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Tracce di sepolture secondarie...

     

SCIAMANESIMO IN SARDEGNA

di
Dolores Turchi

E' esistita qualche forma di sciamanesimo in Sardegna? La domanda si pone con insistenza dopo l'interessante articolo di Andrea Satta tendente a dimostrare quale fosse la vera identità della surbile e i tratti sciamanici che questa mitica figura sembra possedere.

Esaminiamo innanzi tutto un documento sardo del XVII secolo, del quale non si può dubitare: il sinodo di Ales e Terralba del 1696, che così si esprime a proposito di certe superstizioni: "Vi sono delle persone, per lo più malate di qualche malanno, che fingono di essere state rapite per qualche tempo in cielo o trasportate all'inferno o al purgatorio, donde ritornate, raccontano d'aver visto varie persone, sia defunte che viventi, e chiamano tutto questo stare in calazonis". Il sinodo ci sta riferendo uno stato di transe, l'estasi sciamanica di alcune persone, pur non usando il termine sciamanesimo. La pratica di questi rapimenti estatici doveva essere abbastanza nota e forse il popolo sardo non si meravigliava più di tanto.


Probabilmente erano gli ultimi rigurgiti di uno sciamanesimo antichissimo, facente parte delle religioni precristiane e doveva apparire abbastanza normale a coloro che ne erano a conoscenza, se si pensa che ancora nella prima metà di questo secolo in quasi tutte le comunità sarde vi era un individuo, in genere una donna, che si diceva vedesse le anime dei morti e portasse le loro ambasciate ai familiari vivi. Secondo i racconti che ancora narrano alcuni vecchi, tali persone affermavano che spesso i defunti le malmenavano se non eseguivano i loro ordini o si rifiutavano di portare messaggi ai loro familiari, altre volte affermavano che gli spiriti le portavano in volo insieme a loro attraverso paesi e città e vedevano luoghi mai visti prima.
Naturalmente si sono sempre liquidate queste persone come visionarie e non si è mai dato credito alle loro affermazioni. Mircea Eliade scrive che lo sciamano "nell'estasi, attraversa una transe durante la quale si ritiene che la sua anima possa lasciare il corpo per intraprendere ascensioni celesti o discese infernali. Nei suoi rapporti con gli spiriti riesce a comunicare coi morti, coi demoni e con gli "spiriti di natura" senza per questo trasformarsi in loro strumento".

Pare fuor di dubbio che le donne sarde del 1600, quasi tutte analfabete, non conoscessero la parola sciamanesimo né il suo significato ciò non di meno dovevano conoscere le tecniche dell'estasi, se la descrizione che fa il sinodo di Ales e Terralba tre secoli orsono non è dissimile da quella che fa Mircea Eliade dopo gli approfonditi studi su questo fenomeno, che risulta essere stato presente in quasi tutti i popoli del mondo.

Un'altra testimonianza sull'esistenza dello sciamanesimo in Sardegna potrebbe essere data da un'usanza che vi era ad Aidomaggiore,  ove un tempo alcuni individui si mascheravano da "traveris". Scrive Luisa Orrù che i traveris "indossano un paio di mutande e una camicia, il volto è annerito con fuliggine, sono scalzi. Si crede che gli uomini così camuffati acquistino poteri straordinari, come saltare da grandi altezze o volare, ma diventino ossessi, posseduti dai demoni".La descrizione ricorda i calusari rumeni, il cui attributo centrale e specifico "è l'abilità acrobatico-coreografica e,  più in particolare,  la loro capacità di dare, danzando, l'impressione di volare". La radice del termine calusari deriva da cal che in rumeno significa cavallo, l'animale che gli sciamani, quando sono in estasi,  credono di cavalcare. Il termine sardo  deriva invece da travu, che significa toro, animale sempre presente nell'antica religione dei Sardi. In forma di toro alcuni uomini, secondo la credenza popolare, subivano delle metamorfosi, diventando appunto traveris ad Aidomaggiore,  boe travianu ad Orgosolo, érchitu a Bitti, boe muliache a Mamoiada. Quest'essere sardo metamorfizzato, dovunque nunzio di morte,  forse non esauriva la sua funzione muggendo per tre volte davanti alla casa di colui che durante la notte doveva morire. Con tutta probabilità il suo compito continuava come psicopompo, cioè come colui che doveva guidare l'anima del defunto nel regno dei morti,  come normalmente fanno, o meglio dicono di fare, gli sciamani. Esaurito il suo compito, prima dell'alba, tale individuo andava a rotolarsi per tre volte (a s'imbrussinare) davanti a un cimitero,  ove giungeva in un vortice di vento. Era questo un gesto rituale, ma anche un'operazione necessaria, catartica, per riprendere la normale attività nel mondo dei vivi. Troviamo quest'abitudine anche tra gli "strigoi" della tradizione popolare rumena.

Ovviamente l'esperienza fuori dal corpo, sia che comportasse o meno la metamorfosi in toro o altro animale, avveniva durante il sonno,  in una sorta di catalessi,  durante la quale lo spirito abbandonava il corpo per effettuare i suoi viaggi. Tale fenomeno viene spiegato chiaramente nei paesi della Baronia, dove questi individui sono detti mazzamortos, oppure voes corros d'attagliu (buoi dalle corna d'acciaio). Questo secondo termine è noto in una vasta area della Sardegna. A Tanaunella si afferma: "Su mazzamortos era un uomo che di giorno si comportava come tutti gli altri, ma di notte,  quando era addormentato, partiva. La sua anima usciva dal corpo per annunciare o per portare la morte".

Credenze simili esistono anche in Corsica ove questo genere di persone sono chiamate "mazzeri". Tracce di sciamanesimo ritroviamo anche ad Ottana ove "sos  vie-mortos",  ovvero coloro che affermavano di vedere le anime dei defunti, raccontavano che queste li portavano spesso con loro a fare dei giri o a vedere posti nuovi volando per aria.

Una vecchia ottanese racconta: "Un uomo veniva spesso portato in giro dagli spiriti. Una notte, durante il volo, mentre attraversavano un grande crepaccio,  uno spirito disse al compagno: "Buttiamolo giù, perché si rifiuta di portare i nostri messaggi". "Tu non lo tocchi, rispose l'altro, perché questo è il mio compare di battesimo".Simili racconti si narravano anche in altri paesi, ove qualcuno affermava di fare lunghi viaggi notturni con gli spiriti e di vedere luoghi bellissimi. Figure sciamaniche al femminile sono le cogas, ovvero le surbiles. 
Si può anzi decisamente affermare che se in Sardegna vi furono, come sembra,  forme di sciamanesimo,  queste sono ricordate soprattutto al femminile. 
Cogas e surbiles
indicano gli stessi esseri in aree diverse. Nel Campidano si parla di cogas, nella Barbagia di surbiles.  Nell'immmaginario collettivo sia l'una che l'altra è sempre una donna che di giorno conduce vita normale, ma la notte, spesso inconsapevolmente,  si trasforma in un essere indefinito, quasi sempre in forma di insetto o di gatto, che vola da un casolare all'altro o da un paese all'altro, insinuandosi nelle abitazioni, solitamente attraverso il buco della serratura o attraverso il comignolo. Suo compito pare sia quello di molestare le persone che dormono supine opprimendole sullo stomaco e pertanto immobilizzandole, in modo da poter tranquillamente succhiare il sangue ai loro bimbi. Altre volte mordono o pizzicano i dormienti lasciando sul loro corpo dei lividi che vengono chiamati "mossigu de coga", morso di coga.

Tanta gente credeva a Diana con la falce lunare, queste presenze notturne, specie le puerpere che, quando vedevano deperire i neonati, forse per mancanza di latte, pensavano che la coga-surbile fosse penetrata durante la notte nella loro abitazione. Per difendersi da questa presenza malefica vi erano diverse maniere. C'era chi metteva sotto il letto due spiedi incrociati oppure,  dietro la porta, su juvale (il giogo dei buoi) o un treppiede rovesciato. Davanti a questi ostacoli la coga-surbile  sarebbe stata impotente. Un altro modo di difendersi era dato dalla falce dentata o da una manciata di granelli di semola d'orzo o di sabbia di mare. La coga-surbile, entrando, si sarebbe fermata a contare i dentelli della falce o i granelli della sabbia, ma non riuscendo ad andare oltre il numero sette, avrebbe sempre ricominciato da capo, fino a che non fosse giunta l'alba. A quell'ora doveva ritirarsi perché la metamorfosi finiva. Esistono tante leggende ove la coga-surbile viene colpita sotto forma di insetto o di gatto e, invariabilmente, l'indomani ci si accorge che qualche donna del vicinato, durante la notte, ha subito una mutilazione".

 Le stesse credenze si riscontrano anche tra le popolazioni ladine. Qui la coga-surbile è chiamata truci. Queste presenze tenebrose, considerate fantasie di donnette, erano ben note ad autori greci e latini. Le chiamavano lamiae. Ne parla Aristotile, Diodoro Siculo, Aristofane, Plutarco.  Strabone e Suida. Di streghe e di cavalcate notturne su animali o su scope è costellato tutto il Medioevo. È risaputo che numerose donne furono arse vive nel periodo dell'Inquisizione, ma i capi di imputazione riguardavano in genere casi di eresia, sabba notturni, adorazione di Satana. In Sardegna non vi fu una vera e propria caccia alle streghe, forse perché la "strega" sarda, ovvero la coga-surbile, si discosta nel suo operare dallo stereotipo delle streghe perseguite dall'Inquisizione. Le sue caratteristiche, più che a fattori eretici, sembrano condurre a credenze antichissime, facenti parte d'un sottofondo religioso euroasiatico e mediterraneo, ove la figura della coga-surbile, in tempi lontani, forse non aveva carattere negativo, ma era una giustiziera che aveva il compito di ristabilire la giustizia violata. Nell'immaginario poteva forse apparire come colei che, mossa da una forza superiore, puniva le colpe dei genitori attraverso i figli, facendoli morire nella culla quando grandi ingiustizie venivano perpetrate a danno di persone molto povere, deboli e indifese.

Il ruolo punitivo della coga-surbile sembra emergere da alcune leggende in cui si parla di povere donne defraudate del loro lavoro. Basta pensare alla leggenda "La vendetta della surbile", in cui si parla di due tessitrici recatesi in Baronia a vendere il frutto del loro lavoro: alcune coperte tessute al telaio. Una donna benestante, che aveva acquistato la coperta più bella, non aveva rispettato i patti e si era trattenuta una parte del prezzo stabilito. Lungo la via del ritorno una delle due tessitrici cade a terra svenuta. La compagna cerca di rianimarla senza riuscirci, e dopo un certo tempo vede una mosca che si insinua nella narice dell'amica che subito riprende conoscenza e annuncia di aver punito colei che aveva sottratto la loro mercede, uccidendole il bimbo nella culla". Su questo tono risulta anche una leggenda di Ollolai, ove una donna ricca nega un prestito a due sorelle poverissime. Poco dopo trova la sua bimba morta. Sia nell'una che nell'altra storia le vittime della sopraffazione sono molto povere. Spesso il popolo mette in evidenza che la coga-surbile agisce inconsapevolmente e che di giorno ignora ciò che fa durante la notte, benché le leggende esaminate sembrino dimostrare il contrario. 

L'inconsapevolezza emerge invece in modo chiaro nella leggenda "La surbile punita", in cui alla surbile invisibile ma presente viene promesso un barattolo di sale se tornerà l'indomani, di giorno; ed ecco che l'indomani si presenta una donna che abitava al lato opposto del paese che, ignara di ciò che aveva tatto la notte, chiede di avere il sale promesso. Nella leggenda "La nonna surbile", appare invece una vecchia che durante il giorno custodisce amorevolmente i suoi nipotini e durante la notte ne succhia il sangue. Il fatto viene vissuto come una dolorosa condizione alla quale non ci si può sottrarre. Un detto antico afferma che i peccati dei genitori ricadono sui figli. Le escursioni punitive della coga-surbile potrebbero essere collegate a questo detto. Quale peggiore punizione per un genitore che togliergli ciò che ha di più caro, ossia il proprio figlio? Ovviamente col passare del tempo e col mutare delle religioni, tante figure mitologiche furono demonizzate e il loro ruolo stravolto, per cui non è improbabile che la connotazione totalmente negativa della coga-surbile sia venuta lentamente, già dal periodo romano, assimilandola alla lamia, fino a crearne una sorta di strega in tempi successivi. Di stregoneria v'è traccia nei processi inquisitori  che si svolsero in Sardegna nel XVI e XVII secolo. Vengono però distinte alcune categorie di streghe e fattucchiere. Gli inquisitori esaminarono donne guaritrici,  indovine e maliarde. 

Oltre a queste categorie di persone "v'erano i maghi e le maghe che dopo essersi spalmati di unguenti, andavano di volata nella Valle dell'Inferno. Questa località favolosa si trovava, stando alle confessioni dei maghi nei pressi del luogo che allora si chiamava Castel Aragonese. Si riunivano qui,  vivi e morti, per mangiare,  ballare e abbandonarsi a piaceri sessuali. Quelle che avevano la fama di maghe venivano accusate anche di vampirismo. Secondo questa credenza le maghe entravano di notte nelle case, normalmente sotto le apparenze d'un gatto, e uccidevano i bambini mordendoli e succhiando loro il sangue...".Tutto ciò risulta dalle relazioni dei processi che venivano inviate all'inquisitore generale di Madrid. C'è da dire che nonostante ciò, pare che nessuna fattucchiera sia stata messa al rogo in Sardegna. In genere gli inquisitori si limitavano ad imprigionarle per un certo tempo o a confinarle e, nei casi più gravi, a confiscare i loro beni. Evidentemente anche agli occhi degli inquisitori il loro operare scaturiva, più che da fattori eretici o da stregoneria vera e propria, da un sistema di credenze e superstizioni antichissime che affondavano le radici in un'arcaica visione della vita ove il male che veniva fatto al prossimo veniva automaticamente punito nella stessa misura. L'allusione agli unguenti usati per raggiungere a volo il luogo di raduno e l'accusa di vampirismo erano evidentemente considerate frutto di fervida fantasia. Da parte nostra aggiungiamo che tali fantasie non erano tipicamente sarde, visto che anche in altri paesi d'Italia e d'Europa si credevano le stesse cose.

Se ci spostiamo nel centro dell'Asia riscontriamo credenze non molto diverse. Nel Tibet, ancor prima dell'avvento della religione buddista, specialmente nelle regioni himalayane, si credeva che i btsan, una sorta di demoni, provocassero la morte dei bimbi nella culla. Perciò, quando i genitori si convincevano che il proprio figlio era stato ucciso da qualche btsan, appena nasceva un altro bimbo gli davano un nome spregevole, cercando di ingannare i demoni, in modo che quel nome di poco conto non attirasse la loro attenzione. È opportuno a questo proposito citare alcuni sinodi sardi che sembrerebbero confermare anche per la Sardegna una simile usanza, in cui i bimbi venivano protetti con il conferimento di un nome particolare. Quando nasceva un bambino si preparava un camicino che doveva essere confezionato rapidamente. Si chiedeva del lino in elemosina e questo veniva filato, tessuto e cucito in un solo giorno. L'indumento ricavato, chiamato camicia "Santaddi"', veniva subito messo indosso al neonato. Talvolta questa camicia veniva mostrata alla madre attraverso il velo di sette setacci, poi buttata nel letamaio, in modo che il bimbo potesse essere chiamato "Fuliadu", che significa "gettato via", per far credere che si trattava di un bimbo che non aveva alcun valore per i suoi genitori, quindi un bimbo considerato di poco pregio."...y muchos se sirven de la supersticion de la camisa, que llaman  Santaddi, pidiendo de limosna bastante lino, y en el mesmo dia hilan, texen, y ajustan la camisa, y se la visten al nino; y otras vezes, se la hazen vèr a su madre por siete arneros, y despues le echan al muladar poniendole por nombre fuliadu...". 

Il sinodo di Ales e Terralba,  come pure quello di Oristano precisano: " ...paraque en virtud de esta diligentia tenga muchos anos de vida". Da notare a questo proposito che il materiale con cui la camicia veniva confezionata doveva essere chiesto in elemosina e l'indumento fatto rapidamente, nel giro d'un giorno, come a significare che si trattava di un bimbo tanto povero che i genitori non possedevano neppure un carnicino con cui coprirlo, per di più si chiamava Fuliadu... vale a dire un povero trovatello abbandonato nel letamaio dalla madre. I sinodi spiegano che quest'azione superstiziosa si faceva perché il bimbo avesse molti anni di vita. In realtà doveva farsi per ingannare la coga-surbile, per farle credere che quella povera creatura era stata raccolta da un letamaio, non era dunque importante per i genitori, quindi era inutile accanirsi contro di lei. Con questo inganno c'era la possibilità che il bimbo scampasse alla morte e avesse molti anni di vita. Ad Ottana si era più espliciti. La tradizione popolare ricorda che alcune madri mettevano il bimbo, con i piedini legati con una cordicella, entro una cesta e, accompagnate da una parente, si recavano al letamaio ove la madre, dolcemente, faceva scivolare il bimbo per un istante dalla cesta sul letame. 
Subito dopo la persona che l'accompagnava si affrettava a sciogliere la cordicella e a prendere il bambino che veniva presto riportato a casa. Da quel momento veniva chiamato "Fuliadu" (qualcuno lo faceva anche quando il bimbo stentava a camminare). Le madri più cristianizzate difendevano invece i neonati dalla coga-surbile con una lampada che rimaneva accesa dal momento della nascita fino a quando venivano battezzati.

In qualche leggenda si parla di formule magiche e di unguenti con i quali le cogas-surbiles  si ungevano prima di effettuare il volo, in altre non si fa cenno a sostanze particolari, si parla invece di un sonno profondo, simile alla morte. Le leggende barbaricine, che sembrano sottintendere azioni punitive, forse necessario per ristabilire la giustizia violata o la pratica del mutuo soccorso, accennano solo al corpo esanime della surbile. L'unguento invece doveva essere tipico delle cosiddette streghe o fattucchiere che, secondo i documenti redatti dal tribunale dell'Inquisizione in Sardegna, si recavano per i loro convegni nella zona di Castel Aragonese, oggi Castelsardo. Non mancano in questa sorta di sciamanesimo neppure le ossa che generalmente lo sciamano contempla. Ossi di animali che tornano in vita dopo essere stati ricomposti e riavvolti nella loro pelle, si trovano in varie leggende. Nel racconto "Sorammala",  l'asino cacadenari che viene ucciso ritorna in vita quando al proprietario viene suggerito di raccogliere e ricomporre entro la pelle dell'animale tutte le sue ossa sparse".

 
Altrettanto accade con ossi di pecore e vaccherelle. Quasi sempre compare in questi racconti uno smembramento, una ricomposizione delle ossa e una rinascita, come avviene per lo sciamano. Bisogna però chiarire che non si tratta di semplici animali, ma di esseri prodigiosi. Nel ricomporre le ossa accade sempre che un ossicino del piede venga a mancare, per cui l'animale tornato in vita zoppica. Risulta quindi presente anche la zoppaggine rituale. Un'ultima prova, forse la più persuasiva di una forma di sciamanesimo sardo, la si ricava dal nome che alla coga-surbile viene dato in alcuni paesi. Nella zona intorno a Buddusò questo essere viene chiamato "sa mamma Erodas". Tale nome la dice lunga e apre uno squarcio abbastanza profondo per comprendere l'origine di questi esseri notturni. Eroda era il nome con cui era chiamata Diana (la greca Artemide)  dalle streghe dell'Occidente. Bernardino da Padova, nel 1423, nel sermone "De Seraphin", si scaglia contro le donne che seguivano Heroyda nei suoi voli notturni, anche se il loro "andare in cursio" non significava ancora andare al sabba".

Scrive Mircea Eliade: "Stando ai processi dell'Inquisizione svoltisi a Milano nel 1384 e nel 1390, due donne avevano riconosciuto di appartenere a una società diretta da Diana Herodias e costituita sia da donne vive, sia da donne morte. Gli animali che costoro mangiavano durante i loro banchetti cerimoniali venivano poi resuscitati sulla base delle loro ossa, dalla dea; Diana... insegnava alle sue seguaci l'uso di erbe medicinali per guarire diverse malattie, scoprire gli autori dei furti e identificare i maghi e le maghe. È evidente che queste fedeli di Diana non avevano nulla in comune con gli autori dei maleficio satanici e, molto probabilmente i loro rituali e le loro visioni erano solidali di un culto arcaico della fertilità". 

A questo punto è opportuno notare che le donnette sarde che affermavano di vedere i morti e di essere da questi trasportate in volo, erano anche esperte conoscitrici di erbe e guaritrici.. Traevano i loro auspici da segni e visioni e ad esse si rivolgeva chi aveva subito un furto, per avere chiare indicazioni. Erano queste le seguaci di Diana? Non possiamo affermare con certezza se seguivano segretamente il suo culto, sappiamo però che fino agli anni '50 di questo secolo erano (e in alcuni casi sono ancora) presenti in ogni comunità. 
Chiamate con nomi diversi, guarivano alcune malattie, scacciavano il malocchio con formule segrete e spesso indicavano, a chi aveva subito un furto di bestiame, in quale direzione si doveva cercare per rintracciare la refurtiva. Queste donne sono sempre vissute poveramente, ai margini della società. Non accettavano danaro per le loro prestazioni, solo qualche prodotto in natura. I loro gesti, uniti ad abbondanti croci, erano un misto di paganesimo e cristianesimo. Non sappiamo se conoscevano il nome di Erodas. Questo nome è comunque attestato, oltreché nella zona di Buddusò, anche ad Osidda22, a Oliena" e a Tanaunella. In quest'ultimo paese, ancora agli inizi del secolo, la prima domenica di agosto si faceva una croce di pasta e la si applicava sulla porta della propria abitazione, perché in quella notte sarebbe passata Erodas. Tale croce sembrerebbe un segno di riconoscimento, come quello fatto dagli Ebrei all'uscita dall'Egitto, perché l'angelo del Signore non colpisse le loro case; alla stessa maniera la schiera di Erodas, vedendo la croce di pasta, sarebbe dovuta passare oltre la casa segnata. 
Quella stessa sera veniva inoltre preparato un piatto di gnocchi (maccarrones  de punzu), che si lasciava all'esterno delle case, generalmente sul davanzale della finestra, perché sarebbero passati anche gli spiriti dei defunti. Non si dimentichi che agosto era considerato l'ultimo mese dell'anno, quindi il mese dei morti; infatti ancora oggi in Sardegna il mese di settembre è detto capidanni  (caput anni). 

I sinodi sardi del XVII secolo parlano ampiamente di questa credenza. I maccheroni lasciati durante la notte sul davanzale erano la classica offerta per le anime che accompagnavano Erodas. Il piatto con tale cibo però, contrariamente a quanto si faceva per la tradizionale cena dei morti, per la quale si apparecchiava il tavolo entro casa, perché i familiari defunti potessero ristorarsi, veniva messo al di fuori della casa; evidentemente le anime che sarebbero passate in quella notte non erano ritenute quelle dei familiari e forse neppure benevole. L'offerta era solo un modo per mitigarle ed esorcizzarle. Il rito comunque aveva carattere fertilistico. Infatti, col brodo ottenuto dalla cottura di quei maccheroni le donne si massaggiavano le spalle e si ungevano il petto perché il latte abbondasse.C'è da chiedersi se l'unzione con tale brodo aveva solo lo scopo di procacciare latte abbondante oppure se in tempi lontani aveva anche un altro significato di cui s'è perduto il ricordo. Ungersi il corpo poteva significare prepararsi al volo seguendo la schiera di Heroyda  (sa mamma Herodas), i cui scopi, prima che nell'immaginario collettivo degenerassero in una sorta di sabba, erano quelli di  "Soccorrere i  bambini maleficiati, le partorienti, gli infermi", come scrive Carlo Ginzburg.

Un tratto comune a tutti gli sciamani e alle cosiddette" streghe" è il fatto che questi esseri siano nati con la camicia (l'amnio). È da presumere che questo particolare fosse comune anche alle cogas-surbiles. È bene sottolineare che il brodo dei maccheroni di cui si parla a Taunanella era una poltiglia densa e un po' viscida, perché i maccheroni fatti in casa venivano cotti con poca acqua. Ungersi il torso con un simile brodo dava probabilmente l'impressione di avere indosso una camicia che quando si seccava si staccava dal corpo come se si trattasse di sottili brandelli di pelle, cosa che poteva ricordare in qualche misura l'amnio. Si trattava forse della riutilizzazione di quell'elemento distintivo che consentiva il volo estatico. Quando si vuole parlare di una persona che riesce a fare cose fuori dell'ordinario, si dice ancora oggi: "È nato con la camicia". 
I traveris  di Aidomaggiore, nel loro mascheramento, portavano tutti una camicia bianca ed erano scalzi. Anche l'essere scalzi era un tratto comune a coloro che affermavano di volare. In realtà le streghe o cogas-surbiles, seguaci di Heroyda, sembrerebbero donne che in pieno cristianesimo ancora seguivano il culto di Diana, la divinità pagana identificata con la luna. I posseduti da Diana erano chiamati dianaticus o lunaticus. Il nome di Diana in Romania diventa zina, che significa fata, così come in Sardegna Diana diventa jana, con lo stesso significato. Sia le fate rumene che quelle sarde hanno un carattere molto simile, alquanto ambivalente. C'è di più: la patrona delle zine rumene, oltreché Eridiada è chiamata anche Arada. Quest'ultimo nome ricorre spesso nella mitologia sarda come Ara: dimoniu e molti toponimi sardi lo portano incorporato. Nella tradizione popolare esistono delle filastrocche che un tempo potevano essere le formule magiche da recitare prima di intraprendere il volo estatico. 

In tanti paesi della Barbagia (con qualche piccola variante tra l'uno e l'altro), ancora si ricorda questa filastrocca: "Luna luna/ paraluna / para mese, / uve sese?/  In funtana. I Sa Eirana,  I s'ebba mia, mi ch'esportet, da inoche a Baronia!". Altri dicono: "no ch'esportet I istanotte a Baronia".  
(Traduzione: Luna luna, paraluna. para mese, Dove sei? Nella fonte. Eriana, la mia cavalla, mi trasporti, da qui fino alla Baronia. Altri: ci trasporti questa notte in Baronia).

Chiaramente la filastrocca è un'invocazione alla luna che viene chiamata "sa Eirana"  (è forse una corruzione da Eirada-Eroda?).  Altro particolare che rimanda alle cavalcate notturne è "s'ebba mia" (la mia cavalla). Il cavallo è un attributo della luna che in tante leggende sarde viene descritta come una bella signora che gira per il cielo in groppa ad un cavallo bianco. La radice dei calusari rumeni abbiamo visto che significa cavallo, animale indispensabile per le cavalcate notturne (gli sciamani euroasiatici cavalcavano in genere sul loro tamburo). Ma la frase che non lascia dubbi è quella finale, in cui si chiede espressamente alla luna di essere trasportati fino alla Baronia, e questo non può avvenire se non attraverso  il  volo estatico.

Carlo Ginzburg riporta un testo del X secolo che raccoglie le istruzioni destinate ai vescovi che avrebbero dovuto sradicare certe pratiche superstiziose: "Non bisogna tacere che certe donne scellerate, divenute seguaci di Satana, sedotte dalle fantastiche illusioni dei demoni, sostengono di cavalcare la notte sopra

Certe bestie insieme a Diana, dea dei pagani, e a una gran moltitudine di donne; di percorrere grandi distanze nel silenzio della notte profonda; di obbedire agli ordini della dea come se fosse la loro signora; di essere chiamate in determinate notti a servirla".

Un secolo più tardi Burcardo di Worms riprenderà lo stesso testo, aggiungendo al nome di Diana quello di Erodiade "cum Diana, paganorum dea vel Herodiade". Il testo, conosciuto col nome di Canon Episcopi, fu ampiamente ripreso nei secoli successivi, più o meno con le stesse parole, tanto da trovarne tracce evidenti anche nei sinodi del XVI secolo dell'Italia Meridionale.

È evidente che simili credenze derivano da culti pagani e sono il risultato di sedimentazioni antichissime. Su queste credenze si sono innestate superstizioni medievali e stereotipi inquisitoriali.  Ma le tradizioni più arcaiche affondano le loro radici nello sciamanesimo.  Il volo estatico e la metamorfosi in animale sono tratti tipicamente sciamanici giunti in Sardegna in tempi antichissimi, attraverso ondate migratorio  non ben identificate. Con queste testimonianze e documentazioni abbiamo voluto porre l'attenzione su quel sottofondo irrazionale che sfugge ad ogni logica e che pure è stato presente nell'immaginario collettivo di tante generazioni, fino al nostro secolo.

Partendo dal presupposto che non tutto fosse frutto di creazioni fantastiche, giacché gli sciamani esistono e operano ancora oggi in varie parti del mondo, è logico domandarsi come avvenissero in realtà i   curarsi un tale stato d'estasi da credere viaggi estatici. Non essendo credibile   veramente che l'anima uscisse dal corpo e che l'anima si separasse dal corpo, si può   volasse conquistando orizzonti sempre presumere che attraverso sostanze stupefacenti   più vasti, nel tentativo di penetrare il mistero  (erbe particolari o funghi allucinogeni), alcune persone riuscissero a procurarsi un tale stato d'estasi da credere veramente che l'anima uscisse dal corpo e volasse conquistando orizzonti sempre più vasti, nel tentativo di penetrare il mistero della morte e di stabilire un contatto con il mondo soprannaturale.


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