SCIAMANESIMO IN SARDEGNA |
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E'
esistita qualche forma di sciamanesimo in Sardegna? La domanda si pone
con insistenza dopo l'interessante articolo di Andrea Satta tendente a
dimostrare quale fosse la vera identità della surbile
e i tratti sciamanici che questa mitica figura sembra possedere. Esaminiamo innanzi tutto un documento sardo del XVII secolo, del quale non si può dubitare: il sinodo di Ales e Terralba del 1696, che così si esprime a proposito di certe superstizioni: "Vi sono delle persone, per lo più malate di qualche malanno, che fingono di essere state rapite per qualche tempo in cielo o trasportate all'inferno o al purgatorio, donde ritornate, raccontano d'aver visto varie persone, sia defunte che viventi, e chiamano tutto questo stare in calazonis". Il sinodo ci sta riferendo uno stato di transe, l'estasi sciamanica di alcune persone, pur non usando il termine sciamanesimo. La pratica di questi rapimenti estatici doveva essere abbastanza nota e forse il popolo sardo non si meravigliava più di tanto. Pare
fuor di dubbio che le donne sarde del 1600, quasi tutte analfabete, non
conoscessero la parola sciamanesimo né il suo significato ciò non di
meno dovevano conoscere le tecniche dell'estasi, se la descrizione che
fa il sinodo di Ales e Terralba tre secoli orsono non è dissimile da
quella che fa Mircea Eliade dopo gli approfonditi studi su questo
fenomeno, che risulta essere stato presente in quasi tutti i popoli del
mondo. Un'altra
testimonianza sull'esistenza dello sciamanesimo in Sardegna potrebbe
essere data da un'usanza che vi era ad Aidomaggiore,
ove un tempo alcuni individui si mascheravano da "traveris". Scrive Luisa Orrù che i traveris "indossano un paio di mutande e una camicia, il volto
è annerito con fuliggine, sono scalzi. Si crede che gli uomini così
camuffati acquistino poteri straordinari, come saltare da grandi altezze
o volare, ma diventino ossessi, posseduti dai demoni".La
descrizione ricorda i calusari
rumeni, il cui attributo centrale e specifico "è l'abilità
acrobatico-coreografica e, più
in particolare, la loro
capacità di dare, danzando, l'impressione di volare". La radice
del termine calusari deriva da cal che
in rumeno significa cavallo, l'animale che gli sciamani, quando sono in
estasi, credono di
cavalcare. Il termine sardo deriva
invece da travu, che significa
toro, animale sempre presente nell'antica religione dei Sardi. In forma
di toro alcuni uomini, secondo la credenza popolare, subivano delle
metamorfosi, diventando appunto traveris
ad Aidomaggiore, boe travianu ad Orgosolo, érchitu
a Bitti, boe muliache a
Mamoiada. Quest'essere sardo metamorfizzato, dovunque nunzio di morte,
forse non esauriva la sua funzione muggendo per tre volte davanti
alla casa di colui che durante la notte doveva morire. Con tutta
probabilità il suo compito continuava come psicopompo, cioè come colui
che doveva guidare l'anima del defunto nel regno dei morti,
come normalmente fanno, o meglio dicono di fare, gli sciamani.
Esaurito il suo compito, prima dell'alba, tale individuo andava a
rotolarsi per tre volte (a s'imbrussinare)
davanti a un cimitero, ove
giungeva in un vortice di vento. Era questo un gesto rituale, ma anche
un'operazione necessaria, catartica, per riprendere la normale attività
nel mondo dei vivi. Troviamo quest'abitudine anche tra gli "strigoi"
della tradizione popolare rumena. Ovviamente
l'esperienza fuori dal corpo, sia che comportasse o meno la metamorfosi
in toro o altro animale, avveniva durante il sonno,
in una sorta di catalessi, durante
la quale lo spirito abbandonava il corpo per effettuare i suoi viaggi.
Tale fenomeno viene spiegato chiaramente nei paesi della Baronia, dove
questi individui sono detti mazzamortos,
oppure voes corros d'attagliu
(buoi dalle corna d'acciaio). Questo secondo termine è noto in una
vasta area della Sardegna. A Tanaunella si afferma: "Su mazzamortos
era un uomo che di giorno si comportava come tutti gli altri, ma di
notte, quando era
addormentato, partiva. La sua anima usciva dal corpo per annunciare o
per portare la morte". Credenze
simili esistono anche in Corsica ove questo genere di persone sono
chiamate "mazzeri".
Tracce di sciamanesimo ritroviamo anche ad Ottana ove "sos
vie-mortos", ovvero
coloro che affermavano di vedere le anime dei defunti, raccontavano che
queste li portavano spesso con loro a fare dei giri o a vedere posti
nuovi volando per aria. Una
vecchia ottanese racconta: "Un uomo veniva spesso portato in giro
dagli spiriti. Una notte, durante il volo, mentre attraversavano un
grande crepaccio, uno
spirito disse al compagno: "Buttiamolo giù, perché si rifiuta di
portare i nostri messaggi". "Tu non lo tocchi, rispose
l'altro, perché questo è il mio compare di battesimo".Simili
racconti si narravano anche in altri paesi, ove qualcuno affermava di
fare lunghi viaggi notturni con gli spiriti e di vedere luoghi
bellissimi. Figure sciamaniche al femminile sono le cogas,
ovvero le surbiles. Tanta
gente credeva a Diana con la falce lunare, queste presenze notturne,
specie le puerpere che, quando vedevano deperire i neonati, forse per
mancanza di latte, pensavano che la coga-surbile
fosse penetrata durante la notte nella loro abitazione. Per difendersi
da questa presenza malefica vi erano diverse maniere. C'era chi metteva
sotto il letto due spiedi incrociati oppure,
dietro la porta, su juvale (il
giogo dei buoi) o un treppiede rovesciato. Davanti a questi ostacoli la
coga-surbile sarebbe stata
impotente. Un altro modo di difendersi era dato dalla falce dentata o da
una manciata di granelli di semola d'orzo o di sabbia di mare. La
coga-surbile, entrando, si sarebbe fermata a contare i dentelli della
falce o i granelli della sabbia, ma non riuscendo ad andare oltre il
numero sette, avrebbe sempre ricominciato da capo, fino a che non fosse
giunta l'alba. A quell'ora doveva ritirarsi perché la metamorfosi
finiva. Esistono tante leggende ove la coga-surbile viene colpita sotto
forma di insetto o di gatto e, invariabilmente, l'indomani ci si accorge
che qualche donna del vicinato, durante la notte, ha subito una
mutilazione". Il
ruolo punitivo della coga-surbile sembra emergere da alcune leggende in
cui si parla di povere donne defraudate del loro lavoro. Basta pensare
alla leggenda "La vendetta della surbile", in cui si parla di
due tessitrici recatesi in Baronia a vendere il frutto del loro lavoro:
alcune coperte tessute al telaio. Una donna benestante, che aveva
acquistato la coperta più bella, non aveva rispettato i patti e si era
trattenuta una parte del prezzo stabilito. Lungo la via del ritorno una
delle due tessitrici cade a terra svenuta. La compagna cerca di
rianimarla senza riuscirci, e dopo un certo tempo vede una mosca che si
insinua nella narice dell'amica che subito riprende conoscenza e
annuncia di aver punito colei che aveva sottratto la loro mercede,
uccidendole il bimbo nella culla". Su questo tono risulta anche una
leggenda di Ollolai, ove una donna ricca nega un prestito a due sorelle
poverissime. Poco dopo trova la sua bimba morta. Sia nell'una che
nell'altra storia le vittime della sopraffazione sono molto povere.
Spesso il popolo mette in evidenza che la coga-surbile agisce
inconsapevolmente e che di giorno ignora ciò che fa durante la notte,
benché le leggende esaminate sembrino dimostrare il contrario. Se
ci spostiamo nel centro dell'Asia riscontriamo credenze non molto
diverse. Nel Tibet, ancor prima dell'avvento della religione buddista,
specialmente nelle regioni himalayane, si credeva che i btsan, una sorta
di demoni, provocassero la morte dei bimbi nella culla. Perciò, quando
i genitori si convincevano che il proprio figlio era stato ucciso da
qualche btsan, appena nasceva un altro bimbo gli davano un nome
spregevole, cercando di ingannare i demoni, in modo che quel nome di
poco conto non attirasse la loro attenzione. È opportuno a questo
proposito citare alcuni sinodi sardi che sembrerebbero confermare anche
per la Sardegna una simile usanza, in cui i bimbi venivano protetti con
il conferimento di un nome particolare. Quando nasceva un bambino si
preparava un camicino che doveva essere confezionato rapidamente. Si
chiedeva del lino in elemosina e questo veniva filato, tessuto e cucito
in un solo giorno. L'indumento ricavato, chiamato camicia "Santaddi"',
veniva subito messo indosso al neonato. Talvolta questa camicia veniva
mostrata alla madre attraverso il velo di sette setacci, poi buttata nel
letamaio, in modo che il bimbo potesse essere chiamato "Fuliadu",
che significa "gettato via", per far credere che si trattava
di un bimbo che non aveva alcun valore per i suoi genitori, quindi un
bimbo considerato di poco pregio."...y muchos
se sirven de la supersticion de la camisa, que llaman Santaddi, pidiendo de limosna bastante lino, y en
el mesmo dia
hilan, texen, y ajustan la camisa, y se la visten al nino; y otras vezes,
se la hazen vèr a su madre por siete arneros, y despues le echan al
muladar poniendole por nombre fuliadu...". In qualche leggenda si parla di formule magiche e di unguenti con i quali le cogas-surbiles si ungevano prima di effettuare il volo, in altre non si fa cenno a sostanze particolari, si parla invece di un sonno profondo, simile alla morte. Le leggende barbaricine, che sembrano sottintendere azioni punitive, forse necessario per ristabilire la giustizia violata o la pratica del mutuo soccorso, accennano solo al corpo esanime della surbile. L'unguento invece doveva essere tipico delle cosiddette streghe o fattucchiere che, secondo i documenti redatti dal tribunale dell'Inquisizione in Sardegna, si recavano per i loro convegni nella zona di Castel Aragonese, oggi Castelsardo. Non mancano in questa sorta di sciamanesimo neppure le ossa che generalmente lo sciamano contempla. Ossi di animali che tornano in vita dopo essere stati ricomposti e riavvolti nella loro pelle, si trovano in varie leggende. Nel racconto "Sorammala", l'asino cacadenari che viene ucciso ritorna in vita quando al proprietario viene suggerito di raccogliere e ricomporre entro la pelle dell'animale tutte le sue ossa sparse". Scrive
Mircea Eliade: "Stando ai processi dell'Inquisizione svoltisi a
Milano nel 1384 e nel 1390, due donne avevano riconosciuto di
appartenere a una società diretta da Diana Herodias e costituita sia da
donne vive, sia da donne morte. Gli animali che costoro mangiavano
durante i loro banchetti cerimoniali venivano poi resuscitati sulla base
delle loro ossa, dalla dea; Diana... insegnava alle sue seguaci l'uso di
erbe medicinali per guarire diverse malattie, scoprire gli autori dei
furti e identificare i maghi e le maghe. È evidente che queste fedeli
di Diana non avevano nulla in comune con gli autori dei maleficio
satanici e, molto probabilmente i loro rituali e le loro visioni erano
solidali di un culto arcaico della fertilità". Un
tratto comune a tutti gli sciamani e alle cosiddette" streghe"
è il fatto che questi esseri siano nati con la camicia (l'amnio). È da
presumere che questo particolare fosse comune anche alle cogas-surbiles.
È bene sottolineare che il brodo dei maccheroni di cui si parla a
Taunanella era una poltiglia densa e un po' viscida, perché i maccheroni
fatti in casa venivano cotti con poca acqua. Ungersi il torso con un
simile brodo dava probabilmente l'impressione di avere indosso una
camicia che quando si seccava si staccava dal corpo come se si trattasse
di sottili brandelli di pelle, cosa che poteva ricordare in qualche
misura l'amnio. Si trattava forse della riutilizzazione di
quell'elemento distintivo che consentiva il volo estatico. Quando si
vuole parlare di una persona che riesce a fare cose fuori
dell'ordinario, si dice ancora oggi: "È nato con la camicia". In tanti
paesi della Barbagia (con qualche piccola variante tra l'uno e l'altro),
ancora si ricorda questa filastrocca: "Luna
luna/ paraluna / para mese, / uve sese?/
In funtana. I Sa Eirana, I
s'ebba mia, mi ch'esportet, da inoche a Baronia!". Altri dicono:
"no ch'esportet I istanotte a
Baronia". Chiaramente
la filastrocca è un'invocazione alla luna che viene chiamata "sa
Eirana" (è forse una
corruzione da Eirada-Eroda?). Altro
particolare che rimanda alle cavalcate notturne è "s'ebba
mia" (la mia cavalla). Il cavallo è un attributo della luna che in
tante leggende sarde viene descritta come una bella signora che gira per
il cielo in groppa ad un cavallo bianco. La radice dei calusari rumeni
abbiamo visto che significa cavallo, animale indispensabile per le
cavalcate notturne (gli sciamani euroasiatici cavalcavano in genere sul
loro tamburo). Ma la frase che non lascia dubbi è quella finale, in cui
si chiede espressamente alla luna di essere trasportati fino alla
Baronia, e questo non può avvenire se non attraverso il volo
estatico. Carlo
Ginzburg riporta un testo del X secolo che raccoglie le istruzioni
destinate ai vescovi che avrebbero dovuto sradicare certe pratiche
superstiziose: "Non bisogna tacere che certe donne scellerate,
divenute seguaci di Satana, sedotte dalle fantastiche illusioni dei
demoni, sostengono di cavalcare la notte sopra Certe
bestie insieme a Diana, dea dei pagani, e a una gran moltitudine di
donne; di percorrere grandi distanze nel silenzio della notte profonda;
di obbedire agli ordini della dea come se fosse la loro signora; di
essere chiamate in determinate notti a servirla". Un
secolo più tardi Burcardo di Worms riprenderà lo stesso testo,
aggiungendo al nome di Diana quello di Erodiade "cum Diana,
paganorum dea vel Herodiade". Il testo, conosciuto col nome di
Canon Episcopi, fu ampiamente ripreso nei secoli successivi, più o meno
con le stesse parole, tanto da trovarne tracce evidenti anche nei sinodi
del XVI secolo dell'Italia Meridionale. È
evidente che simili credenze derivano da culti pagani e sono il
risultato di sedimentazioni antichissime. Su queste credenze si sono
innestate superstizioni medievali e stereotipi inquisitoriali.
Ma le tradizioni più arcaiche affondano le loro radici nello
sciamanesimo. Il volo
estatico e la metamorfosi in animale sono tratti tipicamente sciamanici
giunti in Sardegna in tempi antichissimi, attraverso ondate migratorio non ben identificate. Con queste testimonianze e
documentazioni abbiamo voluto porre l'attenzione su quel sottofondo
irrazionale che sfugge ad ogni logica e che pure è stato presente
nell'immaginario collettivo di tante generazioni, fino al nostro secolo. Partendo
dal presupposto che non tutto fosse frutto di creazioni fantastiche,
giacché gli sciamani esistono e operano ancora oggi in varie parti del
mondo, è logico domandarsi come avvenissero in realtà i
curarsi un tale stato d'estasi da credere viaggi estatici. Non
essendo credibile veramente
che l'anima uscisse dal corpo e che l'anima si separasse dal corpo, si
può volasse
conquistando orizzonti sempre presumere che attraverso sostanze
stupefacenti più
vasti, nel tentativo di penetrare il mistero
(erbe particolari o funghi allucinogeni), alcune persone
riuscissero a procurarsi un tale stato d'estasi da credere veramente che
l'anima uscisse dal corpo e volasse conquistando orizzonti sempre più
vasti, nel tentativo di penetrare il mistero della morte e di stabilire
un contatto con il mondo soprannaturale. |
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