Dedicato a Fabrizio di Eugenio Cerreti

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Dedicato a Fabrizio

Il viaggio in treno era stato massacrante: il giovane sacerdote, partito da Roma di prima mattina, era arrivato a Reggio Calabria che già era buio, con la schiena rotta, un gran mal di testa e con sullo stomaco solo un panino, comprato in una stazione lungo il percorso che, molto probabilmente, doveva aver visto tempi migliori.

Prima di scendere dal treno si accomodò il colletto rigido, prese la borsa nera porta-documenti e la valigia in finta pelle che conteneva le poche cose di cui avrebbe avuto bisogno.

Contava di trattenersi in Calabria solo per il tempo strettamente necessario a prendere conoscenza dei fatti su cui era stato inviato ad indagare e poi, una volta rientrato a Roma, avrebbe studiato con comodo tutta la faccenda e stilato la relazione di prammatica.

Ad attenderlo in testa al binario trovò l’autista della Curia che, nonostante le sue proteste, gli prese la valigia e lo guidò verso il parcheggio.

Nel breve tragitto che percorsero per raggiungere la Curia vescovile l’autista disse solo poche parole e non fece domande, cosa che lui apprezzò molto.

Monsignor Crespi lo accolse con untuosa cortesia, quel genere di atteggiamento così frequente quando si ha da trattare con qualcuno che potrebbe esserti utile in futuro ma che potrebbe anche danneggiarti, se solo lo volesse… quindi lo fece accompagnare nella stanza che gli era stata riservata: una stanzuccia modesta ma ordinata e pulita, dove ebbe modo di rinfrescarsi prima di scendere nella sala da pranzo.

Sua Eccellenza lo invitò al suo "povero desco", come ebbe modo di chiamarlo più volte in seguito e, prima che la Perpetua portasse un brodo caldo e corroborante, gli versò un bicchiere "di quello speciale" che lui inutilmente tentò di rifiutare e che assaggiò appena, solo per cortesia.

Non aveva voglia di chiacchierare e forse fu molto trasparente nel farlo capire al vescovo che, dopo un iniziale atteggiamento espansivo, fu decisamente molto meno loquace.

Dopo la cena sedettero davanti al camino, nello studio del vescovo e fu allora che Monsignor Crespi ruppe gli indugi e chiese all’emissario del Vaticano quali fossero i motivi che lo portavano così lontano da Roma.

Padre Emilio accavallò le gambe, guardò il vescovo dritto negli occhi e gli chiese: "Cosa può dirmi di Don Remigio?"

"Don Remigio? Il parroco di Sant’Ilario?" domandò di rimando Monsignor Crespi.

Padre Emilio fece solo di sì con la testa senza smettere di guardare fisso il vescovo.

"Cosa vuole che le dica… un sacerdote esemplare, benvoluto dagli abitanti del suo paese, forse poco attento alla forma… ma quanto alla sostanza, beh… non posso che dirne bene, anche se…"

"Anche se?" interloquì Padre Emilio.

"Anche se di recente ci sono state delle voci, degli accadimenti a Sant’Ilario… che, insomma… credo si tratti, ad ogni modo, di chiacchiere di paese, lei capisce…"

"No, non capisco" - rispose seccamente Padre Emilio - "mi spieghi lei, Eccellenza!"

"Mi è giunta voce" – riprese allora il Monsignore – "che in quel paese abbia soggiornato, negli ultimi tempi, una… una… sì, una donnaccia, ecco! E in un piccolo paese come Sant’Ilario certe cose non passano inosservate. Si dice che la donna di malaffare in questione abbia avuto un certo… come dire… un certo riscontro presso gli abitanti di sesso maschile del paese!"

Il prelato, in visibile imbarazzo, non aggiunse altro ma Padre Emilio, proprio per approfittare del momento di apparente debolezza del vescovo, lo incalzò nuovamente: "E Don Remigio che parte avrebbe avuto in queste chiacchiere, come lei le ha chiamate?"

"Oh, nessuna parte! Se non il fatto di aver tentato di avvicinare quella donna… con intenti pastorali, mi creda! Di aver tentato di riportarla sulla retta via…"

Monsignor Crespi smise di nuovo di parlare e chiese a Padre Emilio se desiderasse un bicchierino di amaro, di quello fatto in casa, da una devota fedele.

Padre Emilio rifiutò gentilmente l’offerta ma aggiunse: "Se lo versi per lei, Eccellenza, se lo desidera. Io preferisco non bere alcolici, né fumare…" e nel dire quest’ultima frase accennò con lo sguardo alla scrivania del vescovo su cui troneggiava una pipa con accanto un sacchetto di tabacco.

Il vescovo arrossì lievemente e si schermì: "Ah, ma sa, io fumo ogni tanto… mi aiuta a concentrarmi nei miei pensieri e la prego di voler considerare questa mia debolezza non come un vizio ma come un piccolo aiuto che provo a dare al mio povero vecchio cervello…"

"Dunque" - riprese Padre Emilio, dopo aver accennato un breve sorriso condiscendente - "per quanto le risulta, Eccellenza, non v’è motivo di dubitare del comportamento di Don Remigio!"

"Nel modo più assoluto!" – rispose il vescovo – "Anzi, le dirò che la permanenza di questa donnaccia in Sant’Ilario è terminata da qualche tempo… è stata allontanata in seguito alle rimostranze di molti paesani, donne soprattutto, che hanno denunciato la cosa ai carabinieri."

"Bene" – disse Padre Emilio – "Vuol dire che domani andrò a Sant’Ilario a parlare con Don Remigio e con qualche abitante del posto; spero che avrò modo di farmi un’idea precisa sui fatti, di verificare se quanto ci è stato riferito corrisponda o meno al vero e mi auguro di poter tornare a Roma nel più breve tempo possibile senza dover intraprendere azioni nei confronti di questo parroco che lei mi descrive come ottimo sacerdote."

"Questo è quanto mi risulta" rispose Monsignor Crespi.

Padre Emilio a questo punto si alzò dalla poltrona facendo forza con le mani sui braccioli e rivolgendosi al vescovo, che accennava ad alzarsi anch’egli, disse: "Stia pure comodo Eccellenza, ricordo la strada per la mia stanza; è ora che mi ritiri perché sono molto stanco e domattina dovrò levarmi presto. Anzi, la vorrei pregare, se le è possibile, di mettermi a disposizione un’automobile, senza l’autista… dato che so guidare. Sarà mia cura riportarla qui, spero domani stesso!"

"Certamente Padre! Non le posso offrire molto ma la mia Fiat 1100 spero le andrà bene".

"Andrà senz’altro benissimo, Eccellenza. E ora le auguro la buonanotte!"

Non appena Padre Emilio si fu ritirato Monsignor Crespi si voltò verso la porticina laterale del suo studio che si stava schiudendo lentamente e, rivolgendosi alla Perpetua che faceva capolino, le disse: "Ebbene Assunta, avete sentito? Che ne pensate?"

Assunta entrò lentamente nella stanza e si voltò per chiudere con cura la porta da cui era entrata. Era una donna di mezza età, ancora piacente, anche se vestita in modo dimesso e castigato. Una ciocca di capelli corvini, che fuoriusciva dal fazzoletto legato dietro la nuca, le ricadeva sulla fronte nascondendole parzialmente la fronte e uno degli occhi scuri che risaltavano sulla carnagione candida.

Il vestito pesante che la infagottava un po’, abbottonato fino al collo, non nascondeva del tutto le sue grazie e dalle maniche uscivano due manine tornite e morbide le cui unghie, ben curate, non avevano traccia di smalto. Anche il viso, peraltro, non era truccato.

La Perpetua si andò a sistemare alle spalle del vescovo ed iniziò a massaggiargli il collo sussurrando pian piano: "Mio Dio come siete rigido… avete proprio bisogno di un buon massaggio. Ma non dovete preoccuparvi, ci pensa Assunta…"

"Grazie Assunta, senza di voi non saprei proprio come fare" – rispose il vescovo prendendole una mano e carezzandola con dolcezza. Poi voltando il viso verso quella mano la baciò sul palmo, soffermandosi a lungo con le labbra sulla pelle morbida di lei che socchiuse gli occhi e sospirò profondamente, mostrando di apprezzare molto queste attenzioni.

"Stasera no" – mormorò il monsignore – "E’ meglio che tu vada nella tua stanza… con quello che circola per casa non mi sento tranquillo!"

- § -

Padre Emilio, nonostante la gran stanchezza, non passò una notte proprio riposante. Forse il fatto di dormire in un letto e in un ambiente non familiare gli avevano impedito di rilassarsi completamente. Forse anche il pensare ad Inge, cosa che gli accadeva ogni notte, non lo aveva aiutato a riposare, per quanto si trattasse di pensieri decisamente piacevoli.

Fin dalla prima volta che l’aveva vista, con quell’aria da ragazzina appena uscita dal collegio, nella sua tonaca bianca, così deliziosamente impacciata da quello strano italiano che non le usciva mai bene… fin dalla prima volta l’aveva desiderata fortemente ed era riuscito a fare in modo che lei gli venisse assegnata per il disbrigo delle sue necessità.

Necessità che avrebbero dovuto essere di tutt’altro tipo… lei avrebbe dovuto stirare, cucinare, rassettare il suo appartamento, rifare il suo letto e non finirci dentro, come era accaduto solo poche settimane dopo.

E la loro storia non si era esaurita in un momento, diciamo così, di debolezza. Il loro rapporto proseguiva ormai da qualche mese e il fatto che ciascuno avesse represso per anni le proprie pulsioni faceva sì che la carica della loro sessualità fosse così esplosiva da non poter in alcun modo essere tenuta a freno.

Restò ancora qualche minuto nel languido tepore del letto pensando a lei poi, vedendo il primo chiarore dell’alba, si alzò.

Quando scese nel cortile della Curia l’autista del vescovo stava finendo di lustrare la Fiat 1100 e consegnandone le chiavi al giovane sacerdote si premurò di dirgli di aver provveduto al rifornimento di benzina.

Padre Emilio chiese all’autista di ringraziare Sua Eccellenza da parte sua, di riferirgli che aveva intenzione di tornare al più presto, forse anche in serata e, dopo essersi fatta indicare sommariamente la strada, partì in direzione di Sant’Ilario.

Impiegò quasi tre ore a raggiungere il paesino, nonostante si trattasse di poco meno di 100 chilometri di strada: ma che strada! Percorsi i primi 25-30 chilometri la carreggiata iniziò a restringersi e i tratti privi di buche diventarono sempre più rari fino a che scomparve del tutto anche l’asfalto e la strada, poco più di una mulattiera, proseguì così fino a Sant’Ilario.

Dietro l’ennesima curva gli apparve una stazioncina ferroviaria che faceva decisamente pensare che il tempo si fosse fermato in quel posto sperduto fra l’aspra campagna calabra e il cupo mar Ionio che ogni tanto scorgeva in lontananza. Vide le prime case, abbarbicate sulla collinetta e poi il cartello stradale sgangherato e quasi illeggibile che gli annunciava di essere finalmente giunto a destinazione.

Fermò la macchina nella piazza del paese che appariva semideserto nonostante fosse metà mattina. La chiesa, costruita in semplice pietra, era come incastonata fra le case che affacciavano sulla piazza stessa.

Entrò in chiesa, si segnò facendo una rapida genuflessione e si fermò, appoggiandosi al muro, perché vide il sacerdote intento a parlare, dall’altare, ad una piccola folla di fedeli, donne per lo più, silenziosa ed attenta.

Don Remigio dimostrava 45-50 anni, non molto alto e di aspetto piacevole, aveva i capelli castano chiaro e non portava né baffi né barba; parlava con un accento inconfondibilmente calabrese e faceva uso di termini facili e diretti, sicuramente adatti a quella platea composta da gente semplice.

Padre Emilio diede un’occhiata alla chiesetta: al contrario della facciata spartana, l’interno si presentava fin troppo ricco di stucchi e di ori, abbacinante in uno sfarzoso scintillio tardo-barocco che se nelle intenzioni avrebbe dovuto far colpo sulla popolazione del posto, riusciva assolutamente stucchevole agli occhi del visitatore più smaliziato.

In una cappellina laterale si notava la statua lignea di Sant’Ilario contornata da innumerevoli ex voto mentre poco distante vide una Natività, un dipinto in olio su tela che doveva essere stato assai pregevole ma che ora appariva in uno stato di pessima conservazione.

Mentre Padre Emilio continuava ad osservare l’interno della chiesa Don Remigio proseguiva la sua predica:

"Fratelli, è questo l’insegnamento che Nostro Signore ci ha lasciato con la parabola che oggi abbiamo letto: non da come ci appaiono le cose possiamo permetterci di condannare o assolvere, ma è dalla loro reale sostanza che dobbiamo trarre un giudizio che sia giusto! Ciò che v’appare peccaminoso ad una superficiale osservazione potrebbe celare addirittura santità… ciò che al contrario v’appare, ad un primo esame, giusto e pio potrebbe nascondere la presenza del demonio! Fate tesoro degli insegnamenti di Gesù e ricordate che un giudizio affrettato non potrà mai essere un giudizio cristiano.

Ed ora andate pure e che la benedizione di Dio scenda su di voi e con voi rimanga."

I fedeli cominciarono ad uscire non senza guardare con curiosità quel prete forestiero che, appoggiato ad una parete, osservava la volta della loro chiesa.

Anche Don Remigio, che aveva notato l’arrivo di quel Padre sconosciuto, si era precipitato in sagrestia per smettere i paramenti sacri ed ora, dopo essersi genuflesso in direzione del Santissimo, andava incontro al visitatore con un largo sorriso sul volto.

Don Remigio poggiò un ginocchio a terra e baciò la mano del giovane Padre che inutilmente tentò di ritrarla, poi rialzatosi gli prese entrambe le mani, lo salutò con l’enfasi che gli consentiva la santità del luogo e lo condusse, quasi a forza, in direzione della canonica.

"Finalmente! Sono felice di fare la sua conoscenza, Padre…?"

"Padre Emilio" rispose l’altro.

"Padre Emilio! Oh, benissimo… vedo che la mia richiesta di aiuto non è caduta nel vuoto, credo che sarà davvero opera meritoria da parte sua prendersi a cuore la soluzione di quanto ho segnalato con la mia lettera… Lei non sa a quante persone mi sia rivolto per mettere fine al peccaminoso degrado di cui ho scritto e poi, ho visto sa? Ho visto come guardava la chiesa: si capisce subito che Lei è un vero amante dell’arte, un vero intenditore…"

Padre Emilio lo stette a sentire per un po’ poi interruppe quella valanga di parole: "Ci deve essere un errore. Lei mi deve aver preso per qualcun altro!"

"Come!" – ribatté Don Remigio – "Lei non è qui per il restauro del quadro? Quell’opera mirabile che sta andando in malora? Quella Natività che, ho visto, ha subito catturato il suo sguardo…"

"No" – ribatté Padre Emilio – "non sono qui per il quadro, anzi non sapevo neppure che lei avesse scritto in Vaticano per sollecitare un restauro dell’opera… sono qui per altra questione!"

L’allegria di Don Remigio fu repentinamente sostituita da una maschera di delusione che lo zittì per qualche secondo. Poi, rimessosi dal breve sconforto, riprese il suo consueto buon umore e, dopo aver spiegato a Padre Emilio quanto fosse importante per lui il restauro di quell’opera che indubbiamente, una volta riportata al suo splendore, avrebbe dato lustro alla povera chiesetta di campagna, invitò rumorosamente l’ospite ad accompagnarlo nel suo alloggio dove avrebbe provveduto a preparare qualcosa da mangiare e dove avrebbero potuto parlare con tranquillità. Infine, senza attendere conferma, si diresse su per una scala che portava verso un modesto edificio adiacente alla chiesa.

Padre Emilio, visibilmente contrariato dall’esuberanza del parroco, lo seguì augurandosi di riuscire finalmente a procedere all’interrogatorio cui voleva sottoporlo.

Salendo le scale dietro a Don Remigio ebbe modo di notare quanto fosse lisa la tonaca del sacerdote e considerò anche che gli scarponi da contadino che questi indossava, un po’ sporchi di fango, mal si coniugassero con l’immagine di decoro che un buon parroco deve trasmettere.

Una volta giunti nel semplice appartamento, Don Remigio, che non aveva mai smesso di parlare, indicò al suo ospite una misera poltroncina e lo invitò ad accomodarsi e a mettersi a suo agio, ché lui avrebbe provveduto di persona ad imbandire un pranzetto coi fiocchi.

Con fare esperto, infatti, iniziò a preparare un sughetto che emanava un odorino davvero invitante, affettò del pane scuro e mise a bollire l’acqua per cuocervi un cartoccio di pasta all’uovo, forse dono di una parrocchiana, che aveva tirato fuori dalla madia.

Si muoveva senza eccessiva fretta ma con un’efficienza invidiabile, senza fare mai un passo di troppo e soprattutto senza mai smettere di parlare, cosa che Padre Emilio cominciava a non sopportare più… "Allora, mi diceva, Padre… altra questione L’ha portata in questo povero paesino. E mi dica, in che modo posso essere d’aiuto? Sarò felice di poterLe dare una mano, per quanto nelle mie possibilità! Ma La prego, assaggi intanto queste olive seccate che sono una vera specialità, le ho condite io stesso con l’olio che facciamo qui e sono insaporite con la scorzetta di bergamotto che è il vero tocco dell’artista, mi creda…"

"Allora, Don Remigio" – prese a dire Padre Emilio, mettendo in bocca un’oliva – "ho bisogno di sapere alcune cose in merito ad una donna che, mi risulta, sia stata in questo paese fino a non molto tempo fa."

"A chi si riferisce?", chiese Don Remigio.

"Me ne hanno parlato come di una donna di malaffare… ma sono qui proprio per capire di chi si trattasse realmente e come si sono svolti i fatti che l’hanno costretta poi ad abbandonare il paese."

"Ah, ho capito di chi parla… donna di malaffare l’hanno chiamata… non sono d’accordo con questa definizione", rispose Don Remigio.

"Dunque" – riprese Padre Emilio – "mi racconti come sono andate le cose e mi parli di questa donna."

"Qualche tempo fa" – iniziò a raccontare Don Remigio – "arrivò qui a Sant’Ilario questa donna, una giovane donna, molto attraente. Scese dal treno portando con sé solo una piccola borsa da viaggio e, come accade nei piccoli paesi come il nostro, subito si sparse la voce dell’arrivo di una donna molto bella che nessuno conosceva. Naturalmente i più incuriositi furono gli uomini del paese che iniziarono una specie di gara di galanteria nei confronti della sconosciuta: chi si offriva di accompagnarla ovunque volesse andare, chi insisteva per poterle offrire qualcosa al bar… insomma tutti si davano un gran da fare per poterla conoscere o solo per poter scambiare due parole con lei.

Di qui al diffondersi di voci sul suo conto il passo fu breve: la donna aveva preso una stanza nella pensioncina che sta qui, vicino alla piazza, e qualcuno cominciò a dire in giro che ella riceveva "visite" nottetempo… Voci che non ho avuto mai modo di poter verificare con certezza, ma alle quali ancor oggi mi rifiuto di credere.

Come è ovvio le donne cominciarono a parlarsi fra loro per trovare conferma delle voci che circolavano. Ognuna di loro raccontava cose sempre più inverosimili e credo che in fondo in fondo ci fosse una gran dose di invidia, causata dalla bellezza di lei, in questi pettegolezzi.

Ricordo che una delle voci che circolava si riferiva al fatto che la donna non si facesse pagare per questi suoi fantomatici rapporti ma che lo facesse solo per il gusto di rovinare le famiglie e, naturalmente, per suo piacere personale. Eh, Lei saprà meglio di me quanto può essere velenosa l’invidia…

Alla domenica questa donna veniva sempre a messa e devo precisarLe, Padre, che raramente ho visto donna più devota nei modi e nella partecipazione all’eucaristia."

"Ah, quindi ella veniva alla messa e si comunicava… e lei l’avrà ben confessata!" – disse Padre Emilio, interrompendo il racconto di Don Remigio.

"Si, ricordo che veniva a confessarsi ogni venerdì pomeriggio."

"Dunque lei dalle sue confessioni si sarà pur fatta un’idea della persona, di quanto faceva…"

"Beh" – rispose Don Remigio – "non vorrà mica che Le racconti cosa mi è stato riferito nel segreto del confessionale!"

"Oh, no!" – risposte Padre Emilio, cercando di mascherare il suo imbarazzo – "Certo che no! Ma pensavo che… cioè… che mi potesse fare un quadro più preciso, senza scendere nei dettagli, dal momento che lei ha avuto modo di conoscerla meglio di tanti altri proprio per via delle sue confessioni".

Don Remigio, dopo un attimo di silenzio, passato a mescolare con cura il sugo che bolliva pian piano, rispose con tono piuttosto fermo: "Non ho alcuna intenzione di parlare di ciò che quella donna mi confidò in confessione, neanche in maniera indiretta; Le dirò quanto vuol sapere ma non mi chieda più di far ricorso a quanto seppi in confessionale!"

Padre Emilio, colto in fallo ed anche un po’ infastidito dal tono di rimprovero del parroco, si agitò sulla poltrona fingendo di trovare la posizione migliore e si mise in bocca ancora un’oliva riuscendo così a superare il momentaneo impaccio dovuto allo schiaffo morale ricevuto.

Intanto Don Remigio, avvertendo la pesantezza del silenzio che si era venuto a creare, sia pure durato pochi secondi, riprese il racconto interrotto: "Le dicevo delle messe cui partecipava questa donna, ma non è tutto. Ricordo che mi chiese a chi avrebbe potuto rivolgersi per dare un aiuto agli orfanelli dell’Istituto che si trova nel paese vicino poiché, mi confidò, era orfana anche lei ed avrebbe avuto piacere di alleviare, nel limite delle sue possibilità, qualche dolore a dei poveri bambini infelici. Un pomeriggio, poi, venne qui in chiesa, nell’approssimarsi della ricorrenza dell’Assunzione in Cielo della Vergine Maria, ebbene la sa una cosa? Passò più di due ore ad aiutarmi a ripulire con la massima cura la statua della Vergine che avremmo portato in processione qualche giorno dopo! E Le dirò di più… quando facemmo la processione volli che lei fosse in prima fila, vicino alla statua della Madonna, proprio perché aveva tanto lavorato per renderla pulita e lucente! Non si può immaginare quante cattiverie mi dissero alcune mie parrocchiane e quante critiche dovetti subire per questa cosa…"

Don Remigio levò gli occhi al cielo e mormorò: "Vergine Maria che vedi e provvedi, tieni sempre una mano sulla testa di quella tua devota fedele!"

Poi, voltandosi verso Padre Emilio, lo invitò a sedersi in tavola mentre iniziava a condire la pasta che fumava, invitante, in una semplice zuppiera di porcellana bianca.

"Signore benedici questo cibo che ci hai voluto donare e del quale ti siamo grati" recitò brevemente Don Remigio e augurò il buon pranzo al suo ospite.

Durante il pasto Don Remigio tentò di tornare alla carica con la questione del restauro del dipinto ma Padre Emilio non sembrò minimamente interessato alla cosa e neanche per cortesia fece nulla per sembrare almeno un po’ partecipe. Anzi, ad un tratto lo interruppe bruscamente e gli chiese: "Don Remigio, se, come lei dice, questa donna era devota, generosa con i bisognosi, praticante assidua della Casa di Nostro Signore, come mai i Carabinieri la allontanarono dal paese?"

Il parroco rimase in silenzio per qualche secondo, quasi a raccogliere le idee, poi rispose: "Padre, la cattiveria dell’uomo Lei la conosce, non son io a dovergliene parlare. Tutte le maldicenze che giravano per il paese furono riportate al maresciallo dell’Arma che convocò la donna in questione. La interrogò a lungo, poi le fece un foglio di via. Nulla trapelò di quell’interrogatorio. A me il maresciallo disse solo che la donna non risultava avere precedenti e che aveva provveduto al suo allontanamento soprattutto per evitare possibili scandali, per il buon nome del paese e per tacitare il folto gruppo di donnette che avevano sollecitato un suo intervento."

"Le dirò" – aggiunse Don Remigio – "che la maggior parte degli abitanti del nostro paese non fu contenta di questo trattamento. Avesse visto la folla che si radunò alla stazione il giorno della sua partenza! Io non ci andai, ma il mio sacrestano mi raccontò tutto! E secondo me fu commessa una grave ingiustizia!"

Padre Emilio terminò il pranzo in silenzio e subito dopo mangiato disse a Don Remigio di voler andar via, adducendo come scusa il fatto che odiava guidare con il buio e che voleva rientrare a Reggio Calabria prima del calar del sole, rifiutò garbatamente l’invito del parroco a passare la notte in una stanza del suo appartamento e si avviò.

Il parroco lo accompagnò sino alla sagrestia e lì si salutarono.

Padre Emilio per raggiungere la macchina dovette riattraversare la chiesa e notò che un’anziana signora, inginocchiata in uno dei banchi, lo guardava insistentemente. Mentre lui raggiungeva l’uscita la donna si alzò e lo seguì. Lo raggiunse appena fuori della chiesa e lo fermò dicendo: "Da dove viene Padre? E cosa l’ha condotta nel nostro piccolo paese?"

La discrezione non doveva essere virtù della donna ma Padre Emilio non se ne curò e, anzi, approfittò della circostanza per avere qualche informazione in più sull’argomento che maggiormente lo interessava, perciò rispose con gentilezza: "Vengo da Roma, cara signora, e sono qui per via di una lettera che fu spedita in Vaticano non molto tempo fa, in cui si chiedeva il nostro intervento qui a Sant’Ilario."

La donna ebbe un lampo negli occhi e sorrise compiaciuta. "Sa, Padre? Fui io che scrissi quella lettera!"

Padre Emilio si congratulò con se stesso per non aver risposto sgarbatamente alla donna e la invitò a seguirlo mentre si dirigeva verso una panchina posta sotto le fronde di un gruppo di alberi, non lontano dalla piazza.

Una volta che si furono seduti la invitò a raccontare meglio quanto già aveva avuto modo di scrivere nella sua missiva.

La donna, che non aspettava altro, iniziò a parlare: "Come ebbi modo di scrivere, non vedevo l’ora che cessasse quella situazione turpe e vergognosa. Quella pu… ehm... quella donna di malaffare stava mettendo a soqquadro l’intero paese. Non solo riceveva uomini sposati e non sposati in quella squallida pensione, ma un giorno si intrattenne per ben due ore, da sola, con Don Remigio! Soli nella canonica! Non mi fraintenda Padre, Don Remigio è un bravo sacerdote… ma è pur sempre un uomo! E’ anche un bell’uomo e quella donna ne sapeva una più del diavolo!

Allora scrissi a voi e poi consigliai alcune donne del paese di rivolgersi al maresciallo. E fortuna ha voluto che i carabinieri abbiano fatto il loro dovere. L’hanno mandata via e ora chissà dove starà facendo danno quella là… ma l’importante è che sia lontano da qui!"

L’anziana donna proseguì raccontando al sacerdote tutta una serie di voci che ancora circolavano in paese fino a che Padre Emilio, al limite della sopportazione, non riuscì a liberarsene non senza averla prima ringraziata del grande servigio che aveva reso alla Chiesa e al suo paese con il suo comportamento esemplare ed encomiabile.

Riprese la strada per Reggio Calabria augurandosi di arrivare prima che facesse notte perché effettivamente guidare per quelle strade sconosciute con il buio sarebbe stata un’imprudenza.

Lungo la via del ritorno ricapitolò mentalmente la situazione: una bella donna, spregiudicata quanto basta, arriva in un paesetto e qui si dà da fare con tutti quelli che le capitano a tiro, non disdegnando neppure il parroco che è ancora talmente confuso e forse innamorato di lei, da tentare un’improbabile difesa facendola passare per una pia donna.

"Indisponente questo Don Remigio… quella storia sulla confessione se la sarebbe potuta risparmiare… si è messo pure a farmi la predica! Proprio lui che non mi sembra così immune da peccati..."

Poi continuò a riflettere mentre guidava: una vecchia bigotta prende in mano la situazione indignata da tutta questa situazione, scrive in Vaticano perché qualcuno venga ad indagare sul comportamento del parroco e, non contenta, spinge le donne del paese a rivolgersi ai carabinieri perché provvedano ad allontanare quella poco di buono. Certo, ci sarà pure dell’invidia alla base di alcuni comportamenti, ma un fondo di verità c’è sempre a suffragare le voci di paese, soprattutto quando diventano così insistenti…

Immerso in queste sue riflessioni giunse a Reggio Calabria all’imbrunire.

Monsignor Crespi che lo attendeva sulla porta, dato che sicuramente aveva sentito il rumore della macchina che rientrava nel cortile della Curia, lo accolse con giovialità e si informò con discrezione sull’esito delle indagini.

Padre Emilio non gli riferì quanto aveva scoperto ma rispose semplicemente di essere soddisfatto per le informazioni che aveva raccolto e aggiunse: "Monsignore, lei sarà il primo che sarà portato a conoscenza delle decisioni che vorremo adottare in Vaticano, non dubiti…"

Il giorno dopo in treno, durante il viaggio di ritorno da Reggio Calabria, Padre Emilio, sbocconcellando con piacere quanto Mons. Crespi gli aveva fatto preparare nel cesto da viaggio che gli aveva fornito, provò a trarre le conclusioni su quanto aveva scoperto nel suo soggiorno calabrese e buttò giù la seguente lettera indirizzata al Padre Generale del suo Ordine:


 

Rev.mo Padre Pedro Martinez

Padre generale ordine dei Gesuiti

Curia Generalizia P.P Gesuiti

Borgo Santo Spirito

Città del Vaticano


 

Rev.mo Padre,

in ossequio alle Sue istruzioni, con la presente sono a riferirLe quanto mi è stato possibile conoscere in merito al parroco del paese di Sant’Ilario, Don Remigio Grauso.

Come Lei ben ricorderà ricevemmo segnalazioni che riguardavano presunti immorali comportamenti di questo parroco che, a detta di alcune sue parrocchiane, avrebbe intrattenuto relazioni peccaminose con una donna di facili costumi, per qualche tempo residente nella parrocchia anzidetta.

Ebbene, durante la mia missione in Reggio Calabria e in Sant’Ilario, ho avuto modo di conoscere sia il Rev. Mons. Crespi, vescovo di Reggio - persona che ho trovato degnissima e per nulla piena di sé in ragione del suo ruolo e che, anzi, mi ha positivamente impressionato per i modi semplici, ossequiosi dell’autorità e per lo stile di vita ispirato ad una perfetta cristianità – sia questo Don Remigio, parroco di campagna, che ho trovato, invece, falsamente remissivo e tutt’altro che conscio della gravità dei suoi comportamenti niente affatto aderenti agli insegnamenti che Nostro Signore Gesù ci ha trasmessi.

Nel pur breve soggiorno in Sant’Ilario ho potuto constatare che il parroco è molto più preso dal culto dell’arte, certamente più funzionale all’apparire che all’essere, che non dalla guida del gregge che gli è stato affidato.

Inoltre ho appurato che quanto ci era stato riferito dalla lettera delle parrocchiane corrisponde, purtroppo, al vero.

Ritengo pertanto che sia necessario allontanare questo Don Remigio dalla parrocchia di Sant’Ilario, allo scopo di far pervenire un segnale forte tanto al sacerdote in questione che alla popolazione del paese stesso.

Consiglierei, se Lei Rev.mo Padre mi consente, di destinare per qualche mese questo sacerdote al Convento dei PP. Benedettini di Montelanico, perché esercizi spirituali e penitenza possano ricondurlo sulla retta via facendogli espiare i suoi gravi peccati.

Tanto rimetto nelle Sue mani, certo che le Sue superiori ed illuminate decisioni sapranno interpretare al meglio la volontà di Nostro Signore mirando nel contempo alla tutela della nostra Santa Romana Chiesa.

Possa S. Ignazio indicarLe sempre la giusta via e consentirLe di perseguire la volontà di Dio, mi firmo, devotamente suo,

Finito che ebbe di scrivere questa lettera Padre Emilio, soddisfatto del lavoro svolto, si appisolò pensando che presto avrebbe riabbracciato la sua Inge e questo pensiero lo cullò piacevolmente fino a Roma.