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Elia: la disputa sul Carmelo

b) 1 Re 18, 20-40: la disputa sul Carmelo

La scena è da inquadrarsi nella disputa tra Elia ed il re Ahab, a riguardo del destino religioso del popolo. Elia fa ordinare al re di convocare un'assemblea sul monte Carmelo, per definire e risolvere una volta per tutte la situazione (Località: il monte Carmelo - il fiume Kison).

L'azione di Elia
Elia domina, in tutti i sensi. E' per suo volere che l'assemblea si convoca, è di fatto lui che "guida" le azioni ei profeti di Baal. Ma come si caratterizza questa azione di Elia?

v. 21: «Elia si avvicinò al popolo»

Il verbo "avvicinarsi" lo ritroviamo al v. 30 in cui si parla del popolo che si avvicina all'altare restaurato da Elia; al v. 36 è Elia che, ancora, si avvicina all'altare al momento della sua offerta.
Quindi l'avvicinarsi si connota come un movimento di Elia verso il popolo e verso Dio (l'altare). Ancora una volta abbiamo l'elemento della mediazione, come abbiamo visto con Mosè.
Tale mediazione è per il passaggio di una Parola che renda possibile il ristabilimento della comunione tra Dio e il suo partner, il popolo.

«E disse»

Ecco la Parola. Essa, prima ancora di essere comando è giudizio , cioè rivela la realtà della situazione del popolo. Questa Parola rivela al popolo che strada sta percorrendo. Esso non sembra rendersene conto, per questo è necessario l'intervento esterno del Profeta. La Parola è mandata da Dio perché il popolo si renda conto del non senso della sua situazione.
Egli rivela così che Israele sta zoppicando su due piedi. Letteralmente è:

«fino a quando salterete su due bifor-cazioni?».

L'idea è un po' quella del tenere il piede in due staffe, o del seguire contemporaneamente due strade che si allontanano sempre più, quindi biforcandosi. Non è possibile vivere a lungo così: arriva il momento in cui o si deve scegliere di stare solo da una parte, o ci si spacca in due.
Non si comprenderebbe quest'idea se non si capisce ciò che costituisce per Israele il culto a Baal. La sfida è tra Dio e Baal. Elia vuol rivelare cosa in realtà sia Baal. Sbaglieremmo ad immaginarcelo come una semplice statuetta. Si tratta del dio dei fenomeni atmosferici, dei cicli, della fecondità, del ciclo naturale, della vita in tutte le sue manifestazioni.
Conosciamo già il mito di Baal che lotta con la morte. Nonostante il breve, invernale, ristretto dominio della morte, Baal torna ogni volta a risorgere nel grano che comincia a germogliare in primavera. E' lui il dio della vita, il vittorioso su tutto.
Israele si trova quindi a fare i conti con una divinità che ha le stesse caratteristiche di Jhwh. C'è però una differenza: il Dio di Israele, Jhwh, non è manovrabile; di Lui non si possono fare immagini perché si rivelerebbe riduttivo. E' un Dio che non si può tenere in mano, a disposizione, secondo i propri bisogni.
Baal è preferibile perché è un dio non invadente. Suo unico compito è quello di beneficiare tutti. E' un dio "muto": si invoca ma non risponde, non interloquisce, non appella, non è diverso dall'uomo se non nell'infinita possibilità di potere. E' un dio tappabuchi: il dio proiezione dell'inconscio umano che vuol supplire alle sue debolezze .
E' faticoso adattarsi ad un Dio scomodo come Jhwh, per questo è facile che, mentre con la bocca si dice di adorare Jhwh, di fatto gli si mette accanto un idolo che dia quel margine di sicurezza negato dalla fede/fiducia nel Dio d'Israele, che invece impegna la coscienza. Per questo si tiene il piede in due staffe.
Dt 11, 10-12 ci aiuta a capire tutto ciò: si evidenzia ancora una volta la differenza di condizione tra Israele in Egitto e Israele in Canaan. In Egitto Israle per avere la vita usa il proprio seme e il proprio piede, per cui basta gettare il seme e muovere i piedi per avere ciò di cui vivere. In Canaan è Dio che fa piovere. Da Lui Israele deve aspettare la vita. Cioè, non è che Israele non coltivi la terra, però il suo rapporto con Dio glielo fa fare in modo da non assolutizzare mai i suoi mezzi e i suoi poteri. E' per Dio che riceve la vita. A Lui la chiede e da Lui la riceve.
E' la condizione di libertà, che non significa comodità, ma impegno nella fiducia. In Egitto l'acqua si ottiene coi propri mezzi. In Canaan bisogna solo sperarla da Dio.
Da qui nasce quella fatica che porta a farsi i propri idoli di scorta. Sì c'è Dio, però anche qualche altro sistema per ogni tipo di problema. Quindi, l'idolatri non è costruirsi una statuetta, ma farsi le proprie sicurezze da affiancare a Dio, compresa la propria scala dei meriti attraverso la quale comprarsi la salvezza.
Questo è il rischio di chi scambia Dio per un baal interessato, che si aspetta cose da noi; mentre Dio non è interessato, tutto è suo e si aspetta il riconoscimento dei suoi doni, il comportamento che deriva dai suoi doni.

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