Ignazio Silone
1° maggio 1900 – 22 agosto 1978
Ignazio Silone, pseudonimo di Secondino Tranquilli, figlio di una
tessitrice e di un piccolo proprietario terriero, nasce il 1° maggio 1900 a
Pescina dei Marsi, un comune rurale in provincia dell'Aquila. Frequenta dapprima
il seminario di Pescina e poi il Liceo-Ginnasio di Reggio Calabria; nel 1903
muore la sorellina Maria di soli dodici giorni, nell’anno 1907 perde il
fratellino Cairoli, di appena dieci
giorni e nel 1910 muore Maria,
un’altra sorellina di quasi un anno, nel 1911 muore il padre di 41 anni e il
fratello Domenico di quattordici anni, il fratello Romolo, accusato
ingiustamente, muore nel carcere di Procida nell’anno 1932. Deve abbandonare
gli studi in seguito al terremoto della Marsica del 1915, in cui perderà la
madre. La catastrofe naturale pone Silone, sin da ragazzo, di fronte ad episodi
raccapriccianti in cui si manifesta, ad esempio, la perversa attitudine di
alcuni uomini allo sciacallaggio e la furia bestiale di assassini travestiti di
perbenismo. Questi episodi contribuiscono a esasperare il contrasto che già lo
scrittore aveva avvertito tra la vita privata e familiare, ch'era, o almeno così
appariva, prevalentemente morigerata e onesta, e i rapporti sociali, assai
spesso rozzi odiosi falsi". Da queste parole e da altre pagine di Uscita di
sicurezza si può datare la conseguente scelta dei compagni e dell'impegno
politico di Silone proprio in coincidenza con questa drammatica vicenda
personale e sociale. Rimasto improvvisamente senza famiglia, il ragazzo va a
vivere "nel quartiere più povero e disprezzato del comune e comincia a
frequentare la baracca dove ha sede la Lega dei contadini. Ha inizio così il
suo apprendistato di militante rivoluzionario che, sotto l'influsso di Lazzaro,
l'incarnazione del cristiano autentico, del "cafone" santo, si pone
sotto il segno di Cristo e della Chiesa dei poveri, degli afflitti, di coloro
che "hanno fame e sete della giustizia". Proprio nei giorni del
terremoto l'autore conosce don Orione, e su quell'incontro scrive una bella
pagina autobiografica dal titolo incontro con uno strano prete, pubblicata nel
volume “Uscita di sicurezza” nel 1965. Appare evidente che la scelta
di Silone, che lo porta a prendere precocemente posizione contro la vecchia
società e il potere costituito, si può considerare una sorta di
"conversione, un impegno integrale, che implicava un certo modo di pensare
e un certo modo di vivere". Il giovane, interiormente disgustato dai
soprusi, dalla violenza, dall'ipocrisia, si convince che l'unica risorsa
salutare sia quella di aiutare i poveri, di schierarsi al loro fianco. Già nel
1917, a soli diciassette anni, aveva inviato alcuni articoli all'«Avanti!» in
cui denunciava le indebite appropriazioni di fondi destinati alla ricostruzione
dopo il terremoto. Più tardi, frequenta la Lega dei contadini del suo
paese e diventa segretario regionale della Federazione dei lavoratori della
terra: gli amati "cafoni” di Fontamara. Prende anche parte attiva alle
lotte contro la guerra e viene processato per aver capeggiato una violenta
manifestazione. Nell'immediato dopoguerra si trasferisce a Roma, dove entra a
far parte della Gioventù socialista, opponendosi al fascismo fin dalle origini.
Come rappresentante di questo movimento politico e sociale, egli prende parte
nel 1921 al Congresso di Livorno e alla fondazione del Partito Comunista
Italiano. L'anno successivo diventa direttore del settimanale romano <<L'Avanguardia>>
e redattore del quotidiano triestino <<Il Lavoratore>>, la cui
tipografia viene più volte incendiata dagli squadristi. Compie diverse missioni
all'estero, ma per via delle persecuzioni fasciste è costretto a vivere nella
clandestinità, collaborando attivamente con Gramsci e occupandosi de <<L'Unità>>
e di altri giornali stampati di nascosto. Nel 1926, dopo l'approvazione da parte
del Parlamento delle leggi di difesa del regime, vengono sciolti tutti i partiti
politici e soppressa la stampa di opposizione. Togliatti assume la direzione del
centro estero del PCI e a Silone viene affidata la segreteria del centro
interno. Comincia intanto a profilarsi la crisi che lo porterà, nel 1930, a
uscire dal Partito, soprattutto per la sua opposizione alla politica di Stalin.
L'elemento determinante del distacco stava, secondo Silone, nell'incapacità dei
comunisti russi di discutere "lealmente" le opinioni contrarie alle
proprie. Ogni divergenza di opinione col gruppo dirigente "era destinata a
concludersi con l'annientamento fisico della minoranza da parte dello
Stato". Era il momento della "svolta" della Terza internazionale,
che aveva spaccato i comunisti italiani e indotto Togliatti a espellere dal
partito alcuni dirigenti di primo piano (Tresso, Leonetti e Ravazzoli),
nell'illusione - suggerita da Mosca - che la rivolta operaia contro il fascismo
fosse imminente e destinata alla vittoria. Da questo momento, Silone sarà un
socialista cristiano, non più marxista. In questo clima di lacerazioni
politiche si compie un altro dramma nell'esistenza tormentata dello scrittore.
Romolo, il fratello più giovane, l'ultimo superstite della sua famiglia, viene
arrestato nel 1928 con l'accusa di appartenere al Partito Comunista illegale.
"Al momento dell'arresto egli era stato così duramente torturato da
riceverne permanenti e atroci lesioni interne; e dovette attendere fino al 1932,
nel penitenziario di Procida, la fine che ponesse fine al suo martirio":
questa tragedia gli peserà addosso per tutta la vita, riaffiorando nei romanzi
come ripetizione e rispecchiamento di un dolore privato e universale. Quando il
fratello fu arrestato, Silone aveva già scelto la via dell'esilio in Svizzera,
dove rimase fino al 1944, ed egli considererà questa sua assenza come una colpa
senza appello. Deciso ormai a condurre una vita da "socialista senza
partito e cristiano senza chiesa", Silone svolge un'intensa attività
culturale. Dal 31 al 33 dirige e fonda la rivista in lingua tedesca «Information»,
collabora a "Le Nuove Edizioni di Capolago" per la pubblicazione di
scritti degli emigrati. Sono anche anni di intensa attività letteraria: tra il
27 e il 30 scrive articoli e saggi di grande interesse sul fascismo italiano e,
soprattutto, il suo romanzo più famoso, “Fontamara”. Le accese
polemiche contro il nazifascismo e lo stalinismo lo portano a una nuova
militanza politica attiva; cosicché nel 1939 dirige il Centro estero socialista
di Zurigo. Gli echi mondiali dei manifesti e dei documenti diramati da questo
centro provocano la reazione dei fascisti, che chiedono l'estradizione di Silone.
Le autorità elvetiche rifiutano, ma internano lo scrittore a Davos (1942-43) e
poi a Baden (1943-44) per avere svolto attività politica illegale. Nel 1941
pubblica, in tedesco, “Il seme sotto la neve” e tre
anni dopo rientra in Italia, dove aderisce al Partito Socialista, assumendo una
posizione intermedia, che si oppone soprattutto alla fusione PC.- PSI. Dal 1945
al 1946 dirige l'«Avanti!» e nel 1947 fonda <<Europa Socialista>>.
Due anni dopo tenta una fusione su nuove basi di tutte le forze socialiste con
l'istituzione del PSU, ma le delusioni che ne derivano lo convincono al
definitivo ritiro da ogni militanza politica istituzionale. L'anno successivo
dirige la sezione italiana del Movimento internazionale
per la libertà della Cultura e nel 1956 assume la direzione, insieme con
Nicola Chiaromonte, della rivista «Tempo Presente», un'emanazione
dell'Associazione per la libertà di critica. Al registro ideologico, che lo ha
visto sempre pronto a opporsi a ogni abuso della politica, si affianca in questi
anni un'intensa attività narrativa. Dal 1952 al 1968 escono
“Una
manciata di more”, “Il segreto di Luca”, “La volpe e le camelie”,
“Uscita di sicurezza” e, infine, l'opera che a detta di molti
rappresenta il suo capolavoro, “L'avventura di un povero cristiano”.
Il 22 agosto 1978, dopo una lunga serie di malattie, Silone si spegne in una
clinica di Ginevra, fulminato da un attacco cerebrale che in quattro giorni lo
porta alla morte. Viene sepolto a Pescina dei Marsi, "ai piedi del vecchio
campanile di San Bernardo" e con la "vista del Fucino in
lontananza". Sulla sua tomba, costruita con blocchi di roccia delle vicine
montagne, non c'è nessuna epigrafe, come lui volle nel breve
"testamento", riprodotto per volontà della moglie Darina nel volume
postumo intitolato “Severina”.
Le
opere
“Fontamara”,
pubblicato a Zurigo, in tedesco, nel 1933, è uno dei più clamorosi casi
letterari di questo secolo. Il romanzo, conosciuto e amato in tutto il mondo, è
completamente ignorato in patria per almeno un ventennio: narra la storia di un
paese della Marsica, scelto come simbolo dell'universo contadino. I materiali
autobiografici si fondono nel libro con gli strumenti di conoscenza, legandosi
alla lotta di Silone contro l'ingiustizia e gli abusi del potere istituzionale.
Il tema documentario è quello della lotta fra "cafoni" e borghesi, ma
la sua funzione è sia di denuncia per l'oppressione e i soprusi subiti dai
contadini abruzzesi e di ogni contrada, sia di auspicio per la formazione di una
coscienza sociale liberata dalle ataviche rassegnazioni. Catastrofi naturali e
ingiustizie, cicli stagionali e miserie diventano, infatti, nel racconto così
antichi da apparire come un'eredità dei padri e della terra. Tutto ciò che
avviene oltre il confine di quei monti, posti come confine di un luogo e di una
condizione, ossia ogni trasformazione tecnologica e sociale del mondo di fuori,
viene vista dai "cafoni" di Silone
come uno spettacolo da osservare, avvinti come sono a un ruolo di miseria
ineluttabile. Nel 1981, a tre anni dalla sua morte, esce a cura della moglie
Darina il romanzo “Severina”, che condensa i motivi fondamentali del
lavoro letterario di Silone. La protagonista, una giovane suora abruzzese,
caparbia e forte, è la versione contemporanea di “Celestino V” e
rispecchia la rettitudine interiore del povero cristiano. Il personaggio di
Severina, oltre a essere un riflesso dell'autore, vuole anche essere un omaggio
a Simone Weil, la filosofa ebrea francese che Silone ha tanto ammirato e che non
volle mai abbracciare apertamente il cristianesimo, a cui si era convertita, per
riservarsi uno spazio di libertà. L'indipendenza morale di Severina sta
soprattutto nella speranza e nella coerenza delle proprie idee e verità, nella
riaffermazione della fede in un cristianesimo originario, fuori da ogni
istituzione, e nel socialismo utopico basato sull'amore per gli oppressi e i
vinti di tutte le nazioni e di ogni storia, presente e passata.
La
fortuna
Parlare
della fortuna di Ignazio Silone significa ricordare l'inaudito divario che per
un ventennio separò la critica italiana da quella di tutto il resto del mondo.
Quando “Fontamara” uscì nel 1948 in Italia Silone aveva già 18 anni
di fama alle spalle. Nonostante ciò, l'accoglienza fu per un verso ferocemente
riduttiva, ai limiti dell'insulto e, per l'altro verso, elusiva o sprezzante.
Evidenti pregiudizi politici avevano scavato intorno allo scrittore una trincea
di silenzio. Malvisto sia dalla destra sia dalla sinistra, il libro di Silone
poteva inoltre sembrare ai critici italiani un po’ fuori moda, una sorta di
atto d'accusa contro la letteratura d'evasione o di pura costruzione formale di
quel ventennio. Silone scrisse il suo romanzo a Davos, fra i tormenti del
sanatorio e del confino. Due anni dopo si lascerà convincere dal romanziere
austriaco Jakob Wassermann, che aveva riscontrato nel libro una semplicità e
grandiosità “omerica", a pubblicarlo in tedesco. La diffusione di “Fontamara”
nel mondo fu rapidissima. Tradotto in 27 lingue e riprodotto in numerose collane
economiche, provocò migliaia di giudizi e di consensi sulla stampa
internazionale. Lev Trotzkij ne parla come di un'autentica “opera
d'arte"; Bertrand Russell cita Silone fra gli autori prediletti della
letteratura italiana; Graham Greene rileva l'affinità di intenti che
apparentano la sua opera a quello dello scrittore abruzzese. Malgrado il trionfo
internazionale, l'autore fu costretto a stampare l'originale italiano a proprie
spese presso una tipografia parigina, dove uscì nel 1934 con la sigla fittizia "Nuove
Edizioni Italiane". Il successo in patria di “Fontamara”
tarderà fino al 1965, in coincidenza con la pubblicazione di “Uscita di
sicurezza”, quando cioè la critica si rese conto che era la coerenza
drammatica e ossessiva del suo mondo morale a governare lo stile. Una sorte
analoga, con l'eccezione di qualche voce critica attenta e scevra di pregiudizi,
toccherà anche a “Vino e Pane” (titolo originario “Pane e
vino”) accolto invece dai commossi consensi di esuli illustri come Thomas
Mann, Arturo Toscanini, Stefan Zweig e Lionello Venturi. Sempre all'estero,
soprattutto negli Stati Uniti e in Inghilterra, “La scuola dei dittatori”
è stato considerato un classico della democrazia, mentre “Il seme sotto la
neve” ha stimolato accostamenti fra Silone e i grandi scrittori umanitari,
da Tolstoj a Bernanos, da Unamuno a Dostoevskij. In Italia, invece, anche quando
uscì “Una manciata di more” la critica continuò la tendenza
denigratoria, tanto che qualche critico di sinistra invitò addirittura Silone a
cambiare mestiere, mentre altri gli auguravano di bruciare sul rogo degli
eretici. Con la pubblicazione di quel bellissimo “nodo d'amore" -
come lo chiamò Geno Pampaloni, che fu uno tra i pochi a battersi in favore di
Silone - de “Il segreto di Luca” si ha un accenno di
ridimensionamento critico anche in Italia, anche se la vera svolta avviene, dopo
la faziosa esclusione dello scrittore dal Premio Viareggio nel 1965, con la
pubblicazione di “Uscita di sicurezza”. Il lungo tempo di meditazione
di questo libro – scrive Carlo Bo - "deve essere stato per Silone un
tempo di delusioni e di amarezze”. Il divario fra lo scrittore e i critici del
tempo era evidente: da una parte c’era
un intellettuale che non aveva mai tradito la sua verità o menomato la sua
coscienza, all'altra c’era una schiera di intellettuali senza alcuna
esperienza di vita, totalmente ignari della politica mondiale, di quello che era
stato il travaglio del socialismo nell'Europa del nostro secolo. Ci fu un tempo
che era d'obbligo insultarlo o irriderlo. Quel tempo è passato ma le colpe
della nostra sordità e della nostra viltà non sono state cancellate, non lo
saranno neppure dopo. Quello spirito diverso che veniva identificato in un
“pidocchio” è stato uno dei pochi maestri veri della nostra penultima
storia. Fontamara diventa così la vicenda corale degli emarginati, uguali sotto
ogni latitudine, visti nel momento cruciale e auspicato in cui rifiutano la
fissità della loro condizione ed entrano in conflitto con la "società
degli integrati" del momento, ossia quella fascista. Il portavoce di questa
nuova coscienza è il "cafone" Berardo Viola, trascinato in una lotta
istintiva, priva di ogni retorica che non sia quella della speranza,
dell'uguaglianza e della verità originaria: la fratellanza evangelica. La sua
morte è il sacrificio necessario per la propagazione della fede nella
giustizia, che i Fontamaresi raccolgono per chiedersi insieme “che fare
?”. La natura intimamente apostolica del lavoro letterario di Silone si
traduce nei suoi libri come testimonianza della libertà umana, nucleo centrale
del suo mondo morale e letterario. Questa netta posizione è tuttavia evidente
anche nelle opere di carattere storico-politico e ideologico che egli scrisse
fra il 1934 e il 1938, soprattutto “Der fascismus” che, a detta degli
storici, è uno degli studi più importanti pubblicati da contemporanei sul
fenomeno fascista. A questo saggio si deve affiancare anche “La scuota dei
dittatori”, scritta come meditazione, in forma di dialogo, sulle cause del
trionfo della dittatura e sui valori "eterni" della libertà umana. Il
secondo romanzo pubblicato durante l'esilio, “Vino e Pane”, uscito a
Zurigo nel 1937, è per certi aspetti la continuazione di “Fontamara”
e s'inquadra negli anni del conflitto etiopico, in un clima politico di
avventura cospirativa. Nel 1941 viene pubblicato, in tedesco a Zurigo e in
italiano a Lugano, “Il seme sotto la neve”, composto fra il 1939 e il
1940. Il protagonista di questo libro, Pietro Spina, è chiaramente lo stesso
personaggio autobiografico di “Vino e pane”, deluso dall'ideale
rivoluzionario, che interiorizza i miti di uguaglianza e di giustizia,
perseguendo uno scopo di libertà e di purezza spirituale. Appare evidente che
in Silone il registro del moralista e quello del narratore sono la radice e il
fine della sua esigenza letteraria, e fungono da stimolo a scrivere un solo
libro con più voci, complementari e testimoniali. In questo senso si deve
leggere anche “Una manciata di more”, prima opera scritta e stampata
in Italia dopo l'esilio, in cui si narra la crisi ideologica di Rocco de Donatis,
un ex partigiano comunista, provocata dal nuovo volto assunto dal partito, che
fa presagire azioni repressive e persecutorie. Rocco, costretto a espatriare,
compie "l'atto più importante della sua vita": la rinuncia alla
militanza politica a favore della causa degli oppressi. Nel 1956 esce “Il
segreto di Luca”, romanzo scritto nella forma di inchiesta retrospettiva
su un caso giudiziario. Viene ricostruita la storia d'amore del protagonista,
ergastolano ingiustamente accusato di omicidio, ove si tracciano, come in un
arazzo, le trame di un sentimento platonico di vago sapore stilnovistico.
Intorno alla vicenda sta il brusio della società contadina, con la sua versione
dei fatti, basata su un codice di norme non scritte che s'impigliano con quelle
dell'altro codice: il codice delle testimonianze ufficiali. Nel 1960 esce, nella
redazione definitiva, “La volpe e le camelie”, una storia ambientata
nel Canton Ticino, fuori quindi dai confini elettivi dell'Abruzzo, ma ancora
legata all'esperienza biografica dell'autore e all'ambiente antifascista
clandestino. Anche qui, la morte del protagonista rappresenta in qualche modo la
morte della speranza nell'utopico mondo vagheggiato da Silone, quello
dell'uguaglianza e della liberazione degli uomini da ogni tirannia. Si tratta
però di un sacrificio necessario, poiché colui che opera al di fuori di ogni
istituzione di Chiesa o di Partito muore con lo spirito del "santo" ed
è quindi degno di avere dei continuatori. La lotta contro l'ingiustizia è,
secondo Silone, di ogni tempo e di ogni paese. Il tema appare evidente in “L'avventura
di un povero cristiano”, del 1968, dove si narra del
"gran rifiuto" di Celestino V, il papa vissuto nella stessa terra
d'Abruzzo e costretto a rinunciare al manto papale dopo aver lottato invano
contro le menzogne e le oppressioni del potere. Uscire dalla logica delle
istituzioni significa quindi, nel Medioevo come oggi, ritornare a operare
accanto alle vittime e agli oppressi dì ogni storia, cercando di condividere le
loro pene, nella speranza utopica di un riscatto e di un futuro di dignità e di
diritti unitari. Nel 1965 Silone riunisce gli iscritti della sua speculazione
morale e filosofica in “Uscita di sicurezza”, il testamento di uno
scrittore che non ha mai voluto rinunciare alla "dignità
dell'intelligenza". Il racconto autobiografico si alterna ai testi
saggistici, restituendo al lettore le scintille delle sue esperienze di vita, le
ideologie, la psicologia e i miti del suo immaginario romanzesco. Dalla lunga
confessione contenuta nel libro si comprende che in ogni sua opera Silone si è
avvalso di un'intensa esperienza diretta, dal quotidiano alla storia, dalle
delusioni politiche alla speranza evangelica nel riscatto degli umili, fino alla
scelta di allontanarsi da ogni forma di potere istituzionale.
Home Pescina Mazzarino Silone Artusi Marso Afflictis La Banda Le Chiese