Giovanni Canale Artusi

16-04-1609 - 21-02-1676

di Andrea Cordischi

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Giovanni Canale, Artusi  detto il Pescina nacque il 16-04-1609. Architetto, scultore, incisore fonditore, inventore di strumenti musicali. Da giovinetto, dopo aver appreso le prime notizie della grammatica e del disegno lasciò Pescina per recarsi a Roma sotto la protezione di Pietro Mazzarino e donna Ortenzia Bufalini, genitori del cardinale Giulio Mazzarino. A Roma ebbe molto sostegno dalla famiglia Bufalini che gli fece frequentare le migliori scuole di Roma, dove molti allievi delle stesse, sono divenuti celebri artisti.

Il giovane Giovanni, da attento studioso, si dedica alle belle arti ed alla meccanica applicata. Dotato di molto ingegno, pronto e vivace, con una volontà ferrea nell'apprendimento, fu avviato per gli studi di perfezionamento presso la scuola del celebre architetto, pittore e scultore Gian Lorenzo Bernini, scuola molto fiorente in quegli anni in Roma.

In brevissimo tempo fece grandi progressi in questa scuola, acquisendo molta stima da parte del grande maestro Bernini, come anche dai frequentatori della scuola,  tanto ché, durante tutto il periodo scolastico egli venisse di già chiamato maestro Giovanni da Pescina. 

Terminati gli studi in Roma, Giovanni Canale, Artusi tornò a Pescina e nel 1639 sposò la ventiseienne Caterina e dal 1641 al 1648 ebbe da lei tre figli: Francescoantonio nato il 17 dicembre 1641; Maria Costanza nata il 18 giugno 1643 e Antonio nato il 14 gennaio 1648. (La moglie Caterina morì all'età di 70 anni, il 7 dicembre 1683: come risulta dall'archivio Parrocchiale della cattedrale S. Maria delle Grazie di Pescina).

In questo periodo, in Pescina, gli fu affidato l'innalzamento, l'abbellimento e la decorazione della facciata della chiesa di S. Francesco, oggi di S. Antonio da Padova, che egli realizza in stile barocco.

Il ritorno a Roma del maestro Giovanni da Pescina lo vedrà impegnato ad operare con il grande architetto Gian Lorenzo Bernini in varie occasioni per importanti lavori d'arte.

Collaborò col Bernini per l'esecuzione della cattedra di S. Pietro.  Tra il 1660 e il 1665 egli fuse le varie parti del grandioso reliquiario,  a  cominciare  dagli  angeli,  in alto, indi la cattedra vera e propria,  e  poi  i  quattro grandi Santi della base. Prima di questo periodo, si conoscono, come opera sua, due torcere in bronzo (1658) per la cappella papale in S. Maria del Popolo. Dopo il 1668 collaborò con Cosimo Fancelli  nella  chiesa  inferiore  dei SS. Luca e Martina per l'esecuzione dell'altare in bronzo dorato, fatta  su  disegno  di  Pietro  da  Cortona.   (U.Bi.)  (Vedi chiesa dei Santi Luca e Martina - Roma)

Nel volume della Roma antica e moderna, stampato a Roma nel 1796, a pag. 18, si fa menzione di questo grande artista Giovanni di Pescina e di tutta la sua cultura inventiva  e viene narrata la sua fine infelice. In Roma, ove visse quasi tutta la sua vita, Giovanni aveva costruito un cembalo a suono di campanelli, cosi bene disposti ed armonicamente accordati, che dava vibrazioni sonore, svariate, dolcissime, esilaranti, incantevoli, con melodie ed armonie meravigliose.  Nel libro succitato si prosegue a narrare che venuto in quel tempo a Roma il re d'Inghilterra, ebbe notizia di quel cembalo singolare e delle meraviglie di quei suoni, e volle comprarlo ad ogni costo: e tanto fece che l'ottenne quasi con violenza, anzi, con tutti i mezzi di cui disponeva, si adoperò presso il valente artista, e con generose, lusinghiere promesse e coll'offerta di fargli eseguire importanti lavori nel suo regno con laute e munifiche ricompense, lo indusse ad andare in Inghilterra.

Ivi giunto Giovanni, volle il re sapere da lui se avesse l'abilità di lavorare un altro cembalo simile al primo: e Giovanni gli rispose che ne avrebbe costruito un altro assai migliore. Allora il re, montato in collera, sia perché coll'aver comprato il primo cembalo si credeva di possedere l' insuperabile, più recente, più bella e più peregrina invenzione armonica che si era in quei tempi creata, e sia perché il cembalo assai migliore progettato da Giovanni avrebbe subito offuscato la novità meravigliosa del primo in suo possesso in linea secondaria; con atto capriccioso e prepotente ordinò ad uno sgherro che in sua presenza gli avesse lardato le mani.

Con lo sfregio cosi iniquo, inumano, barbaro del despota tiranno e subito dal maestro Giovanni da Pescina, in terra straniera, una lenta, crudele, atroce morte, con una violenta orrenda sevizie in quelle mani che tante volte avevano divinamente plasmato coll' arte le ammirabili opere ideate o dai sovrumani ingegni del suo secolo o dalla sua mente creatrice. Per questo sopruso il maestro Giovanni da Pescina sarà soprannominato Artusi. Questa la ricompensa che spesso ricevono i grandi ed illustri uomini dai tiranni.

Il maestro Giovanni Canale Artusi detto il Pescina muore nella città che gli dette i natali il 21 febbraio 1676, come risulta dai registri Parrocchiali della Cattedrale S. Maria delle Grazie di Pescina (AQ) Abruzzi  - Italia.

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Pescina. La Chiesa di S. Antonio

 

 

Roma. La Chiesa dei Santi Luca e Martina 

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Roma. La Chiesa dei Santi Luca e Martina

La chiesa è dedicata a Martina, martirizzata nel 228 d.C. durante il regno dell'Imperatore Alessandro Severo e a Luca in quanto protettore dell'Accademia del Disegno che divenne la proprietaria del monumento nel 1588 su concessione di Sisto V°. Nel 625 il pontefice Onorio I° commissionò la costruzione della chiesa che venne restaurata la prima volta nel 1256 durante il pontificato di Alessandro IV° e successivamente nel 1635-64 da Ottaviano Mascherino e Pietro Da Cortona su incarico del Cardinale Francesco Barberini. La facciata è su due ordini, serrata fra semicolonne e pilastri binati. L'interno è distribuito a croce greca scandito da colonne e pilastri con absidi semiellittiche. Nei pennacchi della cupola simboli degli evangelisti dipinti da Filippo Della Valle, Camillo Rusconi e Giovan Battista Maini. A destra dell'ingresso i monumenti funebri di Carlo Pio Balestra scolpito da Tommaso Righi [1776] e di Giovanna Garzoni realizzato da Mattia De Rossi. In sagrestia 'Estasi di S.Francesco' dipinto da Tommaso Salini, nel braccio destro 'Martirio di S.Lazzaro' di Lazzaro Baldi, qui sepolto. All'altare maggiore 'S.Luca in atto di dipingere la Madonna' di Antiveduto Grammatica dall'originale di Raffaello situato all'Accademia di San Luca. Nel braccio sinistro 'Assunta e San Sebastiano' di Sebastiano Conca, lungo la navata lastra tombale di Pietro Da Cortona. La chiesa inferiore è raggiungibile dalla sinistra dell'altare maggiore. Al centro del vano ottagonale si trova l' Altare di San Martina realizzato da Giovanni Artusi detto il Pescina su disegno del Da Cortona.  

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Altare di San Martina realizzato da Giovanni Artusi detto il Pescina

Il primo passaggio che modifica il significato dell'arte nella Chiesa come luogo di culto avviene dalla trasformazione della basilica paleocristiana in chiesa medioevale. Nel passaggio dall'alto al pieno medioevo, l'arte perde difatti la sua rigidezza e il suo impaccio, ma conserva il suo carattere profondamente religioso e spiritualizzato, e resta anche in seguito l'espressione di una società tutta pervasa dal cristianesimo. Ma la visione propria del Medioevo non è comunque il risultato del periodo precedente: l'arte paleocristiana infatti, non aveva ancora nulla della trasparenza dello stile romanico e di quello gotico. La spiritualità del paleocristianesimo in realtà era ancora quel generale, vago spiritualismo che aveva caratterizzato il paganesimo. Le forme dell'arte paleocristiana sono significative solo in senso psicologico, non metafisico: sono espressionistiche, non divinatorie. I grandi occhi sbarrati dei tardi ritratti romani esprimono una vita psichica intensa, intellettuale e affettiva; ma questa vita psichica è senza sfondo metafisico e in sé non manifesta ancora la nuova religione. L'arte paleocristiana supera l'incertezza formale e l'impaccio solo dopo l'editto di Milano del 313 d.C, con Costantino che riconosce il Cristianesimo, quando diventa l'arte ufficiale dello stato e della corte, degli ambienti aristocratici e colti. Ora, in opere come il mosaico absidale di Santa Pudenziana, essa riacquista quell'armonia di cui ancora prima non voleva sentire parlare, ostile com'era al sensualismo classico. L'idea che soltanto l'anima è bella, e il corpo, come ogni cosa materiale, non è degna e contaminata, viene respinta, dopo il riconoscimento del Cristianesimo, almeno per un certo periodo di tempo. La Chiesa, istituzione che si è consolidata, fa rappresentare Cristo e i discepoli in aspetto solenne e dignitoso. L'ideale cristiano non cambia però nel suo aspetto esteriore ma nella funzione sociale dell'arte. Per l'antichità classica, l'opera d'arte aveva un valore prevalentemente estetico, per il Cristianesimo essa ha un significato completamente diverso. Così nel Medioevo niente è superfluo: non c'è una scienza e un'arte che siano indifferenti alle fede. Anzi l'arte è lo strumento più prezioso per l'opera educativa della Chiesa, rivolta al popolo ignaro che non riesce a comprendere i ragionamenti astratti e che per capire ha bisogno di una figurativa che gli trasmetta valori, principi, significati morali. I metodi compositivi e le forme provengono dall'Impero Bizantino e su questi, più tardi, avverrà quell'evoluzione stilistica che intrapresa da Cimabue condurrà a Giotto e al fermento innovativo della scuola fiorentina. Un passaggio importantissimo, da cui nasce la storia della pittura italiana ed europea. L'arte bizantina rappresenta Cristo come un Re, Maria come una Regina; l'uno e l'altro indossano vesti preziose, e siedono freddi, inespressivi e distanti sul loro trono. Gli angeli assistono e formano processioni severamente ordinate. Tutto è grande e possente, ogni elemento umano, soggettivo, è soppresso. Un rituale intangibile vieta a quelle figure di muoversi liberamente, di uscire dalle file, di volgere lo sguardo. L'uso dei colori è semplice, chiaro, distinto: tutto è contenuto in forti contorni ininterrotti, in colori puri, senza gradazioni. Alla fine del Duecento e al principio del Trecento, Giotto porterà così quell'innovazione pittorica che modificherà per sempre le forme e lo stile. Avviene un processo che si concreta, di fatto, nella progressiva liberazione dalla dominante cultura bizantina, ed è affrettato dal fatto che questa cultura ha ormai esaurito le sue possibilità di sviluppo, allo stesso modo che l'impero d'Oriente ha concluso il proprio ciclo storico e si avvia ineluttabilmente alla fine. Il processo è graduale e si compie a livelli diversi. Il processo di superamento della figuratività bizantina, avviene, in Toscana, ad un livello intellettuale più elevato che certamente è in rapporto con l'intensa, agitata vita religiosa suscitata dalla propaganda degli ordini religiosi. Il problema di fondo, di una riforma strutturale del fatto pittorico, si pone con Cimabue: la sua linea si tende in curve elastiche, sensibilizza a tal segno le zone di colore che separa, da esigere il termine medio di una variazione chiaroscurale, di una permeazione luminosa. Come nel suo Crocifisso, dove più che una forma umana idealizzata, [tipica della pittura bizantina] il Cristo è una trama spaziale che si configura come una forma umana. Ecco che Gesù nella pittura si fa uomo e ci trasmette la sua sofferenza, nel suo volto intravediamo le sue sensazioni. E' la grande rivoluzione filosofica che condurrà progressivamente alla diversificazione rappresentativa dell'iconografia cristiana e che avrà in Firenze il suo centro di sviluppo. Gli artisti introducono così, opera per opera, elementi innovativi, che rendono i personaggi religiosi e spirituali sempre più intensi, profondamente più vicini allo spettatore, più verosimili e reali. Un processo naturalistico che avrà il suo culmine con Leonardo, la sua armonia estetica con Raffaello, il senso del quotidiano con Caravaggio e che s'interromperà con il Barocco, nella seconda metà del 1600, quando si evade verso un'iconografia estatica, dominata da una luce soprannaturale, ai confini tra terreno e cielo. La raffigurazione del tema religioso, dal Barocco in poi, inizia a diminuire per un radicale cambiamento che avviene all'interno della società. Nel 1700 nascono e si affermano le prime vere e proprie forme di borghesia capaci di dare vita a propri modelli di organizzazione civile e culturale. Nello stesso tempo l'Europa è investita dal fermento scientifico e dallo sviluppo del pensiero Illuminista, che nega l'esistenza di idee innate nella mente umana affermando che le cognizioni dell'individuo sorgono dall'empirismo, ovvero dall'esperienza, ponendo le promesse del deismo, una religione personale. Nella metà del '700 si realizza nella cultura il distacco definitivo col mondo della tradizione, e l'intellettuale, l'artista, si trova così in una situazione in cui, divenuto autonomo, è invitato a contribuire allo sviluppo di modelli artistici nuovi. Per approfondimenti sugli artisti visita questa pagina.

DA NON PERDERE:

Lanfranco, Bernini, Caravaggio, Guercino, Raffaello a S.Agostino. Rosso Fiorentino, Raffaello e Pietro da Cortona a S.Maria della Pace. Gli affreschi di Filippino Lippi e di Giovanni De Vecchi a S.Maria sopra Minerva e di Masolino nella Basilica di S.Clemente. Caravaggio, Annibale Carracci, Carlo Maratta e Pinturicchio a S.Maria del Popolo. Federico Barocci e la decorazione della cupola di Pietro da Cortona a Chiesa Nuova. Gli affreschi del Pinturicchio e il pavimento cosmatesco di S.Maria in Aracoeli. L'estasi di Santa Teresa di Bernini a Santa Maria della Vittoria. La beata Ludovica Albertoni di Bernini a San Francesco a Ripa. La Pietà a S.Pietro e il Mosè di Michelangelo a S.Pietro in Vincoli. I mosaici di Jacopo Torriti a S.Maria Maggiore e a S.Giovanni in Laterano. Domenichino e Caravaggio a S.Luigi de Francesi. La cupola di S.Andrea della Valle decorata dal Lanfranco. La volta e la cupola affrescata dal Gaulli alla chiesa del Gesù. I mosaici di Pietro Cavallini a S.Maria in Trastevere, S.Cecilia, S.Crisogono, S.Maria in Aracoeli.

Roma. L' Altare di San Martina realizzato da Giovanni Artusi detto il Pescina su disegno di Pietro Da Cortona

La chiesa accademica dei Santi Luca e Martina fu realizzata a partire dal 1635 su progetto di Pietro Berrettini da Cortona. L'edificio sacro fu costruito ex novo sul sito del titolo primitivo di Santa Martina, concesso nel 1588 da Sisto V all'Università dei Pittori di San Luca e situato nei pressi dei fori Imperiali e Romano, ai piedi del Campidoglio, nell'allora semi abitato quartiere dei Pantani.

La chiesa, sistemata sui resti dell'antico Secretarium Senatus, di fronte all'arco di Settimio Severo, e in parte fondata su botteghe del Foro di Cesare, venne dedicata ai Santi Luca e Martina in seguito all'insediamento dell'Università. Sebbene fosse stata oggetto di lavori e progetti di adattamento e parziale ricostruzione fin dagli anni '90 del Cinquecento, redatti probabilmente da Francesco da Volterra e da Ottaviano Mascherino, il suo integrale rifacimento fu avviato solo nel 1635, grazie al "miracoloso" rinvenimento delle reliquie della martire titolare e all'interessamento dell'allora Principe dell'Accademia, Pietro da Cortona.

Su progetto dello stesso architetto-pittore - al quale Urbano VIII Barberini aveva concesso il privilegio di sistemare, a sue spese, la cappella funeraria nella chiesa inferiore - l'edificio assunse l'attuale veste architettonica con impianto a croce greca e cupola all'intersezione dei due bracci principali. I lavori, più volte interrotti, possono considerarsi conclusi entro il 1679; tra il secolo XVIII e il XIX veniva compiuta la sistemazione degli altari e la decorazione interna. Con l'isolamento del corpo di fabbrica della chiesa, unica superstite degli edifici insistenti sul medesimo isolato demoliti per l'apertura, nel 1932, di via dell'Impero, su progetto di Gustavo Giovannoni ne vennero ridefiniti i fronti laterale a nord e absidale.

La demolizione della sede accademica, addossata e contigua alla chiesa, sancì il definitivo distacco dell'Accademia dall'edificio religioso che la ospitava da oltre tre secoli.

Si accede alla chiesa tramite l'articolata facciata principale - che fino alle recenti sistemazioni tardo novecentesche costituiva il fondale di via della Consolazione. La chiesa inferiore, riccamente decorata da marmi policromi, è dedicata alla santa martire Martina, della quale sono custodite le reliquie nell'altare maggiore.

Per disposizione testamentaria di Pietro da Cortona, l'amministrazione della chiesa inferiore di Santa Martina venne affidata dopo la sua morte al Conservatorio di Sant'Eufemia, che ne è attualmente proprietario. La chiesa superiore, aperta al culto, appartiene all'Accademia di San Luca.

Nel maggio del 2007 sono iniziati i lavori di restauro dell'interno, ultima fase di una lunga serie di interventi effettuati dal Ministero dei Beni e attività culturali - Soprintendenza per i Beni architettonici e per il Paesaggio per il Comune di Roma. I lavori proseguiranno fino alla fine del 2008.

La chiesa inferiore è visitabile su appuntamento, rivolgendosi al consegnatario della chiesa il sig. Francesco Taddei dell'Accademia Nazionale di San Luca.

Bibliografia

K. NOHELES, La chiesa dei SS. Luca e Martina nell'opera di Pietro da Cortona, Roma 1969.

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