttamente a Gramsci, fece della cultura uno strumento di penetrazione e propaganda politica.

Tale situazione si accentuò in seguito agli sconvolgimenti sociali del ’68 quando gli intellettuali di sinistra diventarono i soli portavoce della cultura, conquistando giornali, cattedre universitarie e quindi influenzando la stessa formazione dell’opinione pubblica. A fronte di ciò la politica moderata non fece altro che rimanere passiva, limitandosi al controllo dell’economia e dell’amministrazione dello Stato.
Il processo di egemonia attivato è seme del conformismo: inaridimento della cultura e soffocamento di essa a scapito della nascita di altre culture. Con la costruzione e successiva demolizione del muro di Berlino si ha un ulteriore impoverimento culturale. La cultura, alla fine di questa lunga battaglia, risulta sconfitta e la politica finirà identificandosi con l'economia. L'egemonia dell'economia è presente ancora oggi. Un esempio di questo fenomeno è l'Europa stessa, che sorge come unione monetaria, non certo su basi culturali.

Ma che cos'è la cultura? La cultura può essere patrimonio di pochi ma può avere anche delle altre accezioni; si parla, infatti, di cultura della mafia, della droga ecc... Se analizziamo l'etimologia della parola, ne deriva che cultura significa punto d'incontro tra culto e coltivazione. In questo caso il culto rappresenta il cielo, e quindi la capacità di andare in alto, mentre la coltivazione rappresenta la terra, la capacità di operare concretamente. La cultura è quindi sia ricerca di tradizioni, capacità di trasmettere pratiche, sia capacità di apertura alla comunicazione al mondo e dal mondo.

La forza della cultura è appunto quella di trasmettere la tradizione, sedimento della nostra vita: noi organizziamo la nostra vita a partire da alcuni fondamenti, la tradizione.La cultura popolare è una cultura, che costituisce l'essenza della società ed è facilmente comunicabile.

Ora ci chiediamo come è stato scardinato questo modello. La nostra società (a livello mondiale) ha visto la nascita di una nuova figura, quella dell' "idiota globale". Questi è colui che è chiuso al mondo, cioè ha una mente chiusa e allo stesso tempo dispone di tecnologie che gli portano il mondo in casa. Noi veniamo da un secolo che ha visto il rifiuto della cultura come luogo di origine, compiendo così una sorta di parricidio. Il "padre", che possiamo identificare con la figura del Padre Eterno, della patria, o del padre vero e proprio, è considerato un limite. Liberandosi dal padre si viene a compiere un grande errore, viene a mancare, ad interrompersi, la linea di continuità creatasi di generazione in generazione. Il secolo da cui veniamo considerava la chiusura del rapporto con il passato come un’emancipazione. Veniva rivalutato, invece, il concetto del "carpe diem", quindi di una realtà sfuggente, che si consuma subito senza lasciare segno.

Ma oggi la società ha bisogno di un ritorno alla cultura. Da qui la spiegazione di alcuni fenomeni, tra cui, forse il più esteso, il mito americano. Sotto falso nome, infatti, vibrano le stesse esigenze. La "americanizzazione" di alcuni termini italiani (come ad esempio "Rai Educational" al posto di "Rai Educatrice") non è altro che espressione del bisogno di una nuova cultura e tradizione.

Analizzando il caso dell'Italia, in particolare, si determina il punto forte nel patrimonio costituito dai beni culturali. La nostra penisola, che è una piccola-media potenza nell'ambito dell'economia mondiale, ha nei beni culturali l'unico vero motivo di orgoglio nazionale.
Per questo la scuola pubblica e privata hanno una funzione importantissima: consentono la formazione di cittadini. La scuola italiana, a partire dalla consapevolezza di una ricca tradizione, se si riduce al cosiddetto "sistema delle tre i" (Internet, Impresa, Inglese), presenta il pericolo di perdita d’identità. Ad esempio, per quanto riguarda il computer, non insegnare solo come usarlo, ma come vederne i lati positivi e negativi, come interpretarlo. La scuola stessa deve riqualificarsi culturalmente.
La società italiana e quella europea hanno bisogno di cultura: devono ritrovare la forza dalle origini, dalle tradizioni e riscoprire il passato, rielaborare i dati acquisiti, per trovare la capacità di andare avanti.
Prendendo spunto da un'immagine di Enea, dipinta nelle stanze di Raffaello nei musei vaticani, il relatore Veneziani ci porta a riflettere riguardo ai comportamenti tenuti da tre ipotetici personaggi trovatisi in una città che brucia:
- l'idiota globale salva se stesso;
- l'eroico tradizionalista muore per la patria;
- Enea, esempio di cultura, salva Anchise (il padre) e Ascanio (il figlio). 
Egli simboleggia colui che nel presente progetta il futuro, radicandosi nel passato. E' quindi una metafora di cultura e politica che si integrano.

La cultura è viva, prende spunto dal passato per creare consapevolezza del presente, per progettare il futuro. Solo in questa visione noi possiamo fare progetti per salvarci dalle devastazioni ambientali, ripristinare l'equilibrio ecologico e riqualificare i centri urbani, ecc... Attuare un divorzio tra cultura e politica sarebbe fatale per le prossime generazioni.
Ci piace qui rilevare, a conforto della tesi di Veneziani sull’importanza della tradizione, la conversazione apparsa sulla pagina culturale del Corriere del 30 settembre, tra Claudio Magris e Barbara Spinelli, in occasione della pubblicazione del libro "Il sonno della memoria" sempre della Spinelli. La scrittrice indica l’aletheia, la verità come ciò che resiste ai pericoli dell’oblio, dato dalle acque del mitologico fiume Lethe. Questo recupero di senso, che risale alle origini della cultura occidentale, invita a non dimenticare le ingiustizie e sofferenze passate, perché non abbiano a ripetersi gli orrori già vissuti.

Silvia Nicoletti, Elena Pasqualato (Classe 5 E)

Elisabetta Posmon,  Michele Pandolfo  (Classe 5 F)

Gli studenti sono stati coordinati dalla prof.ssa Maria Luisa Zin