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Il mio primo lancio

Il tempo non e' certo stato clemente negli ultimi giorni, anzi ha voluto farmi sospirare il fatidico giorno per ben tre settimane. Comunque, ora sono in aereoporto, e il tempo sembra reggere: oggi solchero' il cielo!

Appena arrivato, un istruttore della scuola di paradutismo ha controllato che la mia preparazione teorica fosse completa e mi ha consegnato una tuta rosso fuoco. Appena ricevuta, l'ho indossata e ho cominciato ad attendere spasmodicamente il momento del lancio. Avendo registrato il mio nome sulla lavagna dei lanci, risulto iscritto al terzo decollo. All'improvviso pero', si alza un vento moderato, ma purtroppo leggermente piu' forte di quanto dovrebbe essere per il lancio di un allievo. Di nuovo una attesa snervante, che si protrae per diverse decine di minuti. Finalmente, il mio istruttore, di ritorno da un lancio tandem, mi dice che e' tempo di prepararsi.

Indosso il paracadute, imbragandomi con cura, fisso al polso l'altimetro, dopo averlo accuratamente tarato, metto gli occhiali e impugno il casco ( lo mettero' poco prima di salire in aereo ). Rimane il tempo per effettuare l'ultimo controllo radio: una persona mi guidera' da terra nella delicata fase dell'atterraggio. Tutto okay, sono go!

Mi incammino insieme agli altri verso la pista di decollo, dove l'aereo si fermera' per caricarci. Mentre cammino tra l'erba alta, comincio a sentire la tensione montare. Ma l'abbraccio vigoroso del mio paracadute mi da' sicurezza: so di essere pronto e deciso.

L'aereo si e' fermato poco innanzi. Saro' l'ultimo a salire, perche' saro' il primo ad uscire. Mentre aspetto che tutti si issino e si sitemino nel poco spazio disponibile, l'aria sospinta dalle pale dell'elica sferza sul mio viso. Salgo, sedendomi tra le gambe del mio amico che sta seduto dietro di me. Si chiude il portellone, sento il pilota parlare alla radio, l'aereo accelera bruscamente: in un attimo ci stacchiamo da terra!

In aereo si deve stare fermi; non c'e' spazio per muoversi, e non c'e' ne bisogno. Vedo dal finestrino il paesaggio circostante: tutto diventa man mano piccolo piccolo. Il DL e' inginocchiato di fronte a me, e mi chiede se e' tutto ok. Sento due pacche sulla spalla: e' il mio istruttore, vuole sapere se e' tutto ok, mi giro verso di lui e gli dico ok. Il momento sta per arrivare, respiro profondamente e so di essere pronto.

Improvvisamente, il DL grida "Motore!" e il pilota riduce la velocita'. Subito dopo, il DL apre il portellone: il rombo del vento entra nella cabina. Guardo a destra e mi accorgo che siedo a due centrimetri dal bordo dell'aereo e che oltre c'e' il vuoto. Il DL mi dice di prepararmi: porto entrambe le gambe fuori nel vento e aspetto che mi dia il via. Grida "Via!" e io mi lascio scivolare nel vento...

La sensazione e' magnifica: sento il vento avvolgermi, prendermi e portarmi con se'. L'aria mi sta accarezzando, come se avvesse centinai di delicate mani vellutate, l'aria mi sta sostenendo. E' tutto morbido e dolce, scivolo con dolcezza in un mondo che non mi apparteneva, prima d'ora...

L'incanto e' rotto da un evento necessario: d'un tratto sento di essere tirato da dietro, qualcosa mi sta frenando, non mi rendo immediatamente conto di cosa possa essere, e allora alzo gli occhi al cielo e vedo la mia bella vela, ben aperta. La guardo con attenzione, e non riesco a trattenere un grido di gioia: e' simmetrica e stabile.

Impugno i comandi. Mi guardo attorno: vedo il mio amico qualche centinai di metri avanti a me, leggermente piu' alto in quota. Riporto la mia attenzione sulla mia vela e provo a virare un po' a destra e a sinistra. La risposta della vela non e' immediata, ma anzi e' anch'essa dolce e delicata. Provo la frenata: la vela riduce la propria velocita' di avanzamento e mi sembra quasi di fermarmi a mezz'aria, sospeso in cielo, e tutto e' silenzioso.

Sento una voce e penso chi osa intromettersi in un sogno che mi appartiene. E' la voce della donna che mi guidera' da terra nell'atterraggio. Segnalo che ricevo le comunicazioni aprendo e chiudendo ripetutamente la gambe. Seguo le sue indicazioni, voglio fidarmi di quello che mi dice. Intanto mi accorgo che piano piano quei piccoli quadratini cominciano ad assomigliare a case e palazzi, allora controllo l'altimetro. Sono ormai vicino a terra, 200 metri di altezza. Fatico a sentire le sue parole, il volume della radio e' basso e il vento non favorisce certo le cose.

Sono giunto all'ultimo tratto del mio circuito di atterraggio: lo so perche' ormai la terra e' vicina, vedo l'erba del prato e ne distingo i ciuffi delle erbacce. Lascio che la vela acquisti la massima velocita' per poi frenare all'istante giusto in modo da convertire la velocita' acquisita in portanza. Freno e tocco terra, ristabilendo un contatto con l'universo degli oggetti solidi che avevo abbandonato nell'attimo in cui mi ero staccato dall'aereo. Ancora irrompe dal profondo un grido di gioia e di enorme soddisfazione.

Tiro completamente a me uno dei comandi, in modo che la vela non venga gonfiata dalla brezza. Non e' stato un atterraggio perfetto, sono finito troppo vicino alla pista di atterraggio degli aerei. Faccio piu' in fretta possibile a raccogliere la vela, che, desiderosa di volare, nel frattempo ha pensato bene di rigonfiarsi e mi allontano dalla pista.

Mentre cammino per raggiungere i miei amici, ho le braccia alzate in segno di trionfo: sono al settimo cielo. Un mio amico scatta delle foto. Io ancora non riesco a crederci.

Non appena disteso il paracadute sul telo per il ripiegamento, chiedo: "Tra quanto il prossimo lancio?". Poco dopo, rieccomi in aria. Il sogno ricomincia!

Matteo Vescovi ©