Succede nel deserto un racconto di Eugenio Cerreti

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Quella mattina si partì molto presto.

Già da alcuni giorni nell’oasi tutti si dedicavano freneticamente ai preparativi e anche Josfuth aveva contribuito, per la sua parte.

Alle prime luci dell’alba, la carovana si snodava fra le dune per una lunghezza superiore al chilometro.

Ognuno si occupava di qualcosa e, cosa più importante, nessuno perdeva di vista i compagni più vicini. Rimanere isolati nel deserto poteva significare una morte sicura.

Questo lo sapevano tutti, e lo sapevano quasi dalla nascita. Lo sapeva anche Josfuth nonostante la sua giovane età. Per chi nasce nel deserto esistono delle regole che devono essere osservate e basta; sono necessarie alla sopravvivenza.

La giornata passava lentamente e fu verso il calare del sole che si vide, verso sud, la nuvola densa e minacciosa. Sembrava occupare tutto l’orizzonte e avanzava, avanzava velocemente.

Quante volte tutti avevano già assistito ad una bufera di sabbia!  Eppure ogni volta era come se fosse la prima. Lo spettacolo, terrificante e maestoso rapiva gli sguardi, faceva battere il cuore all’impazzata perché di lì a poco intorno a loro sarebbe scoppiato l’inferno.

La carovana si disunì e ognuno cominciò a cercare un riparo; bisognava fare in fretta, la bufera sarebbe arrivata nel volgere di qualche minuto.

Josfuth si nascose dietro una piccola duna; aveva già imparato a non cercare chissà quale rifugio... bastava una lieve escrescenza del terreno e la bufera gli sarebbe passata sopra. Così almeno sperava...

Quando arrivò fu di una violenza inaudita. Mai Josfuth aveva sentito una bufera così e probabilmente neanche la gran parte dei suoi compagni.

Inizialmente Josfuth tentò di contare il tempo che passava ma ben presto rinunciò come rapito dalla scena che vedeva e non vedeva nei rari momenti in cui riusciva a socchiudere gli occhi.

Dei compagni nessuna traccia; tutti erano sicuramente al riparo e in questi casi ognuno pensa sempre prima a sè.

La tempesta durò molte ore; ogni tanto Josfuth si scrollava di dosso la sabbia che minacciava di ricoprirlo; era ormai completamente buio. Nel cielo, nascosto dalle nubi polverose, non si intravedeva neanche una stella.

Pian piano Josfuth si addormentò.

Il sole era già alto quando riaprì gli occhi. La tempesta era cessata e intorno il paesaggio era completamente diverso dal giorno prima.

Josfuth si guardò intorno alla ricerca degli altri.

Nessuno.

Possibile? Erano già partiti lasciandolo lì da solo? O erano tutti ancora lì, magari sotto una coltre di sabbia?

Josfuth cercò di trovare degli indizi della presenza di qualcuno dei suoi amici; scavò dove si notavano dei piccoli rigonfiamenti della sabbia. Niente!

Solo. Completamente solo nel deserto. Per alcune ore continuò a cercare e a chiamare, prima con tono sommesso, poi sempre più forte e, infine, disperato.

Era proprio così, della carovana nessuna traccia. Josfuth non sapeva più cosa fare. Sapeva quasi tutto del deserto. Le storie che si raccontano intorno al fuoco, negli accampamenti o nell’oasi, tutte le sere, parlano sempre e solo di lui, del deserto.

Ma solo, solo no! Non gli era mai capitato e non aveva mai sentito di qualcuno che fosse tornato a casa dopo essere rimasto solo.

Non riuscì a capire come fosse successo, ma d’un tratto fu di nuovo notte.

Si accomodò alla meglio al riparo di una buca scavata nella sabbia e si addormentò triste e disperato.

Al mattino, prima del sorgere del sole, si incamminò dopo aver scelto la direzione. Avrebbe marciato nella stessa direzione in cui si muove il sole. Non aveva più paura. Sapeva di avere una scorta di acqua sufficiente per alcuni giorni e questa era la cosa più importante. Per quanto riguardava il mangiare non si preoccupava più di tanto. Era abituato a digiunare anche per lunghi periodi.

Marciava e il pensiero continuava a tornare ai suoi compagni che lo avevano abbandonato. Oppure erano davvero tutti morti?

Ricordò ancora le storie del deserto e ricordò anche di non aver mai conosciuto il padre, partito con una carovana e mai più tornato a casa. Pensò alla dolcezza di sua madre, che lo aveva tirato su con tanto amore e che sempre lo aveva messo in guardia dai pericoli del deserto. Che gli narrava di suo padre e gli diceva che era partito per un altro mondo, un mondo più bello, un mondo dove il deserto non esiste, esistono solo grandi oasi verdi e profumate e l’acqua non é un bene raro.

Anche lei era partita, l’aveva lasciato all’oasi perchè era troppo piccolo per affrontare lunghi viaggi, e non era tornata più.

Così era la vita a cui era abituato, per questo, forse, non aveva paura mentre marciava verso chissà quale meta.

Venne la notte, poi il giorno e ancora la notte. Josfuth aveva perso cognizione del tempo. Il vento gli soffiava contro folate di sabbia bollente che gli inaridivano la bocca, gli accecavano gli occhi, lo facevano soffrire.

Il sole a picco su di lui lo martellava e non gli dava tregua. D’un tratto cadde sulle ginocchia, ma non se ne rese conto, continuò a camminare così per chissà quanto tempo. Gli occhi persi nel nulla, quel cattivo sapore nella bocca ed un dolore nuovo e cattivo che non aveva mai sentito.

Si accorse delle ginocchia escoriate a sangue quando ormai era troppo tardi per porvi rimedio. Si rialzò e fu allora che, alzando gli occhi al cielo lo vide; ne vide solo uno e non si preoccupò. Continuò a camminare con la sabbia che gli tormentava le ginocchia martoriate e le labbra screpolate.

Come spinto da una curiosità a cui non poteva dire di no rialzò gli occhi al cielo e vide che l’amico avvoltoio non era più solo; ora erano in tre ed altri ne arrivavano.

Capì, allora, che nel raggio di chissà quante miglia non c’era nè acqua, nè rifugio di sorta. Loro lo sapevano bene, sapevano che fra non molto lui sarebbe crollato. Ma cercò di non pensarci. Barcollando riprese la marcia.

Camminò per un po’, forse stava anche sbagliando direzione; cercò il sole con gli occhi per orientarsi e li vide sempre più numerosi e più vicini.

Cadde. Si rialzò, tanto per non dare loro soddisfazione. Tra sè e sè pensò che avrebbe dato loro filo da torcere, non si sarebbe arreso tanto presto.

Cadde di nuovo e di nuovo si rimise in cammino. Cercava di non pensare, doveva risparmiare le forze.

D’un tratto rivide, come in un lampo, l’immagine della madre, lì vicino a lui, la vide distintamente, la sentì parlare... rivide l’oasi in cui era cresciuto... gli amici, i compagni di giochi... le palme, lo specchio d’acqua dolce e fragrante... sentì i rumori familiari.

Cadde; sapeva che non si sarebbe più rialzato ma tentò lo stesso.

Josfuth, il cammello morente, alzò gli occhi al cielo per l’ultima volta e corse a raggiungere il mondo che, sapeva, lo stava aspettando.

Genio