Il Bimbo

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Di Eugenio Cerreti

Il bimbo giocava tranquillo e felice.

Con occhi vivaci scrutava quel mondo che in fondo sembrava esser simile a lui.

La Madre gli dava ogni cosa volesse, con grande premura.

E nulla sembrava volerne in compenso.

Il fatto che il bimbo crescesse sereno e che si esaudissero i mille bisogni pareva bastare alla Madre affettuosa.

E venne quell’uomo, soffiando in un flauto.

Narrava di ninfe giocose e ridenti, di fulmini e tuoni che abbattono i monti, di fiamme rapite per farne poi dono.

Narrava di un monte coperto di nubi, di nettari e cibi per mense di eletti.

Narrava di terre lontane e fiorenti, dai mille misteri, dai popoli strani.

E il tempo passava ed il bimbo cresceva.

Poi venne quell’uomo, con l’arco a tracolla.

Narrava di imprese d’eroi del passato.

Narrava le glorie e le gesta regali di quei condottieri d’indomita tempra.

Narrava di guerre, in terre lontane, di fieri nemici dispersi in battaglia, di libere genti ridotte in catene.

E il tempo passava ed il bimbo cresceva.

E venne quell’uomo, in candide vesti.

Narrava di eccelso sapere di menti, dei gravi argomenti affrontati da queste.

Narrava del sole, di stelle e dei cieli e poi della terra, dell’acqua e del fuoco.

Narrava il mistero di numeri e forme, di corpi minuti e infiniti ed anche di chi quelli aveva creato.

E il tempo passava ed il bimbo cresceva.

Poi venne quell’uomo, suonando la lira.

Narrava di eburnee fanciulle scolpite, di suoni ascoltati, leggeri e soavi.

Narrava di pietre dai mille colori che d’oro e d’argento venivano cinte.

Narrava dei gesti sicuri o leggiadri di chi dall’informe traeva la gioia e dei sensi degli altri incantati.

E il tempo passava ed il bimbo cresceva.

E venne quell’uomo, portando una torcia.

Narrava di forze immutabili e oscure.

Narrava dei mille miscugli provati, di quelli riusciti, dei tanti sbagliati.

Narrava di cose scoperte per caso, di cose cercate ed infine trovate, di cose che ancora si andava cercando.

Ed ora quel bimbo, col viso rugoso, le gambe cedevoli e molli, la schiena incurvata e acquoso lo sguardo, continua, operoso, il cammino intrapreso.

E mentre, beato, sta fermo a guardare i passi compiuti, scanditi dal tempo, si sente chiamare e si volta quel tanto che basta ai suoi occhi per rendersi conto di quel ch’è rimasto di ciò ch’era un giorno quel mondo che in fondo era simile a lui.

 

 

E vede la Madre, percossa e umiliata.

Tacere violenze, soprusi e abomini e ancora guardarlo con gli occhi sereni di chi non vorrebbe pur giusta vendetta ma è pronta, da Madre, al supremo perdono.

E vede, angosciati, quegli uomini austeri che gli hanno narrato del mondo le gesta.

Han vesti stracciate e graffi sul viso, son stati scacciati, derisi, esiliati.

E quelli che ancora gli stanno d’intorno, che bevono a sorsi le loro parole, son pochi e sparuti, son timidi e stanchi.

Poi vede le belve che libere vanno: han denti affilati e artigli taglienti, negli occhi la brama di fame mai sazia.

Le vede contare danaro bagnato del sangue di quelli che l’han guadagnato.

Si lasciano dietro il dolore e la fame, la sete, gli stenti, torture e percosse e infine, la morte.

Ne son testimoni le schiere di figli dagli occhi incavati, dai ventri deformi.

Ne son testimoni le donne vendute, ancora bambine, a dar, per due soldi, se stesse per strada.

Ne son testimoni i ghetti del mondo.

Ne son testimoni coloro che danno, in cambio di pane, una parte di sé a chi non si chiede da dove provenga quel pezzo di vita che allunga la propria.

Ne son testimoni quei morti ammazzati per una compressa dal costo elevato.

Ne son testimoni i milioni di storpi, passati per caso nel posto sbagliato, svegliando la mina che stava aspettando.

Ne son testimoni quei vecchi lasciati perché non più buoni a sfamarsi da soli.

Ne son testimoni gli ingiusti destini di quelli che chiedono un giusto destino.

Ne son testimoni gli sguardi smarriti dei troppi ragazzi che per vivere ancora affondano in vena la punta di un ago.